Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27823 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1   Num. 27823  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso  24296/2021 proposto da:
INDIRIZZO IN ROMA, in persona del legale rappres. p.t., rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO , per procura speciale in atti;
-ricorrente-
-contro-
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappres. p.t., rappres. e difesa dall’AVV_NOTAIO, per procura speciale in atti;
-controricorrente-
avverso la  sentenza  della  Corte  di  Appello  di  RAGIONE_SOCIALE,  n.  1881/2021, pubblicata in data 11.03.2021;
udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  camera  di  consiglio  del 18.09.2025 dal Cons. rel., AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Il condominio di INDIRIZZO RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio il RAGIONE_SOCIALE (poi RAGIONE_SOCIALE), opponendosi all’avviso di pagamento n. 0205110084/2006 per l a somma di € 10.271,00 (inclusi penale, interessi e spese di notifica), richiesta a titolo di canone per l’occupazione permane nte di spazi e aree pubbliche (c osap) per l’anno 2005, in relazione alle griglie e intercapedini ubicate in INDIRIZZO, INDIRIZZO e INDIRIZZO, intorno al perimetro dell’edificio condominiale .
Il  Tribunale  di  RAGIONE_SOCIALE,  con  sentenza  pubblicata  il  7.5.2010,  accoglieva l’opposizione,  dichiarando  non  dovuto  il  canone  in  questione ,  istituito dall’art. 63  del D.lgs.  n.  447/1996 , in assenza  di una  specifica concessione prevista dal regolamento cosap, approvato con la deliberazione comunale n. 339/1998, e della richiesta dell’indennizzo per occupazione senza titolo di cui all’art. 14 del citato r egolamento.
La Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 5610/2016 pubblicata il 27.9.2016, rigettata l’eccezione di giudicato sollevata dall’opponente , respingeva l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, confermando la pronuncia impugnata, con motivazione in parte diversa, osservando che: all’utilizzazione particolare (o eccezionale) che ne trae tema di indagine non poteva essere circoscritto il canone in questione era dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione va il singolo; il all’esistenza o meno di un atto formale di concessione, dovendo in concreto esaminarsi se vi
fosse stata o meno in concreto una occupazione di suolo pubblico; sulla base dei principi affermati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 1611/2007 era da escludere la sussistenza del presupposto dell’obbligazione, costituito dall’occupazione sul suolo pubblico, in quanto le griglie e le intercapedini erano state realizzate contestualmente alla costruzione dell’edificio in virtù di licenza edilizia (come desumibile da c.t.u. espletata tra le stesse parti in altro giudizio, prodotta dal condominio appellato), senza che risultassero occupazione abusive di area comunale o cessione della proprietà dell’area perimetrale al RAGIONE_SOCIALE ; l’appellante RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non aveva fornito la prova della natura pubblica dell’area occupata da griglie e intercapedini.
Avverso questa pronuncia proponeva ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, accolto dalla Suprema Corte, con sentenza n. 29447/2018 depositata il 15.11.2018, fissando i seguenti principi di diritto: il richiamo alla pronuncia n. 1611/2007 non è conferente, stante la diversità della fattispecie in esame da quella esaminata in quella pronuncia (pagamento del Cosap in favore di RAGIONE_SOCIALE che abbia acquistato l’area circostante il perimetro di un fabbricato); il principio enunciato nella sentenza delle Sezioni Unite (rectius, sezione tributaria) della Corte di Cassazione n. 18037/2009 (e ribadito nella più recente Cass. ord. n. 10733/2018) implica la debenza del canone in questione nelle ipotesi non solo di abusiva occupazione di suolo pubblico, ma pure di collocazione di griglie o intercapedini insistenti su parte di suolo in ogni caso assoggettata a pubblico passaggio. In altre parole la concessione presunta a favore della RAGIONE_SOCIALE comporta la debenza del canone sia a fronte di una occupazione abusiva di suolo già pubblico, che in dipendenza di una occupazione di suolo comunque divenuto pubblico ancorché già costituente area perimetrale condominiale; nella concreta fattispecie in esame la sentenza
gravata, eludendo il dictum e le conseguenze del principio sancito dalla riportata decisione n. 18037/2009, ha fatto discendere direttamente dall’atto di cessione intercorso fra Condominio e RAGIONE_SOCIALE l’esclusione del trasferimento dell’area perimetrale condo miniale al RAGIONE_SOCIALE, nel mentre quella area, ove utilizzata per pubblico passaggio, comportava comunque -alla stregua del principio stesso -la debenza del canone; in altre parole, l’obbligo di pagamento del canone sussiste sia nel caso di concessione, anche presunta, per occupazione abusiva, che nella diversa ipotesi di uso collettivo del suolo; tali profili peculiari del canone in questione comportavano, proprio ai sensi della citata decisione n. 18037/2009, la connotazione del medesimo canone ‘in relazione all’utilizzazione particolare (o eccezionale) che ne trae il singolo’; nella concreta fattispecie è mancata la valutazione del carattere di detta utilizzazione inerente un bene comunque gravato da un uso pubblico .
La causa era dunque rinviata ad altra sezione della Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE.
Il  processo  veniva tempestivamente  riassunto,  ai  sensi  dell’art.  392 c.p.c., da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che chiedeva di accertare, sulla base dei principi suddetti, la legittimità della pretesa creditoria di cui al suddetto avviso di pagamento  nei  confronti  del  condominio  opponente e,  per  l’effetto, condannarlo al relativo pagamento, oltre interessi e spese di tutti i gradi del giudizio.
Si  costituiva  il  c ondominio, eccependo l’inammissibilità dell’appello per mancanza dei requisiti di cui all’art. 342, comma 2, c.p.c. e per manifesta infondatezza ex art.  348 bis c.p.c.  sollevando  al tresì  l’eccezione  di giudicato fondata su numerose pronunce emesse tra le parti in relazione a  diverse  annualità  del  cosap;  nel  merito,  contestava  la  fondatezza
dell’appello,  chiedendone  il  rigetto,  con  conseguente  conferma  della sentenza appellata.
Co n sentenza dell’11.3.2021 la Corte territoriale accoglieva l’appello del RAGIONE_SOCIALE– dichiarando sussistente il diritto al pagamento oggetto dell’avviso impugnato -osservando che: l’eccezione di giudicato andava disattesa; al riguardo, costituiva ius receptum che il principio processuale della rilevabilità del giudicato (sia interno che esterno) in ogni stato e grado del giudizio, doveva essere coordinato con i principi, parimenti processuali, che disciplinano il giudizio di rinvio e, segnatamente, con la prospettata efficacia preclusiva della sentenza di cassazione con rinvio, che riguarda non solo le questioni dedotte dalle parti o rilevate d’ufficio dal giudice -nel giudizio di legittimità -ma anche le questioni che costituiscano il necessario presupposto della sentenza, ancorché non siano state dedotte o rilevate in quel giudizio; ne conseguiva che il giudice di rinvio non poteva prendere in esame neanche la questione concernente l’esistenza di un giudicato esterno o interno, ove l’esistenza dello stesso giudicato -pur potendo essere allegata o rilevata -risultava tuttavia esclusa, quantomeno implicitamente, dalla sentenza di cassazione con rinvio ; nella specie, l’eccezione di giudica to era stata già sollevata dal condominio di INDIRIZZO, vuoi nel giudizio di appello (all’udienza di precisazione delle conclusioni del 23.3.2016 era stata depositata la sentenza n. 4374/2009 e la Corte di Appello aveva espressamente respinto l’eccezione), sia nel giudizio di legittimità (alla memoria ex art. 378 c.p.c. era stata allegata la sentenza n. 18635/2016); appariva chiaro, pertanto, alla stregua dei principi affermati nella sentenza rescindente, che l’implicita esclusione dell’esistenza del giudicato esterno da parte della Corte di Cassazione, la quale nulla aveva affermato sul punto, pronunciando solo sulla questione della debenza o
meno del canone, impediva alla stessa Corte d’appello di procedere , quale giudice di rinvio, al chiesto accertamento; affermata chiaramente dalla Suprema Corte la natura dell’area in questione come di ‘bene comunque gravato da un uso pubblico’ e rimessa al giudice del rinvio la sola valutazione, omessa dal giudice di app ello, del carattere dell’utilizzaz ione particolare di tale bene da parte del condominio , dovevano ritenersi sussistenti i presupposti per l’applicazione del Cosap, avendo parte appellata utilizzato di fatto tale area, destinata ad un uso collettivo, mediante griglie e intercapedini realizzate lungo il perimetro dell’edificio al fine di migliorare il godimento dei locali sottostanti al suolo;
Il condominio ricorre in cassazione, avverso la suddetta sentenza, con sei motivi, illustrati da memoria.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia l ‘erronea decisione della Corte d’appello sull’eccezione di giudicato, fondata su varie sentenze che avevano accolto la domanda di annullamento di alcune richieste di pagamento del cosap per griglie ed intercapedini relative a diverse annualità, facendo così proprie le ragioni del condominio e condannando il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE alla rifusione delle spese di lite; dette sentenze erano state tutte notificate e non impugnate dallo stesso ente, passando pertanto in giudicato.
Il secondo motivo denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 384 e  394  c.p.c., dell’art.  2909  c.c., in  combinato  disposto  con  l’art.  32 4 c.p.c., e del l’ar t. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per aver la Corte d’appello ritenuto che la Cassazione avesse implicitamente escluso l’esi stenza del giudicato esterno, non statuendo sul punto, pronunciandosi soltanto sulla questione della debenza o meno
del canone, ciò che avrebbe impedito al giudice del rinvio di accertare l’eccepito giudicato.
Il ricorrente lamenta dunque che: l a Corte d’Appello, con l’impugnata sentenza, avrebbe in pratica riconosciuto il passaggio in giudicato delle citate sentenze, ma decidendo di non considerare l’accertamento in esse compiuto, ritenendo di doversene discostare per l’ ‘efficacia preclusiva della sentenza di cassazione con rinvio’, nonostante, nel caso della sentenza della Corte di Appello di RAGIONE_SOCIALE n. 55/2020 (all. 4-c) e della confermata sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE n. 13956/2014, si trattasse di giudicato formatosi successivamente alla pronuncia di Cassazione; inoltre, sempre successivamente alla pronuncia della Cassazione che aveva disposto il rinvio, era intervenuta anche una ulteriore pronuncia della Suprema Corte, ossia l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 5573/21 depositata in data 01/03/2021, che aveva confermato la sentenza n. 2057/19 della Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE .
Il terzo motivo denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 384 e 394 c.p.c. , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., sull’uniformità al principio di diritto enunciato dalla Cassazione, nonché omessa verifica e valutazione dell’uso dell’area in questione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per aver il giudice del rinvio erroneamente affermato che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 29447/2018, aveva dichiarato ‘ la natura dell’area in questione come di ‘bene comunque gr avato da un uso pubblico’ ‘, mentre avrebbe dovuto accertare, in conformità della stessa sentenza, se l’area in questione fosse effettivamente utilizzata per pubblico passaggio o comunque gravata da un uso pubblico e valutare il carattere di tale utilizzazione.
Il quarto motivo denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonché dell’art. 63 del d.lgs n. 446/97 in combinato disposto con
l’art. 1 del regolamento del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE istitutivo del canone per l’occupazione degli spazi e delle aree pubbliche comunali, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per aver la Corte d’appello affermato che il c ondominio avrebbe di fatto utilizzato l’area in questione, destinata ad uso collettivo, omettendo però di considerare che era mancata del tutto la prova di entrambe tali circostanze, ossia di un’area demaniale o di una servitù di pubblico passaggio costituita nei modi e termini di legge (così come testualmente previsto dall’art. 63 del D.l gs. 446/97).
Il ricorrente rileva altresì che: anche ove fosse provato che l’area de qua era  gravata  da  tale  servitù,  sarebbe  stato  rilevante  il prius temporale della realizzazione delle griglie e delle intercapedini, appunto previste sin dal progetto di costruzione dell’edificio condominiale, prima addirittu ra della costruzione della via, come anche desumibile da una c.t.u. redatta in un giudizio tra le stesse parti.
Il quinto motivo denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 63 del d.lgs n. 446/97 in combinato disposto con l’art. 1 del regolamento del C omune di RAGIONE_SOCIALE istitutivo del canone per l’occupazione degli spazi e delle aree pubbliche comunali, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., nonché nullità della sentenza e violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sull’eccezione di mancata sottrazione all’uso pubblico, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per aver la Corte d’appello implicitamente ritenuto irrilevante la circostanza che le griglie e le intercapedini fossero state realizzate su area privata contestualmente alla costruzione dell`edificio condominiale in conformità della relativa licenza edilizia rilasciata dal RAGIONE_SOCIALE, prima dell’eventuale imposizione di una servitù pubblica di passaggio.
Il sesto motivo denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 del c.p.c., dell’art. 5 del d.m. n. 127/2004, dell’art . 4 del d.m. 55/201,
in relazione all’art. 360, comma  1, n. 3 c.p.c., sulla mancata compensazione  delle  spese  di  lite  o  diminuzione  dei  valori  medi  dei parametri,  per  non  aver il  giudice  d’appello tenuto  conto  delle  varie decisioni favorevoli al condominio sulla questione in esame.
Il primo e secondo motivo, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono fondati.
ll condominio ricorrente aveva sollevato l’eccezione di giudicato nel primo giudizio di appello, ed ivi respinta, ed era stata poi allegata nel successivo giudizio di legittimità, ma non discussa dalla Corte di Cassazione che, statuendo sulla debenza del canone, aveva implicitamente escluso l’ esistenza del giudicato esterno , in applicazione dell’orientamento a tenore del quale, in tema di giudizio di rinvio, la rilevabilità del giudicato, interno ed esterno, in ogni stato e grado del processo, va coordinata con i principi che disciplinano quel giudizio, e, segnatamente, con la prospettata efficacia preclusiva della sentenza di cassazione con rinvio, che riguarda non solo le questioni dedotte dalle parti o rilevate d’ufficio nel procedimento di legittimità, ma, anche, quelle che costituiscono il necessario presupposto della sentenza stessa, ancorché ivi non dedotte o rilevate, sicché il giudice di rinvio non può prendere in esame la questione concernente l’esistenza di un giudicato, esterno o interno, ove tale esistenza, pur potendo essere allegata o rilevata, risulti tuttavia esclusa, quantomeno implicitamente, dalla statuizione di cassazione con rinvio (Cass., n. 2365/25; n. 2411/16).
Al riguardo, il ricorrente ha eccepito – producendo varie sentenze, anche in sede di legittimità – la formazione del giudicato tra le stesse parti, sulla medesima questione della debenza del cosap, emesse successivamente alla  pronuncia  di  Cassazione,  in  virtù  del  quale  non  avrebbe  potuto
operare il suddetto principio di  preclusione scaturente dalla medesima sentenza di legittimità.
Ora,  secondo  la  consolidata  giurisprudenza  di  legittimità,  in  sede  di giudizio  di  rinvio,  il  giudice  può  prendere  in  esame  fatti  impeditivi, modificativi  o  estintivi  intervenuti  in  un  momento  successivo  a  quello della  loro  possibile  allegazione  nelle  pregresse  fasi  processuali  e,  tra questi, anche la sopravvenuta formazione del giudicato esterno, rilevabile d’ufficio  in  ogni  stato  e  grado  del  giudizio  (Cass.,  n.  7301/2013;  n. 3621/2004).
Al riguardo, il giudicato esterno formatosi a seguito di una sentenza della Corte di cassazione è rilevabile d’ufficio anche nell’ipotesi in cui la sentenza da cui esso discende non sia stata versata in atti con la rituale certificazione di cui all’art. 124 disp. att. c.p.c.; l’accertamento del giudicato esterno non costituisce, infatti, patrimonio esclusivo delle parti, ma corrisponde ad un preciso interesse pubblico, volto ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, in ossequio al principio del “ne bis in idem”(Cass., n. 16589/2021).
In particolare, nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. Si tratta infatti di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati
contrastanti, conformemente al principio del “ne bis in idem”, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione. Tale garanzia di stabilità, collegata all’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata, i quali escludono la legittimità di soluzioni interpretative volte a conferire rilievo a formalismi non giustificati da effettive e concrete garanzie difensive, non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 cod. proc. civ., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato (SU, n. 13916/2006; Cass., n. 12754/2022; n. 5370/2024).
Nella specie, invero, dagli atti  emerge  che successivamente alla pronuncia della Cassazione che aveva disposto il rinvio, nel 2018, e al deposito della sentenza impugnata (11.3.2021) è intervenuta l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 18500/25 depositata in data 07/07/2025 (all. 1, alla memoria illustrativa), che ha confermato la sentenza n. 4944/18 della  Corte  d’Appello  di  RAGIONE_SOCIALE,  quest’ultima  già  allegata,  richiamata  e riprodotta nel motivo n. 1 del ricorso.
Infatti, l a  Corte  d’Appello  di  RAGIONE_SOCIALE,  con  sentenza  n.  4944/2 018, depositata il 13.7.2018, ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza n. 16263/2014 con cui il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE aveva accolto l’opposizione proposta dal c ondominio di INDIRIZZO avverso l’avviso di pagamento n. 2000689/2011, dichiarando non dovuta la somma di € 10.374,86, richiesta a titolo di canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche per l’anno 2009.
Ne consegue che la predetta ordinanza n. 18500 integra un giudicato successivo  alla  sentenza  impugnata  –  oggetto  del  giudizio  in  esame  –
rilevabile d’ufficio, in conformità del richiamato orientamento di questa Corte,  che  comporta  dunque  data  la  fondatezza  dell’eccezione  di giudicato, l’accoglimento del ricorso.
Gli altri motivi, afferenti alla questione dei presupposti del cosap, sono logicamente assorbiti dall’accoglimento dell’eccezione di giudicato.
La causa va pertanto rinviata alla Corte d’appello, anche in ordine alle spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, in diversa composizione,  anche  in ordine alle spese  del giudizio di legittimità.
Così deciso, in RAGIONE_SOCIALE, nella camera di consiglio della prima sezione civile del 18 settembre 2025.
Il Presidente AVV_NOTAIO NOME COGNOME