Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20251 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20251 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 119-2024 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI NOME COGNOME, in persona del Rettore pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1312/2023 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 29/06/2023 R.G.N. 868/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
08/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Oggetto
C.E.L. ex lettori Trattamento retributivo Giudicato esterno
R.G.N.119/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 08/05/2025
CC
–
–
–
–
Con sentenza del 29 giugno 2023 la Corte d’Appello di Bari riformava solo parzialmente la decisione resa dal Tribunale di Bari che a sua volta aveva accolto in parte la domanda proposta nei confronti dell’Università degli Studi di Bari ‘Aldo Moro’ da NOME COGNOME avente ad oggetto il pagamento di differenze retributive maturate a decorrere dall’1.1.2009.
La COGNOME, già lettrice di lingua straniera in servizio presso la predetta Università in virtù di reiterati contratti a termine stipulati ai sensi dell’art. 28, l. n. 382/1980, poi abrogato dall’art. 4 d.l. n. 120/19954 convertito nella l. n. 236/1995, istitutiva della figura dei collaboratori esperti linguistici di lingua madre, aveva instaurato un primo giudizio per ottenere il riconoscimento della natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro intercorso fra le parti, giudizio concluso con verbale di conciliazione del 30 novembre 1998, con cui veniva riconosciuta la natura a tempo indeterminato del rapporto inter partes e liquidate le differenze retributive rispetto al trattamento di professore non di ruolo di scuola media alla data di proposizione del ricorso (i.e., 31 ottobre 1994).
Successivamente, la stessa, nelle more uscita vittoriosa da una selezione per ‘esperto linguistico’ ed assunta a tempo indeterminato dal 1° novembre 1994 per 500 ore a seguito del CCNL 21/5/1996, aveva introdotto un ulteriore giudizio avente ad oggetto le differenze retributive per il periodo successivo al 31 ottobre 1994.
Rigettata la domanda nei primi gradi di giudizio, questa Corte, con sentenza n. 6751 del 2008, aveva accolto il motivo di ricorso con cui veniva censurata la pronuncia della Corte d’appello per aver negato il diritto alla maggiore retribuzione dell’ex lettore madrelingua per il periodo successivo alla innanzi richiamata
–
–
–
transazione, in applicazione dei principi di cui alla sentenza della Corte di Giustizia CE del 26/6/2001, C-212/99.
La Corte d’appello di Lecce, adita in sede di rinvio, con sentenza n. 2570 del 2013, passata in giudicato a seguito del rigetto del (nuovo) ricorso per cassazione (disposto con ordinanza n. 10450 del 2016), aveva condannato l’Università al pagamento della complessiva somma di euro 183.334,74 quantificata per il periodo fino al 31 dicembre 2008, assumendo come riferimento il trattamento del ‘ricercatore confermato a tempo definito’.
L’odierna ricorrente ha, quindi, nuovamente agito nel presente giudizio per chiedere l’applicazione del medesimo criterio anche per il periodo 1° gennaio 2009-31 dicembre 2017, in luogo dell’assegno ad personam riconosciutole dall’Università a titolo di differenza fra la retribuzione dovuta al 1° novembre 1994 quale lettore di madre lingua straniera, computata ai sensi del d.l. n. 2 del 2004, convertito dalla l. n. 63 del 2004, e quella percepita ai sensi del d.l. n. 120 del 1995, convertito con modificazioni dalla l. n. 236 del 1995.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver e questa ritenuto, non diversamente dal primo giudice, che il precedente giudicato (sentenza n. 2570 del 2013 della Corte d’appello di Lecce) non aveva affrontato la questione posta dalla norma di interpretazione autentica di cui all’art. 26, comma 3, della l. n. 240 del 2010, quanto alle modalità del trattamento economico stabilite dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 2 del 2004 ed ha evidenziato che nel precedente giudizio si era discusso di tale disposizione solo con riferimento alla estinzione del processo ed, altresì, che il precedente giudizio riguardava le differenze retributive comprese nel periodo fra il novembre 1994 e il 31 dicembre 2008 (dunque, in epoca antecedente all’intervento della norma di interpretazione autentica) . Il giudice d’appello ha
–
–
–
–
richiamato anche la giurisprudenza di questa Corte sull’incidenza dello ius superveniens , che pone un limite all’ultrattività del giudicato , e in tal modo, ha escluso che la ricorrente potesse pretendere il definitivo ‘aggancio’ alla retribuzione del ‘ricercatore confermato a tempo definito’ e riformato la sentenza di primo grado solo nella parte in cui aveva disatteso la pretesa a ottenere gli interessi legali sulle differenze retributive successive al 31 dicembre 2008.
Per la cassazione di tale decisione ricorre la COGNOME affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso l’Università degli Studi di Bari.
La ricorrente ha poi presentato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., sub specie della violazione del giudicato, ex art. 2909 c.c., costituito dalla rideterminazione del trattamento retributivo riconosciuto dalla sentenza della Corte d’appello di Lecce del 2013, con conseguente violazione dei principi di diritto comunitario e, in ogni caso, dell’art. 36 Cost., con erra ta applicazione dell’art. 26, comma 3, l. n. 240 del 2010.
Con lo stesso motivo si denuncia altresì la nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per avere la Corte territoriale commesso un errore di ricognizione del contenuto oggettivo delle prove oggetto di discussione tra le parti (sentenza della Corte d’appello di Lecce del 2013 e ordinanza della Cassazione del 2016); in particolare, ad avviso della ricorrente, la Corte barese avrebbe errato nel non riconoscere alla pronuncia del 2013 valenza precettiva per il futuro.
–
–
–
–
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 132, 156 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., ed addebita alla sentenza gravata di avere contraddittoriamente affermato la natura interpretativa (e quindi retroattiva) della legge n. 240 del 2010, cit., e di avere poi attribuito rilevanza alla circostanza che le differenze retributive che in quel giudizio venivano in rilievo si arrestavano alla data del 31 dicembre 2008.
Con il terzo motivo si denuncia la nullità della sentenza, ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.), sul rilievo che la Corte territoriale, in relazione agli sviluppi contrattuali successivi alla stipula del contratto di collaboratore linguistico, avrebbe attribuito rilievo alla mancata prova dello svolgimento di mansioni superiori, che non erano oggetto di domanda, incentrata invece sul giudicato.
Il primo motivo è fondato nella parte in cui denuncia la violazione del giudicato, con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi.
Giova preliminarmente richiamare il principio espresso da questa Corte secondo cui il giudicato esterno, in quanto provvisto di vis imperativa e indisponibilità per le parti, va assimilato agli ‘elementi normativi’, sicché la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme (e non già degli atti e dei negozi giuridici), in base agli artt. 12 ss. disp. prel. c.c., con conseguente sindacabilità in sede di legittimità degli eventuali errori interpretativi sotto il profilo della violazione di legge (così già Cass. Sez. U, 09/05/2008, n. 11501; in senso conforme, fra molte, Cass. Sez. 3, 29/11/2018, n. 30838).
–
Nella specie, emerge dall’ordinanza di questa Corte n. 10450 del 2016 che il primo motivo di ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 2570 del 2013 è stato ritenuto inammissibile (almeno sotto alcuni profili) perché «Non risulta, infatti, censurato il passaggio argomentativo della Corte territoriale nella parte in cui, a sostegno della ritenuta non applicabilità della disposizione sulla estinzione del giudizio, ha posto il contrasto dell’art. 26, comma 3, della legge n. 240/2010, che non ha riconosciuto ‘in modo pieno ed incondizionato agli ex lettori di lingua straniera le pretese da essi vantati’, con i principi enunciati dalla Corte di Giustizia CE nella sentenza del 26 giugno 2001, n. 212, direttamente applicabile nell’ordinamento italiano » (secondo quanto riportato a p. 30 del ricorso) e, più ancora, per quel che rileva nella presente sede, perché «Neppure è adeguatamente censurato il decisum della Corte di appello nella parte in cui ha ulteriormente spiegato le ragioni della ritenuta non applicabilità dell’art. 26 citato essendosi la ricorrente limitata a dedurre una pretesa inconferenza del richiamo al precedente di questa Corte costituito da Cass. 8 marzo 2013, n. 5792 senza chiarire perché il principio estrapolato da tale decisione mal si adatterebbe al caso in questione. Sul punto, infatti, la Corte territoriale, a mezzo del suddetto richiamo giurisprudenziale, ha evidenziato che l’art. 26 interviene su questioni, relative ai rapporti concernenti i lettori di madrelingua straniera (d.P.R. n. 382 del 1980, ex art. 38), che, nella specie, riguardando il periodo antecedente all’1/11/1994, cioè quello regolato dalla transazione, hanno acquistato forza di giudicato; e, per ciò stesso, non formano più oggetto di ‘giudizi in corso’. Tale consolidamento della situazi one antecedente all’1/11/1994, producendo, sia pure in via indiretta, conseguenze sul periodo
–
–
successivo, impedisce l’applicazione del richiamato art. 26 anche per detto periodo» (secondo quanto riportato alle pp. 3031 del ricorso).
Ne consegue che la decisione della Corte d’appello Lecce n. 2570 del 2013 (depositata in atti), è passata in giudicato nella parte in cui ha espressamente escluso l’applicazione del richiamato art. 26 anche per il periodo successivo al 1° novembre 1994 in virtù del consolidamento della situazione antecedente, affermazione non espressamente impugnata, come risulta dall’ordinanza di questa Corte n. 10450 del 2016.
Non è, pertanto, conforme al fondamentale canone dell’interpretazione letterale il convincimento espresso nella sentenza impugnata secondo cui «Vi è di fatto che tali ultime due sentenze hann o ritenuto qui inapplicabile l’art. 26 comma 3 cit. solo in relazione alla (infondata) eccezione di estinzione ope legis di quel giudizio, lì sollevata dall’Università di Bari (nel corso del giudizio di appello, in seguito all’entrata in vigore della relativa normazione di interpretazione autentica) senza in alcun modo affrontare expressis verbis la questione della (concorrente) portata sostanziale della prima parte del medesimo art. 26 comma 3 circa l’applicazione ai collaboratori esperti linguistici, assunti dalle università quali lettori di madrelingua straniera, del trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, in misura proporzionata all’impegno orario effettivamente assolto, ‘con effetto dalla data di prima assunzione quali lettori di madrelingua straniera a norma dell’articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980 n. 382, sino alla data dell’instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici, a norma
–
–
dell’articolo 4 del decreto -legge 21 aprile 1995, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1995, n. 236» (p. 12 sentenza impugnata), posto a base dell’erronea conclusione per cui «nulla osta, dunque, alla (doverosa) applicazione nel (separato e distinto) giudizio in esame delle cennate disposizioni sostanziali sopravvenute in relazione a periodi retributivi questa volta senz’altro rientranti sotto l’egida dell’articolo 26 cit.» (p. 15 sentenza impugnata).
Trova, dunque, applicazione il principio di diritto secondo cui, in ordine ai rapporti giuridici di durata e alle obbligazioni periodiche che eventualmente ne costituiscano il contenuto, sui quali il giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro, l’autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti ad una nuova decisione di quelle già risolte con provvedimento definitivo, il quale dunque esplica la propria efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, con l’unico limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento (principio affermato espressamente anche in tema di lettori da Cass. Sez. L., 17/08/2018, n. 20765).
Nella specie, il giudicato inter partes , interpretato direttamente da questa Corte nei sensi sopra precisati, comporta, dunque, l’accoglimento del primo motivo di ricorso, atteso che, alla data di definizione del giudizio di rinvio con la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 2570 del 2013, la norma di i nterpretazione autentica (art. 26, comma 3, l. n. 240 del 2010) era già intervenuta e la Corte di merito ne aveva inequivocabilmente escluso l’applicazione al rapporto dedotto in giudizio.
–
L’impugnata sentenza va, dunque, cassata in relazione al primo motivo, assorbiti gli ulteriori motivi, con rinvio alla Corte d’Appello di Bari, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli ulteriori motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’8 maggio 2025.
La Presidente NOME COGNOME