Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22306 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 22306 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 07/08/2024
ORDINANZA
Oggetto
Contratto di lavoro a termine
-giudicato
esterno – formazione
successiva alla sentenza
d’appello – rilevabilità
d’ufficio
R.G.N. 28047/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 18/06/2024
CC
sul ricorso 28047-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 89/2020 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 06/04/2020 R.G.N. 21/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
18/06/2024 dal AVV_NOTAIO. COGNOME.
RILEVATO CHE
la Corte d’Appello di Messina ha confermato la sentenza del Tribunale di Patti con la quale era stata accolta la domanda di NOME COGNOME di declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatole da RAGIONE_SOCIALE in data 20.2.2018, con ordine di ripristino del rapporto e condanna della società al risarcimento del danno;
per la cassazione della sentenza ricorre la società con 2 motivi; resiste la lavoratrice con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
risulta dagli atti di causa che il presente giudizio trae origine da una precedente controversia inter partes , relativa a contratto di lavoro a tempo determinato stipulato nel 2003; il Tribunale di Roma, con sentenza n. 5389/2008, aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto decorrente dall’1.7.2003 e la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con tale decorrenza, e ordinato il ripristino del rapporto di lavoro, ordine cui la società aveva dato esecuzione; la Corte di Appello di Roma con sentenza n. 5017/2012, confermava la sentenza di primo grado con riferimento alla dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro, alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ed al suo ripristino;
con ordinanza n. 3211/2018 questa Corte cassava la sentenza di secondo grado con rinvio, accogliendo il ricorso
proposto dalla società, per insufficienza della motivazione sul nesso causale tra le ragioni sostitutive indicate nel contratto di assunzione e l’attività lavorativa svolta dalla lavoratrice presso l’U.P. di S. Agata Militello, non conforme ai principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica occasionalmente scoperta, situazioni in cui in cui l’apposizione del termine deve considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti, da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse, risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il loro diritto alla conservazione del posto di lavoro), che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorché non identificati nominativamente, ferma restando la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità; la sentenza impugnata veniva cassata per accertarsi in concreto nel merito la sussistenza delle circostanze evidenziate;
a seguito della pubblicazione della sentenza rescindente di questa Corte, la società procedeva al recesso per cui è causa, specificando che ‘ per effetto della predetta pronuncia, riacquista efficacia la risoluzione del Suo rapporto di lavoro con RAGIONE_SOCIALE per la naturale scadenza del termine di decorrenza 30/09/2003. Tenuto conto di quanto precede, il Suo rapporto di lavoro, riattivato solo in esecuzione della sentenza del Tribunale di Roma n. 5389/2008 del 20/03/2008, cessa definitivamente dal momento della conoscenza della presente
e, pertanto, Ella dalla medesima data di conoscenza non farà più parte degli organici aziendali ‘;
nel presente processo, i giudici di merito hanno ritenuto che non si fosse verificata la caducazione totale del giudizio precedente, ancora pendente a seguito di riassunzione, e che non sussistesse effetto espansivo della cassazione con rinvio nella fattispecie concreta, con conseguente illegittimità del recesso datoriale in pendenza di giudizio sulla legittimità o meno del termine, nelle more permanendo l’esecutività delle sentenze di merito dichia rative dell’illegittimità;
RAGIONE_SOCIALE censura tale motivazione, sostenendone l’erroneità, con il primo motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), per violazione e falsa applicazione degli artt. 336, comma 2, e 396 c.p.c., e, con il secondo motivo (art. 360, n. 3, c.p.c.), per violazione e falsa applicazione degli artt. 310, comma 2, 393, congiuntamente all’art. 336, c.p.c.;
osserva il Collegio che è rilevabile (anche d’ufficio ), con effetto assorbente, il giudicato esterno formatosi sulla fattispecie, come evidenziato e documentato nella memoria di parte controricorrente;
dalla documentazione depositata risulta che la lavoratrice qui controricorrente, a seguito della pronuncia rescindente di questa Corte n. 3211/2018, ha riassunto il giudizio innanzi alla Corte d’Appello di Roma, e che questo è stato definito con sentenza n. 2654/2021, con la quale, pronunciando in sede di rinvio nei limiti del devoluto, è stata confermata ‘la nullità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro intercorso fra le parti e dichiarata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti con decorrenza dal 1.7.2003 e ancora in atto a tutt’oggi se non cessato per altra causa ‘, e che tale sentenza è passata in giudicato;
secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio di cassazione l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata; si tratta, infatti, di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto (Cass. n. 12754/2022, n. 5370/2024, n. 8906/2024); è stato anche evidenziato che, qualora uno dei giudizi, riguardante il medesimo rapporto giuridico tra le stesse parti, sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto già accertato e risolto, benché il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (Cass. S U. n. 13916/2006; v. anche Cass. n. 27013/2022, n. 2387/2024);
alla stregua dei suesposti motivi il ricorso deve, pertanto, essere respinto;
in ragione della soccombenza, parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore di parte controricorrente, liquidate come da
dispositivo, con distrazione al difensore dichiaratosi antistatario;
al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’Adunanza camerale del 18 giugno