Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19946 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 19946 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 18753/2023 proposto da:
NOME COGNOME quale erede di NOME Palazzo, rappresentato e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME e domicilio eletto presso l’Avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
Università degli Studi di Bari Aldo Moro, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME e domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Bari n. 4 54/2023 pubblicata il 16 marzo 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME, quale erede di NOME COGNOME, ha esposto che quest’ultima :
aveva iniziato a lavorare quale lettore di madre lingua presso l’Università degli Studi di Bari in virtù di successivi contratti a termine ex art. 28 d.P.R. n. 382 del 1980, decorrenti dall’anno accademico 199 0/91, effettuando un monte ore annuo di 550 ore, poi ridotto a 500 ore;
aveva convenuto l’Università di Bari innanzi al Pretore di Bari per ottenere il riconoscimento della natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro sin dalla conclusione del primo contratto di lettorato e il pagamento della giusta retribuzione;
aveva ottenuto, con transazione giudiziale del 30 novembre 1998, il riconoscimento della natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro con l’Università di Bari e la retribuzione maggiore corrispondente a quella del professore di scuola media, con corresponsione delle differenze retributive maturate al 31 ottobre 1994;
aveva di nuovo convenuto l’Università di Bari, chiedendo il riconoscimento del proprio diritto a percepire una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost. , utilizzando come parametro il trattamento di ricercatore confermato a tempo definito;
siccome le sentenze di merito erano state a lei sfavorevoli, aveva adito la Corte di cassazione che, con sentenza n. 6752 del 2008, aveva accolto il suo terzo motivo di impugnazione, stabilendo il principio di diritto per il quale, per il periodo successivo a quello regolato dalla transazione intervenuta tra le parti, ‘In forza della sentenza pronunciata dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee in data 26 giugno 2001, nella causa C 212/99, e del D.L. n. 2 del 14 gennaio 2004, come convertito con la L. 5 marzo 2004, n. 63 ai collaboratori linguistici, ex lettori di madre lingua straniera, già destinatari di contratti stipulati ai sensi del D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 28 abrogato dal D.L. 21 aprile 1995, n. 120, art. 4,
comma 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 21 giugno 1995, n. 236, ancorché non dipendenti da una delle sei Università menzionate nel citato D.L. n. 2 del 2004, conv. con la L. n. 63 del 2004, compete, proporzionalmente all’impegno orario assolto, e tenuto conto che l’impegno pieno corrisponde a 500 ore, il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, con effetto dalla data di prima assunzione’;
aveva riassunto il giudizio, ma, nelle more, era intervenuta la legge n. 240 del 2010, che conteneva, all’art. 26, comma 3, una norma interpretativa dell’art. 1, comma 1, d.lgs. n. 2 del 2004, conv. dalla legge n. 63 del 2004, che l’Università di Bari aveva chiesto di applicare, con conseguente estinzione del giudizio;
aveva ottenuto la sentenza n. 2163 del 2013, con la quale la Corte d’appello di Lecce aveva accolto l’appello, disapplicando l’art. 26, comma 3, citato, in quanto in contrasto con i principi enunciati dalla sentenza CGUE n. 212 del 2001 e in ragione del consolidamento della situazione antecedente al 1° novembre 1994, attribuendole il trattamento del ricercatore a tempo definito con decorrenza dalla prima assunzione e liquidando le differenze retributive dal 1° novembre 1994 al 31 dicembre 2008.
Il ricorrente ha ulteriormente precisato che:
con ordinanza della Corte di cassazione n. 10300 del 2016, il ricorso dell’Università contro la sentenza n. 2163 del 2013 della Corte d’appello di Lecce era stato rigettato;
l’Università, però, non aveva ottemperato al giudicato intercorso fra le parti.
In ragione del decesso dell’originaria ricorrente in data 13 dicembre 2016, l’erede NOME COGNOME ha adito i l Tribunale di Bari che, nel contraddittorio delle parti, con sentenza del 14 dicembre 2020, ha accolto la domanda limitatamente al mancato pagamento degli interessi legali sulle
differenze retributive già corrisposte, relative al periodo 1° novembre 1994 – 31 dicembre 2008.
NOME COGNOME ha proposto appello lamentando che l’Università:
aveva corrisposto le differenze retributive rapportate al trattamento pieno e progressivo del ricercatore a tempo definito solo in relazione al periodo 1° novembre 1994 – 31 dicembre 2008, per poi applicare la c.d. legge Gelmini;
non aveva erogato gli interessi legali sulle differenze retributive successive al 31 dicembre 2008.
L a Corte d’appello di Bari, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 454 del 2023, ha accolto in parte l’appello , rigettando, però, la domanda sulle differenze retributive inerenti al periodo successivo al 31 dicembre 2008.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
L’Università degli Studi di Bari Aldo Moro si è difesa con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del giudicato ex art. 2909 c.c., costituito dalla rideterminazione del trattamento retributivo di cui alla sentenza della Corte d’appello di Lecce del 2013, e, quindi, la violazione dei principi di diritto comunitario di cui alle sentenze CGCE n. 212 del 2001 e n. 276 del 2008, dell’art. 36 Cost., dell’art. 26, comma 3, legge n. 240 del 2010 e dell’art. 115 c.p.c.
Lamenta il mancato rispetto del principio dell’ultrattività del giudicato nei rapporti di durata.
Sostiene che non era vero che avesse agito opponendo l’ultrattività della transazione giudiziale del 30 novembre 1998 e, dunque, sulla scorta di un giudizio già precedentemente definito.
Con riferimento alla locuzione ‘minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno’, espone che essa indicherebbe la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, ossia la statuizione che affermi l’esist enza di un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico.
Inoltre, evidenzia che, in ordine ai rapporti giuridici di durata e alle obbligazioni periodiche che ne costituiscano il contenuto, l’autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti a una nuova decisione di quelle già risolte con provvedimento definitivo, trovando tale regime limite unico nella sopravvivenza di un elemento di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento.
Secondo il ricorrente, la Corte d’appello di Lecce, nella sentenza passata in giudicato, aveva ritenuto inapplicabile l’art. 26, comma 3, della riforma Gelmini.
Ulteriori elementi in questa direzione sarebbero stati ricavabili dalle decisioni della Corte di cassazione n. 10300 del 2016 e n. 13886 del 2023.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., dell’art. 156, comma 2, c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in quanto la motivazione sarebbe stata meramente apparente.
Con il terzo motivo contesta la violazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento alla corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, non avendo domandato la disapplicazione dell’art. 26 della legge n. 240 del 2010, il riconoscimento di mansioni superiori e la commisurazione del trattamento economico a quello del professore associato.
Il primo motivo è fondato nella parte in cui denuncia la violazione del giudicato, con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi.
2.1 Giova preliminarmente richiamare il principio espresso da questa Suprema Corte secondo cui il giudicato esterno, in quanto provvisto di vis imperativa e indisponibilità per le parti, va assimilato agli ‘elementi normativi’, sicché la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme (e non già degli atti e dei negozi giuridici), in base agli artt. 12 ss. disp. prel. c.c., con conseguente sindacabilità in sede di legittimità degli eventuali errori interpretativi sotto il profilo della violazione di legge (così già Cass., SU, n. 11501 del 9 maggio 2008; in senso conforme, fra molte, Cass. Sez. 3, n. 30838 del 29 novembre 2018).
2.2 Nella specie, emerge dall’ordinanza di questa Corte n. 1 0300 del 2016 che il primo motivo di ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 2163 del 2013 è stato ritenuto inammissibile (almeno sotto alcuni profili) perché «Non risulta, infatti, censurato il passaggio argomentativo della Corte territoriale nella parte in cui, a sostegno della ritenuta non applicabilità della disposizione sulla estinzione del giudizio, ha posto il contrasto dell’art. 26, comma 3, della legge n. 240/2010, ch e non ha riconosciuto ‘in modo pieno ed incondizionato agli ex lettori di lingua straniera le pretese da essi vantati’, con i principi enunciati dalla Corte di Giustizia CE nella sentenza del 26 giugno 2001, n. 212, direttamente applicabile nell’ordinamento italiano » (secondo quanto riportato a pag. 29 del ricorso) e, più ancora, per quel che rileva nella presente sede, perché «Neppure è adeguatamente censurato il decisum della Corte di appello nella parte in cui ha ulteriormente spiegato le ragioni della ritenuta non applicabilità dell’art. 26 citato essendosi la ricorrente limitata a dedurre una pretesa inconferenza del richiamo al precedente di questa Corte costituito da Cass. 8 marzo 2013, n. 5792 senza chiarire perché il principio estrapolato da tale decisione mal si adatterebbe al caso in questione.
Sul punto, infatti, la Corte territoriale, a mezzo del suddetto richiamo giurisprudenziale, ha evidenziato che l’art. 26 interviene su questioni, relative ai rapporti concernenti i lettori di madrelingua straniera (d.P.R. n. 382 del 1980, ex art. 38), che, nella specie, riguardando il periodo antecedente all’1/11/1994, cioè quello regolato dalla transazione, hanno acquistato forza di giudicato; e, per ciò stesso, non formano più oggetto di ‘giudizi in corso’. Tale consolidamento della situazione antecedente all’1/11/1994, producendo, sia pure in via indiretta, conseguenze sul periodo successivo, impedisce l’applicazione del richiamato art. 26 anche per detto periodo» (secondo quanto riportato alla pag. 29 del ricorso).
Ne consegue che la decisione della Corte d’appello Lecce n. 216 3 del 2013 (depositata in atti), è passata in giudicato nella parte in cui ha escluso l’applicazione del richiamato art. 26 anche per il periodo successivo al 1° novembre 1994 in virtù del consolidamento della situazione antecedente, affermazione non espres samente impugnata, come risulta dall’ordinanza di questa Suprema Corte n. 10300 del 2016.
2.3 Non è, pertanto, conforme al fondamentale canone dell’interpretazione letterale il convincimento espresso nella sentenza impugnata secondo cui «Vi è di fatto che tali ultime due sentenze» – Cass. n. 10300 del 2016 e Corte d’appello Lecce n. 216 3 del 2013 – «hanno ritenuto qui inapplicabile l’art. 26 comma 3 cit. solo in relazione alla (infondata) eccezione di estinzione ope legis di quel giudizio, lì sollevata dall’Università di Bari (nel corso del giudizio di appello, in seguito all’entrata in vigore della relativa normazione di interpretazione autentica) senza in alcun modo affrontare expressis verbis la questione della (concorrente) portata sostanziale della prima parte del medesimo art. 26 comma 3 circa l’applicazione ai collaboratori esperti linguistici, assunti dalle università quali lettori di madrelingua straniera, del trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, in misura proporzionata all’impegno orario effettivamente assolto, ‘con effetto dalla data di prima assunzione quali lettori di madrelingua straniera a norma
dell’articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980 n. 382, sino alla data dell’instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici, a norma dell’articolo 4 del decreto -legge 21 aprile 1995, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1995, n. 236» (pagina 14 della sentenza impugnata), posto a base dell’erronea conclusione per cui «Nulla osta, dunque, alla (doverosa) applicazione nel (separato e distinto) giudizio in esame delle cennate disposizioni sostanziali sopravvenute, in relazione a periodi retributivi questa volta senz’altro rientranti sotto l’egida dell’art. 26 cit.» (pag. 18 sentenza impugnata).
3) Trova, dunque, applicazione, alla luce delle specifiche circostanze del caso concreto, come sopra riportate, il principio di diritto secondo cui, in ordine ai rapporti giuridici di durata e alle obbligazioni periodiche che eventualmente ne costituiscano il contenuto, sui quali il giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro, l’autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti ad una nuova decisione di quelle già risolte con provvedimento definitivo, il quale dunque esplica la propria efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, con l’unico limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento (principio affermato espressamente anche in tema di lettori da Cass., Sez. L., n. 20765 del 17 agosto 2018).
Nella presente controversia, il giudicato inter partes , interpretato direttamente da questa Suprema Corte nei sensi precisati, comporta, pertanto, l’accoglimento del primo motivo di ricorso, atteso che, alla data di definizione del giudizio di rinvio conclusosi con la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 216 3 del 2013, la norma di interpretazione autentica (art. 26, comma 3, legge n. 240 del 2010) era già intervenuta e la corte di merito ne aveva inequivocabilmente escluso l’applicazione al rapporto dedotto in giudizio.
L’impugnata sentenza va cassata in relazione al primo motivo, assorbite le ulteriori censure, con rinvio alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte,
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e il terzo, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione civile della