Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14742 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 14742 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 26264-2019 proposto da:
NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_SOCIALE, soggetta all’attività di direzione e coordinamento di RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 175/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 05/03/2019 R.G.N. 418/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/03/2024 dal AVV_NOTAIO.
Fatti di causa
La Corte d’appello di Firenze, con la sentenza in atti, ha rigettato l’appello e confermato la sentenza appellata che
Rep.
Ud. 27/03/2024
CC
aveva respinto la richiesta del lavoratore COGNOME NOME in materia di inquadramento superiore, ritenendola in parte inammissibile per violazione del ne bis in idem rispetto ad un precedente giudizio e in parte infondata nel merito.
La Corte d’appello ha premesso che la particolare complessità della vicenda in esame derivava dal fatto che lo svolgimento del rapporto di lavoro tra le parti era stato regolato da tre diverse contrattazioni collettive succedutesi nel tempo, nel vigore delle quali erano stati attribuiti all’appellante inquadramenti diversamente denominati, mentre la domanda di inquadramento superiore era stata introdotta dal lavoratore in due distinti giudizi, con cause petendi parzialmente coincidenti.
Pertanto, secondo la Corte territoriale, quanto alle domande giudiziali proposte dall’appellante con il precedente ricorso depositato in primo grado nel febbraio 2006 (respinto con la sentenza n. 907/2010 del Tribunale di Firenze confermata dalla sentenza n.1564/2010 della Corte d’appello di Firenze, quest’ultima passata in giudicato) e con il successivo ricorso depositato in primo grado nell’aprile 2014 respinto con la decisione impugnata, il Collegio concordava con il primo giudice a proposito del fatto che fra le due prospettazioni vi fosse coincidenza non solo di petitum (inquadramento superiore al livello E dal gennaio 2003, il luogo del livello F, CCNL 2003) ma anche di causa petendi ( mansioni superiori di contenuto commerciale svolte in aggiunta a quelle di assistenza alla clientela).
Quanto alla domanda relativa alle mansioni superiori svolte nel periodo da marzo 2008 ad agosto 2012, la Corte di appello concordava con il primo giudice a proposito del fatto che operasse il giudicato, perché ancora riferita all’arco di tempo in cui era stato vigente il CCNL 2003, e comunque nel merito si sarebbe imposto il rigetto della medesima domanda per le ragioni di cui alla stessa precedente pronuncia.
Ciò valeva anche per le mansioni superiori asseritamente svolte nel periodo dal settembre 2012 all’aprile 2014 , riferite al successivo arco di tempo in cui vigeva il CCNL 2012 per la parte sicuramente non coperta da giudicato; si imponeva, infatti, il rigetto della domanda poiché il livello C del CCNL 2012 era rivendicato di riflesso all’inquadramento superiore nel livello E del CCNL 2003, mentre, come già detto, quest’ultimo livello non poteva essere riconosciuto.
Contro la sentenza ha proposto il ricorso per cassazione con quattro motivi COGNOME NOME ai quali ha resistito Trenitalia con controricorso. Le parti hanno depositato memorie. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380bis1, second o comma, ult. parte c.p.c.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo si contesta, ai sensi dell’articolo 360 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 39, 112, 115 c.p.c. e dell’art. 2907 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto legittima la decisione del primo giudice nella parte in cui ha compiuto l’istruttoria su gran parte della domanda di riconoscimento delle mansioni superiori svolte dal ricorrente ovvero per la parte fino al 2012, poi ritenuta inammissibile per violazione del principio del ne bis in idem.
Col secondo motivo di ricorso si contesta ai sensi dell’articolo 360 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli articoli 39 c.p.c., 2908 e 2909 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto inammissibile la domanda del signor COGNOME di riconoscimento di mansioni superiori in virtù della operatività del giudicato esterno formatosi in un precedente giudizio introdotto dal signor COGNOME ma diverso dal presente per la causa petendi.
Con il terzo motivo di ricorso si contesta ai sensi dell’articolo 360 c.p.c. n. 3 violazione e falsa applicazione degli articoli 39 c.p.c., 2908 e 2909 c.c. per avere la Corte territoriale esteso il giudicato esterno formatosi sulla
domanda oggetto del precedente ricorso presentato dal signor COGNOME a febbraio 2006 ben oltre la data di deposito RAGIONE_SOCIALE stesso.
4.- Con il quarto motivo di ricorso si contesta ai sensi dell’articolo 360 n. 5 c.p.c. l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ovvero le deposizioni testimoniali assunte in primo grado che hanno confermato lo svolgimento di mansioni superiori da parte del ricorrente.
5.- Il primo motivo di ricorso è inammissibile per violazione del canone di specificità, perché si limita a lamentare la incoerente oltre che incomprensibile gestione del processo da parte del giudice di prime cure attraverso una doglianza generica che non rientra neppure nel catalogo dei vizi per mezzo dei quali va veicolato il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c. avverso la sentenza di appello.
6.- Col secondo motivo si contesta la decisione dei giudici di appello di affermare che tra i due giudizi sussistesse il giudicato non avendo compreso invece che essi erano diversi perché differivano per la causa petendi.
Il secondo motivo è infondato.
La Corte d’appello ha affermato che la domanda introdotta dal lavoratore nel 2006 già fondava la causa petendi sia su argomenti formali che su argomenti sostanziali, nessuno dei quali era stato accolto nella sentenza del tribunale; mentre gli argomenti sostanziali erano stati diffusamente ribaditi nel relativo appello del lavoratore, finendo per essere ritenuti espressamente infondati nel merito dalla Corte d’appello.
La Corte d’appello ha pure precisato che il giudicato di rigetto della domanda di inquadramento superiore nella sentenza n. 1564/2010 della Corte d’appello riguardava l’intera causa petendi di quel giudizio, relativa a questioni (formali e sostanziali) che erano state espressamente esaminate e decise con la motivazione poi divenuta definitiva – e ciò a
prescindere dalla ritualità con la quale le stesse questioni sarebbero state introdotte fra primo e secondo grado, tema quest’ultimo che non era stato nemmeno affrontato in quella sentenza di secondo grado.
La Corte di appello ha pure considerato che l’odierno ricorrente, riproponendo le medesime domande nella causa all’origine del presente grado di giudizio per il periodo 1/1/2000 – 3/11/ 2004, oltre che per il periodo dal 3/3/2008 ad oggi, di fatto avesse agito nuovamente in giudizio chiedendo il medesimo petitum e per la stessa causa petendi rispetto ai quali era già intervenuto il giudicato definitivo.
Inoltre, non avendo dedotto nel presente giudizio ulteriori e diversi fatti di causa, emergeva che l’accertamento definitivo della legittimità del livello contrattuale attribuito al ricorrente dovesse considerarsi valido anche per l’intero periodo di vigenza del CCNL 2003 precedente a quello attualmente in vigore ovverosia sino al 31/12/2012.
La decisione presa dalla Corte d’appello rispetta le norme di legge ed i principi affermati dalla giurisprudenza sulla vincolatività del giudicato esterno tra le stesse parti sottraendosi alle censure dedotte in modo tautologico con lo stesso motivo di ricorso che va pertanto rigettato.
7.- Il terzo motivo è pure esso da disattendere, in primo luogo per le medesime ragioni appena affermate.
Col esso il ricorrente ha infatti lamentato la violazione delle stesse norme indicate nel secondo motivo, per avere la Corte d’appello esteso il giudicato esterno formatosi sulla domanda oggetto del precedente ricorso presentato dal ricorrente a febbraio del 2006 anche oltre la data di deposito RAGIONE_SOCIALE stesso e fino alla fine del periodo di vigenza del CCNL del 2003 (gennaio 2003-agosto 2012), con esclusione del solo periodo dal settembre 2012 all’aprile 2014 di vigenza del CCNL 2012. Come si è già detto, la sentenza impugnata ha espressamente e motivatamente sostenuto che l’oggetto del
giudicato andasse esteso oltre il periodo dedotto nella prima domanda anche con riferimento alle domande svolte nel presente giudizio per l’intero periodo di vigenza del CCNL del 2003.
Non può essere comunque trascurato che la Corte ha affermato inoltre che, a prescindere dalla vincolatività del giudicato, la domanda sarebbe stata comunque infondata nel merito; per le medesime ragioni già enunciate nella sentenza della Corte d’appello n. 1564/2010 a proposito del fatto che a fronte delle pacifiche mansioni commerciali di controlleria e vendita/emissione di biglietti il ruolo professionale del ricorrente fosse correttamente inquadrato nel livello F. Si tratta di una seconda autonoma ratio decidendi neppure fatta oggetto di alcun motivo di ricorso per cassazione.
8.- Il quarto motivo è invece inammissibile perché deduce censure che attengono agli accertamenti di fatto ed alla valutazione delle prove e denuncia l’esistenza del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. in una ipotesi preclusa dalla ricorrenza di una cd. ‘doppia conforme’ (cfr. art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., in seguito art. 360, comma 4, c.p.c., per le modifiche introdotte dall’art. 3, commi 26 e 27, d. lgs. n. 149 del 2022), senza indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v. Cass. n. 26774 del 2016; conf. Cass. n. 20944 del 2019).
9.- Sulla scorta delle premesse, il ricorso va quindi nel complesso respinto e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro
3.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie, oltre accessori dovuti per legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamen to da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 27.3.2024