Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33872 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33872 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 4998/2022 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e notifiche all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato .
-ricorrente –
contro
Azienda Sanitaria Locale Salerno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME , dall’Avv. NOME COGNOME, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura
speciale a margine del controricorso, i quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni presso gli indirizzi di posta elettronica certificata indicati
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno n. 907/2021, depositata in data 21/6/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/12 /2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con ricorso per decreto ingiuntivo, depositato il 13/3/2008, la società RAGIONE_SOCIALE deduceva che aveva prestato la propria attività in qualità di «soggetto accreditato» vantando un credito pari al 30% a saldo ancora dovutole per le fatture n. 3010 e n. 3011 del 7/12/2007, emesse per le prestazioni sanitarie da essa erogate in favore degli assistiti nel mese di novembre 2007.
Il tribunale di Salerno emetteva decreto ingiuntivo n. 1525 del 2008, in data 27/2/2008, ingiungendo alla Asl il pagamento della somma richiesta pari ad euro 5536,58.
Proponeva opposizione la Asl con atto di citazione notificato l’8/5/2008, eccependo, per quel che ancora qui rileva, l’infondatezza della pretesa per l’avvenuto sforamento del tetto di spesa fissato per l’anno 2007.
Con la sentenza n. 3073 del 2015, il tribunale di Salerno accoglieva l’opposizione «sull’assunto della mancanza di un accordo negoziale, che le parti avrebbero dovuto produrre in forma scritta ai sensi dell’art. 8quinquies d.lgs. n. 502/1992, e sulla considerazione dell’omessa prova che il credito ingiunto non fosse maturato ‘extra budget ‘ come eccepito da parte dell’Asl opponente».
La società impugnava la sentenza dinanzi alla Corte d’appello, producendo copia del contratto scritto.
Con la comparsa conclusionale, poi, l’appellante rilevava che sui fatti di causa si era ormai formato il giudicato esterno derivante dalla sentenza del tribunale di Salerno n. 3516 del 2015, «emessa per le stesse vicende all’esame del procedimento in corso», nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dalla società «per il pagamento dell’acconto delle stesse fatture oggetto del giudizio», provvedendo a depositare «la sentenza n. 3516/2015 del tribunale di Salerno con relativo certificato della cancelleria del tribunale reso ai sensi dell’art. 124 disp. att. c.p.c. quale prova del giudicato, oltre alla copia conforme del decreto ingiuntivo sulla quale la stessa era stata resa».
La Corte d’appello di Salerno rigettava il gravame soffermandosi sulla «ragione più liquida» e dunque sulla «mancanza di contratto, posta già in evidenza dal primo giudice, anche se non quale motivo esclusivo della decisione».
La Corte territoriale aggiungeva che il sistema normativo, di cui era espressione art. 8quinquies del d.lgs. n. 502 del 1992, escludeva che le regioni potessero farsi carico dell’erogazione di prestazioni sanitarie «in assenza di un provvedimento amministrativo che riconosca alla struttura la qualità di soggetto accreditato ed al di fuori di singoli e specifici rapporti contrattuali».
Erano indispensabili, allora, ai fini della contrattazione in materia sanitaria, da un lato il provvedimento amministrativo di accreditamento, e dall’altro il contratto scritto.
Il rapporto negoziale del RAGIONE_SOCIALE non era «sostenuto, per il periodo qui di interesse, da un valido contratto con la Asl, né essendo sufficiente la non contestazione dell’accreditamento provvisorio della struttura, esulando la questione dell’operatività dell’art. 115 c.p.c.».
Non conduceva ad una soluzione difforme «il precedente costituito dalla sentenza n. 3516/2015, pubblicata il 4/8/2015, con la quale il tribunale di Salerno ha accertato il credito della struttura di euro 12.918,69, oltre accessori, corrispondente al 70% dei compensi dovuti per prestazioni sanitarie erogate per il mese di novembre 2007».
Non sarebbe stata sufficiente ad accertare il passaggio in giudicato della sentenza l’attestazione di cancelleria del 14/9/2019 «che, riponendo alla ‘dichiarazione di parte’ la mancata proposizione di ricorso in cassazione, e di revocazione ‘per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell’art. 395 c.p.c.’, non può costituire la prova certa dell’effettivo passaggio in giudicato della decisione».
Era necessario, invece, il «relativo attestato di cancelleria».
Nella specie, l’attestazione di cancelleria non poteva dirsi «sufficiente ai fini della valutazione della effettiva efficacia di giudicato della sentenza, ai sensi dell’art. 324 c.p.c.».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE
Ha resistito con controricorso la Asl Salerno.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 5, per aver omesso di considerare tra la documentazione prodotta e depositata dalla parte appellante il contratto stipulato e sottoscritto tra le parti e, quindi, avendo deciso la sentenza sull’errata supposizione della sua assenza».
La Corte territoriale avrebbe del tutto omesso di considerare che in atti «era stato prodotto con la proposizione dell’appello il documento indicato relativo proprio all’accordo sottoscritto».
Il contratto poteva, peraltro, essere prodotto con l’appello, non trovando applicazione l’art. 345 c.p.c., nel testo modificato dal decreto-legge n. 83 del 2012, che impediva la produzione di nuovi documenti in appello, anche se indispensabili, «stante l’introduzione della lite con atto di opposizione notificato in data 8 maggio 2008».
Il contratto, anche se mancante in primo grado, era stato però depositato con l’atto d’appello.
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, in riferimento alla falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., nel testo applicabile al caso di specie ratione temporis , per avere omesso di considerare la prova documentale depositata in grado di appello, consistente nel contratto stipulato e sottoscritto tra le parti, ritenuto qualificante ai fini della decisione con la errata supposizione della sua assenza».
In ordine alla copia del contratto depositata in atti, con la proposizione dell’appello, nella sentenza impugnata non v’era alcuno specifico riferimento.
La decisione, dunque, era stata assunta in violazione dell’art. 345 c.p.c. nel testo anteriore alla riforma di cui al decreto-legge n. 83 del 2012.
Tra l’altro, all’esistenza del contratto faceva riferimento anche la Asl nell’atto di opposizione al decreto ingiuntivo, indicandone «l’avvenuta sottoscrizione entro il 31/5/2007»; sicché il deposito del contratto in appello era avvenuto esclusivamente «al fine di fugare ogni dubbio sull’esistenza dello stesso accordo contrattuale».
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione alla falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., per avere ritenuto non idonea la certificazione di cancelleria resa
ai sensi dell’art. 124 disp. att. c.p.c. a provare il passaggio in giudicato della sentenza del tribunale di Salerno n. 3516/2015».
In particolare, la ricorrente evidenzia che sui fatti oggetto di causa si era ormai formato il giudicato esterno di cui alla sentenza n. 3516 del 2015, con la quale il tribunale di Salerno aveva deciso in ordine al credito azionato dalla creditrice nei confronti della Asl, «in ragione del dovuto acconto pari al 70% sulle stesse prestazioni e, quindi, sulle stesse fatture separatamente azionate con il decreto ingiuntivo oggetto del presente giudizio per il pagamento del saldo pari al 30%».
La certificazione di cancelleria – ad avviso della ricorrente – era idonea all’attribuzione della formazione del giudicato, in quanto nella stessa si leggeva « A prova del passaggio in giudicato della sentenza n. 3516/15 del tribunale di Salerno certifica ai sensi dell’art. 124 disp. att. c.p.c., che non è stato proposto nei termini di legge appello o ricorso per cassazione ».
Tale documentazione, dunque, di provenienza da parte di un pubblico ufficiale, non poteva essere «oggetto di una valutazione diversa da quanto in essa stessa certificato».
La Corte d’appello avrebbe così dato una «parziale lettura del contenuto del documento», sintomatica della erroneità valutativa effettuata.
Infatti, nella parte iniziale della certificazione si leggeva – a confutazione del fatto che si trattasse di una mera dichiarazione di parte – «visto il certificato della Corte di appello di Salerno di non proposto appello».
Non era, dunque, una mera dichiarazione di parte, ma una attestazione a fronte della certificazione della Corte d’appello di Salerno di non proposto appello, sicché il funzionario di cancelleria aveva «regolarmente effettuato tutti i dovuti controlli che si
presumono nell’atto medesimo», il cui contenuto non poteva essere soggetto a diversa interpretazione.
Vi sarebbe stata «violazione del disposto in tema della libera interpretazione delle prove come stabilito dall’art. 116 c.p.c. e lesiva dell’art. 2697 c.c., in quanto con la produzione della certificazione rilasciata ai sensi dell’art. 124 disp. att. c.p.c. andava considerato assolto l’onere a carico dell’appellante circa l’avvenuto passaggio in giudicato del provvedimento e conseguentemente andava considerato ai fini della decisione».
Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la «violazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione alla falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., conseguente alla falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. per avere ritenuto non idonea la certificazione di cancelleria resa ai sensi dell’art. 124 disp. att. c.p.c. a provare il passaggio in giudicato della sentenza del tribunale di Salerno n. 3516/2015, deducendosi il mancato rispetto dei principi in tema di giudicato formale e sostanziale rispetto alle circostanze di fatto e di diritto consacrate dal passaggio in giudicato del provvedimento reso sugli stessi fatti di causa».
La ricorrente rileva che nel corso del giudizio d’appello aveva rappresentato che sui fatti di causa si era ormai formato il giudicato esterno di cui alla sentenza del tribunale di Salerno n. 3516 del 2015, che aveva deciso «sul credito azionato dal creditore nei confronti del medesimo debitore Asl in ragione del dovuto acconto di euro 12.918,69 pari al 70% sulle prestazioni del mese di novembre 2007».
L’appellante aveva quindi prodotto in sede di gravame la copia conforme della sentenza n. 3516 del 2015 del tribunale di Salerno con la relativa certificazione della cancelleria.
La società aveva anche prodotto il decreto ingiuntivo n. 757/2008 sulla cui opposizione era stata pronunciata la citata sentenza n. 3516 del 2015 del tribunale di Salerno passata in giudicato.
Si legge nei «motivi in fatto e in diritto della decisione», che il «presidente delegato del tribunale di Salerno, ingiungeva alla Asl SA 2, in persona del legale rappresentante pro tempore, di pagare in favore del RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 12.918,69 per il pagamento del 70% delle prestazioni erogate in regime di accreditamento per il mese di novembre 2007, in virtù delle fatture di cui in ricorso».
Si tratta proprio delle fatture 3010 e 3011 del 7/12/2007, ossia «le stesse azionate col decreto ingiuntivo oggetto del presente giudizio per il pagamento a saldo del 30%».
Ciò si ricava, non solo dal riferimento allo stesso mese di novembre 2007, ma anche, «in quanto deducibile, dalla copia del decreto ingiuntivo n. 757/08 sulla cui opposizione si è pronunciato il tribunale con la sentenza n. 3516/2015 passata in giudicato».
I due decreti ingiuntivi, dunque, erano «perfettamente coincidenti nei presupposti logici e giuridici» e addirittura «sarebbero sovrapponibili in quanto promossi sulle stesse fatture emesse per le prestazioni erogate nel mese di novembre 2007, differenziandosi unicamente per il termine di adempimento dell’acconto (D.I. 757/08) rispetto al termine di pagamento per il saldo (decreto ingiuntivo opposto)».
Nella sentenza del tribunale di Salerno n. 3516 del 2015, inoltre, si chiariva che la Asl non aveva dimostrato il superamento dei tetti di spesa, con riferimento alle prestazioni erogate nel novembre 2007.
I motivi terzo e quarto, che – per ragioni logiche e giuridiche – vanno decisi preliminarmente, oltre che congiuntamente, per strette ragioni di connessione, sono invece fondati.
5.1. In sostanza, le medesime fatture, di cui ai numeri 3010 e 3011 del 7/12/2007, relative alle prestazioni sanitarie espletate dal Centro Salus nel mese di novembre 2007, sono state utilizzate dalla società, sia per il pagamento dell’acconto, pari al 70% dell’importo previsto (nell’altro giudizio), sia per il pagamento del saldo, pari al 30% dell’importo (in questo giudizio).
Nella controversia in esame la richiesta di pagamento attiene al 30% a saldo ancora dovuto alla società per la somma di euro 5536,58, mentre nell’altro giudizio, definito con la sentenza del tribunale di Salerno n. 3516 del 2015, la richiesta di pagamento era relativa al 70% dell’acconto, sempre per il mese di novembre 2007, per l’importo di euro 12.918,69.
La Corte d’appello ha ritenuto insussistente il giudicato esterno, in quanto non idonea la certificazione rilasciata dal funzionario di cancelleria presso il tribunale di Salerno ai sensi dell’art. 124, disposizioni di attuazione c.p.c.
Ad avviso della Corte territoriale, dunque, non sarebbe idonea da certificazione relativa all’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza n. 3516 del 2015 del tribunale di Salerno, trattandosi di «dichiarazione di parte» in ordine alla «mancata proposizione di ricorso in cassazione e di revocazione ‘per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell’art. 395 c.p.c.’», non potendo così «costituire la prova certa dell’effettivo passaggio in giudicato della decisione».
Mancherebbe, allora, il «relativo attestato di cancelleria», in quanto quello prodotto in giudizio «non può dirsi sufficiente ai fini della valutazione dell’effettiva efficacia di giudicato della sentenza, ai sensi dell’art. 324 c.p.c.».
7. Tuttavia, deve rilevarsi che per questa Corte la parte che eccepisce il giudicato esterno ha l’onere di fornirne la prova, non soltanto producendo la sentenza emessa in altro procedimento, ma anche corredandola della idonea certificazione ex art. 124 disp. att. c.p.c., dalla quale risulti che la stessa non è soggetta ad impugnazione, non potendosi ritenere che la mancata contestazione di controparte sull’affermato passaggio in giudicato significhi ammissione della circostanza, né che sia onere della controparte medesima dimostrare l’impugnabilità della sentenza (Cass., sez. 1, 2/3/2022, n. 6868; Cass., sez. 3, 23/8/2018, n. 20974; Cass., sez. 6-5, 18/4/2017, n. 9746). L’esonero dalla prova per la parte che eccepisce il passaggio in giudicato si ha soltanto nel caso in cui la controparte ammetta esplicitamente l’intervenuta formazione del giudicato esterno (Cass., sez. 3, 28/12/2023, n. 36258).
8. La ricorrente, in aderenza al principio di autosufficienza (Cass., sez. 5, 11/2/2015, n. 2617; Cass., sez. 2, 23/6/2017, n. 15737), ha riportato l’intero contenuto dell’attestazione di cancelleria del tribunale di Salerno ove si legge che «visto il certificato della Corte di Appello di Salerno di non proposto appello A prova del passaggio in giudicato della sentenza n. 3516/15 del tribunale di Salerno certifica ai sensi dell’art. 124 disp. att. c.p.c., che non è stato proposto nei termini di legge appello o ricorso per cassazione, né istanza di revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell’art. 395 c.p.c., né impugnazione nel termine previsto dagli articoli nn. 325 c.p.c. e 327 c.p.c.».
Non v’è dubbio, dunque, che trattasi proprio della certificazione di cui all’art. 124 disp. att. c.p.c. il quale prevede che «a prova del passaggio in giudicato della sentenza il cancelliere certifica, in calce alla copia contenente la relazione di notificazione, che non è stato proposto nei termini di legge appello o ricorso per cassazione, né
istanza di revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell’art. 395 del Codice. Ugualmente il cancelliere certifica in calce alla copia della sentenza che non è stata proposta impugnazione nel termine previsto dall’art. 327 del Codice».
Sempre in ossequio al principio di autosufficienza il ricorrente ha anche riportato sia il contenuto del decreto ingiuntivo n. 757 del 2008 relativo alla richiesta di pagamento dell’acconto relativo alle fatture di cui ai numeri 3010 e 3011 del 7/12/2007, pari al 70% dell’importo relativo alle prestazioni del novembre 2007, sia parte della motivazione della sentenza n. 3516 del 2015 del tribunale di Salerno che ha rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta all’altra.
Con riferimento al decreto ingiuntivo n. 757 del 2008, ritualmente trascritto, per come riportato nella sentenza n. 3516 del 2015 del tribunale di Salerno. Si legge «nella causa civile in I° grado iscritta al ruolo il 31/3/2008 al n. 3413/08 RG, avente ad oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo n. 757/08 emesso dal presidente delegato del tribunale di Salerno tra Asl Salerno/2 -opponente – e RAGIONE_SOCIALE», sicché si fa espressa menzione sia del decreto ingiuntivo emesso per le somme dovute in acconto, pari a 70%, sia del relativo giudizio di opposizione.
Si aggiunge, nella sentenza n. 757 del 2015 che «con decreto notificato in data 11 2008, il presidente delegato del tribunale di Salerno, ingiungeva la Asl SA 2, in persona del legale rappresentante pro tempore, di pagare in favore del RAGIONE_SOCIALE la somma di euro 12.918,69 per il pagamento del 70% delle prestazioni erogate in regime di accreditamento per il mese di novembre 2007, in virtù delle fatture di cui il ricorso».
Pertanto, le fatture oggetto della sentenza n. 3516 del 2015 sono proprio le fatture numeri 3010 e 3011 del 7/12/2007 «ovvero le
stesse azionate con la decreto ingiuntivo oggetto del presente giudizio per il pagamento a saldo del 30%».
La sentenza del tribunale di Salerno n. 3516 del 2015 precisa che la Asl non aveva fornito la prova del superamento dei tetti di spesa, pur essendo state pacificamente effettuate le prestazioni per il novembre 2007.
Pertanto, anche se la sentenza del tribunale di Salerno n. 3516 del 2015 ha revocato il decreto ingiuntivo opposto, tuttavia ha comunque condannato la Asl Salerno al pagamento dell’intero importo ingiunto determinando unicamente una differente decorrenza degli interessi sulla somma dovuta.
Se dunque, il credito pari al 70% dell’importo spettante alla RAGIONE_SOCIALE è stato reputato fondato, sulla base delle medesime fatture, con riferimento all’acconto relativo alle prestazioni del novembre 2007, tale giudicato non può non spiegare i propri effetti anche nel giudizio in esame, relativo alle medesime fatture, anche se rapportate al saldo del 30%, sempre in relazione alle prestazioni effettuate nel novembre 2007.
Pertanto, si è ormai formato il giudicato in ordine alla sussistenza dell’accreditamento, del contratto scritto e del mancato superamento del tetto di spesa con riferimento all’anno 2007.
Trova, dunque, applicazione del principio giurisprudenziale per cui qualora due giudizi tra le stesse parti si riferiscano al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto accertato e risolto, senza che, ai fini della formazione del giudicato esterno sullo stesso,
sia necessaria una domanda di parte volta ad ottenere la decisione di una questione pregiudiziale con efficacia di giudicato, atteso che la previsione dell’art. 34 c.p.c. si riferisce alla sola pregiudizialità in senso tecnico e non già a quella in senso logico giuridico (Cass., sez. L, 29/12/2021, n. 41895; Cass., sez. 2, 3/1/2020, n. 16; Cass., sez. 3, 26/2/2019, n. 5486).
Restano assorbiti i motivi primo e secondo di ricorso.
La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
accoglie i motivi terzo e quarto di ricorso; dichiara assorbiti i motivi primo e secondo; cassa la sentenza impugnata, in ordine motivi accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 dicembre