Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 368 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 368 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
Oggetto: Prestazione d’opera – Responsabilità per danni – Debenza del compenso.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10508/2019 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dall’avv. prof. COGNOME, dall’avv. NOME COGNOME, dall’avv. prof. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME E COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME con studio in Torino, INDIRIZZO
-controricorrenti – avverso la sentenza n. 1692/2018 della Corte d’Appello di Torino, comunicata il 26/9/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 8 novembre 2024 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
1. La RAGIONE_SOCIALE. di NOME COGNOME, operante nel settore della consulenza tecnica ed assistenza alla direzione lavori in campo architettonico e ingegneristico, premesso che era stata incaricata, nell’aprile 2009, da NOME, in qualità di usufruttuaria, di svolgere compiti di organizzazione, controllo e supervisione sul corretto espletamento delle incombenze correlate alla realizzazione dell’intervento di recupero di un locale sottotetto, sito in Torino, INDIRIZZO al costo complessivo di € 35.000,00, da corrispondere in tre soluzioni, le prime due alla sottoscrizione dell’accordo e dopo tre mesi dall’inizio dei lavori e l’ultima in corso d’opera e al collaudo finale, e che la stessa e i nudi proprietari COGNOME NOME e COGNOME NOME avevano onorato solo il primo rateo, omettendo di corrispondere il secondo anche dietro sollecito e anzi citando in giudizio la stessa e l’impresa, onde ottenere la loro condanna al risarcimento dei danni patiti durante l’esecuzione dei lavori (giudizio nel quale l’odierna ricorrente, costituendosi, aveva chiesto in riconvenzione la condanna degli attori al pagamento della seconda tranche di prezzo), convenne in giudizio i predetti al fine di ottenerne la condanna in solido al pagamento della somma di € 15.000,00, pari al terzo rateo ormai maturato.
Costituitisi in giudizio, COGNOME NOME e COGNOME NOME, ormai divenuti pieni proprietari in seguito al decesso dell’usufruttuaria, evidenziarono i sinistri occorsi durante i lavori (un incendio, alcuni allagamenti e infiltrazioni) e i danni patiti, chiesero l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’erede dell’usufruttuaria COGNOME NOME eccepirono la sussistenza di
una giusta causa per l’inadempimento ex art. 1460 cod. civ. e la sospensione del processo in attesa della decisione su domanda omologa avanzata dalla società.
Il Tribunale di Torino, disattese le richieste di integrazione del contraddittorio e di sospensione del giudizio, decise con sentenza n. 1513 del 21/3/2017, con la quale condannò i fratelli COGNOME al pagamento, in favore della società, della somma di €15.000,00.
Il giudizio di gravame, instaurato da COGNOME NOME e COGNOME NOME si concluse, nella resistenza della società appellata, con la sentenza n. 1692/2018, pubblicata il 26/09/2018, con la quale la Corte d’Appello di Torino riformò la sentenza impugnata, respingendo la domanda avanzata dalla società.
Contro la predetta sentenza, la RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE in liquidazione propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi. COGNOME NOME e COGNOME NOME si sono difesi con controricorso, illustrato anche con memoria.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso, si lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto erronea la decisione del giudice di primo grado di disattendere la richiesta di avvalersi dell’istruttoria svolta nel primo giudizio (quello risarcitorio avviato dai Filipello) e di decidere sulla base dell’istruttoria svolta davanti a sé e per avere ritenuto errato l’operato dei giudici di primo grado, allorché avevano omesso di menzionare le indicazioni non secondarie e anzi significanti rese dal consulente tecnico nel primo giudizio, benché questo avesse ritenuto che l’apporto causale della società nella verificazione dei danni fosse pari al 5%, restando responsabile l’appaltatore e redattore del computo metrico nella misura del 80% e la progettista e direttrice dei lavori nella misura del 15%.
Col secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello pronunciato ultra petita laddove, richiamando la sentenza n. 1338/2016, resa dal Tribunale in primo grado all’esito del giudizio per risarcimento dei danni incardinato dai Filipello, aveva sostenuto una pretesa intervenuta risoluzione del contratto 15/04/2009 inter partes (punto 9), che avrebbe comportato l’estinzione dell’obbligazione di pagamento in capo ai COGNOME, benché detta sentenza non avesse mai parlato di risoluzione del contratto, peraltro mai chiesta dagli attori NOME e COGNOME, tant’è che la società aveva proseguito con l’incarico, portandolo a termine nel 2012.
Il secondo motivo, da trattare per primo per motivi di priorità logica, è infondato.
Occorre al riguardo partire dal contenuto della decisione impugnata, nella quale si legge che i giudici di merito hanno rigettato la domanda di condanna delle controparti al pagamento della terza tranche di compenso, proposta dalla società, tenendo conto dell’esito del giudizio risarcitorio precedentemente incardinato dai Filipello, nel quale la società, costituendosi, aveva proposto identica domanda di adempimento con riferimento però alla seconda rata del compenso, e che si era concluso con la sentenza n. 1338 del 7/3/2016 di accoglimento della pretesa attorea e di rigetto di quella riconvenzionale, passata in giudicato.
La Corte d’Appello ha ritenuto, in particolare, di valorizzare la parte della pronuncia che considerava inadempiente la società, in quanto non aveva eseguito l’incarico affidatole con la dovuta diligenza e attenzione, e non dovuto, pertanto, il compenso richiesto, ritenendo che con essa fosse stata implicitamente ravvisata una causa interamente estintiva dell’obbligazione di pagamento del compenso, consistente nell’intervenuta risoluzione del contratto del
15/4/2009, e che, in ottemperanza alla valenza di giudicato della stessa e avuto riguardo alla ratio della relativa decisione, andasse accolto l’appello incidentale.
Con tale motivazione, i giudici hanno, in sostanza, fatto valere il giudicato formatosi sul rapporto tra le parti, in applicazione del principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui, qualora in due giudizi tra le stesse parti siano fatti valere due crediti fondati sul medesimo rapporto giuridico ed uno dei due sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica (cioè, alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause), formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza con autorità di cosa giudicata, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo (tra le tante Cass., Sez. 3, 24/1/2024, n. 2387; Cass., Sez. 3, 22/3/2024, n. 7834; Cass., Sez. 3, 21/1/2023, n. 32370; Cass., Sez. 3, 14/9/2022, n. 27013; Cass., Sez. 6-3, 18/7/2018, n. 19113).
L’ambito di operatività del giudicato, che copre il dedotto e il deducibile in relazione al medesimo oggetto, e, pertanto, non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio, ma anche tutte le possibili questioni, proponibili in via di azione o eccezione, che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia, è, infatti, correlato all’oggetto del processo e colpisce, perciò, tutto quanto rientri nel suo perimetro, incidendo, da un punto di vista sostanziale, non soltanto sull’esistenza del diritto azionato, ma anche sull’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi, ancorché non dedotti, fermo restando il requisito dell’identità delle
persone (Cass., Sez. 1, 9/11/2022, n. 33021; Cass., Sez. 2, 4/3/2022, n. 6091), senza necessità, peraltro, di una domanda della parte volta ad ottenere la decisione di una questione pregiudiziale con efficacia di giudicato (Cass., Sez. L, 29/12/2021, n. 41895; Cass., Sez. 3, 15/5/2018, n. 11754).
Alla stregua di quanto detto, il motivo non può, dunque, che essere infondato.
L’infondatezza della c ensura, dovuta all’avvenuta corretta applicazione del giudicato formatosi sul rapporto, comporta di conseguenza l’assorbimento della prima.
In conclusione, dichiarata l’infondatezza della seconda censura e l’assorbimento della prima, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico della ricorrente.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge;
dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 8/11/2024.