Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 7481 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 7481 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 27995-2018 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, che lo rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO;
– controricorrente –
Oggetto
Altre ipotesi pubblico impiego
R.G.N. 27995/2018
COGNOME.
Rep.
Ud. 22/02/2024
CC
avverso la sentenza n. 1464/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/05/2018 R.G.N. 1662/2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/02/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME, docente supplente ‘non residente’ con contratti a tempo determinato presso il liceo scientifico RAGIONE_SOCIALE. Marconi in Asmara (Eritrea), aveva chiesto al giudice del lavoro di Roma la corresponsione dell’assegno di sede per l’attività espletata nell’anno scolastico 2010-2011 in misura pari a quella prevista (art. 658 d.lgs. n. 297/1994) per i docenti a tempo indeterminato.
Il Tribunale aveva rigettato la domanda, affermando che il ricorrente aveva posto a fondamento della pretesa solo il giudicato, costituito dalla sentenza n. 377/2011 dello stesso Tribunale che gli aveva riconosciuto analoga indennità per gli anni scolastici dal 2004 al 2010.
Avverso tale sentenza il docente aveva proposto gravame dinanzi alla Corte di appello che aveva confermato la sentenza di primo grado.
La Corte territoriale aveva rilevato che, effettivamente, l’originaria domanda si era fondata sul giudicato, ma tale non poteva ritenersi la sentenza n. 377/2011 per i contratti relativi ad anni scolastici successivi al 2010, oggetto del contendere in quel giudizio. Infatti, quanto accertato dal Tribunale nel 2011 non era riferito al medesimo rapporto giuridico, né si poteva parlare nella specie di «un
unico rapporto di durata per esservi contratti a termine diversi stipulati ogni anno, ai quali si applica la normativa e la contrattazione collettiva volta per volta vigente».
La Corte capitolina aveva aggiunto che, fondandosi l’originaria domanda (come ‘sopra evidenziato’ e comunque ‘non contestato dall’appellante’) solo sul giudicato, era irrilevante l’analisi del secondo motivo di gravame con cui il docente aveva censurato la sentenza del primo giudice per violazione della disciplina comunitaria sulla ‘non discriminazione’ tra assunti a tempo indeterminato e a tempo determinato.
Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione COGNOME NOME affidato a due motivi, cui resiste con controricorso il Ministero.
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., dell’articolo 2909 cod. civ., e degli articoli 112 e 115 cod. proc. civ.; il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che il giudicato opera solo con riferimento a giudizi che abbiano coincidenza di oggetto e obietta che i contratti di cui al presente giudizio e quelli considerati nella sentenza passata in giudicato sarebbero pressocché identici nella forma e nella sostanza, variando solo l’anno scolastico di riferimento; ribadisce che la sentenza di cui al giudicato n. 377/2011 aveva già riconosciuto il diritto del ricorrente a ricevere l’assegno di sede per il servizio di insegnamento prestato presso il liceo di Asmara in misura pari al personale di ruolo.
1. Il motivo, con cui si torna a far valere il giudicato esterno, negato dal giudice d’appello, è inammissibile perché formulato senza il necessario
rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione di cui agli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ.;
1.2 la denuncia di violazione del giudicato esterno se, da un lato, attribuisce a questa Corte il potere di «accertare direttamente l’esistenza e la portata del giudicato esterno con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice di merito» (Cass. S.U. n. 24664/2007), dall’altro richiede pur sempre che vengano assolti gli oneri richiamati nel punto che precede, per cui il ricorrente è tenuto a trascrivere nel ricorso, quantomeno nelle parti essenziali, il testo della sentenza che si assume passata in giudicato e ad indicare tempi, modo e luogo della produzione del documento nel giudizio di merito (Cass. n. 15737/2017 e Cass. S.U. n. 1416/2004);
1.3 è stato precisato al riguardo che «poiché la sentenza prodotta in un giudizio per dimostrare l’esistenza di un giudicato esterno rilevante ai fini della decisione assume rispetto ad esso – in ragione della sua oggettiva intrinseca natura di documento – la natura di una produzione documentale, il requisito di ammissibilità del ricorso per cassazione indicato dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. concerne, in tutte le sue implicazioni, anche una sentenza prodotta nel giudizio di merito, riguardo alla quale il motivo di ricorso per cassazione argomenti la censura della sentenza di merito quanto all’esistenza, alla negazione o all’interpretazione del suo valore di giudicato esterno» (Cass. n. 21560/2011 e negli stessi termini Cass. n. 12658/2014);
1.4 il ricorso non soddisfa i requisiti richiesti a pena di inammissibilità dall’art. 366 cod. proc. civ., perché omette di trascrivere il dispositivo e la motivazione della sentenza n. 377/2011, cit., almeno nei passaggi salienti, precludendo la valutazione della fondatezza della critica mossa alla Corte territoriale, la quale ultima, come evidenziato nello storico di lite, è pervenuta ad escludere l’efficacia del giudicato in relazione al periodo successivo alla sua formazione, sulla base di una lettura complessiva della decisione, concludendo nel senso che quanto accertato dal Tribunale nel 2011 non era riferito al medesimo rapporto giuridico, né si poteva parlare nella specie di «un unico rapporto di durata per esservi contratti a termine diversi stipulati ogni anno, ai quali si applica la normativa e la contrattazione collettiva volta per volta vigente» (v. pag. 2 sentenza impugnata);
1.5 la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che la portata del giudicato, sia esso esterno che interno, deve essere accertata con riferimento non soltanto al dispositivo della sentenza, ma anche alla motivazione di quest’ultima ed inoltre, ove persistano incertezze sul contenuto della pronuncia, l’esegesi può tenere conto, sia pure in via residuale, della domanda della parte (Cass. n. 160/2006; Cass. 24749/2014; Cass. 24162/2017; Cass. n. 12752/2018);
1.6 l’orientamento richiamato nel punto che precede, riguardante anche controversie soggette al rito del lavoro, condiziona la valutazione sulla completezza del ricorso, che deve contenere tutti gli elementi necessari a consentire alla Corte di legittimità di procedere all’interpretazione diretta del giudicato;
con il secondo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360, 1 comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 115 cod. proc. civ. e della clausola 4 dell’Accordo quadro sul lavoro
a tempo determinato del 18/6/1999, trasfuso nella direttiva 1999/70/CE del 28.6.1999; il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che la domanda si fondasse solo sull’accertamento del giudicato e non anche sulla violazione della normativa comunitaria in tema di discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato: in realtà, secondo il ricorrente, la questione della ‘non discriminazione’, su cui il giudice d’appello non aveva inteso pronunciarsi, faceva già parte del thema decidendum fin dal giudizio di primo grado e non costituiva una mutatio libelli .
2.1. Il motivo è anch’esso inammissibile.
2.2. Va qui ribadito che l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come, in genere, l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio – risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ. e non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., o del vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare adeguatamente la decisione. Solo la denuncia dell’error in procedendo, infatti, consente al giudice di legittimità, in tal caso giudice anche del fatto processuale, di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello (in tal senso Cass. 27.10.2014 n. 22759).
Le Sezioni Unite di questa Corte, nel comporre il contrasto sorto nella giurisprudenza di legittimità sulle conseguenze della errata formulazione dei motivi, hanno affermato che ‘nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronunzia da parte della impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni formulate non è necessario che faccia espressa menzione della ricorrenza dell’ipotesi di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 4 (con riferimento all’art. 112 cod. proc. civ.), purché nel motivo su faccia inequivocabilmente riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione. Va invece dichiarato inammissibile il motivo allorquando, in ordine alla suddetta doglianza, il ricorrente sostenga che la motivazione sia stata omessa o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge’ (Cass. S.U. 24.7.2013 n. 17931).
Il caso di specie è riconducibile alla seconda ipotesi, perché nei motivi non si fa riferimento alcuno alla nullità derivata dall’error in procedendo (in tal senso, in fattispecie sostanzialmente analoga, Cass. 31.10.2013 n. 24533).
2.3 Rileva, inoltre, il Collegio che, qualora il ricorrente lamenti, sostanzialmente, l’omessa pronuncia da parte del giudice di appello su censure mosse con l’atto di gravame, è suo onere indicare in modo specifico e trascrivere nel ricorso non solo le parti dell’appello rispetto alle quali si sarebbe verificata l’omissione ma anche quelle del ricorso di primo grado, dovendo la Corte essere posta in grado di accertare che le questioni sottoposte ai giudici di secondo grado non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (fra le più recenti in tal senso Cass. 20.8.2015 n. 17049). Questo perché il vizio di omessa pronuncia non è configurabile in relazione a una domanda che il giudice di appello non sia tenuto a prendere in esame in quanto proposta in violazione del divieto di nuove
domande, sancito dagli artt. 345, comma primo, e 437, comma secondo, cod. proc. civ. (tra le altre: Cass. n. 16033/2004; Cass. n. 7951/2010).
Nella specie, il COGNOME non trascrive nel suo ricorso per cassazione, neanche nei passaggi salienti, il ricorso di primo grado, omettendo di evidenziare l’effettiva proposizione ab origine di una domanda siffatta, giacché – come emerge dalle pagg. 16 e ss. del ricorso per cassazione – egli si è limitato a riportare alcuni stralci del solo ricorso in appello.
2.4 Non conferente è, infine, il richiamo all’art. 115 cod. proc civ., atteso che nel giudizio di legittimità una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. può essere ravvisata solo qualora il ricorrente alleghi che siano state poste a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o che il giudice abbia disatteso delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr. fra le più recenti Cass. n. 1229/2019, Cass. n. 23940/2017, Cass. n. 27000/2016); ipotesi, all’evidenza, non verificatesi nella specie.
Conclusivamente, il ricorso deve essere, nel suo complesso, dichiarato inammissibile, con addebito delle spese di legittimità liquidate in dispositivo – al ricorrente, parte soccombente.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di legittimità, liquidate in €. 3.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Roma, così deciso nella Adunanza Camerale del 22.2.2024.