Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15072 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 15072 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 05/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12919/2024 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
Università degli Studi di Bari Aldo Moro, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio digitale legale
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 109/2024 depositata il 29/01/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L a Corte d’appello di Bari ha accolto per quanto di ragione l’appello di NOME COGNOME e, in parziale riforma della sentenza impugnata, confermata nel resto, ha condannato « l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro al pagamento, in favore dell’appellante, degli interessi legali sulla
sorte capitale versata a titolo di differenze retributive successive al 31.12.2008 di cui in motivazione » .
La sentenza impugnata così ricostruisce la complessiva vicenda.
2.1. NOME COGNOME assunta dall’anno accademico 1990/1991 come lettore di madrelingua straniera con reiterati contratti a termine ex art. 28 del d.P.R. n. 382 del 1980, aveva instaurato un primo giudizio per ottenere il riconoscimento della natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro intercorso fra le parti, giudizio concluso con verbale di conciliazione del 3 dicembre 1998, con cui veniva riconosciuta la natura a tempo indeterminato del rapporto inter partes e liquidate le differenze retributive rispetto al trattamento di professore non di ruolo di scuola media alla data di proposizione del ricorso ( i.e. , 31 ottobre 1994).
2.2. Successivamente, la stessa NOME COGNOME nelle more risultata vittoriosa da una selezione per ‘ esperto linguistico ‘ ed assunta a tempo indeterminato dal 1° novembre 1994 per 500 ore a seguito del CCNL 21/5/1996, aveva introdotto un ulteriore giudizio avente ad oggetto le differenze retributive per il periodo successivo al 31 ottobre 1994.
Rigettata la domanda nei primi gradi di giudizio, questa Corte, con sentenza n. 3875 del 2008, aveva accolto il motivo di ricorso con cui veniva censurata la pronuncia d ella Corte d’appello per aver negato il diritto alla maggiore retribuzione dell’ ex lettore madrelingua per il periodo successivo alla innanzi richiamata transazione, in applicazione dei principi di cui alla sentenza della Corte di Giustizia CE del 26/6/2001, C-212/99.
L a Corte d’appello di Lecce, adita in sede di rinvio, con sentenza n. 2151 del 2013, passata in giudicato a seguito del rigetto del (nuovo) ricorso per cassazione (disposto con ordinanza n. 17273 del 2016), aveva condannato l’Università al pagamento dell a complessiva somma di euro 152.904,28 quantificata per il periodo fino al 31 dicembre 2008, assumendo come riferimento il trattamento del ‘ricercatore confermato a tempo definito’ .
2.3. L’odiern a ricorrente ha, quindi, nuovamente agito nel presente giudizio per chiedere l’applicazione del medesimo criterio anche per il
periodo 1° gennaio 2009-31 dicembre 2017, in luogo dell ‘assegno ad personam riconosciutole dall’Università a titolo di differenza fra la retribuzione dovuta al 1° novembre 1994 quale lettore di madre lingua straniera, computata ai sensi del d.l. n. 2 del 2004, convertito dalla l. n. 63 del 2004, e quella percepita ai sensi del d.l. n. 120 del 1995, convertito con modificazioni dalla l. n. 236 del 1995.
Il Tribunale di Bari ha respinto il ricorso, sostenendo che il precedente giudicato (sentenza n. 2151 del 2013 della Corte d’appello di Lecce) non aveva affrontato la questione posta dalla norma di interpretazione autentica di cui all ‘art. 26, comma 3, della l. n. 240 del 2010, quanto alle modalità del trattamento economico stabilite dall’art. 1, comma 1, del d.l. n. 2 del 2004, cit., ed ha evidenziato che nel precedente giudizio si era discusso di tale disposizione solo con riferimento alla estinzione del processo.
A sua volta, la Corte d’appello , nella sentenza oggetto della presente impugnazione, ha altresì rilevato che il precedente giudizio riguardava le differenze retributive comprese nel periodo fra il novembre 1994 e il 31 dicembre 2008 (dunque , in epoca antecedente all’intervento della norma di interpretazione autentica), richiamando anche la giurisprudenza sull’incidenza dello ius superveniens , che pone un limite all’ultrattività del giudicato. In tal modo, ha escluso che la ricorrente potesse pretendere il definitivo ‘aggancio’ alla retribuzione del ‘ricercatore confermato a te mpo definito’ e riformato la sentenza di primo grado solo nella parte in cui aveva disatteso la pretesa a ottenere gli interessi legali sulle differenze retributive successive al 31 dicembre 2008.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla base di tre motivi assistiti da memoria, cui oppone difese con controricorso l’Università.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso denuncia con il primo motivo la violazione/falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., sub specie della violazione del giudicato, ex art. 2909 c.c., costituito dalla rideterminazione del trattamento retributivo riconosciuto dalla
sentenza della Corte d’ appello di Lecce del 2013, con conseguente violazione dei principi di diritto comunitario e, in ogni caso, dell’art. 36 Cost., con errata applicazione dell’art. 26 , comma 3, l. n. 240 del 2010.
Con lo stesso motivo si denuncia altresì la nullità della sentenza per violazione dell ‘ art. 115 c.p.c., ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per avere la Corte territoriale commesso un errore di ricognizione del contenuto oggettivo delle prove oggetto di discussione tra le parti (sentenza della Corte d’ appello di Lecce del 2013 e ordinanza della Cassazione del 2016); in particolare, ad avviso della ricorrente, la Corte barese avrebbe errato nel non riconoscere alla pronuncia del 2013 valenza precettiva per il futuro.
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 132, 156 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., ed addebita alla sentenza gravata di avere contraddittoriamente affermato la natura interpretativa (e quindi retroattiva) della legge n. 240 del 2010, cit., e di avere poi attribuito rilevanza alla circostanza che le differenze retributive che in quel giudizio venivano in rilievo si arrestavano alla data del 31 dicembre 2008.
Con la terza critica si denuncia la nullità della sentenza, ex art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.), sul rilievo che la Corte territoriale, in relazione agli sviluppi contrattuali successivi alla stipula del contratto di collaboratore linguistico, avrebbe attribuito rilievo alla mancata prova dello svolgimento di mansioni superiori, che non erano oggetto di domanda, incentrata invece sul giudicato.
Il primo motivo è fondato nella parte in cui denuncia la violazione del giudicato, con conseguente assorbimento degli ulteriori motivi.
5.1. Giova preliminarmente richiamare il principio espresso da questa Corte secondo cui il giudicato esterno, in quanto provvisto di vis imperativa e indisponibilità per le parti, va assimilato agli ‘ elementi normativi ‘ , sicché la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell ‘ esegesi delle norme (e non già degli atti e dei negozi giuridici), in base agli artt. 12 ss.
disp. prel. c.c., con conseguente sindacabilità in sede di legittimità degli eventuali errori interpretativi sotto il profilo della violazione di legge (così già Cass. Sez. U, 09/05/2008, n. 11501; in senso conforme, fra molte, Cass. Sez. 3, 29/11/2018, n. 30838).
5.2. Nella specie, emerge dall’ ordinanza di questa Corte n. 17273 del 2016 che il primo motivo di ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 2151 del 2013 è stato ritenuto inammissibile (almeno sotto alcuni profili) perché «Non risulta, infatti, censurato il passaggio argomentativo della Corte territoriale nella parte in cui, a sostegno della ritenuta non applicabilità della disposizione sulla estinzione del giudizio, ha posto il contrasto dell ‘ art. 26, comma 3, della legge n. 240/2010, che non ha riconosciuto ‘in modo pieno ed incondizionato agli ex lettori di lingua straniera le pretese da essi vantati’, con i principi enunciati dalla Corte di Giustizia CE nella sentenza del 26 giugno 2001, n. 212, direttamente applicabile nell ‘ ordinamento italian o » (secondo quanto riportato alle pp. 29-30 del ricorso) e, più ancora, per quel che rileva nella presente sede, perché «Neppure è adeguatamente censurato il decisum della Corte di appello nella parte in cui ha ulteriormente spiegato le ragioni della ritenuta non applicabilità dell ‘ art. 26 citato essendosi la ricorrente limitata a dedurre una pretesa inconferenza del richiamo al precedente di questa Corte costituito da Cass. 8 marzo 2013, n. 5792 senza chiarire perché il principio estrapolato da tale decisione mal si adatterebbe al caso in questione. Sul punto, infatti, la Corte territoriale, a mezzo del suddetto richiamo giurisprudenziale, ha evidenziato che l ‘ art. 26 interviene su questioni, relative ai rapporti concernenti i lettori di madrelingua straniera (d.P.R. n. 382 del 1980, ex art. 38), che, nella specie, riguardando il periodo antecedente all ‘ 1/11/1994, cioè quello regolato dalla transazione, hanno acquistato forza di giudicato; e, per ciò stesso, non formano più oggetto di ‘giudizi in corso’. Tale consolidamento della situazione antecedente all ‘ 1/11/1994, producendo, sia pure in via indiretta, conseguenze sul periodo successivo, impedisce l ‘ applicazione del richiamato art. 26 anche per detto periodo» (secondo quanto riportato a p. 30 del ricorso).
Ne consegue che la decisione della Corte d’appello Lecce n. 21 51 del 2013 (depositata in atti), è passata in giudicato nella parte in cui ha espressamente escluso l ‘ applicazione del richiamato art. 26 anche per il periodo successivo al 1° novembre 1994 in virtù del consolidamento della situazione antecedente, affermazione non espressamente impugnata, come risulta da ll’ordinanza di questa Corte n. 17273 del 2016.
5.3. Non è, pertanto, conforme al fondamentale canone dell’interpretazione letterale il convincimento espresso nella sentenza impugnata secondo cui «Vi è di fatto che tali ultime due sentenze hanno ritenuto qui inapplicabile l ‘ art. 26 comma 3 cit. solo in relazione alla (infondata) eccezione di estinzione ope legis di quel giudizio, lì sollevata dall’Università di Bari (nel corso del giudizio di appello, in seguito all’entrata in vigore della relativa normazione di interpretazione autentica) senza in alcun modo affrontare expressis verbis la questione della (concorrente) portata sostanziale della prima parte del medesimo art. 26 comma 3 circa l ‘ applicazione ai collaboratori esperti linguistici, assunti dalle università quali lettori di madrelingua straniera, del trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo definito, in misura proporzionata all ‘impegno orario effettivamente assolto, ‘con effetto dalla data di prima assunzione quali lettori di madrelingua straniera a norma dell’art icolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980 n. 382, sino alla data dell ‘ instaurazione del nuovo rapporto quali collaboratori esperti linguistici, a norma dell’art icolo 4 del decreto -legge 21 aprile 1995, n. 120, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 1995, n. 236» (p. 12 sentenza impugnata), posto a base dell’erronea conclusione per cui «nulla osta, dunque, alla (doverosa) applicazione nel (separato e distinto) giudizio in esame delle cennate disposizioni sostanziali sopravvenute in relazione a periodi retributivi questa volta senz ‘ altro rientranti sotto l ‘ egida dell ‘ art. 26 cit.» (p. 15 sentenza impugnata).
Trova, dunque, applicazione, alla luce delle specifiche circostanze del caso concreto come sopra riportate, il principio di diritto secondo cui, in
ordine ai rapporti giuridici di durata e alle obbligazioni periodiche che eventualmente ne costituiscano il contenuto, sui quali il giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro, l ‘ autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti ad una nuova decisione di quelle già risolte con provvedimento definitivo, il quale dunque esplica la propria efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, con l ‘ unico limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento (principio affermato espressamente anche in tema di lettori da Cass. Sez. L., 17/08/2018, n. 20765).
Nella specie, il giudicato inter-partes , interpretato direttamente da questa Corte nei sensi sopra precisati , comporta, dunque, l’accoglimento del primo motivo di ricorso, atteso che, alla data di definizione del giudizio di rinvio con la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 21 51 del 2013, la norma di interpretazione autentica (art. 26, comma 3, l. n. 240 del 2010) era già intervenuta e la Corte di merito ne aveva inequivocabilmente escluso l’applicazione al rapporto dedotto in giudizio .
L ‘impugnata sentenza va, dunque, cassata in relazione al primo motivo, assorbiti gli ulteriori motivi, con rinvio alla C orte d’appello di Bari, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli ulteriori motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 8 maggio 2025.