Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12206 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12206 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/05/2025
ORDINANZA
sui ricorsi riuniti iscritti:
al n. 16902/2020 R.G., proposto da:
COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrenti –
Oggetto:
società di fatto morte del socio liquidazione quota revocazione ex art. 395, n. 4, c.p.c.
AC -23/04/2025
COGNOME COGNOME in persona del suo procuratore generale NOME COGNOME rappresentato e dife so dall’avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno n. 217/2020, pubblicata il 20 febbraio 2020.
e al n. 30102/2021 R.G. proposto da:
, rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce
NOMECOGNOME NOME COGNOME e NOME al ricorso;
-ricorrenti –
Contro
NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME NOMECOGNOME in qualità di chiamati all’eredità di COGNOME NOME , rappresentati e dife si dall’avv. NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrenti – avverso la sentenza n. 1032/2021 della Corte di appello di Salerno, pubblicata il 12 luglio 2021;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME e i figli NOME e NOME COGNOME premesso di essere eredi di NOME COGNOME deceduto nel 1996, e che il loro dante causa aveva costituito con il fratello NOME COGNOME una società di
fatto denominata RAGIONE_SOCIALE, esponevano che, in seguito alla morte del loro parente, la società si era sciolta senza che il socio superstite avesse liquidato la quota del socio deceduto, e convenivano, dunque, NOME COGNOME innanzi al Tribunale di Salerno, chiedendone la condanna al pagamento della somma dovuta e all’immediata restituzione dei fondi rustici di proprietà di NOME COGNOME e dallo stesso conferiti in godimento alla società. NOME COGNOME si costituiva, eccependo l’infondatezza delle domande, proponendo domanda riconvenzionale avente a oggetto il pagamento della somma di euro 144.349,82, a titolo di ripetizione del 50% di quanto da lui versato per mutui agrari contratti in solido con il fratello NOME, ed eccependo l’incompetenza funzionale del Tribunale in ordine alla domanda di rilascio dei fondi. Con ordinanza ex art. 186quater c.p.c., il Tribunale condannava NOME COGNOME al pagamento della somma di euro 812.232,17, pari al valore della quota del socio defunto, rinviando alla sentenza per la liquidazione delle altre voci. NOME COGNOME rinunciava espressamente alla sentenza e proponeva appello avverso la suddetta ordinanza. La Corte territoriale disponeva la rinnovazione della c.t.u., a seguito della quale, con sentenza n. 386 del 2015, passata in giudicato, determinava in euro 136.968,51 l’indennità dovuta come quota societaria dovuta dal convenuto agli eredi del socio defunto, dichiarando invece la propria incompetenza sulla domanda di rilascio dei fondi rustici e rimettendo la causa alla competente Sezione specializzata agraria. Nel frattempo, NOME COGNOME proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Salerno n. 386/16, nella parte in cui avrebbe omesso di pronunciarsi sulla sua domanda riconvenzionale avente a oggetto il suo diritto di recuperare la metà delle somme pagate per estinguere anche il debito del fratello. Con
sentenza n. 217 del 2020, la Corte territoriale accoglieva il predetto appello e condannava NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento di euro 28.567,00 ciascuno, oltre accessori, in favore di NOME COGNOME, a titolo di pagamento pro quota , quali eredi dell’originario socio della società di fatto ‘RAGIONE_SOCIALE, della relativa partecipazione detenuta al 31 dicembre 2016, epoca in cui era cessata l’attività di impresa , stante il decesso del predetto socio. La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, osservava: a) che la sentenza n. 386 del 2015, resa tra le parti dalla Corte di appello di Salerno, non aveva autorità di cosa giudicata nel presente giudizio, atteso che l’oggetto della presente controversia atteneva al recupero delle somme pagate da NOME COGNOME successivamente al decesso dell’altro socio NOME COGNOME mentre il primo giudizio aveva a oggetto la determinazione del valore della quota dovuta al predetto NOME COGNOME per effetto del riconoscimento della società di fatto costituita con il fratello NOME; b) che l’appello proposto da NOME COGNOME era ammissibile, siccome il termine per la proposizione del gravame decorreva unicamente per effetto della notificazione a tali fini della sentenza impugnanda, dovendo escludersi che tale effetto avessero altre forme di conoscenza del contenuto della decisione, quand’anche provenienti dalla stessa parte onerata dell’impugnazione; c) che l’azione proposta da NOME COGNOME nel presente giudizio andava qualificata come di regresso nei confronti degli eredi del defunto socio NOME COGNOME in relazione a un credito derivante dall’estinzione di debiti societari nei confronti delle banche, di cui il primo aveva fornito ampia prova, con conseguente accoglimento della relativa domanda.
Avverso tale sentenza, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME proponevano ricorso per cassazione e contestualmente proponevano ricorso revocazione avverso la medesima sentenza, per errore di fatto in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello, ponendo in evidenza che la somma di euro 144.349,82, richiesta da NOME COGNOME, era stata già detratta in sede di liquidazione della quota agli eredi, tanto che la minor somma riconosciuta con la sentenza del 2015 era frutto di tale detrazione. Con la sentenza n. 1032 del 12 luglio 2021, la Corte di appello dichiarava inammissibile il ricorso per revocazione, ritenendo che nella specie non poteva configurarsi l’applicabilità dell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., non sussistendo alcun errore di errore di fatto, potendo al più configurarsi un ‘inesatta interpretazione degli esiti della c.t.u. e, in particolare, del significato e della valenza dell’operazione algebrica di sottrazione d a ll’attivo aziendale delle obbligazioni assunte dai germani Pierri per i mutui agrari; né era applicabile l ‘ipotesi di cui al n. 5) dell’art. 395 cod. proc. civ., atteso che la stessa Corte territoriale, con la sentenza n. 217 del 2020, aveva respinto l’eccezione di giudicato in ordine al già avvenuto riconoscimento, in virtù della sentenza del 2015, del credito vantato da NOME COGNOME.
Avverso la sentenza n. 217 del 2020 NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, resistito da NOME COGNOME in persona del suo procuratore generale NOME COGNOME con controricorso.
Avverso la sentenza n. 1032 del 2021 NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, resistito con controricorso da NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME nella qualità di chiamati all’eredità di NOME COGNOME deceduto nelle more dell’impugnazione .
Le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
In via preliminare – anche a seguito delle due ordinanze interlocutorie n. 16162 del 2024 e n. 10882 del 2024 rese da questa Sezione – va disposta la riunione dei due ricorsi, atteso che essi sono logicamente connessi riguardando, rispettivamente, l’impugnazione della sentenza della Corte di appello di Salerno n. 217 del 2020, resa nel giudizio principale pendente tra le parti, e della sentenza della Corte di appello di Salerno n. 1032 del 2021, resa sul ricorso per revocazione della predetta sentenza n. 217 del 2020.
Invero, nella giurisprudenza più recente di questa Corte si ritiene che, qualora pendano contemporaneamente il ricorso per cassazione avverso la sentenza impugnata anche per revocazione e il ricorso per cassazione avverso la sentenza che ha deciso sulla revocazione, occorre disporne la riunione, trattando con priorità il giudizio di impugnazione della sentenza di merito, in quanto il suo eventuale accoglimento incide sulla sentenza oggetto del giudizio revocatorio, il cui sindacato davanti alla Corte diventerebbe privo di interesse (Cass. n. 9592/2024; Cass. n. 21315/2022; Cass. n. 16902/2021; Cass. n. 1078/2024).
Va, quindi, esaminato per primo il ricorso n.r.g. 16902 del 2020 avverso la sentenza n. 217 del 2020, in relazione al quale si osserva.
Il ricorso è affidato a cinque motivi.
P rimo motivo «Violazione dell’art. 2909 cod. civ. ai sensi dell’art. 360 c. 1, n. 3 cod. proc. civ.» , deducendo che la sentenza impugnata si pone in insanabile contrasto con quanto stabilito fra le medesime parti dalla medesima Corte di appello con la sentenza n. 386 del 2015, con la quale è già stata
Cons. est. NOME COGNOME
regolata ogni questione di natura economica esistita tra gli originari soci della società di fatto, ivi compreso il pagamento dei debiti oggetto della presente controversia.
Il motivo è parzialmente fondato, nei limiti e per le ragioni che seguono.
La censura pone la questione dell’opponibilità nel presente giudizio del giudicato formatosi tra le stesse parti in relazione alla sentenza n. 386/2015 della Corte di appello di Salerno.
La questione della sussistenza e dell’opponibilità nel giudizio del giudicato esterno formatosi in un diverso giudizio è rilevabile anche d’ufficio anche in questa fase processuale e legittima in ogni caso questa Corte al controllo diretto degli atti, al fine dello scrutinio della fondatezza di quanto dedotto.
La sentenza n. 386 del 2015, a pagina 16, espressamente menziona tra gli accertamenti compiuti dal consulente tecnico nominato ai fini della determinazione del valore della quota da liquidare agli eredi del socio defunto della società di fatto, anche i debiti per i mutui agrari n. 1454/142 e 1117/140 alla data del 6 novembre 1996. Tanto consente di ritenere che nel giudicato appena rilevato rientrano anche le passività bancarie al momento dello scioglimento della società, in quanto la liquidazione della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società.
Già in via astratta, ovvero a prescindere da quanto in concreto contemplato dal giudicato nel caso di specie, la liquidazione della quota è fatta di diritto sulla base della situazione patrimoniale della società esistente al momento della relativa valutazione dovendo, pertanto, presumersi che nelle passività accertate rientrino tutte le obbligazioni sociali, e nella specie
quindi anche i debiti contratti per finanziare la società attraverso eventuali mutui bancari.
Nella fattispecie, tale presunzione generale è avvalorata dal citato riscontro dell’avvenuta espressa considerazione a tale fine nella c.t.u. dei due mutui agrari contratti dai germani durante l’ attività d’im presa svolta in comune. Deve, pertanto, intendersi, contrariamente a quanto affermato alla Corte di appello nella sentenza n. 217/20 qui impugnata (a pag. 7), che il giudicato sulla determinazione del valore della quota abbia incluso tutte le passività esistenti all’epoca dell o scioglimento. Tuttavia, tanto non esclude totalmente la pretesa fatta valere da NOME COGNOME in via riconvenzionale in primo grado, siccome spettano al predetto il rimborso di eventuali interessi ed ulteriori esborsi, al netto della situazione patrimoniale inclusa nella quota, corrisposti per l’estinzione dei debiti bancari giacché, entro questi limiti, non vi è incompatibilità fra domanda principale e domanda riconvenzionale, che avrebbe comportato l’implicito rigetto della riconvenzionale (Cass. 5423/10); pronunciata l’ordinanza ex 186 -quater , previa separazione delle cause (Cass. 2166/11), il giudizio avrebbe dovuto continuare per la domanda riconvenzionale, come si è detto non assorbibile nella pronuncia sulla domanda principale, non potendosi intendere la rinuncia alla sentenza ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 186 -quater come rinuncia anche alla domanda riconvenzionale (la separazione delle cause doveva evidenziare l’efficacia della rinuncia limitata alla sentenza sulla domanda attorea); il giudizio doveva, quindi, proseguire per la riconvenzionale innanzi al Tribunale, sia pure irregolarmente reinvestito della causa a seguito della restituzione avvenuta con
il giudicato per la domanda di rilascio, ma l’irregolarità (la quale non incide sulla validità del rapporto processuale) non toglie che una controversia innanzi al T ribunale, per effetto dell’implicita separazione di cause, fosse ancora pendente. Tanto comporta che la sentenza impugnata è sul punto errata e che il motivo di ricorso va accolto, dovendo la domanda del NOME COGNOME inerente alla restituzione del 50% delle somme da lui versate anche per conto degli eredi del consocio, essere rivalutata dal giudice del merito nei limiti di quanto sopra dedotto.
Secondo motivo «Violazione degli artt. 2909 cod. civ. e 324 cod. proc. civ., sotto altro profilo, ai sensi dell’art. 360 c. 1, n. 4 cod. proc. civ.» deducendo che la sentenza n. 386 del 2015 della Corte di appello ha definito ogni aspetto della controversia relativa ai rapporti tra NOME COGNOME e gli eredi di NOME COGNOME, con la sola esclusione della domanda di rilascio dei fondi rustici di proprietà di quest’ultimo.
Il motivo resta assorbito dall’ accoglimento del primo motivo del ricorso.
Terzo motivo «Ulteriore violazione dell’art. 2909 cod. civ., in una con nullità della sentenza o del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c. 1, n. 4 cod. proc. civ.» deducendo che la Corte di appello ha errato nel non dichiarare l’improcedibilità dell’appello per tardività, atteso che il termine per impugnare nella specie era iniziato a decorrere dal 5 settembre 2016, epoca nella quale NOME COGNOME costituendosi in giudizio innanzi alla Sezione specializzata agraria del Tribunale di Salerno, aveva inequivocabilmente manifestato la sua conoscenza della sentenza n. 385 del 2016 resa dalla medesima Corte di appello.
Il motivo è infondato. L ‘affermazione della sentenza impugnata inerente alle condizioni per far scattare la legale conoscenza della sentenza impugnanda, ai fini del decorso del relativo termine, sono del tutto conformi all’insegnamento di questa Corte (Sez. 2, Sentenza n. 21625 del 19/09/2017; Sez. 1, Ordinanza n. 27916 del 04/10/2023), che ha osservato come, ai fini della decorrenza del termine breve per proporre impugnazione, la notificazione della sentenza, cui si riferisce l’art. 326 cod. proc. civ., non può essere sostituita da forme di conoscenza equipollenti, quali conoscenza di fatto del provvedimento impugnato, ad esempio derivante dalla notificaz ione dell’impugnazione della sentenza (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 30031 del 21/11/2024), per tale intendendosi anche l’espressa dichiarazione di conoscenza, così come la materiale produzione (a tale ultimo proposito cfr. Sez. U, Sentenza n. 11366 del 31/05/2016) in altro processo della sentenza impugnanda, essendo invece necessaria una conoscenza legale dell’avvenuta pubblicazione della decisione (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 737 del 11/01/2025). Deve, quindi, ritenersi che, ai fini del decorso del termine breve per proporre impugnazione, alla notificazione della decisione su iniziativa di parte va parificata l’attività processuale di colui che avrebbe dovuto essere il destinatario di tale notificazione, dalla quale emerga tuttavia una precisa volontà di “reagire” alla statuizione, solo tale attività essendo idonea, sul piano funzionale, esattamente come la ricezione della notifica, a realizzare una situazione di conoscenza proiettata verso l’esterno (Cass. 18607/21). La mera costituzione in giudizio non realizza la volontà di ‘reagire’ alla statuizione.
Quarto motivo «Violazione o falsa applicazione dell’art. 42 cod. proc. civ. con conseguente nullità della sentenza ex art. 360 c. 1, n. 3 e 4 cod. proc. civ.» deducendo che la sentenza n. 385 del 2016 poteva essere impugnata solo con il regolamento di competenza, non essendosi pronunciata sul merito della controversia, ma esclusivamente in relazione alla competenza per materia della Sezione specializzata agraria.
Il motivo è inammissibile, perché in alcun modo risulta dal contenuto del motivo, o dagli atti allegati al ricorso, che la questione della preclusione dell’impugnazione per la ritenuta necessità di proporre regolamento di competenza sia stata mai sollevata innanzi alla Corte territoriale, che non ne fa infatti cenno alcuno, di talché vieppiù necessaria, ai fini della completezza del motivo di ricorso ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6) e 369, secondo comma, n. 4) cod. proc. civ., era la dimostrazione del come, dove e quando, tale questione è stata introdotta e coltivata nella fase di merito; e tanto perché, richiamato quanto detto sul primo motivo circa la pendenza, mai venuta meno, del giudizio sulla domanda riconvenzionale, l’omessa pronuncia sulla domanda inerente alla competenza specializzata avrebbe dovuto essere impugnata con l’appello.
Quinto motivo «Nullità della sentenza, in una con violazione o falsa applicazione degli artt. 112 cod. proc. civ. nonché 754 e 1299 cod. civ., a tenore dell’art. 360 c. 1, n. 3 e 4 cod. proc. civ.» deducendo che l’avvenuta rinuncia della domanda con cui si domandava l’accertamento dell’inesistenza di alcuna società di fatto, proposta da NOME COGNOME nel giudizio contro il fratello NOME che ha originato la sentenza n. 386 del 2015, ha determinato la novità della domanda
proposta dallo stesso NOME COGNOME nel presente giudizio, incompatibile con la ridetta rinuncia, affetta in ogni caso da un’inammissibile mutatio libelli rispetto all’originaria prospettazione.
La censura è inammissibile poiché introduce una diversa personale interpretazione della domanda formulata nel presente giudizio (azione tra coeredi e applicazione dei principi di parziarietà ex art. 754 cod. civ.), senza in alcun modo previamente dimostrare l’erroneità dell’interpretazione offerta dalla sentenza impugnata, dovendo comunque rilevarsi che la domanda sul punto non può essere qualificata come ‘nuova’ , non essendo mai venuta meno, per quanto detto sopra, la pendenza del giudizio sulla domanda riconvenzionale sicché, per la restante parte, la censura va ritenuta assorbita dal l’annullamento della condanna .
Il ricorso avverso la sentenza di revocazione, per quanto sopra argomentato in relazione alla pregiudizialità logico-giuridica dell’accoglimento del ricorso avverso il merito della sentenza, è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse (Cass. 23780/23), dovendosi disporre all’uopo, alla luce di quanto appena rilevato , l’ integrale compensazione tra le parti delle relative spese di lite inerenti alla presente fase del processo e dovendosi dichiarare, stante il tenore della decisione, l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato .
La sentenza va, dunque, cassata e le parti rinviate alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione, che provvederà a rinnovare il giudizio secondo i principi sopra esposti e a regolare le spese della presente fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte dispone la riunione del ricorso rubricato al n.r.g. 30102/21 al ricorso rubricato al n.r.g. 16902/20; in relazione al ricorso n.r.g. 16902/20, accoglie parzialmente, nei sensi di cui in motivazione, il primo motivo, dichiara assorbito il secondo motivo, dichiara infondato il terzo motivo, dichiara inammissibili il quarto e il quinto motivo; dichiara inammissibile il ricorso rubricato al n.r.g. 30102/21, dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di lite inerenti alla presente fase del process o in relazione a quest’ultimo ricorso e dichiara insussistenti i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato;
cassa la sentenza della Corte di appello di Salerno n. 217/2020, pubblicata il 20 febbraio 2020, e rinvia le parti, in relazione al motivo accolto, innanzi alla Corte di appello di Salerno, in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese della presente fase di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 aprile 2025.