Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22092 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22092 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15640/2021 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo pec del difensore;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 1034/2021 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 12/04/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
Santa Migotto convenne in giudizio NOME COGNOME chiedendo che venisse accertata la simulazione relativa dell’atto di compravendita concluso dal convenuto nel 1992 e che per l’effetto venisse dichiarato che l’immobile era in comproprietà al 50% tra i due coniugi; chiese, inoltre, che venisse accertata anche la comproprietà delle serre, del terreno e della costruzione ivi eretta.
1.1. Il convenuto si costituì in giudizio eccependo doversi fare applicazione di giudicato esterno.
1.2. Il Tribunale, con sentenza non definitiva, rigettò l’eccezione di giudicato esterno, escludendo l’efficacia preclusiva della cosa giudicata sotto il profilo formale e sostanziale per non aver il Pigato prodotto la sentenza pregiudicante, munita di certificazione d’irrevocabilità . Con la sentenza definitiva, accolse la domanda attorea.
Entrambe le sentenze vennero impugnate dal convenuto innanzi alla Corte di Appello di Venezia. Quest’ultima accolse l’appello di COGNOME ed annullò entrambe le sentenze , giudicando fondata l’eccezione di giudicato, nonostante che la sentenza, dalla quale esso promanava fosse sfornita della certificazione di cancelleria che ne attestasse la definitività.
La Corte di Cassazione, adita da Santa Migotto, cassò la sentenza d’appello con rinvio, ritenendo che la Corte locale si fosse <>, secondo la quale la parte che eccepisce il giudicato esterno <>.
Riassunta la causa dalla COGNOME, la Corte di Venezia rigettò l’appello del COGNOME.
4.1. Questi, in sintesi, gli argomenti salienti della sentenza, per quel che qui rileva:
non poteva essere ulteriormente esaminata la questione del giudicato esterno, poiché la statuizione di cassazione vincolava il giudice del rinvio <>.
COGNOME NOME propone ricorso fondato su due motivi, ulteriormente illustrato da memoria. Resiste con controricorso Santa Migotto.
Con il primo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per aver la Corte d’appello dichiarato che la questione del giudicato esterno non era ulteriormente esaminabile in sede di rinvio, omettendo ogni valutazione in merito ad una prova documentale determinante ai fini della decisione, costituita dalla copia della sentenza n. 1/2007, <>.
Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza di secondo grado per violazione de l principio sancito dall’art. 649 cod. proc. civ. e in relazione all’art. 360, co. 1 n. 3, cod. proc. civ. per inosservanza o falsa applicazione delle norme di diritto in relazione.
Entrambe i motivi, fra loro correlati, unitariamente esaminati, risultano inammissibili.
Il Tribunale rigettò l’eccezione di giudicato esterno perché la sentenza, dal quale questo sarebbe stato promanato, era stata prodotta priva dell’attestazione di passaggio in giudicato.
La Corte d’appello, con la sentenza del 2017, accolse l’impugnazione del COGNOME ritenendo sussistere il denunciato giudicato, non impedito dall’assenza dell’anzidetta attestazione.
La Corte di cassazione cassò con rinvio quest’ultima sentenza per non avere fatto applicazione del principio di diritto secondo il quale l’attestazione dell’irrevocabilità della sentenza costituisce presupposto per l’accoglimento dell’eccezione di giudicato esterno.
Dalla riportata vicenda devono trarsi le conclusioni che seguono.
(a) La mancata produzione in primo grado della copia della sentenza di cui si discute priva dell’attestazione è coperta dal giudicato interno. Non consta che il COGNOME, soccombente in primo grado, abbia impugnato la decisione addebitando al Tribunale di non essersi accorto che la sentenza in parola fosse corredata dall’attestazione e la Corte d’appello riformò la decisione del Tribunale, per altra e diversa ragione: il giudicato esterno poteva farsi valere anche in assenza dell’annotazione d’irrevocabilità. Ragione che non smentiva affatto l’assenza dell’attestazione, anzi la confermava.
(b) Ove poi, la questione (riguardante la presenza o meno dell’annotazione) non avesse costituito punto controverso il COGNOME avrebbe potuto domandare la revocazione della sentenza del Tribunale, ai sensi dell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ.
(c) Non più contestabile, quindi, che nel giudizio di primo grado la sentenza prodotta era priva dell’annotazione, a una tale mancanza non si sarebbe più potuto supplire successivamente e meno che mai in sede di rinvio; giudizio, questo, di tipo ‘chiuso’, nel quale non è più consentito introdurre nuovi elementi di prova.
(d) La denuncia, poi, degli <> che la conferma della sentenza di rinvio determinerebbe, non costituisce motivo di censura, bensì una mera soggettiva considerazione, totalmente priva di capacità impugnatoria.
Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore dei controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30
gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 4 giugno