Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20459 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20459 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1112/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE PALERMO RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOMECOGNOME NOMECOGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente e ricorrente incidentale nonché nei confronti di
ISTITUTO DIOCESANO SOSTENTAMENTO RAGIONE_SOCIALE PALERMO RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli avvocati DURANTE DOMENICA, DURANTE NOME
– controricorrente al ricorso incidentale –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI PALERMO n. 885/2020, depositata l’ 11/06/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. L ‘Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero (‘I.D.S.C.’) conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Palermo, la RAGIONE_SOCIALE deducendo di essere succeduto ex lege n. 222/85, quale avente causa a titolo universale, all’estinta Mensa Arcivescovile di Palermo e di essere titolare, per effetto della predetta successione, del dominio diretto su un vasto feudo sito in Palermo, denominato INDIRIZZO o INDIRIZZO, parte del più vasto fondo denominato INDIRIZZO.
Esponeva che, sulla porzione di mq 1249 del detto feudo, distinta al NCT del Comune di Palermo al foglio 16, particelle 2042 e 2162, gravava in suo favore, nella spiegata qualità, canone enfiteutico in forza dell’atto del 15 aprile 1670, in Notar NOME COGNOME, custodito presso l’Archivio Storico dell’Arcidiocesi di Palermo, del cui pagamento era onerata la società convenuta, succeduta nel dominio utile del fondo de qua (corrispondente alle menzionate particelle 2042 e 2162) con atto di compravendita in notaio NOME COGNOME del 17.09.2004.
A sostegno della sua pretesa, invocava l’autorità di cosa giudicata rappresentata dalla sentenza del Tribunale di Palermo n. 710/2006, che aveva già accertato la sussistenza del rapporto enfiteutico tra le medesime parti.
Affermato di avere diritto al pagamento del canone enfiteutico per il decennio 1999/2009, chiesto infruttuosamente con nota del 28 aprile 2009, RAGIONE_SOCIALE. chiedeva la condanna della convenuta a corrispondere
il canone predetto aggiornato nella misura determinata dal nominando C.T.U.
Costituitasi, la RAGIONE_SOCIALE contestava, in via principale, l’esistenza del dedotto rapporto di enfiteusi tra le parti.
1.1. Espletata C.T.U. per la stima del censo e per la traduzione in italiano del titolo del 15 aprile 1670, il Tribunale, con sentenza n. 828 del 14.0 2.2017, sul presupposto che sul fondo oggetto dell’atto del 15.04.1670 non gravasse un diritto di enfiteusi ma soltanto « … decima in uve e terraggio e … un canone dovuto iure proprietatis» su una parte di esso, ossia il vallone e la collina Di Paola; qualificata la natura della decima come «sacramentale», in quanto tale abolita dalla legge n. 4227 del 1887, rigettava le domande avanzate dall’I.DRAGIONE_SOCIALE. e quella della convenuta ex art. 96 cod. proc. civ. e compensava integralmente tra le parti le spese di lite.
1.2. La pronuncia veniva impugnata da RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE spiegava appello incidentale.
La Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza in epigrafe, rigettava l’appello principale e quello incidentale, ritenendo non meritevole di accoglimento la tesi dell’appellante, in virtù della quale la sussistenza del dedotto rapporto di enfiteusi sarebbe da rinvenire nell’atto notarile del 15 .04. 1670, custodito presso l’Archivio Storico Diocesano, che sarebbe stato poi richiamato nei rogiti del 19.07.1955, del 30.09.1992, e in notar Tripodo del 17.09.2004; compensava interamente le spese del grado.
La Corte territoriale, precisando quanto già osservato dal primo giudice, così argomentava:
-dall’esame del titolo del 15 .04.1670 emergeva la sostanziale inesistenza di un diritto reale di proprietà, da intendersi come dominio diretto, in favore della estinta Mensa Arcivescovile di Palermo, ma
unicamente un semplice diritto di decima e terraggio pertinente alle terre della INDIRIZZO;
era fuor di dubbio che, sulla scorta del suddetto atto, il proprietario dei fondi in esso richiamati fosse il Collegio Romano, cioè la Compagnia di Gesù della città di Roma, che vi esercitava sia il dominio diretto che il dominio utile in quanto esclusivo proprietario, avendolo ricevuto a titolo ereditario da NOME e NOME COGNOME.
tanto si deduceva dal fatto che il documento storico in esame conteva la ratifica di un accordo tra il Collegio Romano della Compagnia di Gesù e l’Arcivescovo di Palermo, riguardante un diritto di decima e terraggio che l’Arcivescovado di Palermo vantava sulle terre della medesima INDIRIZZO, avente ad oggetto la trasformazione in censo fisso in denaro, dei diritti in natura già dovuti alla Mensa Arcivescovile di Palermo, impregiudicata la corresponsione di otto tarì annuali da questa percepiti iure proprietatis sul vallone denominato Di Paola;
il cosiddetto diritto di decima e terraggio – come si evince con chiarezza dalla lettura dell’atto – in alcun modo poteva configurarsi come un diritto reale di proprietà, trattandosi piuttosto di un diritto parziale su fondo altrui assimilabile ad un’imposta fondiaria (il 10% dei prodotti della terra), dovuta dal proprietario del fondo alla Chiesa in base ad antiche convenzioni, che distinguevano le «decime dominicali o prediali» (prestazioni periodiche, ovvero oneri reali sui fondi, consistenti in quote dei frutti di un fondo, erogate a favore di colui che aveva concesso il fondo, in genere il feudatario o chiese ed abbazie) da quelle sacramentali (imposte o tributi che, per legge della Chiesa, si dovevano pagare al parroco o al Vescovo, periodicamente, per contribuire al mantenimento di chi amministrava i sacramenti ed aveva
la cura delle anime), queste ultime espressamente abolite dalla legge del 14.07.1887 n. 4727;
il giudicato esterno, del quale comunque non era stata fornita prova nelle forme e modalità previste dall’art. 124 disp. att. cod. proc. civ., aveva riguardato solo ed esclusivamente il profilo dell’usucapione sul fondo in contestazione, che non aveva alcuna efficacia preclusiva dell’esame delle questioni fatte valere nell’ambito del presente giudizio;
-quanto all’appello incidentale, riguardante la condanna dell’appellante per responsabilità processuale aggravata, non era stato assolto l’onere della prova della ricorrenza del dolo o della colpa grave, nel senso della consapevolezza, o dell’ignoranza, derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell’infondatezza delle tesi sostenute;
riguardo, infine, al l’erronea pronuncia sulla compensazione delle spese di lite essa era giustificata -anche in appello – dalla particolare complessità della questione giuridica trattata, che aveva comportato la interpretazione e ricostruzione in termini storico giuridici di un documento sul quale l’originaria attrice aveva fondato le sue pretese, unitamente alla necessità di inquadrare, a distanza di secoli, diritti reali minori ormai desueti nell’ambito di un determinato istituto.
La suddetta pronuncia è impugnata per la cassazione d all’ Istituto Diocesano Sostentamento Clero – Diocesi Palermo, e il ricorso affidato a cinque motivi.
Resiste RAGIONE_SOCIALE con controricorso e ricorso incidentale affidato a due motivi, contrastato da RAGIONE_SOCIALE
In prossimità dell’adunanza entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I. RICORSO PRINCIPALE
Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ.), in relazione all’art. 116 cod. proc. civ., 1362 e 1367 cod. civ. (Valutazione delle prove ed in particolare, per quel che attiene la presente censura, errata e falsa interpretazione del documento del 15-041670, dell’atto in Notar NOME COGNOME di Palermo del 19-071955, dell’atto in Notar NOME COGNOME del 30-09-1 992 e dell’atto in Notar NOME COGNOME del 17-09-2004 agli atti del giudizio). Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ.) in relazione ai seguenti articoli:
Art. 958 cod. civ. 1942, 1556 cod. civ. 1865, 1680-1681 Leggi civili per lo Codice del Regno delle Due Sicilie 1819 d’ora innanzi per brevità L.C. 1819;
Art. 960 cod. civ. 1942, L.C. 1819 artt. 1678, cod. civ. 1865 art. 1556;
Art. 960-962 cod. civ. 1942, L.C. 1819 art. 1678; cod. Civ. 1865 art. 1556;
Art. 966 cod. civ. 1942 (oggi abrogato), L.C. 1819 artt. 16911698;
Art. 971 cod. civ. 1942
Art. 972 cod. civ. 1942, L.C. 1819 art. 1689, cod. civ. 1865 art. 1565.
Il ricorrente lamenta il vizio della sentenza della Corte territoriale sotto il profilo dell’errata interpretazione e valutazione sia dell’atto not. Chiarella del 1670, sia degli atti notarili più recenti sopra citati, quali documenti attestanti la sussistenza in capo alla Mensa Arcivescovile, ed oggi all’ I.D.S.C. di Palermo, ex lege (legge n. 222/85 art. 28), del dominio diretto su un vasto appezzamento di terreno sito in Palermo
denominato RAGIONE_SOCIALE o Piana dei Colli. In tesi: la valutazione/interpretazione dei documenti appena citati operata dalla Corte territoriale si pone in aperta violazione dei canoni di ermeneutica, ed in particolare di quelli contenuti negli artt. 1362 (interpretazione secondo la comune intenzione delle parti) e 1367 cod. civ. (principio di conservazione del contratto). Dalla violazione dei criteri ermeneutici discende anche la violazione delle norme di diritto, citate in rubrica, regolanti il diritto di enfiteusi sia nel vigente codice che in quello del 1865 ed ancor prima nelle ‘ Leggi Civili del Codice per lo Regno delle Due Sicilie ‘ del 1819. Più in dettaglio: a giudizio del ricorrente, innanzitutto la transazione del 1670 si riferisce a due prestazioni dominicali distinte: la decima delle uve (quota parte della raccolta delle uve dovuta su base annuale alla Mensa Arcivescovile) e il terraggio (quota parte del raccolto dovuto dal concessionario del fondo al concedente solo quando le terre erano effettivamente seminate a grano, cioè ogni tre anni), erroneamente considerate prestazione unitaria: tanto in violazione del dato letterale e in violazione della conservazione dell’istituto dell’enfiteusi voluto dalle parti. Inoltre, la transazione citata sostituisce ai due distinti canoni in natura, denominati «decima» e «terraggio», un unico canone in denaro, un «censo» di natura enfiteutica, caratterizzato da tutti gli elementi costitutivi del contratto di enfiteusi: ciò sia in totale difformità della lettera del documento in esame -come del resto dei successivi e più recenti documenti notarili – che espressamente menziona il pactis emphiteuticis , ma anche sconvolgendo il rapporto giuridico voluto e regolato dalle parti nei termini all’epoca vigenti. Il ricorrente lamenta, altresì, che la motivazione offerta non consente di ricostruire l’iter logico-giuridico che ha portato il secondo giudice alle conclusioni rese.
Con il secondo motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ.) rilevando che la sentenza impugnata in relazione alle dibattute questioni di fatto, sul punto non ha deciso con le stesse ragioni che erano state poste a fondamento della sentenza di primo grado. La diversità di motivazione tra le due pronunce consente di censurare l’omesso esame dei documenti in atto (soprattutto gli atti più recenti: del 22.11.1949, richiamato nella compravendita in Notar Serraino del 19.07.1955, nonché i successivi rogiti in Notar Stella del 1992 ed in Notar Tripodo del 20.04.2011) ove sono perfettamente riportati i diritti di competenza del domino diretto (Mensa Arcivescovile) e del dominio utile (oggi RAGIONE_SOCIALE; lamenta, infine, la mancanza di motivazione, ai sensi del n. 5) dell’art. 350, comma 1, cod. proc. civ.
Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della legge (art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. ) in rapporto all’art. 116 cod. proc. civ. , all’art. 2700 cod. civ. ed all’art. 132 , comma 2, n. 4 cod. proc. civ. A giudizio del ricorrente, la Corte territoriale non ha tenuto in nessuna considerazione il fatto che i documenti comprovanti il diritto dell’Ente ricorrente fossero atti notarili e dunque fidefacenti (art. 2700 cod. civ.). Dal contenuto dei detti citati atti notarili emergerebbe, come già evidenziato, la sussistenza in capo alla Mensa Arcivescovile, ed oggi all’ I.D.S.C. di Palermo, del diritto di dominio diretto.
4. Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione della legge (art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. ) in rapporto all’art. 116 cod. proc. civ. Il ricorrente censura la pronuncia impugnata nella parte in cui attinge al contenuto della relazione del CTU, facendo proprie in maniera acritica le argomentazioni peritali, traslando così in
sentenza i macroscopici errori di interpretazione e prima ancora di lettura cui è incorso il detto CTU, senza prendere in considerazione le precise e circostanziate critiche mosse alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio.
Con il quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione della legge (art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. ) in rapporto all’art. 2909 cod. civ. Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto l’eccezione di giudicato avanzata dal ricorrente sulle statuizioni della sentenza n. 710/2006 del Tribunale di Palermo. Innanzitutto, l’ I.D.S.C. sottolinea la sussistenza della certezza dell’intervenuta formazione del giudicato, stante l’esplicita ammissione di controparte (Cass. n. 4803/2018). In secondo luogo, è indubbio che all’esame del Tribunale nel giudizio – instaurato da RAGIONE_SOCIALE tendente all’accertamento dell’intervenuta usucapione dello stesso fondo, e deciso con sentenza n. 710/2006 nel senso del rigetto della domanda – sia stato proposto il medesimo rapporto giuridico (diritto di enfiteusi) nelle rispettive posizioni di dominio diretto (in favore della Mensa Arcivescovile di Palermo, oggi RAGIONE_SOCIALE di Palermo) e dominio utile (in favore di RAGIONE_SOCIALE), tra le stesse parti o comunque tra gli eredi e/o aventi causa delle stesse.
II. RICORSO INCIDENTALE
Con il primo motivo del ricorso incidentale si deduce la responsabilità aggravata del ricorrente principale, ex art. 96 cod. proc. civ. A giudizio di RAGIONE_SOCIALE alla luce delle risultanze processuali, nonché del contegno processuale delle parti, si ritiene raggiunta la prova che parte attrice abbia agito in giudizio con mala fede e colpa grave, ovvero nella assoluta consapevolezza dell’inesistenza del diritto p reteso. Anche a prescindere dall’accertamento della responsabilità aggravata di cui ai pr ecedenti commi dell’art. 96 cod. proc. civ., e
argomentando ex art. 96, comma 3, cod. proc. civ., la fattispecie di responsabilità aggravata si fonda soltanto sulla soccombenza connotata da una condotta soggettivamente censurabile, e sulla sussistenza di un pregiudizio della parte vittoriosa (la necessità di svolgere attività difensiva), eziologicamente collegato all’abuso del processo da parte del soccombente, che si risolve in un abuso del processo.
Con il secondo motivo del ricorso incidentale si chiede la riforma della sentenza in oggetto nella parte relativa alle spese, erroneamente compensate. Osserva il ricorso che a séguito dell’entrata in vigore dell’art. 13 del D.L. 12 settembre 2014 n. 132 , come modificato dalla legge di conversione 10 novembre 2014, n. 162, ai sensi dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. la compensazione può essere utilizzata dal giudice (previa debita motivazione) laddove vi sia soccombenza reciproca oppure la questione sia di assoluta novità o presenti un mutamento nell’orientamento giurisprudenziale rispetto alle questioni dirimenti. Nella fattispecie in esame, conclude la ricorrente incidentale, esclusa la soccombenza reciproca, non si rinviene neanche alcuna novità nelle questioni trattate, né tantomeno delle novità giurisprudenziali sopravvenute e dirimenti.
Il Collegio ritiene che il quinto motivo del ricorso principale debba essere esaminato per primo, per ragioni di priorità logic.
8.1. Deve, innanzitutto, precisarsi che la sussistenza del giudicato formatosi sulla sentenza del Tribunale di Palermo n. 710/2006 deve ritenersi accertata dall’espressa conferma della parte controricorrente (v. controricorso p. 15, ultimo capoverso; sul punto: Sez. 3, Sentenza n. 36258 del 28/12/2023, Rv. 669781 -01: «La parte che eccepisce il passaggio in giudicato di una sentenza ha l’onere di fornirne la prova mediante produzione della stessa, munita della certificazione di cui
all’art. 124 disp. att. c.pc., anche nel caso di non contestazione della controparte, restandone, viceversa, esonerata solo nel caso in cui quest’ultima ammetta esplicitamente l’intervenuta formazione del giudicato esterno»; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 4803 del 01/03/2018, Rv. 647893 – 01).
Tanto basta a sollevare RAGIONE_SOCIALE dall’onere di produrre la decisione munita di certificazione di cui all’art. 124 disp. att. cod. proc. civ.
8.1.1. Inoltre, il giudicato fa stato anche nei confronti dei successori nel diritto controverso, nel caso di specie, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, successore ex lege della Mensa Arcivescovile di Palermo (Sez. 1, Sentenza n. 4275 del 28/04/1999, Rv. 525857 -01; Sez. 2, Sentenza n. 4348 del 29/04/1998, Rv. 514962 -01; Sez. 2, Sentenza n. 4393 del 17/05/1997, Rv. 504458 – 01).
8.2. Ciò chiarito, il motivo è fondato.
La Corte territoriale ha ritenuto irrilevante la decisione del Tribunale di Palermo perché riguardava l’accertamento dell’intervenuta usucapione della piena proprietà del bene acquistato dalla RAGIONE_SOCIALE Quindi, l’eventuale giudicato avrebbe riguardato solo ed esclusivamente il profilo dell’usucapione, che non ha efficacia preclusiva dell’esame delle questioni fatte valere nell’ambito del presente giudizio (v. sentenza p. 13, 2° e 3° capoverso).
Il Collegio non condivide l a motivazione della Corte d’Appello nella parte in cui ritiene che «la formazione della cosa giudicata sulla pregiudiziale in senso tecnico può aversi, unitamente a quella sul diritto dedotto in lite, solo in presenza di espressa domanda di parte di soluzione della questione stessa» (v. sentenza p. 13, righi 7-11).
Deve ribadirsi che l’ambito di operatività del giudicato esterno, in virtù del principio secondo il quale esso copre il dedotto e il deducibile, è correlato all’oggetto del processo e colpisce tutto quanto rientri nel
suo perimetro, incidendo, da un punto di vista sostanziale, non soltanto sull’esistenza del diritto azionato, ma anche sull’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi, ancorché non dedotti, senza estendersi a fatti ad esso successivi e a quelli comportanti un mutamento del petitum e della causa petendi , fermo restando il requisito dell’identità delle persone (Cass. Sez. 1, 09/11/2022, n. 33021, Rv. 666229 -01; Sez. 2, 04/03/2020, n. 6091, Rv. 657127 01).
Pertanto, come evidenziato da questa Corte nel caso «gemello» (Sez. 2, Ordinanza n. 6813 del 14.03.2025): « l’accertamento (esplicito) della insussistenza del possesso utile per usucapire per l’imprescrittibilità del diritto di enfiteusi costituisce un accertamento circa l’esistenza di quest’ultima quale premessa logica indispensabile della sentenza oramai definitiva, in quanto è proprio alla luce di tale accertamento che la domanda dei controricorrenti di usucapione è stata rigettata. Risulta evidente, infatti, che l’accertamento circa il diritto di enfiteusi è la premessa sulla quale si è fondato il secondo giudizio costituito dalla domanda di determinazione del canone enfiteutico. La prima statuizione, pertanto, ha valore di pronuncia di merito sul rapporto controverso, ed è dunque potenzialmente idonea ad integrare il giudicato, in quanto involge un profilo che attiene direttamente alla causa petendi della domanda già proposta. Detto in altri termini, l’accertamento dell’esistenza dell’enfiteusi non può più essere messo in discussione in questa sede, costituendo premessa logica indispensabile della decisione già intercorsa tra le parti, su cui si fonda la successiva domanda proposta dalla ricorrente».
8.3. L’accoglimento del quinto motivo determina l’assorbimento dei restanti motivi del ricorso principale e dei due motivi del ricorso incidentale.
In definitiva, il Collegio accoglie il quinto motivo del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio alla medesima Corte d’Appello in diversa composizione, che dovrà accertare se sulla base degli atti e alla luce dei principi sopra riportati possa ritenersi provato il passaggio in giudicato della sentenza n. 710/2006 del Tribunale di Palermo.
Le spese del presente giudizio saranno liquidate in sede di rinvio, in relazione all’esito finale della lite.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione dichiara fondato il quinto motivo del ricorso principale, assorbiti i restanti;
dichiara assorbiti i motivi del ricorso incidentale;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda