Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 32211 Anno 2024
AULA B
Civile Ord. Sez. 1 Num. 32211 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30533/2019 R.G. proposto da
COGNOME, COGNOME, PORTOGHESE VINCENZA ,
elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , e domiciliata ope legis in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende
Oggetto: Beni dello Stato -Demanio Marittimo -Domanda di accertamento dell’obbligo di sdemanializzazione -Precedente giudicato di rigetto di dimanda di sdemanializzazione tacita – Inammissibilità
R.G.N. 30533/2019
Ud. 05/12/2024 CC
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO LECCE n. 255/2019 depositata il 14/03/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 05/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 255/2019, pubblicata in data 14 marzo 2019, la Corte d’appello di Lecce, nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALE ha respinto l’appello proposto da RENATO COGNOMERAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Lecce n. 2445/2015, pubblicata in data 8 maggio 2015, la quale, a propria volta aveva dichiarato inammissibile, in quanto già coperta da un precedente giudicato, la domanda con la quale gli appellanti avevano chiesto accertarsi l’obbligo di AGENZIA RAGIONE_SOCIALE DEMANIO di procedere alla sdemanializzazione di un’area facente parte del demanio marittimo, occupata dagli stessi appellati con la realizzazione di un manufatto.
La Corte territoriale ha disatteso i due motivi di appello con i quali venivano dedotte, rispettivamente, la nullità della decisione di prime cure per aver deciso la controversia su una questione rilevata d’ufficio e non sottoposta al contraddittorio delle parti e la ‘falsa applicazione del principio del ne bis in idem’ .
La Corte d’appello ha affermato:
-q uanto al primo motivo, che l’esistenza di un precedente giudicato era stata in realtà tempestivamente eccepita dalla AGENZIA DEL DEMANIO, essendosi il giudice di prime cure
limitato ad affermare obiter che tale profilo avrebbe potuto essere rilevato d’ufficio ;
-quanto al secondo profilo, che, sebbene la domanda degli appellanti fosse stata formulata in termini diversi rispetto a quella oggetto del precedente giudicato, nondimeno si caratterizzava per la comune inerenza ai fatti costitutivi (pretesa natura di relitto dell’area) della precedente domanda e che la decisione passata in giudicato, statuendo anche in ordine alle domande riconvenzionali in quella sede proposte da RAGIONE_SOCIALE aveva accertato la volontà dell’Amministrazione di mantenere la natura demaniale del terreno, essendo la sdemanializzazione rimessa alla piena discrezionalità dell’Amministrazione stessa .
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Lecce ricorrono RENATO COGNOME, NOME COGNOME e VINCENZA COGNOME.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
I ricorrenti hanno depositato memoria
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la ‘erronea applicazione art. 124, disp. att., c.p.c.’ e la ‘mancata applicazione art. 101, co. 2, cpc.’ .
Si censura la decisione impugnata nella parte in cui stessa ha escluso -erroneamente secondo i ricorrenti -il rilievo d’ufficio del
giudicato da parte del giudice di prime cure, affermando l’esistenza di una tempestiva eccezione da parte di RAGIONE_SOCIALE
In primo luogo, viene dedotto che l’esistenza del precedente giudicato comunque non sarebbe stata attestata nel rispetto delle formalità di cui all’art. 124, primo e secondo comma, disp. att. c.p.c. e che lo stesso giudice di appello non avrebbe dato atto della produzione della sentenza n. 1589/11 nel rispetto delle forme stabilite da tale previsione.
Da ciò i ricorrenti traggono come conseguenza che, anche a voler ammettere la tempestività dell’eccezione di giudicato, la Corte d’appello avrebbe dovuto comunque disattendere l’eccezione medesima per difetto di ritualità.
Argomentano ulteriormente i ricorrenti che la stessa RAGIONE_SOCIALE aveva eccepito il vincolo di precedente giudicato in relazione, non a tutte le domande avanzate dai ricorrenti stessi bensì solo in relazione alla domanda di accertamento dell’usucapione ed alla correlata domanda di annullamento dell’ingiunzione di pagamento emessa nei confronti sempre dei ricorrenti.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la ‘erronea applicazione dell’art. 2909 c.c. e 324 c.p.c.’ .
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto l’esistenza di un vincolo di precedente giudicato in relazione alla domanda formulata dai ricorrenti nel presente giudizio.
Argomentano, in senso contrario, che tale domanda, pur fondandosi – come la precedente -sulla natura di bene relitto del terreno, presentava tuttavia un diverso petitum , dal momento che, mentre la domanda oggetto del primo giudizio aveva ad oggetto
l’accertamento dell’acquisto a titolo di usucapione per effetto della perdita del carattere della demanialità dell’area a seguito di semplice non uso, la domanda azionata nel successivo giudizio aveva ad oggetto l’accertamento dell’obbligo dell’Amministrazione di adottare un provvedimento di sdemanializzazione ex art. 35 cod. nav. con conseguente possibilità per i ricorrenti di chiedere l’assegnazione dell’area dietro pagamento di un corrispettivo.
Tale seconda domanda, proseguono i ricorrenti, non solo non farebbe parte del dedotto del primo giudizio ma a quest’ultimo non sarebbe riconducibile neppure come ‘ deducibile ‘ , non costituendo antecedente logico della domanda formulata nel primo giudizio.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 324 e 343 c.p.c. e 2909 c.c.
Il motivo impugna un’affermazione conclusiva contenuta nella decisione gravata e cioè che l’accertamento del diritto dei ricorrenti a vedere concluso il procedimento ex art. 35 cod. nav., inerendo alla valutazione di scelte discrezionali dell’Amministrazione, sarebbe stato comunque sottratto al giudice ordinario, con conseguente difetto di giurisdizione dello stesso.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la ‘erronea aplicazione art. 35 CN’ .
Il motivo censura la decisione impugnata deducendo in ogni caso che, in presenza di una inerzia dell’Amministrazione nell’attivare il procedimento di verifica di permanenza dei presupposti per l’uso pubblico del bene, tale inerzia dovrebbe poter essere sindacata in via giudiziale.
Il primo motivo è infondato.
2.1. Lo stesso, in realtà, è da considerare inammissibile nella parte in cui denuncia la violazione dell’art. 124 disp. att. c.p.c., in
quanto tale profilo avrebbe dovuto essere dedotto non in sede di legittimità bensì come motivo di appello, dal momento che la produzione della sentenza era avvenuta nel giudizio di prime cure e che già in tale sede era stata affermata l’esistenza di un giudicato.
Trattandosi, pertanto, di vizio che -in teoria -avrebbe afflitto già la decisione di prime cure, sarebbe stato onere degli odierni ricorrenti formulare uno specifico motivo di appello. Motivo che invece risulta non essere stato articolato, con la conseguenza che il profilo della regolarità della produzione della sentenza ai sensi dell’art. 124 disp. att. c.p.c. deve ormai ritenersi coperto da giudicato, con conseguente inammissibilità della doglianza formulata col ricorso.
2.2. Le residue argomentazioni svolte nel motivo risultano invece infondate, essendo sufficiente sul punto il richiamo al principio, da questa Corte enunciato (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 48 del 07/01/2021), per cui l’eccezione di giudicato – in relazione al suo rilievo pubblicistico, come tale non limitato all’interesse delle parti e sottratto pertanto al loro potere dispositivo – non solo non è soggetta a preclusioni per quanto riguarda la sua allegazione in sede di merito (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 22506 del 04/11/2015; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25401 del 17/12/2015; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21170 del 19/10/2016), ma prescinde da qualsiasi volontà della parte di avvalersene (Cass. Sez. U, Sentenza n. 206 del 14/05/2001, § 6.2; in senso conforme v. Cass. Sez. U, Sentenza n. 9050 del 04/07/2001; Cass. Sez. U, Sentenza n. 10977 del 09/08/2001; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11142 del 16/07/2003; Cass. Sez. L, Sentenza n. 5689 del 10/04/2003; Cass. Sez. U, Sentenza n. 1416 del 27/01/2004) ed è, pertanto, r ilevabile d’ufficio , ove risultante dagli atti.
Da ciò consegue, quindi, che anche in assenza di una specifica eccezione sul punto -peraltro ritenuta esistente da parte della Corte
territoriale -ben poteva il giudice di merito comunque rilevare l’esistenza del giudicato esterno, alla luce degli atti disponibili.
Il secondo motivo è, parimenti, infondato.
Come dedotto anche nel ricorso, infatti, la domanda di accertamento dell’obbligo dell’odierna controricorrente a procedere alla sdemanializzazione dell’area risultava funzionale all’accoglimento dell a domanda di accertamento dell’acquisto per usucapione dell’area stessa da parte degli odierni ricorrenti, avendo questi ultimi dedotto la natura retroattiva di tale obbligo e la conseguente possibilità di far valere una protratta situazione possessoria.
Occorre, allora, rammentare che la proprietà e gli altri diritti reali di godimento rientrano nella categoria dei diritti c.d. autodeterminati, e cioè dei diritti che si indentificano ed individuano sulla base della sola indicazione del relativo contenuto come rappresentato dal bene che ne forma l’oggetto, e non sulla base del titolo con cui i diritti medesimi vengono fatti valere, con la conseguenza che la causa petendi delle relative azioni giudiziarie si identifica con i diritti stessi e non con il relativo titolo – contratto, successione ereditaria, usucapione, ecc. che ne costituisce la fonte e la cui eventuale deduzione non ha, per l’effetto, alcuna funzione di specificazione della domanda, essendo, viceversa, necessaria ai soli fini della prova (da ultimo Cass. Sez. 2 Ordinanza n. 32858 del 08/11/2022; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 23565 del 23/09/2019; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 21641 del 23/08/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 40 del 08/01/2015).
Diretto precipitato di questo inquadramento è il principio, parimenti enunciato da questa Corte, per cui, qualora sia proposta una domanda di accertamento o di condanna, relativa ad un diritto autodeterminato, sulla base di un determinato fatto costitutivo, e questa venga rigettata per ragioni inerenti al fatto costitutivo dedotto,
l’accertamento con efficacia di giudicato dell’inesistenza del diritto stesso preclude la possibilità di far valere ex novo il medesimo diritto sulla base di un diverso titolo di acquisto (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 22591 del 16/10/2020).
Di tali principi la decisione impugnata risulta aver fatto corretto governo, nel momento in cui, ritenuto sussistente un precedente giudicato di rigetto della domanda con la quale era stato chiesto l’accertamento dell’usucapione dell’area per effetto di una tacita sdemanializzazione, è pervenuta alla conclusione della inammissibilità di una domanda con la quale, deducendosi un obbligo di sdemanializzazione -per di più con effetto retroattivo -si veniva a chiedere, ancora una volta, l’accertamento dell’acquisto della proprietà dell’area per usucapione .
Contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti, infatti, l’identità del bene della vita concretamente richiesto -e cioè, appunto, l’acquisto della proprietà dell’area per usucapione sia nel primo sia nel secondo giudizio ha inevitabilmente comportato un effetto preclusivo all’accoglimento della domanda formulata successivamente per effetto del giudicato sceso sulla statuizione di rigetto della domanda formulata nel primo giudizio.
Non rileva, invece, il fatto che in quest’ultimo la dedotta usucapione trovasse come elemento generatore la sdemanializzazione tacita mentre nell’attuale giudizio l’acquisto a titolo originario venisse riferito all’effetto retroattivo dell’adempimento di un obbligo di sdemanializzazione -fondata o meno che sia tale ultima deduzione -in quanto, come appena ricordato, l’identità del diritto rivendicato non poteva e non può venire meno sulla base della mera diversità del titolo dedotto, non essendo quest’ult imo idoneo a modificare i caratteri di un diritto autodeterminato.
Preclusa la possibilità di accogliere la domanda di accertamento dell’acquisto per usucapione, vi è unicamente da aggiungere che viene meno qualunque interesse ad agire in relazione alla domanda dell’accertamento dell’obbligo di procedere alla sdemanializzazione, in quanto quest’ultima viene a configurarsi, a questo punto, come una semplice pretesa astratta all’adozione del provvedi mento da parte della P.A.
Il rigetto dei primi due motivi di ricorso comporta l’assorbimento del terzo e quarto motivo .
Irrilevanti ed inammissibili, infine, risultano le deduzioni svolte in memoria ex art. 380bis .1 c.p.c., riferite, come sono, a fatti sopravvenuti che in nessun modo potrebbero incidere sulla valutazione del ricorso.
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, respinge il ricorso;
condanna i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione