Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6697 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 6697 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/03/2024
SENTENZA
sul ricorso 26723/2020 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende in virtù di procura in atti;
-ricorrente e controricorrente al ricorso incidentale -contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO che li rappresenta e difende in virtù di procura in atti;
-controricorrenti e ricorrenti incidentali –
avverso la sentenza n. 1036/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata in data 11/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27.02.2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Udito il P.M. in persona del Sostituto procuratore Generale NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e del ricorso incidentale.
Uditi l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME per il ricorrente principale e l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME per i controricorrenti e ricorrenti incidentali.
Svolgimento del processo
Questa Corte, con l’ordinanza interlocutoria n. 6144/2022 così espose:
<>
Occorre soggiungere che il ricorrente ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale.
Venuto nuovamente il processo alla pubblica udienza del 6/7/2023 il ricorrente depositava nuova memoria e il P.G. concludeva per iscritto.
Alla fissata data il processo non poteva essere trattato per impedimento del relatore.
La causa viene trattata alla nuova pubblica udienza del 27/2/2024.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 2909 c.c. e 324, 329, 333, 343 e 346 c.p.c.
Si assume che la Corte d’appello erroneamente reputa irrituale, perché <>, la produzione documentale allegata al foglio di precisazione delle conclusioni, con la quale l’odierno ricorrente si era onerato di provare tempestivamente il giudicato esterno, intervenuto nelle more tra l’udienza di trattazione e quella di precisazione delle conclusioni (la sentenza n. 3890 del 6/6/2018, della medesima Corte).
Con la statuizione intervenuta nell’altro giudizio, le spese di lite erano state compensate per 1 /3 <>. Ciò in quanto i coniugi COGNOME avevano fatto implicita acquiescenza al capo della sentenza del Tribunale, non impugnato, che aveva
rigettato le domande riconvenzionali proposte dei medesimi, aventi ad oggetto, oltre alla richiesta di risarcimento danni per lite temeraria ex art. 96 cod. proc. civ., anche la condanna dell’attore al risarcimento dei danni (derivanti dalla necessità di utilizzare in alternativa un immobile preso in locazione), quantificati in euro 1.200 mensili, oltre alle spese condominiali ordinarie e alla mancata disponibilità dell’immobile da loro acquistato ed occupato senza titolo dall’attore.
Il COGNOME soggiunge di avere documentato, con il citato foglio di precisazione delle conclusioni, che la sentenza resa nell’altro giudizio era stata impugnata con ricorso per cassazione da NOME COGNOME, cui aveva resistito con controricorso il COGNOME, mentre i COGNOME si erano limitati a resistere con controricorso al ricorso incidentale, senza nulla eccepire in ordine ai capi della sentenza che avevano accertato l’avvenuto rigetto delle loro domande riconvenzionali con compensazione delle spese di lite.
Secondo il COGNOME, pertanto, vi sarebbe un giudicato esterno formatosi nel giudizio di appello dell’altra causa, a seguito della palesata acquiescenza dei COGNOME, in quanto le parti processuali erano identiche come anche la domanda di condanna per gli stessi motivi.
La Corte d’Appello aveva ritenuto l’eccezione infondata sul presupposto che non vi fosse idonea certificazione circa il fatto che la pronuncia non fosse soggetta ad impugnazione, senza tuttavia avvedersi che sussisteva un giudicato interno per la mancata impugnazione del capo della sentenza di primo grado riguardante le domande riconvenzionali. Vi era dunque un’acquiescenza parziale impropria ex articolo 329, secondo comma, cod. proc. civ., limitatamente un capo autonomo di sentenza.
1.2. Il motivo è fondato per quanto di ragione.
Il ricorrente, censurando la violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 e segg. cod. proc. civ., ritiene essersi formato un giudicato interno ai sensi dell’art. 329 cod. proc. civ. nel giudizio avente ad oggetto la sua domanda di revocazione, ex art. 2901 cod. civ. e, in subordine, di simulazione, del contratto di acquisto da parte dei coniugi COGNOME dell’immobile oggetto della loro domanda di restituzione di cui al presente giudizio.
In primo luogo deve chiarirsi che la Corte di Roma, dopo avere affermato, come mero ‘obiter’, che il giudicato non era apprezzabile a cagione della mancanza di attestazione d’irrevocabilità della sentenza d’appello, che aveva definito l’altra causa, entrata nel merito, esclude motivatamente la sussistenza del dedotto giudicato.
Dalla sentenza del Tribunale e da quella d’appello, che in parte la riformò, si trae che i coniugi COGNOME (compratori) e NOME COGNOME, anche nella qualità di tutore di NOME COGNOME (venditore), erano stati chiamati in giudizio dal COGNOME perché il contratto di compravendita fosse, in via principale, dichiarato inefficace perché in frode alle ragioni dell’attore e, in via di subordine, simulato. I COGNOME si erano difesi e chiesto, in via riconvenzionale, condannarsi l’attore a risarcire il danno da lite temeraria, nonché i danni patiti per avere dovuto locare un altro immobile, quantificati in € 1.200,00 mensili, oltre alle spese condominiali.
Il Giudice d’appello di quella causa, dopo aver rigettato le domande di revocazione e simulazione, accolse nei soli confronti di NOME COGNOME la domanda risarcitoria, per non avere quest’ultimo onorato il contratto preliminare stipulato con l’attore, nel mentre i COGNOMECOGNOME, vennero giudicati estranei all’illecito contrattuale commesso del COGNOME.
La sentenza d’appello intervenuta in quel processo, che vedeva appellante l’insoddisfatto COGNOME (il Tribunale ne aveva rigettato la domanda di simulazione), in parziale riforma di quella di primo grado, condannò NOME COGNOME al pagamento della somma di € 357.205,58 in favore del COGNOME.
L’unica statuizione che coinvolge gli odierni controricorrenti riguardò il riparto delle spese, in parte compensate, che per il resto vennero poste a carico del COGNOME.
Compensazione che venne giustificata col fatto che la domanda risarcitoria dei COGNOME era stata disattesa in primo grado e quest’ultimi avevano prestato acquiescenza sul punto, non avendo proposto appello.
La domanda riconvenzionale, riguardante il risarcimento del danno derivante dall’occupazione dell’immobile da parte del COGNOME, rigettata in primo grado, senza che la statuizione d’appello fosse stata impugnata, è esattamente sovrapponibile alla domanda risarcitoria proposta in questa causa.
1.3. Va, senz’altro data continuità al principio secondo cui non è sufficiente la deduzione circa l’esistenza del giudicato esterno, essendo la parte che lo eccepisce onerata sempre della prova dell’effettivo passaggio in giudicato, da fornire mediante idonea attestazione di cancelleria, anche quando l’altra parte non contesti la circostanza (Cass. nn. 6868/2022, 20974/2018).
1.4. Deve, tuttavia, evidenziarsi che l’esistenza del giudicato costituisce questione che la Corte di cassazione, in quanto giudice del fatto processuale, è tenuta a verificare direttamente, mediante il controllo degli atti processuali, sempre che esso si sia formato dopo il deposito della sentenza impugnata o sia stato dedotto in precedenza dinanzi al giudice del merito (Cass. nn. 26916/2023, 48/2021, 24531/2017, 21170/2016).
Quale ovvia conseguenza di ciò, quando si tratta, come nella specie, di giudicato esterno derivante dalla mancata coltivazione di una sola delle diverse domande, principali o riconvenzionali, proposte in altra sede processuale, la parte non può produrre la copia della sentenza, dalla quale fa derivare il giudicato, con l’attestazione di cancelleria prevista dall’art. 124 disp. attuaz. cod. proc. civ., proprio perché il giudizio presupposto non si è concluso nella sua interezza, poiché soltanto alcune delle domande proposte in primo grado risultano essere state coltivate con le impugnazioni.
Nel caso in esame ciò, come si visto, non è accaduto per il rigetto della domanda riconvenzionale con la quale gli odierni controricorrenti avevano chiesto, nell’altra sede, che l’odierno ricorrente fosse condannato in via riconvenzionale a risarcire il danno procurato occupando l’immobile, avendo costoro fatto divenire irrevocabile la pronuncia di rigetto per acquiescenza.
Con il secondo motivo di ricorso viene denunciata violazione e falsa applicazione degli articoli 948 e 2697 c.c.
La censura attiene plurimi presunti errori di diritto compiuti dalla Corte d’Appello.
Doveva reputarsi errata la qualificazione della domanda dei coniugi COGNOME come azione di restituzione e non di rivendica.
Erroneamente era stata affermata l’invalidità del contratto preliminare di compravendita, che il COGNOME aveva posto a giustificazione della detenzione del bene, perché sottoscritto da uno solo dei comproprietari (NOME COGNOME).
Non corrispondeva a un corretto apprezzamento avere affermato che il trasferimento del possesso era stato rinviato al momento della stipula del definitivo.
Quanto al primo punto la Corte d’Appello avrebbe omesso di considerare che i coniugi COGNOME avevano agito nei confronti
del ricorrente pretendendo la consegna del bene, non in forza di un preesistente rapporto obbligatorio, ma alla luce del diritto di proprietà vantato sull’immobile in virtù del contratto di compravendita del 16 marzo 2006.
La domanda degli attori, pertanto, avrebbe dovuto qualificarsi come azione di rivendica, essendo volta a difendere la proprietà e diretta alla reintegrazione piena ed esclusiva del diritto reale e non già alla manutenzione di un rapporto giuridico obbligatorio. In conseguenza di ciò la Corte locale avrebbe dovuto verificare l’assolvimento dell’onere probatorio (‘probatio diabolica’) in capo agli attori, onere non adempiuto, essendosi costoro limitati a produrre il contratto di compravendita del 16 marzo 2006.
Quanto al resto, la sentenza avrebbe erroneamente ritenuto l’invalidità del contratto obbligatorio sottoscritto solo da uno dei comproprietari. In realtà, il giudice dell’appello non avrebbe fatto corretta applicazione dei principi in tema del preliminare di compravendita di cosa altrui o parzialmente altrui.
Quanto, infine, alla legittimità della detenzione, il COGNOME aveva sostenuto di essere stato immesso dal promittente venditore, non essendo possibile prevedere i tempi necessari per procedere all’atto definitivo. Infatti, tra gli eredi vi era un’incapace e occorreva ottenere la dichiarazione di interdizione e l’autorizzazione alla vendita da parte del giudice tutelare.
Il COGNOME aveva corrisposto in più rate il prezzo convenuto a titolo di caparra confirmatoria, aveva trasferito la propria residenza e il domicilio delle proprie utenze e partecipato alle assemblee condominiali, pagando i relativi oneri.
In definitiva, il giudice dell’appello non aveva, secondo l’assunto, considerato che la relazione con la cosa del promissario acquirente doveva essere intesa come detenzione qualificata,
fondata su un contratto di comodato, funzionalmente collegato a quello preliminare.
2.1 Il motivo è infondato.
2.1.1. Quanto al primo profilo di censura, la qualificazione della domanda spetta al giudice del merito che, conformemente alla giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto domanda di restituzione e non di rivendica quella proposta dai coniugi COGNOME, in quanto il COGNOME non era proprietario né possessore dell’immobile ma mero detentore in base ad un titolo negoziale (comodato asseritamente collegato a un preliminare).
In materia trova applicazione il principio di diritto enunciato da questa Corte, secondo il quale la rilevazione ed interpretazione del contenuto della domanda è attività riservata al giudice di merito ed è sindacabile: a) ove ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; b) qualora comporti un vizio del ragionamento logico decisorio, eventualità in cui, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del “petitum”, potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere prospettato come vizio di nullità processuale ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; c) quando si traduca in un errore che coinvolge la “qualificazione giuridica” dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un “fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo”, ipotesi nella quale la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di “error in judicando”, in base all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., o al vizio di “error facti”, nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n.
5, c.p.c. (Sez. 3, n. 11103, 10/6/2020, Rv. 658078). Evenienze tutte che qui non ricorrono.
È palese che il motivo non prospetta alcuno di tali specifici vizi nel quale sarebbe dovuta incorrere la Corte di Roma.
2.1.2. Sotto altra angolazione deve darsi continuità al principio di diritto di cui appresso.
In tema di difesa della proprietà, l’azione di rivendicazione e quella di restituzione, pur tendendo al medesimo risultato pratico del recupero della materiale disponibilità del bene, hanno natura e presupposti diversi: con la prima, di carattere reale, l’attore assume di essere proprietario del bene e, non essendone in possesso, agisce contro chiunque di fatto ne disponga onde conseguirne nuovamente il possesso, previo riconoscimento del suo diritto di proprietà; con la seconda, di natura personale, l’attore non mira ad ottenere il riconoscimento di tale diritto, del quale non deve, pertanto, fornire la prova, ma solo ad ottenere la riconsegna del bene stesso, e, quindi, può limitarsi alla dimostrazione dell’avvenuta consegna in base ad un titolo e del successivo venir meno di questo per qualsiasi causa, o ad allegare l’insussistenza “ab origine” di qualsiasi titolo.
In tale seconda ipotesi, la difesa del convenuto che pretenda di essere proprietario del bene in contestazione, non è idonea a trasformare in reale l’azione personale proposta nei suoi confronti, atteso che, per un verso, la controversia va decisa con esclusivo riferimento alla pretesa dedotta, per altro, la semplice contestazione del convenuto non costituisce strumento idoneo a determinare l’immutazione, oltre che dell’azione, anche dell’onere della prova incombente sull’attore, imponendogli una prova ben più onerosa – la “probatio diabolica” della rivendica – di quella cui sarebbe tenuto alla stregua dell’azione inizialmente introdotta
(Sez. 2, Sent. n. 4416 del 2007, nello stesso senso più di recente Sez. 2, Sent. n. 795 del 2020; ma già S.U. n. 7305/2014).
2.1.3. Infine, appare avere rilievo decisivo osservare che la diversa qualificazione della domanda dei COGNOME non avrebbe alcun effetto, in quanto rispetto al loro acquisto il COGNOME oppone solo un contratto preliminare stipulato con lui dal COGNOME, dante causa a riguardo del medesimo bene immobile anche degli attori COGNOME. In questi casi, si è spiegato, non è necessario risalire all’acquisto a titolo originario, essendo pacifica tra le parti la proprietà del bene in capo al comune dante causa (Sez. 2 , Sent. n. 694 del 2016).
2.2. Quanto al resto: la domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 cod. civ. è inopponibile ai COGNOME per non essere stata trascritta prima della trascrizione da parte di quest’ultimi del loro titolo di acquisto (atto di compravendita del 16/3/2006).
Con il quarto motivo, che, per ragioni logiche, deve essere esaminato prima del terzo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 cod. proc. civ. e 111 Cost., affermando che la sentenza impugnata aveva erroneamente rigettato la domanda del predetto, con la quale era stata chiesta la restituzione di quanto corrisposto ai COGNOME, in esecuzione della sentenza di primo grado.
Sostiene il ricorrente che la controparte non aveva mai contestato il pagamento da parte del COGNOME. Pertanto il fatto avrebbe dovuto reputarsi provato.
3.1. La censura non supera il vaglio d’ammissibilità.
3.1.1. A fronte dell’assunto dei controricorrenti, i quali a pag. 8 del controricorso affermano che il COGNOME non ha corrisposto quando statuito dal Tribunale a titolo di risarcimento e rimborso spese, il
ricorrente del tutto aspecificamente, sotto il profilo dell’autosufficienza, non individua, né tantomeno riporta i passaggi degli atti processuali d’appello sulla base dei quali possa affermarsi che il fatto del pagamento non era stato contestato.
3.1.2. La violazione, poi, delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (S.U. n. 25573, 12/11/2020, Rv. 659459; conf. Cass. n. 15879/2018).
Conviene a questo punto congiuntamente trattare il terzo motivo del ricorso principale e l’unico motivo del ricorso incidentale, vertendo sulla medesima questione giuridica, sia pure da prospettiva contrapposta.
5.1. Il COGNOME denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e 115 cod. proc. civ., nonché dell’articolo 2697 cod. civ.
Con la censura il ricorrente lamenta che la sentenza aveva reputato sussistere il diritto al risarcimento in assenza di prova del danno, per il solo fatto dell’occupazione dell’immobile.
In ogni caso, viene soggiunto, non avrebbe potuto farsi decorrere il computo da marzo 2006, poiché solo nel novembre del 2008 vi era stata la costituzione nell’altro giudizio con svolgimento della domanda riconvenzionale.
Da quanto immediatamente sopra era derivata, si precisa, violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per mancata corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato.
5.2. I ricorrenti incidentali, a loro volta, denunciano violazione e falsa applicazione, in relazione alla domanda del danno figurativo
non riconosciuto dalla Corte per la parte successiva alla cessazione del contratto di locazione per non essere stato provato il pregiudizio come danno emergente.
La Corte aveva ritenuto provato il danno emergente solo in relazione ai bonifici depositati, invece, anche in relazione a quanto non strettamente provato, avrebbe dovuto riconoscere il cosiddetto danno figurativo da lucro cessante, sulla base proprio della non disponibilità dell’immobile e del suo mancato utilizzo. Il risarcimento del danno da lucro cessante ben può essere ancorato, precisano, a elementi presuntivi semplici, non necessitando di prova specifica. Pertanto, l’entità del pregiudizio poteva senz’altro essere commisurata alla durata dell’occupazione illegittima (Sez. 3, n. 9137 del 2013).
Il terzo motivo del ricorso principale resta assorbito in senso proprio e quello del ricorso incidentale, assorbito in senso improprio.
6.1. Occorre premettere che, assai di recente, in epoca successiva, appunto, all’ordinanza interlocutoria, sono intervenute le Sezioni unite, le quali hanno enunciato, per quel che qui rileva, i principi di diritto che seguono.
(a) In caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, se il danno da perdita subita di cui il proprietario chiede il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato (S.U. n. 22645, 15/11/2022, Rv. 666193 – 02).
(b) In caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da mancato guadagno è lo specifico pregiudizio subito, rappresentato dall’impossibilità di concedere il
bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o di venderlo ad un prezzo più conveniente di quello di mercato (666193 -03).
(c) In tema di risarcimento del danno da occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il proprietario è tenuto ad allegare, quanto al danno emergente, la concreta possibilità di godimento perduta e, quanto al lucro cessante, lo specifico pregiudizio subito (sotto il profilo della perdita di occasioni di vendere o locare il bene a un prezzo o a un canone superiore a quello di mercato), di cui, a fronte della specifica contestazione del convenuto, è chiamato a fornire la prova anche mediante presunzioni o il richiamo alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza; poiché l’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti, l’onere probatorio sorge comunque per i fatti ignoti al danneggiante, ma il criterio di normalità che generalmente presiede, salvo casi specifici, alle ipotesi di mancato esercizio del diritto di godimento, comporta che l’evenienza di tali fatti sia tendenzialmente più ricorrente nelle ipotesi di mancato guadagno (Rv. 666193 -04).
(d) In caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità, andata perduta, di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto, mediante concessione a terzi dietro corrispettivo, restando, invece, non risarcibile il venir meno della mera facoltà di non uso, quale manifestazione del contenuto del diritto sul piano astratto, suscettibile di reintegrazione attraverso la sola tutela reale (Rv. 666193 -01).
La Corte d’appello ha identificato il danno nel pregiudizio emergente derivante dal prezzo di locazione pagato in relazione a contratto di locazione che gli attori avevano dovuto stipulare a causa della mancata disponibilità dell’immobile detenuto illegittimamente dal COGNOME, limitatamente al periodo di durata del suddetto contratto di locazione e limitatamente ai canoni versati di cui avevano fornito prova di pagamento (bonifici), senza tener conto costo d’affitto figurativo, quantomeno quale prova presuntiva di danno, anche per il periodo successivo.
6.2. La decisione in parola si porrebbe in astratto in contrasto con i principi di diritto enunciati dalle S.U. sopra riportati, sia in ordine alla durata del pregiudizio, non dipendente dalla durata della anzidetta locazione, bensì da quella dell’impedimento al godimento dell’immobile, sia in ordine alla quantificazione, da ricollegarsi, in assenza di prova specifica, al danno figurativo da mancato sfruttamento locativo di quest’ultimo bene.
Di conseguenza, il motivo incidentale sarebbe in astratto fondato.
Tuttavia, coperta dal giudicato di rigetto la domanda risarcitoria dei COGNOME, per come si è visto esaminando il primo motivo, il fondamento del motivo incidentale risulterebbe vano, non potendo incidere in favore dei ricorrenti incidentali.
Per le stesse, ma contrapposte ragioni, del terzo motivo principale risulterebbe vano il rigetto, essendo stato accolto il primo motivo principale e affermato, pertanto, sussistere giudicato sul punto.
Poiché non sono necessari ulteriori accertamenti la causa può essere decisa nel merito col rigetto della domanda risarcitoria dei COGNOME.
Tenuto conto del complessivo risultato della causa le spese del grado d’appello e del giudizio di cassazione possono compensarsi per intero.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo del ricorso principale, rigetta il secondo, dichiara assorbito il terzo e dichiara inammissibile il quarto; dichiara assorbito il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione all’accolto motivo e, decidendo nel merito, elimina la condanna al pagamento della somma di € 39.883,59 in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Compensa per intero fra le parti le spese del grado d’appello e del giudizio di cassazione.
Così deciso nella camera di consiglio del 27 febbraio 2024.