Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15981 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 15981 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10096-2023 proposto da:
NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI NOME COGNOME, in persona del Rettore pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 124/2023 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 03/03/2023 R.G.N. 345/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
08/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Oggetto
Collaboratore esperto linguistico Trattamento retributivo Giudicato
R.G.N.10096/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 08/05/2025
CC
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FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 3 febbraio 2023, la Corte d’Appello di Bari confermava la decisione resa dal Tribunale di Bari e dichiarava inammissibile, in quanto precluso da giudicato esterno, il ricorso proposto nei confronti dell’Università degli Studi di Bari ‘Aldo Moro’ da NOMECOGNOME con il quale era stato domandato il trattamento economico del ricercatore confermato a tempo definito con effetto dalla data della prima assunzione.
La ricorrente, lettrice di lingua straniera a decorrere dall’anno accademico 1991/1992, era stata assunta successivamente in qualità di CEL e aveva avviato una prima iniziativa giudiziaria, definita con verbale di conciliazione del 30 dicembre 1998, che prevedeva il riconoscimento della natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro intercorso ab origine con l’Università e la corresponsione della retribuzione corrispondente a quella del professore non di ruolo di scuola media superiore sino al 31 ottobre 1993.
Successivamente l’Università aveva applicato la disciplina dettata per il CEL e riconosciuto un trattamento retributivo inferiore a quello indicato nel verbale di conciliazione. La ricorrente aveva, allora, instaurato con ricorso del 20 febbraio 2002 un nuovo giudizio e la domanda era stata rigettata dal Tribunale di Bari, con sentenza confermata dalla Corte d’appello, che aveva ritenuto ( con pronuncia del 12 dicembre 2007) sufficiente e proporzionata la retribuzione riconosciuta dalla contrattazione collettiva. Il ricorso per cassazione proposto avverso quest’ultima pronuncia era stato definito con sentenza del 7 marzo 2013 n. 5647 che aveva pronunciato anche sulla applicabilità della normativa intervenuta in corso di causa, rappresentata dal d.l. n. 2/2004.
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La decisione della Corte territoriale discende dall’aver e questa ritenuto il presente giudizio coincidente, quanto a petitum e causa petendi , con quello definito con la sentenza resa da questa Corte n. 5467/2013 atteso che, nel primo giudizio, instaurato nel 2002, l’odierna ricorrente aveva inizialmente chiesto l’accertamento del proprio diritto al riconoscimento della status di lettore e all’attribuzione, a decorrere dall’1.11.1993, di una retribuzione pari a quella spettante a seguito della transazione giudiziale del 3.12.1998, salvo poi integrare e modificare la domanda in grado d’appello con la richiesta di adeguamento della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost. e infine proponendo ricorso per cassazione, nel quale espressamente dichiarava di censurare la sentenza d’appello per averle negato il diritto alla maggiore retribuzione di ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione e con decorrenza 1.11.1993. Nel secondo giudizio introdotto nel 2016, concluso con la sentenza posta al vaglio della Corte territoriale la cui decisione è qui impugnata, l’odierna ricorrente ha riproposto la medesima domanda, tor nando a chiedere l’accertamento del proprio diritto a percepire, proporzionalmente all’impegno orario assolto e tenuto conto che l’impegno pieno annuale corrisponde a 500 ore, il trattamento economico del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data della prima assunzione. A fronte dell’integrale rigetto della domanda proposta nel primo giudizio ha ritenuto fondata l’eccezione di giudicato esterno formulata dall’Università e già accolta dal primo giudice, risultando coperto il dedotto e il deducibile, ed altresì tardiva la domanda subordinata di attribuzione dell’assegno ad personam ex art. 26, comma 3, l. n. 240/2010 che, peraltro, giudicava, disattendendo l’eccezione di omessa pronunzia sollevata
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dall’odierna ricorrente, ampiamente scrutinata dal primo giudice.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la Adams, affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, l’Università degli Studi di Bari.
La ricorrente ha poi depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 437 c.p.c. e 26, comma 3, l. n. 240/2010, imputa alla Corte territoriale di avere erroneamente ritenuto riconducibile ad una mutatio libelli la proposizione della domanda subordinata di attribuzione dell’assegno ad personam ex art. 26, comma 3, l. n. 240/2010. Rileva che con quella domanda, avente ad oggetto il riconoscimento dell’assegno per il periodo anteriore all’1.1.2016, data in cui l’Università l’assegno medesimo aveva attribuito, la ricorrente si era limitata a ridurre la domanda principale, volta a conseguire il trattamento del ricercatore confermato a tempo definito a decorrere dalla data della prima assunzione senza le limitazioni della norma in questione.
Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 1988 e 2944 c.c., la ricorrente imputa alla Corte territoriale l’aver e disconosciuto la valenza di riconoscimento del debito de ll’attribuzione alla ricorrente dell’assegno ad personam di cui all’art. 26, comma 3, l. n. 240/2010.
Con il terzo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 132, n. 4 e 156, comma 2, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., la ricorrente deduce la nullità della sentenza della Corte territoriale per avere omesso di pronunziare sulla proposta domanda subordinata.
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Appare opportuno precisare come l’impugnazione proposta si incentri sulla domanda subordinata, volta a conseguire il ricalcolo dell’assegno ad personam ex art. 26, comma 3, l. n. 240/2010, di importo pari alla differenza tra la retribuzione dovuta in quanto lettore alla data dell’1.1.1994 e la retribuzione percepita ai sensi della legge n. 236/1995, ferma restando la retribuzione annua lorda di cui al CCNL di comparto, riconosciuto alla ricorrente dall’Università a decorrere dall’1.1.2016, in termini tali da ricomprendere le differenze maturate antecedentemente alla predetta data. Ad avviso della ricorrente tale domanda non è stata, erroneamente, vagliata dalla Corte territoriale nel merito, avendo questa, da un lato, ritenuto di doverla qualificare domanda nuova, in quanto prospettata soltanto nelle note difensive autorizzate per l’udienza del 24.4.2018 nonché all’ultima udienza dinanzi al Tribunale del 18.9.2018 e, dall’altro, mancato di considerare come l’avvenuta attribuzione dell’assegno ad personam , pur con riferimento ad un periodo circoscritto, integrasse un riconoscimento di debito.
Così definito il perimetro dell’impugnazione proposta, se ne deve ritenere la complessiva inammissibilità.
L a Corte d’Appello ha scrutinato la censura avanzata dall’odierna ricorrente in sede di gravame circa l’omessa pronunzia sul punto da parte del Tribunale, disattendendola per avere ravvisato essere stata dal primo giudice puntualmente affrontata la questione, con il rilevare sia l’ininfluenza rispetto al thema decidendum , sia la mancata corrispondenza rispetto alle pretese avanzate dall’allora ricorrente, avvalorata dalla ritenuta circostanza che la Adams aveva espressamente escluso l’operatività nella specie dell’art. 26, comma 3, l. n. 240/2010 sin dall’atto introduttivo del giudizio . È appunto tale rilievo, su
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cui la Corte territoriale, al di là del carattere di novum della relativa domanda, fonda la propria ratio decidendi , ovvero il rilievo per cui nello stesso ricorso di primo grado la predetta norma era stata espressamente ritenuta inapplicabile alla fattispecie o, in subordine, prospettata come incostituzionale, a non essere fatto oggetto di adeguata e ammissibile censura in questa sede.
Il ricorso presuppone l’esame diretto di atti processuali che non risultano trascritti nelle loro parti rilevanti, idonei ad attestare la asserita compatibilità della subordinata con l’originario petitum , e non vengono neppure chiaramente indicati e localizzati , come richiesto dall’art. 366 n. 6 c.p.c. . Analogamente non trova adeguato supporto documentale la censura relativa alla mancata considerazione del riconoscimento di debito conseguente all’attribuzione dell’assegno ad personam, per non essere la relativa delibera del 28.10.2016, che si dice allegata in atti, opportunamente localizzata né riportata nel contenuto, fermo restando che sia da escludere che possa configurarsi quale riconoscimento di debito per il periodo pregresso un’attribuzione patrimonia le che, attenendo ad un periodo successivo, finisca, viceversa, per negare il preteso debito.
Il requisito imposto dal richiamato art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ. deve essere verificato anche in caso di denuncia di errores in procedendo , rispetto ai quali la Corte è giudice del «fatto processuale», perché l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità ( Cass. S.U. n. 8077/2012).
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La parte, quindi, non è dispensata dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso, nelle parti essenziali, gli atti rilevanti, non essendo consentito il mero rinvio per relationem , perché la Corte di Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale, deve essere posta in condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura e deve procedere solo ad una verifica degli atti stessi non già alla loro ricerca ( cfr. fra le tante Cass. S.U. n. 20181/2019; Cass. n. 20924/2019).
La pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 28 ottobre 2021, COGNOME ed altri contro Italia , ha escluso che il principio sopra richiamato sia in sé lesivo del diritto di accesso alla giurisdizione superiore ed ha rilevato che la cosiddetta autosufficienza del ricorso, se applicata senza cadere in eccessivo formalismo, serve a semplificare l’attività dell’organo giurisdizionale nazionale e ad assicurare nello stesso tempo la certezza del diritto nonché la corretta amministrazione della giustizia (punto 75) in quanto, consentendo alla Corte di Cassazione di comprendere il contenuto delle doglianze sulla base della sola lettura del ricorso, garantisce un utilizzo appropriato e più efficace delle risorse disponibili ( punti 78, 104 e 105).
Ulteriore motivo di inammissibilità deve farsi discendere dall’essere comunque anche la domanda subordinata travolta dal giudicato esterno conseguente alla sentenza di questa Corte del 2013, atteso che il rigetto integrale della domanda formulata nel pregresso giudizio ( in relazione al quale la pronuncia citata aveva escluso l’applicazione del d.l. n. 2/2004 e di conseguenza anche della norma di interpretazione autentica) finiva per disconoscere anche quell’adeguamento retributivo che sarebbe derivato dal l’art. 26, comma 3, l. n. 240/2010, che costituiva
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norma di interpretazione autentica di quanto già era stato previsto con il d.l. n. 2/2004.
Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente a rifondere all’Università le spese di lite, che liquida in € 4.000,00 per compenso professionale e in € 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge e alle spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale dell’8.5.2025.
Il Presidente NOME COGNOME