Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15032 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15032 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 10616/2021 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Lecce, alla INDIRIZZO, in persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO .
-ricorrente -contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Siena, alla INDIRIZZO.
– intimata –
e
RAGIONE_SOCIALE (quale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE), con sede in San Donato INDIRIZZO, al INDIRIZZO, in persona del procuratore AVV_NOTAIO
NOME COGNOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, da ll’ AVV_NOTAIO, con cui elettivamente domicilia in Roma alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO .
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 950/2020 della CORTE DI APPELLO DI LECCE, pubblicata il giorno 06/10/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 21/05/2024 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Lecce, con sentenza del 16 maggio 2017, n. 2022, reputata fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dalla convenuta Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. (d’ora in avanti anche, breviter , MPS) solo per il decennio anteriore alla domanda giudiziale di ripetizione di indebito proposta da RAGIONE_SOCIALE, con citazione notificata il 16 febbraio 2010, con riguardo al rapporto di conto corrente n. 169010 tra esse intercorso (dal 23 febbraio 1989 al 21 febbraio 2000), nel quale si assumevano indebitamente applicati interessi ultralegali, commissione di massimo scoperto, valute e spese non dovute, condannò MPS al pagamento della somma di € 75.136,42, oltre interessi.
La Corte d’appello di Lecce, con sentenza del 6 ottobre 2020, n. 950, in accoglimento del gravame principale proposto da MPS, respinse la domanda di ripetizione d’indebito proposta d a RAGIONE_SOCIALE (perché il tribunale, a fronte di una c.t.u. che aveva accertato il credito della banca per € 75.136,42, aveva erroneamente condannato la stessa al pagamento) e rigettò l’appello incidentale della correntista, volto all’affermazione del giudicato esterno costituito dalla sentenza del Tribunale di Lecce n. 2332/2011.
2.1. Per quanto ancora di interesse in questa sede, quella corte, disattesa l’eccezione di nullità del gravame principale per difetto di legittimazione
processuale della persona fisica che aveva agito come rappresentante di RAGIONE_SOCIALE per il conferimento del mandato (« Tale questione è priva di pregio. In disparte la assoluta genericità della eccezione, dalla cui formulazione non è dato comprendere perché la dr.ssa NOME COGNOME che in qualità di responsabile -perché Preposto di capogruppo con livello procura n. 5 -ha sottoscritto il mandato al difensore per l’appello non avesse tale facoltà, va ricordato che , in tema di rappresentanza processuale della persona giuridica, quando la fonte del suo potere rappresentativo derivi da un atto soggetto a pubblicità legale, come nella specie, spetta alla controparte, qualora contesti che colui che ha sottoscritto la procura possa agire in giudizio in rappresentanza della società, provare l’irregolarità dell’atto di conferimento. . In difetto , la questione va disattesa essendo rituale il conferimento del potere di rappresentanza in presenza di una firma leggibile e chiaramente riferibile al soggetto rappresentante apposta in calce alla procura al difensore »), opinò che: i ) « La sentenza n. 2332/2011 è stata emessa all’esito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in cui si è dibattuta la questione inerente la sola capitalizzazione trimestrale anatocistica. Sulla base di un riconteggio, che escludeva tale capitalizzazione illegittima, il tribunale, verificata la non correttezza dei conteggi della banca, ha accertato che il saldo del c/c non corrispondeva all’im porto ingiunto con il d.i. n. 90/99, sicché il provvedimento monitorio era revocato. In detta sentenza non si affronta il problema relativo alla debenza di CMS, spese e giorni di valuta, così come quella degli interessi -legali o convenzionali -applicabili al rapporto, perché -è detto espressamente in sentenza -la RAGIONE_SOCIALE ‘non ha proposto alcuna domanda di ripetizione di indebito’ che avrebbe reso rilevante la esatta ricostruzione dei rapporti di dare/avere fra le parti. Tanto è detto a pag. 4 della sentenza n. 2332/2011, laddove si affer ma che ‘risulta irrilevante quantificare’ esattamente il saldo ‘non avendo la RAGIONE_SOCIALE avanzato domanda alcuna di restituzione di indebito’. Ed afferma ancora la sentenza, l’esito del giudizio in esame è limitato all’ an della prestazione dovuta. In effetti, il tribunale avrebbe dovuto -revocato il decreto ingiuntivo -accertare -indipendentemente dalla domanda di ripetizione di indebito, che
poggia su altro presupposto -se l’ingiunto fosse debitore della banca per un importo inferiore a quello richiesto dalla banca con domanda monitoria. In ogni caso, la sentenza n. 2332/11 che ha revocato il d.i. tout court in difetto di impugnazione è divenuta definitiva »; ii ) « È evidente che il quantum dovuto da una parte all’altra resta accertamento non coperto dal giudicato, perché involge la soluzione di questioni ulteriori (CMS, spese e giorni di valuta, così come quella degli interessi -legali o convenzionali -applicabili al rapporto) al di fuori del perimetro del solo ‘an’ ormai coperto dal giudicato esterno, in difetto di domanda di accertamento del saldo e di ripetizione di eventuale indebito »; iii ) la sentenza impugnata, correttamente applicando i principi sanciti da Cass. n. 12111 del 2020, aveva escluso, pertanto, che « il giudicato possa estendersi anche a coinvolgere le questioni inerenti la CMS, spese e giorni di valuta applicabili al rapporto, per l’esatta determinazione del saldo finale e del debito/credito ivi scaturente a carico delle parti, che la sentenza n. 2332/11 non ha valutato, perché era irrilevante quantificare il saldo finale, funzionale solo, a detta del tribunale, ad una domanda di ripetizione non formulata ».
3. Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorso RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a due motivi. Ha resistito, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE, quale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, subentrata a Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., per effetto della descritta operazione di scissione societaria, nella titolarità di alcuni crediti, tra cui quello nei confronti della ricorrente, già di MPS. Q uest’ultima, invece, è rimasta solo intimata in questa sede.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso, rubricato « Violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., dell’art. 324 c.p.c., dell’art. 12 disp. legge in generale e dell’art. 2937 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. », ascrive alla corte territoriale di non avere ritenuto operante il giudicato esterno anche sulle questioni concernenti l’illegittima applicazione della c ommissione di massimo scoperto, interessi ultralegali e altre spese, in relazione ad un rapporto giuridico (contratto di conto corrente) già definito con sentenza
passata in giudicato n. 2332/2011 del Tribunale di Lecce, avendo riconosciuto un’identità oggettiva solo parziale tra detto rapporto e quello ancora da definire nel giudizio in corso. Tuttavia, in quest’ultimo, i fatti costitutivi alla base della domanda di ripetizione proposta dalla correntista non potevano che essere gli stessi, avendo errato, dunque, la corte a quo nel ritenere che la menzionata sentenza n. 2332/2011 non costituisse giudicato.
1.1. Una tale doglianza si rivela infondata.
1.2. Invero, osserva il Collegio che, per quanto si legge nella decisione oggi impugnata ( cfr. amplius , pag. 6-7), la sentenza del Tribunale di Lecce n. 2332 del 2011, -benché resa tra le stesse parti e concernente il medesimo rapporto di conto corrente di cui anche qui si discute -ha espressamente escluso di doversi preoccupare dell’effettiva quantificazione del dare/avere tra le parti stante l’assenza di domanda di ripetizione di indebito, in quel giudizio, della correntista. È chiarissimo, in tal senso, il passaggio motivazionale di quella sentenza riportato in quella oggi impugnata (oltre che, integralmente, nel motivo di ricorso).
1.2.1. Di conseguenza, i fatti costitutivi della domanda di ripetizione di indebito per commissione massimo scoperto, interessi ultralegali, valute ed altre spese, non erano stati accertati, con conseguente impossibilità di ritenere formato il giudicato su questi ultimi.
1.3. Q uanto, poi, all’eccezione di prescrizione sollevata in questo secondo giudizio dalla banca (ritenuta fondata da entrambi i giudici di merito), è palese che quest’ultima certamente non avrebbe potuto avvalersene nel primo giudizio (di opposizione della correntista al decreto ingiuntivo n. 90/1999, ottenuto dalla banca con riferimento allo scoperto di conto al momento del suo passaggio a sofferenza) proprio in mancanza, ivi, di una domanda di ripetizione di indebito della correntista (in quella sede, infatti, era stata formulata, in via riconvenzionale, da RAGIONE_SOCIALE una domanda risarcitoria per illegittimo recesso della banca dal rapporto di conto corrente, evidentemente diversa da quella di indebito).
1.3.1. Né può ragionevolmente sostenersi che la richiesta di mero accertamento della non debenza dell’importo ingiunto (stante la contestata applicazione dell’anatocismo) potesse essere soggetta a prescrizione, onde questa eccezione è stata proposta e considerata dai giudici del merito nella presente controversia in relazione alla domanda di condanna alla ripetizione di indebito formulata dalla odierna ricorrente.
Il secondo motivo di ricorso lamenta la « Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ». Esso deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2967 c od. civ., perché, nella propria comparsa in appello, essa aveva censurato il mancato rilievo della invalidità della procura rilasciata a favore della banca in primo grado, laddove il Tribunale ha ritenuto la stessa conferita ritualmente dal legale rappresentante della banca, senza prova adeguata.
2.1. Una tale doglianza -che neppure attiene alla ratio decidendi , in parte qua , della decisione impugnata: invero, la corte distrettuale ha affermato ( cfr . pag. 5) che la procura ad litem per il giudizio di appello è stata rilasciata dalla AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, dirigente con poteri di rappresentanza (volontaria, non legale) della banca, mentre la ricorrente si riferisce ad una procura ad litem per la costituzione in primo grado sottoscritta dal legale rappresentante della banca e contesta, appunto, che quella in calce alla procura sia la firma dell’effettivo rappresentante legale della banca stessa -è inammissibile anche ex art. 360bis , n. 1, cod. proc. civ., atteso che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, un’autonoma questione di malgoverno del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si pone esclusivamente ove il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma (giusta la scomposizione della fattispecie basata sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni), non anche quando, a seguito di un’eventuale incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia ritenuto assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.
( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 10794 del 2024; Cass. n. 9021 del 2023; Cass. n. 11963 del 2022; Cass. nn. 17313 e 1634 del 2020; Cass. nn. 26769 e 13395 del 2018; Cass. n. 26366 del 2017; Cass nn. 19064 e 2395 del 2006), nella specie nemmeno prospettato (e comunque da rapportarsi – in tesi – al testo novellato di cui alla citata norma, introdotto dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis , risultando impugnata una sentenza resa il 6 ottobre 2020).
3. In definitiva, quindi, l’odierno ricorso di RAGIONE_SOCIALE deve essere respinto, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla sola costituitasi parte controricorrente, altresì dandosi atto, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso promosso da RAGIONE_SOCIALE e la condanna al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi parte controricorrente, liquidate in € 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della medesima ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello
previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile