Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2191 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2191 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1116/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME, COGNOME NOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, tutti domiciliati ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME;
– controricorrenti-
nonchè contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME;
– intimati-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 2413/2019
depositata il 10/10/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/06/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
Con sentenza n. 1494/2017 il Tribunale di Firenze dichiarava inammissibile la domanda proposta da NOME COGNOME per accertare la fondatezza del suo recesso ex art. 1385, comma 2, cod. civ. – dal contratto preliminare di compravendita immobiliare da lui sottoscritto in data 14.12.2009 con i promittenti venditori NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, esercitato dall’attore a fronte dell’asserito inadempimento dei promittenti venditori; accertava, invece, la legittimità del recesso dei promittenti venditori e il conseguente loro diritto a trattenere la caparra versata per l’importo di €300.000,00.
Il COGNOME impugnava la suddetta sentenza dinanzi alla Corte d’Appello di Firenze, la quale respingeva il gravame confermando integralmente la pronuncia impugnata. A sostegno della sua decisione, osservava la Corte che:
è infondata la censura dell’appellante riguardo la mancata dimostrazione -da parte dei convenuti in primo grado – del passaggio in giudicato dell’ordinanza emessa dal Tribunale di Lucca – Sezione distaccata di Viareggio: l’odierno appellante, infatti, aveva già proposto ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ. per la declaratoria di risoluzione del contratto preliminare di cui è causa, con condanna dei promittenti venditori al pagamento del doppio della caparra. Il Tribunale di Lucca – Sezione distaccata di Viareggio, con ordinanza del 06.02.12, aveva respinto le domande di risoluzione del preliminare proposte reciprocamente dalle parti, non ravvisando gravi inadempimenti a carico di nessuna di loro. Orbene, benché dinanzi al Tribunale di Firenze
non sia stata depositata dai convenuti promittenti venditori l’attestazione di irrevocabilità dell’ordinanza di cui sopra, essa è desumibile della certificazione rilasciata dalla cancelleria del Tribunale di Lucca – Sezione distaccata di Viareggio prodotta dagli appellati nel presente grado di giudizio;
seguendo le indicazioni della Suprema Corte, l’esistenza del giudicato esterno è rilevabile d’ufficio;
stabilita la rilevanza del giudicato esterno, correttamente il Tribunale di Firenze ha dichiarato inammissibile la domanda del COGNOME, in quanto il petitum del giudizio instaurato innanzi al Tribunale di Lucca è identico a quello del giudizio instaurato innanzi al Tribunale di Firenze oggetto della presente impugnazione, benché nel primo giudizio il COGNOME abbia chiesto la risoluzione del contratto preliminare, mentre nel secondo ha fatto valere il diritto di recesso ex art. 1385, comma 2, cod. civ., dato che in entrambi i giudizi era stata chiesta la condanna dei promittenti venditori alla restituzione del doppio della caparra. Del resto, anche nel secondo giudizio l’appellante adduce asseriti vizi dell’immobile che avrebbe approfondito dopo la pronuncia del Tribunale di Viareggio, che però ben potevano essere dedotti nel primo giudizio (soprattutto alla luce del fatto che l’appellante deteneva l’immobile sin dalla stipula del preliminare) e che, pertanto, restano coperte dal giudicato rappresentat o dall’ordinanza del Tribunale di Viareggio;
di contro, gli appellati hanno posto alla base della nuova domanda riconvenzionale di recesso un fatto sopravvenuto al giudicato, ossia il rifiuto del COGNOME di procedere alla stipula del contratto definitivo, dopo che – intervenuta pronuncia del Tribunale di Viareggio – si erano adoperati per addivenire al rogito, producendo tutta la documentazione
inerente alla sanatoria e invitando il promissario acquirente innanzi al AVV_NOTAIO;
quanto alle istanze istruttorie, l’accertamento dell’intervenuto giudicato nei termini esposti in precedenza preclude qualunque approfondimento istruttorio volto a valutare la conformità urbanistica dell’immobile, non integrando le allegazioni del COGNOME fatti sopravvenuti al predetto giudicato.
Avverso detta pronuncia proponeva ricorso per Cassazione NOME COGNOME, affidandolo a tre motivi.
Si difendevano depositando controricorso COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, illustrandolo con memoria.
Restavano intimati NOME, COGNOME NOME.
CONSIDERATO CHE:
Preliminarmente devono essere disattese le eccezioni di improcedibilità del ricorso sollevate nel controricorso (p. 7). Dalle verifiche preliminari effettuate da questo Collegio risulta, infatti, che il ricorso, notificato a mezzo EMAIL in data 10.12.2019 (quindi nei termini brevi, ex art. 325 cod. proc. civ.) è stato depositato il 30.12.2019, quindi nei termini di venti giorni dall’eseguita notifica. Quanto, poi, all’asserita violazione dell’art. 369, comma 2, cod. proc. civ., per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità il ricorrente ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità della decisione impugnata e notificata unitamente all’originale della copia analogica, entro l’udienza di discussione o l’adunanza in camera di consiglio (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8312 del 25/03/2019, Rv. 653597 – 01): attestazione di conformità effettivamente presente in atti alla data dell’adunanza .
2. Con il primo motivo si deduce violazione di legge (art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ.): violazione e falsa applicazione dell’art. 124 disp. att. cod. proc. civ. sulla necessità di produzione del certificato di passaggio in giudicato. La tesi del ricorrente è che sia necessaria la certezza della formazione del giudicato, che deve essere provato, pur in assenza di contestazione, mediante attestazione del cancelliere. Né può condividersi la tesi, prosegue il ricorrente, promossa dalla Corte d’Appello, che richiama il principio per cui il giudicato sarebbe rilevabile d’ufficio: ciò contrasta sia con la lettera dell’art. 124 disp. att. cod. proc. civ., sia con l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Corte di legittimità del 19.04.2016, n. 7701.
2.1. Il motivo è infondato. Questo Collegio, pur non ignorando un risalente precedente di questa Corte secondo cui «nel presupposto pacifico che entro il termine annuale dalla data di deposito di una sentenza (regolarmente esibita) non sia stata proposta alcuna impugnazione ,legittimamente può considerarsi acquisita la prova del passaggio in giudicato della medesima, indipendentemente dalla apposizione da parte del cancelliere della formula esecutiva» (Cass n.1554/1971), o la pronuncia secondo cui «la parte che eccepisca la definitività di una sentenza resa in altro giudizio, qualora la controparte ammetta esplicitamente l’intervenuta formazione del giudicato esterno, non ha l’onere di produrre la decisione munita della certificazione di cui all’art. 124 disp. att. c.p.c., dalla quale risulti che la pronuncia non è soggetta ad impugnazione, come invece avviene nell’ipotesi di mera non contestazione del giudicato, cui non può attribuirsi il significato di ammissione della definitività della decisione» (Cass. n. 4803 del 01.03.2018, Rv. 647893-01), ritiene di aderire all’indirizzo maggioritario -peraltro richiamato nel ricorso – secondo il quale «la parte che eccepisce il giudicato esterno ha l’onere di provare
il passaggio in giudicato della sentenza resa in altro giudizio, non soltanto producendo la, ma anche corredandola dell’ idonea certificazione ex art. 124 disp. att. c.p.c., dalla quale risulti che la pronuncia non è soggetta ad impugnazione, non potendosi ritenere che la mancata contestazione di controparte sull’affermato passaggio in giudicato significhi ammissione della circostanza, né che sia onere della controparte medesima dimostrare l’impugnabilità» ( ex multis : Cass. Sez. U, n. 6024/2017; Cass. n. 19883/2013; n.10623/2009; n. 22664 del 2004).
Tanto chiarito, la certificazione proveniente dalla Cancelleria del Tribunale di Lucca prodotta dai convenuti, promittenti venditori, datata 10.05.2019, attesta che non risultano iscritte cause di impugnazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Lucca del 06.02.2019: e ssa, pertanto, può ritenersi adeguata attestazione del passaggio in giudicato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 124, comma 2, disp. at t. cod. proc. civ. che recita: «Ugualmente il cancelliere certifica in calce alla copia della sentenza che non e’ stata proposta impugnazione nel termine previsto dall’articolo 327 del codice».
Con il secondo motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc. civ. La Corte d’appello non ha valutato una nuova condotta inadempiente dei promittenti venditori oggetto del secondo processo: gli ulteriori vizi dell’immobile erano sopravvenuti rispetto al primo processo celebrato innanzi al Tribunale di Lucca, successivamente alla sanatoria effettuata dai promittenti venditori, prodotta nel corso del primo giudizio. La perizia di parte accerta che l’immobile oggetto della sanatoria era stato costruito su una parte di terreno di proprietà del confinante.
3.1. Il motivo è inammissibile. In disparte la sussistenza di un’ipotesi di «doppia conforme»: non ha pregio, infatti, quanto argomentato a tal proposito dal ricorrente, il quale tenta di dimostrare la diversità delle ragioni di fatto poste a base delle due decisioni di merito, al fine di superare la preclusione del nuovo n. 5) dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ. (v. ricorso pp. 7-8): entrambi i giudici di merito hanno ritenuto insussistenti i diversi profili di inadempimento dei promittenti venditori n onché le non conformità dell’immobile, asseritamente allegate come diverse e nuove rispetto a quelle oggetto del precedente giudizio, e quindi coperte dal giudicato del Tribunale di Lucca – Sezione distaccata di Viareggio (v. sentenza impugnata, p. 2, penultimo capoverso, per il giudizio del Tribunale di Firenze; p. 4, penultimo capoverso, per il giudizio della Corte d’Appello). Del resto, il riferimento di entrambi i giudici di merito alla detenzione dell’immobile da parte del COGNOME come ragione di esclusione di fatti nuovi a base dell’asserito inadempimento anche della sanatoria operata dai promittenti venditori nel 2011 viene comprovato dallo stesso ricorrente, laddove espone le circostanze evidenziate dalla nuova perizia dalle quali emergerebbe che l’immobile oggetto della sanatoria sarebbe non commerciabile in quanto costruito su parte di proprietà del confinante, possibile oggetto di usucapione (punto 93, p. 14 del ricorso). Evidentemente, quindi, il perito faceva riferimento ad una situazione stru tturale dell’immobile già esistente e non suscettibile di mutamento nel corso dei due diversi giudizi e posteriormente alla sanatoria.
3 .2. L’inammissibilità del mezzo discende altresì dalla carenza di specificità, poiché il ricorrente non ha chiaramente definito l’ambito del precedente giudicato. Il «fatto storico» oggetto di discussione tra le parti, che dovrebbe identificare il secondo giudizio interposto dal
COGNOME innanzi al Tribunale di Firenze, sarebbe rappresentato -insiste il ricorrente -dagli ulteriori vizi sopravvenuti dell’immobile, inerenti alla sanatoria (v. ricorso, soprattutto p. 13, ultimo capoverso; p. 14, punto 94), addebitabili ai promittenti venditori e tali, quindi, da legittimare il recesso del promissario acquirente. Tuttavia, da quanto sopra (v. punto 2.1.) emerge, invece, non solo che tale fatto storico è stato espressamente esaminato dalla Corte distrettuale (come anche dal giudice di prime cure), ma che il giudice di seconde cure avrebbe anche escluso la sopravvenienza di nuove modifiche allo stato dell’immobile occupato dallo stesso promissario acquirente; difformità che ben potevano essere dedotte nel primo giudizio, restando quindi precluse nel secondo in base alla regola generale per cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile.
Con il terzo motivo si deduce ( ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ.) violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. sull’oggetto del giudicato. La tesi del ricorrente è che il petitum richiesto al Tribunale di Lucca sarebbe diverso da quello oggetto del giudizio innanzi al Tribunale di Firenze: il primo, infatti, aveva ad oggetto la risoluzione del contratto; il secondo, invece, l’accertamento della legittimità del recesso di una delle parti. Di conseguenza, non poteva dirsi la domanda attorea coperta da giudicato.
4.1. Il motivo è infondato. Con riferimento ai limiti del giudicato esterno, questa Corte ha più volte affermato che, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano fatto riferimento al medesimo rapporto giuridico (nella specie: preliminare di compravendita immobiliare), ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla soluzione di questioni di fatto (non conformità dell’immobile) relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica
indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di fatto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (Cass. Sez. U., n. 23537 del 2019; Cass. civ., Sez. III, n. 11754 del 2018; Cass. civ., Sez. II n. 11314 del 2018; Cass. Cass. civ. n. 18381 del 2009; Cass. n. 16150 del 20 luglio 2007).
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso, liquida le spese secondo soccombenza come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore del con troricorrente, che liquida in €6 .000,00 per compensi, oltre €200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda