Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7555 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7555 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13739/2020 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo
studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME , che li rappresenta e difende;
– controricorrenti –
nonché
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, nella qualità di eredi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, nella qualità di erede di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, nella qualità di eredi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, LOCCHE LAMBERTO, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME COGNOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME
-intimati –
avverso la sentenza n. 1246/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/02/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/03/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME;
FATTI DI CAUSA
Ric. 2020 n. 13739 sez. S2 – ud. 13/03/2024
1. Con citazione notificata in data 24/27 maggio 2005 e successivo atto di integrazione del contraddittorio, NOME COGNOME, proprietario di un appartamento sito al quarto piano dello stabile condominiale di INDIRIZZO in Ostia Lido, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma – ex Sezione Distaccata di Ostia – i condòmini di cui in epigrafe, esperendo actio negatoria ex art. 949 cod. civ., volta a sentir accertare e dichiarare l’insussistenza a carico della sua proprietà di una servitù di condotta d’acqua piovana proveniente dal tetto condominiale . L’attore esponeva, a sostegno della domanda, che un discendente della grondaia condominiale, anziché avere, come gli altri, andamento rettilineo, curvava proprio all’altezza del suo balcone, lo attraversava per tutta la sua lunghezza al di sopra della portafinestra e, solo dopo averlo superato, tornava ad assumere direzione perpendicolare al suolo. Il NOME deduceva che tale situazione costituiva una inammissibile servitù di passaggio di condott a d’acqua sul proprio fondo (identificato con il balcone e con la colonna d’aria tra il relativo piano di calpestio e il solaio dell’elemento so vrastante) e chiedeva, quindi, la condanna dei condòmini a rimuovere il pluviale dal proprio terrazzo, ripristinandone l’andamento verticale in conformità al progetto e allo stato originario del Condominio. L’odierno ricorrente precisava, altresì, di aver già promosso un precedente giudizio nei confronti del Condominio per la rimozione del discendente, che si era però concluso sfavorevolmente per esso attore, in quanto il Pretore di Roma, con sentenza definitivamente confermata dal Tribunale capitolino quale giudice di appello, aveva qualificato la domanda come azione di risarcimento del danno in forma specifica (stante la
proprietà comune di tutti i condòmini, e non del solo NOME, del muro perimetrale lungo il quale correva la condotta) , e l’aveva respinta per maturata prescrizione.
Si costituivano nel presente giudizio numerosi condòmini, i quali eccepivano l’esistenza del giudicato esterno disceso sulla vicenda per effetto della precedente pronuncia.
Il Tribunale di Roma accoglieva l’eccezione dei convenuti, osservando che il NOME non era legittimato alla proposizione dell’azione negatoria, in virtù dell’accertamento, oramai definitivo, della proprietà comune tra tutti i condòmini del discendente in contestazione.
Sul gravame di COGNOME NOME, cui resistevano i soli COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, e nella contumacia dei restanti condòmini, la Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 1246/2019, confermava, pur non condividendone le argomentazioni, la pronuncia di prime cure, rilevando in particolare: a) che il Tribunale non aveva compreso la motivazione della sentenza resa a definizione del primo procedimento, avendo confuso la proprietà comune del pluviale con la proprietà comune del muro ove lo stesso era agganciato; b) che tale circostanza non poteva condurre, tuttavia, all’accoglimento del gravame, poiché il giudicato eccepito dai convenuti era effettivamente sussistente, in quanto nel precedente giudizio era stata respinta la medesima negatoria servitutis riproposta in questa sede: il Pretore di Roma, infatti, prosegue la Corte d’Appello nel proprio iter argomentativo, aveva rilevato che quello che l’attore aveva indicato come fondo servente, e cioè la facciata dello stabile condominiale ove era stata agganciata la condotta, in realtà non
era di proprietà esclusiva del NOME, essendo bensì comune a tutti i condòmini, ed aveva anche aggiunto, in relazione alla funzione accessoria del muro perimetrale di consentire l’appoggio di tubi, fili, condutture e simili, che l’utilizzo della facciata per farvi passare il pluviale corrispondeva al normale uso della cosa comune. A parere della Corte distrettuale, a fronte della ‘ perfetta corrispondenza ‘ tra le domande proposte nei due procedimenti, nessuna rilevanza potevano assumere le motivazioni del rigetto della prima, poiché la sentenza già intercorsa tra le parti aveva rispettato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, restando preclusa qualsivoglia valutazione in ordine all’esattezza o meno del primo pronunciamento; c) che non poteva dirsi mancante, infine, il requisito dell’identità delle parti dei due giudizi, per essere stati evocati nel primo procedimento il Condominio e nel secondo i singoli condòmini, poiché tra questi non sussiste in realtà alcuna differenza soggettiva.
Per la cassazione di detta decisione ha proposto ricorso NOME, affidandosi a cinque motivi.
COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME NOME COGNOME NOME NOME resistito con controricorso.
I restanti condòmini, come indicati in epigrafe, sono rimasti invece intimati.
In prossimità dell’adunanza la sola parte ricorrente ha presentato memoria illustrativa, insistendo nelle proprie richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, va rilevato che il ricorrente, con atto depositato in data 28.02.2024, ha formulato istanza di autorizzazione al rinnovo della notifica del ricorso agli intimati NOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME , nei cui confronti la notificazione dell’impugnazione non ha avuto esito positivo.
Sul punto, ritiene il Collegio che, essendo il ricorso, secondo quel che sarà più innanzi esposto, prima facie infondato, non sussistano i presupposti per la concessione dell’autorizzazione richiesta, dovendosi assicurare continuità al consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui: «Il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 cod. proc. civ.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione “prima facie” infondato, appare
superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti» (cfr. ex plurimis Cass., Sez. 3, Sentenza n. 15106 del 17/06/2013, Rv. 626969; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11287 del 10/05/2018, Rv. 648501).
Sempre in via preliminare, devono essere esaminate, e respinte, le eccezioni in rito, sollevate dalla parte controricorrente, in ordine al difetto di legittimazione attiva del NOME e alla non integrità del contraddittorio.
Quanto al primo aspetto, i controricorrenti deducono che il NOME si sarebbe qualificato come proprietario di un’unità abitativa nello stabile condominiale, senza tuttavia produrre alcun titolo di proprietà. Orbene, in disparte la genericità dell’eccezione , si osserva che la pronuncia impugnata ha affermato espressamente che ‘ NOME è proprietario esclusivo dell’appartamento ubicato al piano quarto, INDIRIZZO, scala A, dell’edificio condominiale ‘ (cfr. pag. 2 della sentenza). Tale statuizione non è stata impugnata dai controricorrenti, cosicché a questa Corte è precluso tornare sull’argomento : infatti, il difetto di legittimazione attiva è sì rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, ma incontra il limite della formazione del giudicato interno (Sez. 1, Sentenza n. 1396 del 30/01/2003, Rv. 560145).
Quanto al secondo profilo, i controricorrenti osservano che il NOME non avrebbe prodotto documentazione da cui poter ‘evincere se tutti i soggetti interessati al contraddittorio fossero stati effettivamente chiamati’ (cfr. pag. 6 del controricorso). L’ eccezione difetta di specificità: sul punto, è sufficiente richiamare l’insegnamento di questa Corte secondo cui ‘In tema di litisconsorzio necessario, nel caso in cui la non integrità del contraddittorio non possa essere rilevata direttamente dagli atti o in base alle prospettazioni delle parti e venga eccepita da una di esse, spetta alla parte che la deduce l’onere non solo di indicare le persone dei litisconsorti asseritamene pretermessi, ma anche di provare i presupposti di fatto e di diritto che giustificano l’invocata integrazione e, cioè, i titoli in base ai quali i soggetti pretermessi assumono la veste di litisconsorti necessari. Ne consegue che il giudice innanzi al quale sia eccepito il difetto di contraddittorio deve acquisire la certezza sia in ordine alla esistenza dei soggetti pretermessi sia in ordine ai presupposti della loro “vocatio in jus”, poiché il dubbio su tali circostanze ricade sull’eccipiente e non consente al giudicante di ravvisare la dedotta violazione dell’art. 102 cod. proc. civ. ‘ (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5880 del 16/03/2006, Rv. 587525).
Venendo al merito del ricorso, il primo motivo è così rubricato: « Violazione o, comunque, falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., in relazione all’art. 12 delle Disposizioni sulla Legge in generale (art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.) ». Il NOME denuncia l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte distrettuale nel sostenere che il giudizio definito con autorità di giudicato aveva avuto ad oggetto un’ actio negatoria servitutis : osserva che dall’esame delle
pronunce rese dal Pretore e dal Tribunale di Roma emergerebbe in realtà l’esatto opposto, in quanto la domanda precedentemente proposta era stata respinta (per maturata prescrizione) proprio sul presupposto che non si trattava di una negatoria servitutis , ma di un’azione di risarcimento del danno in forma specifica. Il NOME deduce che il giudice di merito avrebbe dunque capovolto il significato del giudicato esterno – fatto palese dal significato delle parole usate nelle sentenze divenute irretrattabili – così violando il canone di esegesi di cui all’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale , applicabile all’interpretazione della cosa giudicata, in relazione alla sua equiparazione agli ‘elementi normativi’ .
4. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: « In subordine rispetto al primo motivo: nullità della sentenza per violazione del giudicato esterno, nonché per violazione dell’art. 113 c.p.c. e dell’art. 132 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.) ». Con la censura in esame, formulata in via subordinata rispetto al primo motivo, per l’ipotesi in cui questa Corte dovesse ritenere la violazione del giudicato esterno deducibile in sede di legittimità nei soli limiti di eventuali vizi motivazionali, il ricorrente denuncia la mera apparenza e l’abnormità della motivazione resa dalla Corte distrettuale, la quale non avrebbe operato alcun raffronto tra la domanda proposta nel primo giudizio e quella introdotta con il presente, ma si sarebbe limitata a sostenere apoditticamente che la sentenza già intercorsa tra le parti avrebbe rigettato proprio la stessa actio negatoria proposta in questa sede. Si configurerebbe, dunque, la lamentata violazione della cosa giudicata, poiché la sentenza impugnata sarebbe basata sulla supposizione dell’esistenza di un giudicato esterno in realtà insussistente.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: « Violazione o, comunque, falsa applicazione, sotto altro profilo rispetto a quello denunciato con il primo motivo, dell’art. 2909 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. ». Il ricorrente, premesso che in forza delle precedenti pronunce si sarebbe formato il giudicato circa la mancata proposizione da parte sua, nel primo giudizio, di un’ actio negatoria servitutis, afferma che la Corte distrettuale, ritenendo preclusa la proposizione di tale domanda nel presente procedimento, avrebbe violato i limiti della cosa giudicata, senza peraltro svolgere alcuna attività di interpretazione delle sentenze del Pretore e del Tribunale di Roma, onde non sarebbe nemmeno possibile comprendere da quali elementi il giudice di seconde cure abbia tratto il proprio convincimento .
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: « Violazione o, comunque, falsa applicazione dell’art. 949 cod. civ. in relazione all’art. 2934 cod. civ. (art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.) ». Il NOME deduce che la Corte distrettuale non avrebbe tenuto conto della giuridica inconciliabilità tra la qualificazione della domanda proposta nel precedente giudizio in termini di actio negatoria servitutis ed il suo rigetto per intervenuta prescrizione.
Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: « Nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c.) ». Il ricorrente deduce che, per effetto dell’erroneo accertamento di un giudicato esterno in realtà insussistente, i giudici di merito avrebbero omesso di pronunciarsi sull’ actio negatoria servitutis esperita nel presente procedimento.
Le censure, suscettibili di esame congiunto in quanto strettamente connesse, sono infondate.
8.1. Occorre premettere che le Sezioni Unite di questa Corte NOME chiarito che il giudicato interno e il giudicato esterno NOME la medesima autorità: dunque, anche quest’ultimo è rilevabile d’ufficio una volta entrato nella disponibilità del giudice, ove risultante dai documenti acquisiti al giudizio, a prescindere da qualsiasi istanza di parte, in quanto l’autorità del giudicato, l’interesse al cui rispetto è di natura pubblicistica, non è nella disponibilità delle parti. Poiché peraltro il giudicato deve essere assimilato agli ‘elementi normativi’, la cui interpretazione va inclusa nella sfera delle questioni di diritto e non degli apprezzamenti in fatto , ‘ in caso di giudicato esterno, il giudice di legittimità pu ò direttamente accertarne l’esistenza e la portata con cognizione piena che si estende alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al rig uardo dal giudice di merito ‘ ( cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 226 del 25/05/2001, Rv. 548189; confermata da Cass. Sez. U, Sentenza n. 24664 del 28/11/2007, Rv. 600071).
Ciò premesso, è necessario accertare se la prima azione proposta dal NOME, sul cui rigetto è sceso il giudicato, presenti la relazione di identità con la domanda oggetto del presente giudizio – per personae , petitum e causa petendi – riscontrata dal giudice del merito.
8.2. Quanto al profilo soggettivo, la Corte d’Appello ha ritenuto irrilevante la circostanza che il primo procedimento si sia svolto nei confronti Condominio, mentre il presente veda coinvolti i singoli condòmini, sul presupposto che tra Condominio e condòmini non vi
sia in realtà alcuna differenza soggettiva. Tale ratio decidendi – non attinta da alcuna censura nel ricorso del NOME, ed oggetto di una generica confutazione formulata solamente nella memoria illustrativa è conforme all’insegnamento di questa Corte, secondo cui ‘ Il giudicato formatosi in un giudizio in cui sia stato parte l’amministratore di un condominio, fa stato anche nei confronti dei singoli condomini, pure se non intervenuti nel giudizio, atteso che il condominio è ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini ‘ (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12343 del 22/08/2002, Rv. 557005; conformi Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12911 del 24/07/2012, Rv. 623414; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4436 del 21/02/2017, Rv. 643052).
8.3. Quanto al profilo oggettivo, si osserva che, secondo giurisprudenza costante di questa Corte, i limiti oggettivi del giudicato esterno, entro i quali esso fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, sono segnati dagli elementi costitutivi della domanda, ovvero il petitum mediato, cioè il bene della vita agognato dall’attore , e la causa petendi , cioè il titolo, il fatto giuridico sul quale l’azione si fonda , a prescindere dal tipo di sentenza adottato ( petitum immediato), in quanto l’accertamen to, che è coperto dall’autorità del giudicato, è comune alle sentenze non solo meramente dichiarative, ma anche di condanna e costitutive (cfr. ex plurimis Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14477 del 23/12/1999, 532483; Cass. Sez. L, Sentenza n. 14414 del 08/10/2002, Rv. 557806; Cass. Sez. L, Sentenza n. 5925 del 24/03/2004, Rv. 571513). La causa petendi , in particolare, non consiste nelle singole richieste ed eccezioni, né nella norma o nel principio di diritto dedotti in giudizio ed applicati dal giudice in
concreto, bensì nel fatto e nella situazione giuridica che del diritto costituiscono il fondamento (cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n. 10702 del 24/04/2008, Rv. 603022).
Orbene, dall’esame diretto della sentenza n. 2728/1997 del Pretore di Roma (consentito a questa Corte, trattandosi di accertare il contenuto del giudicato esterno acquisto agli atti del giudizio di merito), risulta che nel 1992 il NOME ha convenuto in giudizio il Condominio, esponendo che, a seguito di lavori eseguiti nel 1980, un tratto del discendente della grondaia condominiale era stato posizionato sul suo balcone, causando grave danno estetico e limitazione delle sue facoltà di godimento; l’attore ha qualificato la propria domanda come negatoria servitutis , chiedendo la rimozione della grondaia dalla sua proprietà individuale. Il Pretore ha escluso che la domanda del NOME rientrasse nel paradigma dell’ actio negatoria , in quanto il Condominio non aveva affermato ‘ un suo diritto reale sulla proprietà dell’attore. In effetti il discendente in questione, come risulta dalla relazione del c.t.u., non corre sulla proprietà del NOME ma sul muro perimetrale dell’edificio, che è di proprietà comune. Tale muro, oltre la funzione perimetrale di sostegno dello stabile, ha anche quella accessoria di appoggio di tubi, fili, condutture ecc., per cui l’utilizzo fattone dal Condominio rientra nel normale uso del bene comune ‘ (così a pagg. 3 e 4 della sentenza del Pretore). La domanda è stata quindi ricondotta dal Pretore nell’alveo dell’ azione di risarcimento del danno in forma specifica, ed è stata respinta per maturata prescrizione. Come poi risulta dalla sentenza n. 10271/2002 del Tribunale di Roma, anch’essa acquisita agli atti del giudizio di merito, il NOME ha interposto gravame, lamentando l’erronea qualificazione della
domanda da parte del Pretore, il quale aveva a suo dire ‘ errato nel ritenere che il discendente della grondaia in contestazione ‘non passi sulla proprietà dell’attore, senza essersi accorto che il proprietario del balcone è anche proprietario della zona che lo sovrasta fino al solaio del terrazzo sovrastante e che quindi il tubo insiste sulla proprietà del NOME‘ (cfr. atto di appello) ‘ (così a pag. 2 della sentenza n. 10271/2002 del Tribunale di Roma). Il Collegio di seconde ha respinto tale assunto, poiché ‘ dall’accertamento tecnico svolto nel corso del giudizio di primo grado e dalla documentazione fotografica prodotta in atti si evince con sufficiente univocità che il discendente in contestazione ‘non corre sulla proprietà del NOME ma sul muro perimetrale dell’edificio, che è di proprietà comune’ (cfr. sentenza pretorile). Il muro perimetrale, infatti, continua ad essere condominiale anche se compreso tra il balcone di proprietà individuale e il solaio sovrastante ‘ (così a pag. 4 della sentenza n. 10271/2022).
Con l’atto introduttivo del presente giudizio, l’odierno ricorrente ha lamentato che in occasione dei lavori eseguiti nel 1980 uno dei pluviali ‘ veniva deviato e fatto passare, come passa attualmente, attraverso tutta l’area posta sopra il balcone di proprietà individuale dell’istante, causando un’illegittima servitù di condotta d’acqua piovana, oltreché un notevole danno estetico e funzionale ‘ (così alle pagg. 1 e 2 dell’atto di citazione del 2005). L’attore, premesso di aver intentato il precedente giudiz io conclusosi per lui sfavorevolmente, ha dedotto che le sentenze del Pretore e del Tribunale di Roma ‘ non NOME saputo distinguere tra il muro perimetrale e la colonna d’aria, che rasenta lo stesso muro ed è a questo estranea ‘ (così a pag. 3 dell’atto di citazione) , ed ha
dunque chiesto l’accertamento della ‘ inesistenza di una qualsiasi servitù sulla sua proprietà privata, costituita dal balcone e dalla colonna d’aria ad esso sovrastante, sulla quale insiste il detto tratto di pluviale, che deve essere, quindi, conseguentemente eliminato ‘ (così a pag. 4 dell’atto di citazione).
Orbene, le due domande presentano una chiara corrispondenza di elementi costitutivi: nel precedente giudizio, come nel presente, la causa petendi risulta infatti rappresentata dalla dedotta illecita invasione, con la posa del pluviale, della proprietà individuale dell’attore, mentre il petitum è costituito dalla richiesta di rimozione della condotta dal balcone attoreo, onde eliminare la limitazione da essa arrecata alla proprietà individuale.
A nulla rileva che la domanda sia stata esaminata dal giudice della prima causa come azione di risarcimento del danno in forma specifica, mentre qui venga qualificata come negatoria servitutis , poiché il solo mutamento di prospettazione giuridica, restando invariato il fatto costitutivo della pretesa, non è sufficiente a rendere diverse le domande (cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n. 10702 del 24/04/2008, 603022): vero è che, a fronte della medesima vicenda sostanziale, l’attore mira a conseguire il medesimo bene della vita che già gli è stato negato con la pronuncia su cui è disceso il giudicato, ovvero, riguardando la vicenda da una prospettiva speculare, egli mira a rimettere in discussione il medesimo bene della vita già definitivamente riconosciuto alla controparte (il diritto, cioè, di mantenere il pluviale nella sua attuale collocazione, quale espressione del normale uso della facciata condominiale).
Né varrebbe obiettare che le due domande perseguono fini del tutto distinti, essendo la prima un’azione personale di risarcimento
del danno in forma specifica e la seconda un’azione reale di negatoria servitutis : infatti, secondo il costante insegnamento di questa Corte, qualora due giudizi tra le stesse parti facciano riferimento al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dell’identico punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che NOME costituito lo scopo ed il petitum del primo (cfr. ex plurimis Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 27304 del 26/10/2018, Rv. 651467; Sez. 3, Ordinanza n. 5486 del 26/02/2019, Rv. 652990).
Nel caso di specie, il Pretore ha rilevato che con la posa del discendente lungo la parete condominiale il Condominio non ha invaso la proprietà dell’attore . Il Tribunale ha confermato il rilievo, precisando che il muro perimetrale resta comune ‘ anche se compreso tra il balcone di proprietà individuale e il solaio sovrastante ‘.
I precedenti di questa Corte richiamati dal COGNOME nella memoria illustrativa, secondo cui la declaratoria di prescrizione di un diritto non presuppone necessariamente un accertamento implicito, idoneo al giudicato, in ordine alla sussistenza del diritto stesso e all’individuazione dei soggetti titolari del relativo rapporto , sono del tutto inconferenti , poiché nel caso di specie l’accertamento (esplicito) della titolarità (condominiale) dello spazio lungo cui corre il discendente oggetto del giudizio costituisce una premessa logica
indispensabile delle sentenze oramai definitive, in quanto è proprio alla luce di tale accertamento che il Pretore prima, e il Tribunale poi, NOME escluso che la domanda, contrariamente a quanto sostenuto dall’ allora attore, potesse essere qualificata come negatoria servitutis , ritenuto che, con la posa in opera del pluviale, il Condominio non aveva affermato alcun diritto reale sulla proprietà del NOME, ma aveva fatto normale uso di un bene comune, ovvero la facciata condominiale.
Tale statuizione ha valore di pronuncia di merito sul rapporto controverso, ed è dunque idonea ad integrare il giudicato, in quanto involge un profilo che attiene direttamente alla causa petendi della domanda già proposta innanzi al Pretore: detto in altri termini, l’accertamento che il pluviale non invade la proprietà esclusiva del NOME non può più essere messo in discussione in questa sede, costituendo premessa logica indispensabile della decisione già intercorsa tra le parti, e spiega pertanto efficacia preclusiva rispetto all’ actio negatoria servitutis qui esperita (che ha come presupposto proprio il dedotto passaggio del discendente sulla proprietà individuale dell’odierno ricorrente).
D’altra parte, anche la sentenza che dichiari prescritto un diritto è idonea a comportare la formazione del giudicato sulla titolarità del rapporto controverso, ove la declaratoria di prescrizione si accompagni -come nella fattispecie -all’accertamento di tale titolarità (cfr. Cass. Sez. 6 -3, Sentenza n. 15605 del 24/07/2015, Rv. 636467).
E che il NOME miri a denunciare l’erroneità della prima decisione proprio su tale punto, cioè sull’accertamento della titolarità dell’area occupata dal discendente lungo il proprio
percorso, emerge prima facie dalla lettura dell’atto introduttivo del presente giudizio, nel quale l’attore ha lamentato che il Pretore prima, e il Tribunale poi, ‘ non NOME saputo distinguere tra il muro perimetrale e la colonna d’aria, che rasenta lo stesso muro ed è a questo estranea ‘.
Tuttavia, ancorché secondo il ricorrente sia erroneo, l’assunto sul quale è fondata la sentenza di rigetto della prima domanda è coperto da giudicato. Come ha correttamente affermato la Corte d’Appello, ‘ La citata sentenza rispetta il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ed è passata in giudicato. Ne deriva che questa Corte non può emettere una nuova pronuncia in ordine alla medesima domanda. Né ha rilevanza l’esattezza o meno di detta sentenza essendo peraltro preclusa a questa Corte qualsivoglia tipo di valutazione al riguardo ‘ (cfr. pagg. 4 e 5 della sentenza impugnata).
In conclusione, la Corte distrettuale non è incorsa in alcun errore nell’accertamento della sussistenza e della portata del giudicato esterno.
8.4. Per le ragioni innanzi esposte, contrariamente a quanto sostenuto dal NOME con il quarto motivo di ricorso, si deve osservare che il giudice di seconde cure non ha adottato alcuna decisione che postuli l’implicita ed erronea affermazione della prescrittibilità dell’ actio negatoria servitutis , posto che la Corte di merito si è limitata a prendere atto del giudicato esterno derivante dalla precedente decisione, a prescindere da qualsiasi valutazione circa la sua esattezza o meno. Né ricorre, per i medesimi motivi, il preteso il vizio di o messa pronuncia sull’ actio negatoria servitutis ,
denunciato con il quinto motivo, a fronte della correttezza del rilievo della preclusione da giudicato esterno.
8.5. Il ricorso deve essere pertanto respinto.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della parte controricorrente, che liquida in complessivi euro 800, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione