Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 130 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 130 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 05/01/2025
SENTENZA
sul ricorso 4862 – 2018 proposto da:
COGNOME e NOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME e, il secondo, anche dall’avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
contro
COGNOME, in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE) e RIVA COGNOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentati e
difesi dall’avv. NOME COGNOME giusta procura a margine del controricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrenti e ricorrenti incidentali –
avverso la sentenza n. 494/2017 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, pubblicata il 29/6/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/10/2024 dal consigliere NOME COGNOME
sentito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del secondo e del terzo motivo del ricorso incidentale; lette le memorie delle parti.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato in data 19 settembre 2012, NOME COGNOME ed NOME COGNOME convennero in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Udine, NOME COGNOME e, premesso che erano eredi di NOME COGNOME, comproprietaria, con il convenuto, di tre immobili in Majano tra cui un locale adibito a esercizio commerciale e locato a terzi, chiesero lo scioglimento della comunione e la condanna del convenuto al pagamento della metà dei canoni di locazione del bene comune, da lui interamente riscossi.
Rappresentarono in particolare che, per atto di divisione e cessione del 31/3/1980, NOME COGNOME e NOME COGNOME erano divenuti comproprietari, per rispettive quote pari alla metà, di un fabbricato rurale diruto con annesso terreno in Comune di Majano, identificati in catasto con i mappali 331 e 389 del foglio 18; la società di famiglia Riva RAGIONE_SOCIALE aveva poi provveduto alla costruzione -su quel terreno e per quanto qui interessa – di un negozio, di un appartamento e di un magazzino; nella convinzione che questi immobili fossero di proprietà della RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE, i due comproprietari avevano sottoscritto, in data
25/7/94, con NOME COGNOME ed NOME COGNOME una «convenzione privata» con cui NOME COGNOME, dato atto che gli immobili erano formalmente intestati a lei ma erano di proprietà della Riva s.p.a., si era impegnata a cederli a NOME COGNOME; nella scrittura era stato dato atto, altresì, che NOME COGNOME versava alla società, a titolo di corrispettivo delle unità immobiliari edificate sul suddetto terreno, la somma di £. 200.000.000, che NOME COGNOME aveva mutuato alla società una somma di denaro di pari importo e che riceveva quale rimborso la proprietà di una metà degli immobili edificati e, infine, che anche NOME COGNOME aveva mutuato più somme di denaro alla società e che riceveva quale rimborso la somma di £.200.000.000; la convenzione non era stata sottoscritta dalla società.
Dedussero, infine, che, con precedente sentenza n. 104/2012, passata in giudicato, il Tribunale di Udine aveva respinto la loro «diversa» domanda di «recupero dei frutti civili di locazione» per «mancata ottemperanza agli oneri probatori» (così in citazione), non avendo essi provveduto alla produzione del titolo di proprietà in capo alla loro dante causa.
1.2. NOME COGNOME chiese il rigetto delle domande attoree, contestando la comproprietà degli immobili, atteso che il diritto di proprietà sulle particelle risultava intestato soltanto fittiziamente alla loro dante causa e che, in realtà, con la scrittura privata suindicata, il diritto di proprietà su metà degli immobili era stata trasferita a NOME COGNOME; eccepì, altresì, la preclusione da giudicato esterno, perché con la sentenza n.104/2012 citata, il Tribunale di Udine aveva già respinto la loro domanda di corresponsione dei canoni di locazione di uno dei beni.
1.3. Il contraddittorio fu esteso a NOME COGNOME e alla RAGIONE_SOCIALE che, costituendosi, aderirono alle difese del convenuto NOME COGNOME; NOME COGNOME chiese altresì, in riconvenzionale, la condanna degli attori
al trasferimento della quota di comproprietà loro intestata, in adempimento di quanto previsto nella scrittura privata del 1994.
Con sentenza n. 1146/2015 il Tribunale di Udine respinse le domande degli attori; in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale della terza chiamata, dichiarò che NOME COGNOME era proprietaria della metà indivisa intestata agli attori degli immobili in questione e condannò gli attori al pagamento delle spese di lite.
In particolare il Tribunale , senza esaminare l’eccezione di giudicato, escluse innanzitutto che fosse la RAGIONE_SOCIALE s.p.a. proprietaria degli immobili contesi, essendosi occupata soltanto della gestione dei lavori di ristrutturazione e risultando soltanto l’atto notarile del 31 /3/80 quale valido titolo di acquisto del terreno; ritenne, quindi, dal tenore complessivo delle clausole inserite nella scrittura privata del 1994 e dal comportamento delle parti successivo alla stipulazione (non risultando utilizzabile il criterio letterale attese le imprecisioni in diritto del linguaggio utilizzato), che la scrittura avesse effetti reali e l’impegno di cessione degli immobili corrispondesse in realtà all ‘obbligo della mera formalizzazione dell’intestazione a NOME, poi trascurato; concluse perciò che gli attori, pur essendo intestatari dei beni in questione, non ne erano proprietari, perché gli immobili erano stati ceduti alla terza chiamata.
Rigettò, tuttavia, l’ulteriore domanda riconvenzionale di NOME COGNOME diretta ad ottenere la condanna di NOME e NOME COGNOME alla formalizzazione del trasferimento in suo favore della quota di immobile perché ritenne fondata l’eccezione di prescrizione proposta dagli attori e in ogni caso perché la domanda di condanna al trasferimento risultava « in insanabile contrasto con l’accertamento che la proprietà è già della terza chiamata» (così in sentenza).
Escluse altresì il diritto ai canoni perché il contratto di locazione del 28 dicembre 2005, seppure risultava intestato anche alla dante
causa NOME COGNOME non era stato da lei sottoscritto e NOME COGNOME nell’apporre la propria firma , non ne aveva speso il nome.
Avverso la sentenza n. 1146/2015 del Tribunale di Udine, NOME e NOME COGNOME proposero appello, contestando l’efficacia reale della scrittura privata con cui, invece, secondo la loro prospettazione, erano stati soltanto attribuiti diritti obbligatori ormai prescritti e sostenendo che la firma di NOME COGNOME nel contratto di locazione avrebbe dovuto essere necessariamente intesa come apposta in rappresentanza anche dell’altro comproprietario indicato in contratto; infine, denunciarono la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., atteso che il giudice aveva accertato la proprietà di NOME COGNOME in assenza di alcuna domanda.
NOME COGNOME, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE riproposero in appello incidentale l’eccezione di giudicato esterno sulla domanda di divisione e di corresponsione dei frutti civili, il cui esame era stato omesso.
3.1. Con sentenza n. 494 del 2017, in integrale accoglimento dell’appello incidentale e in parziale accoglimento dell’appello principale, la Corte d’appello di Trieste dichiarò inammissibile la domanda proposta dagli attori in primo grado, diretta ad ottenere lo scioglimento della comunione e il rimborso dei canoni quali frutti civili per intervenuto giudicato; annullò, per vizio di ultra petizione, il capo della sentenza impugnata relativo all’accertamento della proprietà degli immobili in capo a NOME COGNOME confermò nel resto la sentenza gravata, compensando integralmente fra le parti le spese per l’intero giudizio.
In particolare, per quel che qui ancora rileva, la Corte escluse la natura reale della convenzione del 1994, ma ritenne che, in ogni caso, l’indagine sulla titolarità del bene in capo alla dante causa COGNOME fosse preclusa dall’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza n.104/2012 del Tribunale di Udine la cui efficacia operava anche nei
confronti dei chiamati in causa perché da loro riconosciuta e invocata; rigettò quindi, il secondo motivo di appello, avente ad oggetto il rimborso dei canoni, ribadendo che l’indicazione del nome di COGNOME nel contratto di locazione fosse soltanto conseguenza dell’intestazione formale della proprietà dei beni e rimarcando che i canoni di locazione erano stati incassati unicamente da NOME e NOME COGNOME mentre NOME COGNOME nulla aveva mai preteso al riguardo.
Infine, d opo aver accolto l’eccezione di ultra petizione quanto all’accertamento della proprietà di NOME COGNOME, la Corte rigettò comunque per intervenuta prescrizione la domanda riconvenzionale da lei proposta di condanna degli eredi al trasferimento dei beni.
Avverso questa sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione affidandolo a quattro motivi; NOME COGNOME, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE hanno resistito con controricorso e hanno proposto ricorso incidentale, affidandolo a tre motivi. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l’ accoglimento del ricorso incidentale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso principale, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno denunciato, in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e ss. preleggi e degli artt. 1362 e ss. cod. civ. e, in riferimento al n. 4, la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 cod. proc. civ. e del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato. In particolare, i ricorrenti hanno lamentato l’erronea interpretazione del l’eccezione di giudicato come proposta dal convenuto NOME COGNOME che avrebbe sostenuto l’inammissibilità della domanda di divisione non perché già proposta e rigettata nel precedente giudizio, ma perché preclusa dal passaggio in giudicato
del l’accertamento sulla mancanza di prova del diritto di proprietà quale presupposto della domanda di pagamento di metà dei canoni riscossi, in forza del principio ex art. 2909 cod. civ., secondo cui l’autorità del giudicato copre il dedotto e il deducibile.
1.2. Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., i ricorrenti hanno quindi lamentato che la Corte d’appello avrebbe omesso di valutare l’effettivo contenuto della domanda come proposta nel giudizio conclusosi con la sentenza n. 104/2012, pure violando il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
1.3. Con il terzo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno infine sostenuto la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. e dell’art. 324 cod. proc. civ. per avere la Corte d’appello ritenuto che l’assenza di prova della titolarità di una delle unità immobiliari dichiarata dalla sentenza n.104/2012 costituirebbe giudicato preclusivo dell’intera domanda di divisione seppure avente ad oggetto l’intero complesso immob iliare e, pertanto, non il solo bene locato; hanno, quindi, ribadito che nel caso di specie non sussisterebbero i requisiti soggettivi di cui all’art. 2909 cod. civ., essendo le parti fra i due giudizi parzialmente diverse, atteso che nel precedente giudizio il contraddittorio non era stato esteso a RAGIONE_SOCIALE e alla società Riva; per tale ragione gli appellanti incidentali non avrebbero potuto giovarsi di una pronuncia emessa all’esito di un giudizio al quale non hanno partecipato.
I primi tre motivi di ricorso principale, che possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione, sono fondati.
La Corte d’appello e il Tribunale prima ancora -non ha considerato la valenza di prova della titolarità del bene dell’atto di
acquisto della dante causa COGNOME in quanto cessione contenuta in un atto di divisione azionato nei confronti degli altri condividenti (con il conseguente presupposto del riconoscimento dell’appartenenza delle cose in comunione, cfr. Cass. Sez. 2, n. 4730 del 10/03/2015) e ha dichiarato inammissibile la domanda di divisione del compendio immobiliare realizzato sul terreno in comproprietà per preclusione da giudicato.
Innanzitutto, allora, è ammissibile in questa sede la censura avente ad oggetto l’accertamento e l’interpretazione del giudicato cosiddetto esterno, formatosi fra i ricorrenti e il controricorrente NOME COGNOME nel precedente giudizio conclusosi con la sentenza del Tribunale di Udine n. 104/2012: seppure, infatti, attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, questa attività di interpretazione può essere oggetto di ricorso per cassazione sotto il profilo della violazione e falsa applicazione della norma dell’art. 2909 cod. civ. e dei principi di diritto in tema di elementi costitutivi della cosa giudicata (cfr. Cass. Sez. 1, n. 17175 del 14/08/2020; Sez. U, n. 277 del 28/04/1999).
Nella specie, dunque, risulta dall’esame dell’atto di citazione del 10/3/2011, introduttivo del precedente giudizio già definito, che NOME COGNOME e NOME COGNOME pur premettendo il diritto di comproprietà della loro dante causa COGNOME sull’immobile ad ibito a locale commerciale e locato, hanno unicamente domandato la condanna del convenuto NOME COGNOME al pagamento in loro favore della quota di frutti civili, ex art. 1101 e 1103 cod. civ. costituita dalla metà degli importi riscossi a titolo di locazione.
Ciò precisato, l’accertamento negativo della titolarità del diritto di comproprietà del bene locato in capo alla dante causa, contenuto nella sentenza n. 104/2012 del Tribunale di Udine che su quella domanda si è pronunciata, era legato alla pretesa azionata secondo un nesso di pregiudizialità in senso tecnico-giuridico, sicché non può
ritenersi preclusivo della successiva domanda di divisione del compendio immobiliare comprendente anche quel bene locato.
Una questione pregiudiziale idonea a configurarsi quale causa pregiudiziale postula, infatti, non soltanto che vi sia una domanda di parte relativa ad un punto costituente un antecedente logico necessario, di fatto o di diritto, rispetto alla decisione della controversia principale proposta – che come tale può essere accertato in via incidentale – ma anche che tale questione assuma un rilievo autonomo, in quanto destinata a proiettare le sue conseguenze giuridiche, oltre il rapporto controverso, su altri rapporti, al di fuori della causa, con la formazione della cosa giudicata a tutela di un interesse giuridico concreto, che trascende quello inerente la soluzione della controversia nel cui ambito la questione è stata sollevata (Cass. Sez. 1, n. 24427 del 08/08/2022): questa circostanza si verifica quando, in ragione di una disposizione di legge o di una domanda di parte, è necessario decidere con efficacia di giudicato la questione pregiudiziale; con la citazione nel precedente giudizio, NOME ed NOME COGNOME -che agivano per il recupero del loro credito, come detto, in forza di un atto di cessione/divisione – non avevano proposto alcuna domanda di accertamento con efficacia di giudicato del diritto di comproprietà del compendio immobiliare in capo alla loro dante causa.
Pertanto, e in tal senso, la sentenza impugnata deve essere cassata quanto alla statuizione di inammissibilità della domanda di divisione per preclusione da giudicato della sentenza n. 104/2012 del Tribunale di Udine e la domanda di divisione dovrà essere scrutinata.
Con il quarto motivo, articolato in riferimento al n. 3 del primo comma dell’art. 360 cod. civ., i ricorrenti hanno infine prospettato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1101, 1362, 1387, 1388, 1571, 2030 e 2909 cod. civ. e dell’art. 345 cod. p roc. civ., per avere la Corte d’appello ritenuto che NOME COGNOME avrebbe sottoscritto il contratto
di locazione soltanto in suo nome e non anche in rappresentanza di NOME COGNOME a cui il contratto era comunque intestato.
In particolare, hanno dedotto che la Corte d’appello avrebbe violato i criteri di interpretazione del contratto laddove non ha considerato che «è noto che a ciascun comproprietario compete il potere di gestire l’immobile, senza necessità di partecipazione dell’altro comproprietario sicché NOME COGNOME non era tenuto a far figurare nel contratto anche la comproprietaria» e «la spendita del nomerinvenibile nel caso di specie -non può avere altro significato che la volontà di sottoscrivere il contratto e d i ‘imputarlo’ anche alla COGNOME, condividendone gli effetti».
In conseguenza, hanno altresì sostenuto che nessun giudicato precluderebbe la domanda che, a differenza del precedente giudizio, è fondata non sulla comproprietà dell’immobile ma sulla titolarità del contratto di locazione stipulato anche dalla loro dante causa.
3.1. Il motivo è assorbito in senso improprio, in conseguenza dell’ accoglimento dei primi tre motivi , perché l’ asserita estensione dell’ efficacia della locazione stipulata da NOME COGNOME anche nei confronti di NOME COGNOME per avvenuta spendita del nome comunque implica e presuppone l’accertamento della comproprietà in capo alla stessa e, in ogni caso, perché il giudicato formatosi sul rigetto della domanda di pagamento dei canoni è limitato al credito maturato fino alla data della sentenza.
Quanto al ricorso incidentale, la Corte d’appello, dopo aver rimarcato la sussistenza del giudicato preclusivo della domanda di divisione, ha comunque provveduto a qualificare la convenzione del 1994 quale scrittura avente efficacia meramente obbligatoria e non reale, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, e ha confermato la prescrizione dell’azione proposta da NOME COGNOME per ottenere il trasferimento della proprietà degli immobili; ha, quindi, interpretato la
domanda di NOME COGNOME come diretta soltanto alla condanna degli eredi COGNOME al trasferimento degli immobili in suo favore e non all’ accertamento della proprietà dei beni in capo a lei; ha, perciò, ritenuto che il Tribunale avesse accertato la proprietà di NOME COGNOME in violazione del principio dispositivo.
5.1. Pertanto, con il primo motivo di ricorso incidentale, condizionato all’accoglimento del ricorso principale e articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la sola NOME COGNOME ha lamentato la violazione degli artt. 1362, 1366, 1367, 1371, 1376 cod. civ. per avere la Corte di merito applicato non correttamente le norme in materia di interpretazione dei contratti; in particolare, la ricorrente incidentale ha sostenuto l’erroneità della ricostruzione della convenzione del 1994 quale scrittura ad effetti meramente obbligatori, soprattutto perché la Corte, pur avendo dato atto della inutilizzabilità del criterio di interpretazione letterale, non risultando che le parti usassero consapevolmente un linguaggio tecnico, si è invece soffermata, poi, su ll’utilizzo dell’espressione ‘si impegna a cedere’ piuttosto che ‘cede’ ; non ha compiuto, invece, una valutazione globale del comportamento complessivo delle parti contestuale e posteriore alla sottoscrizione del contratto e, in particolare, il versamento integrale da parte sua del corrispettivo di £. 200.000,00 all’atto della sottoscrizione e, dopo la sottoscrizione, la riscossione da parte sua, con NOME COGNOME senza opposizione di COGNOME, della metà dei canoni e il pagamento di ogni imposta.
5.2. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, articolato in riferimento al n.5 dell’art. 360 cod. proc. civ., in relazione all’art. 112 cod. proc. civ., la sola NOME COGNOME ha lamentato l’erroneità della pronuncia di annullamento della sentenza di primo grado per vizio di ultra petizione perché la domanda di accertamento del diritto di proprietà era stata espressamente formulata nelle conclusioni di primo
grado; la decisione, peraltro, avrebbe trasformato la quota del 50% in una «terra di nessuno», perché non ne avrebbe accertato la proprietà né sua né degli attori.
5.3. Con il terzo motivo, articolato in riferimento ai n. 3, 4 e 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE hanno infine censurato la statuizione di compensazione delle spese del giudizio per violazione dell’art. 91 cod. proc. civ..
Il primo motivo di ricorso incidentale, è infondato.
La Corte d’appello ha rimarcato che le parti erano convinte che proprietaria degli immobili fosse la società costruttrice RAGIONE_SOCIALE, sicché doveva escludersi che la scrittura potesse avere effetti reali, posto che NOME COGNOME risultava soltanto intestataria fiduciaria e in tale qualità poteva obbligarsi soltanto a formalizzare il trasferimento della proprietà in favore di NOME COGNOME.
In tal senso la Corte d’appello non si è affatto limitata ad utilizzare, per l’interpretazione, il solo criterio letterale, ricostruendo, invece, la volontà delle parti in riferimento ad un esame complessivo dell’atto e dei suoi presupposti.
A ciò si aggiunga che la Corte territoriale non ha affatto trascurato di considerare il comportamento delle parti, anche successivo al contratto, quale l’avvenuta riscossione dei canoni da parte di NOME COGNOME, ma lo ha ritenuto giustificabile in riferimento al possesso esercitato uti condominus e non già in forza dell’avvenuto trasferimento della proprietà.
In diritto, sull’interpretazione del contratto, deve ribadirsi qui il principio consolidato secondo cui, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più
interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra ( ex plurimis , Cass. Sez. 1, n. 15471 del 22/06/2017).
6.1. In logica conseguenza, risulta inammissibile per difetto di interesse il secondo motivo di ricorso incidentale, atteso che NOME COGNOME da un canto non potrebbe vantare il suo titolo di proprietà in forza di un accordo di cui è stata esclusa l’efficacia reale e, d’altro canto, non potrebbe invocare in suo favore neppure l’effetto obbligatorio come riconosciuto, perché il suo diritto ad ottenere il trasferimento è stato dichiarato prescritto e sul punto ella non ha proposto impugnazione.
6.2. Infine, in ulteriore conseguenza, è assorbito il terzo motivo di ricorso incidentale in quanto concernente la statuizione sulle spese.
Il ricorso principale è perciò accolto limitatamente ai primi tre motivi, assorbito il quarto; il primo e il secondo motivo di ricorso incidentale sono rigettati, assorbito il terzo; la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Trieste in diversa composizione perché provveda sulla domanda di divisione.
Statuendo in rinvio, la Corte regolerà anche le spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso principale, assorbito il quarto; rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso incidentale, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Trieste in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda