Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7130 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7130 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 861/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME in proprio e quale procuratrice speciale di COGNOME NOME, elett.te domiciliati in SAN BENEDETTO DEL TRONTOINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE), che li rappresenta e difende per procura in calce al ricorso, -ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante,
-intimata-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ANCONA n.1947/2018 depositata il 19.9.2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13.3.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1) Con atto di citazione notificato il 7.7.2006 la RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Ascoli Piceno, sezione distaccata di San Benedetto del Tronto, COGNOME NOME e la di lui figlia COGNOME NOME, e sul presupposto della titolarità in suo favore della servitù di passaggio esistente su una striscia di terreno di m 2,50 lungo il confine tra le particelle 287/c e 287/d, asseritamente costituita con l’atto di divisione del 25.2.1958 e poi sempre esercitata dai suoi danti causa, chiedeva che fosse ordinato ai convenuti di non parcheggiare in sosta le loro vetture sulla porzione gravata dalla servitù e di risarcirle i danni subiti.
2) Si costituivano in primo grado COGNOME NOME e COGNOME NOME, che eccepivano il proprio difetto di legittimazione passiva rispetto alla domanda di accertamento della servitù, essendo proprietaria del preteso fondo servente COGNOME NOME, contestavano l’esistenza dell’invocata servitù di passaggio, sostenendo che quella prevista nell’atto di divisione del 25.2.1958 era una servitù irregolare, ossia un diritto personale attribuito ai condividenti e non trasferito nei successivi trasferimenti dei fondi derivati dalla divisione, e quindi non un diritto reale. I convenuti negavano comunque di avere turbato il possesso della servitù, avendo solo fermato sporadicamente le loro autovetture per operazioni di carico e scarico ed essendo COGNOME NOME addirittura sprovvisto di patente di guida, ed evidenziavano che già era stato ritenuto legittimo lo sbarramento del passaggio sulla striscia in questione con assi di legno, compiuto nel 2003 da COGNOME NOME, nel
separato procedimento possessorio contro la stessa intrapreso dalla RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME.
Con la sentenza n. 90 del 19.3.2011 il Tribunale, qualificata come actio confessoria servitutis ex art. 1079 cod. civ. l’azione esercitata dalla RAGIONE_SOCIALE, ed ammessa la legittimazione passiva dei convenuti quali asseriti autori materiali della lesione del diritto di servitù, riconosceva la sussistenza del diritto reale di servitù invocato sulla base dell’atto di divisione del 25.2.1958, dal quale era derivata la proprietà immobiliare poi pervenuta all’attrice, riteneva che la servitù non si fosse estinta per non uso ventennale in quanto sempre esercitata dai danti causa dell’attrice, dai loro familiari ed aventi causa dal 25.2.1958 fino al 2003, riconosceva sussistenti le molestie con le autovetture all’esercizio della servitù da parte dei convenuti, e li condannava a non parcheggiare le auto sulla striscia di terreno in contestazione ed al risarcimento dei danni, liquidati equitativamente in €5.000,00 ed alle spese processuali.
Appellata la sentenza di primo grado da COGNOME NOME in proprio e quale procuratrice di COGNOME NOME, contrastati dalla RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME, la Corte d’Appello di Ancona, con la sentenza n. 1947/2018 del 21.2/19.9.2018, accoglieva parzialmente l’appello, rigettando la domanda di risarcimento danni accolta nella sentenza di primo grado, che per il resto confermava, dichiarando compensate per 1/3 le spese processuali del doppio grado e condannando gli appellanti al pagamento per entrambi i gradi dei residui 2/3.
Riteneva la Corte d’Appello che fosse corretta la qualificazione come diritto reale di servitù, e non come servitù irregolare, del diritto di passaggio pedonale e carrabile costituito con l’atto di divisione del 25.2.1958, valorizzando il dato testuale del riferimento espresso allo stesso come servitù e quali beneficiari oltre che ai condividenti, anche ai loro eredi ed aventi causa, per
trarne prova della predialità ed ambulatorietà propria delle servitù, confermata dall’avvenuta trascrizione dell’atto di divisione. Sosteneva poi l’impugnata sentenza che non fosse ipotizzabile un vincolo di giudicato esterno in relazione al pregresso giudizio, qualificato come possessorio, promosso dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, per la diversità del petitum e della causa petendi rispetto ad un giudizio petitorio, e che andasse invece respinta la domanda di risarcimento danni accolta in prime cure per insufficiente prova di un pregiudizio economico da parte dell’originaria attrice.
Avverso tale sentenza, notificata il 19.10.2018, ha proposto ricorso alla Suprema Corte, notificato alla RAGIONE_SOCIALE il 17.12.2018, COGNOME NOME in proprio e quale procuratrice speciale di COGNOME NOME, affidandosi a due motivi, e la RAGIONE_SOCIALE é rimasta intimata.
Parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
7) Col primo motivo parte ricorrente solleva eccezione di giudicato esterno negativo sulla questione dell’esistenza della servitù di passaggio pedonale e carrabile che la RAGIONE_SOCIALE ha posto a base dell’ actio confessoria servitutis esercitata in primo grado, e del conseguente ordine di cessazione delle molestie all’esercizio di quel diritto reale nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Assume, infatti, la parte ricorrente, che dopo la pronuncia della sentenza impugnata, pubblicata il 19.9.2018, é passata in giudicato per decorrenza del termine annuale, applicabile ex art. 327 c.p.c. vecchia formulazione, come certificato dalla cancelleria (doc. 5 allegato al ricorso), la sentenza n. 406/2018 della Corte d’Appello di Ancona del 5.4.2018 (doc. 3 allegato al ricorso), che ha
confermato la sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno n. 142/2011, la quale aveva negato l’esistenza della servitù di passaggio oggetto di causa rivendicata in quel giudizio dalla RAGIONE_SOCIALE verso la proprietaria della particella 287/a, INDIRIZZO, dante causa di COGNOME NOME, NOME e NOME, a loro volta danti causa con atto del 4.4.2003 della RAGIONE_SOCIALE, qualificandola come mera servitù irregolare, e quindi come diritto personale costituito a favore dei condividenti dell’atto di divisione del 25.2.1958 e non trasferito nei successivi atti di vendita, ed ha respinto conseguentemente la domanda della RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME di condanna di COGNOME NOME alla rimozione degli assi di legno collocati nel 2003 sulla striscia di terreno asseritamente asservita.
Assume ulteriormente la parte ricorrente che COGNOME NOME é deceduta il 20.6.2018 (doc. 9 allegato al ricorso), e che COGNOME NOME e COGNOME NOME, rispettivamente marito e figlia della stessa, sono suoi eredi (certificato di stato di famiglia, doc. 8 allegato al ricorso), sicché il giudicato esterno formatosi é opponibile dai ricorrenti all’RAGIONE_SOCIALE NOME, che era parte anche nel giudizio definito dalla sentenza della Corte d’Appello di Ancona n.406/2018 passata in giudicato.
Rileva poi la parte ricorrente che l’impugnata sentenza ha erroneamente qualificato come possessorio il giudizio definito da tale ultima sentenza, relativo invece ad un’ actio confessoria servitutis indirizzata contro COGNOME NOME, perché volto a fare anzitutto accertare la sussistenza del diritto di servitù di passaggio pedonale e carrabile a favore della RAGIONE_SOCIALE in base all’atto di divisione del 25.2.1958, ed in subordine anche per usucapione, o per destinazione del padre di famiglia, ed a far cessare solo conseguenzialmente le molestie all’esercizio di tale diritto attuate dalla COGNOME nel 2003, col posizionamento di
assi di legno volti ad impedire il transito sulla striscia di terreno destinata al passaggio.
Aggiunge infine la parte ricorrente, che comunque la sentenza n.406/2018 della Corte d’Appello di Ancona, passata in giudicato dopo la sentenza impugnata in questa sede, e quindi certamente acquisibile nel giudizio di legittimità, ha posto come ragione di diritto fondante il rigetto delle domande avanzate dalla RAGIONE_SOCIALE contro COGNOME NOME (alla quale sono subentrati come eredi COGNOME NOME e COGNOME NOME), qualunque ne sia la qualificazione giuridica (come actio confessoria servitutis o come azione possessoria), la negazione della costituzione con l’atto di divisione del 25.2.1958 di una servitù di passaggio pedonale e carrabile sulla striscia della larghezza di m 2,50 che correva lungo il confine tra le particelle 287/c e 287/d a favore della particella 287/a poi pervenuta alla RAGIONE_SOCIALE, che va quindi certamente ritenuta coperta dal giudicato per evitare la violazione del principio del ne bis in idem, con conseguente inammissibilità delle domande avanzate in primo grado dalla RAGIONE_SOCIALE contro gli eredi di COGNOME NOME, ossia COGNOME NOME e COGNOME NOME, aventi invece come presupposto l’esistenza di quel diritto reale.
Il primo motivo é fondato e merita accoglimento.
Anzitutto si deve ritenere ammissibile la produzione compiuta dai ricorrenti nel giudizio di legittimità della sentenza n. 406/2018 della Corte d’Appello di Ancona del 5.4.2018, della certificazione del passaggio in giudicato di tale sentenza, del certificato di morte di COGNOME NOME in data 20.6.2018 e del certificato di stato di famiglia della stessa, dai quali si evince che COGNOME NOME e COGNOME NOME, rispettivamente marito e figlia della defunta, sono eredi legittimi della stessa, trattandosi di documenti attestanti la formazione del giudicato sopravvenuta all’impugnata sentenza.
Costituisce infatti jus receptum , come affermato dalle sezioni unite di questa Corte e ribadito più volte in successive decisioni, che ” nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. Si tratta infatti di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del “ne bis in idem”, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione. Tale garanzia di stabilità non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 cod. proc. civ., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato “. È stato aggiunto che ” la produzione di tali documenti può aver luogo unitamente al ricorso per cassazione, se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l’impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, fino all’udienza di discussione prima dell’inizio della relazione ” (Cass. 18.1.2024 n. 1928; Cass. n.1534/2018; Cass. n. 8607/2017; Cass. sez. un. n. 13916/2006). Nel caso di specie la sentenza della Corte d’Appello di Ancona n.406/2018 pubblicata il 5.4.2018, non notificata, poteva essere impugnata davanti alla Suprema Corte entro il termine di un anno
stabilito dall’art. 327 c.p.c. per i giudizi introdotti in primo grado prima del 4.7.2009 (il giudizio di primo grado del Tribunale di Ascoli Piceno n. 700328 era stato iscritto a ruolo nel 2007), ossia fino al 6.5.2019, ed é quindi passata in giudicato dopo la pubblicazione della sentenza n. 1947/2018 della Corte d’Appello di Ancona impugnata in questa sede, avvenuta il 19.9.2018, in pendenza del termine per la sua impugnazione davanti alla Corte di Cassazione.
Essendo dedotto un vizio processuale quale quello dell’inammissibilità delle domande avanzate in primo grado dall’RAGIONE_SOCIALE per sopravvenuto giudicato esterno, alla Corte risulta consentito l’esame diretto degli atti (vedi in tal senso Cass. ord. 22.2.2024 n. 4739; Cass. 21.12.2017 n.30684; Cass. 24.7.2008 n. 20373) e la relativa qualificazione giuridica, e non é vincolante la qualificazione giuridica di giudizio possessorio data dall’impugnata sentenza al giudizio n.700328/2007 RG del Tribunale di Ascoli Piceno promosso dall’RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME nei confronti di COGNOME NOME, quando peraltro non era ancora intervenuto sulla sentenza di secondo grado di quel giudizio della Corte d’Appello di Ancona n. 406/2018 il giudicato.
Ritiene la Corte che dall’esame della sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno n.653/2013 del 27.5.2013 e della sentenza n.406/2018 della Corte d’Appello di Ancona del 5.4.2018, emerga inequivocamente come anche nel procedimento n. 700328/2007 RG del Tribunale di Ascoli Piceno l’RAGIONE_SOCIALE abbia esercitato un’ actio confessoria servitutis. L’RAGIONE_SOCIALE, infatti , ha chiesto anzitutto di accertare che dall’atto pubblico di divisione del 25.2.1958, (ed in subordine per usucapione, o per destinazione del padre di famiglia), sarebbe derivato in favore di COGNOME NOME, all’epoca proprietaria della particella 287/a, poi dei suoi aventi causa COGNOME NOME, NOME e NOME, e quindi della stessa RAGIONE_SOCIALE di COGNOME
NOME, avente causa dei medesimi con l’atto di compravendita del 4.4.2003, un diritto reale di servitù di passaggio pedonale e carrabile sulla striscia di terreno della larghezza di m 2,50 che correva lungo il confine tra le particelle 287/c e 287/d, e che in conseguenza di tale accertamento la convenuta COGNOME NOME fosse condannata a rimuovere gli assi di legno che aveva collocato nel 2003 su detta striscia di terreno per impedire il passaggio dell’attrice. Il riferimento preliminare dell’attrice di quel giudizio all’accertamento della titolarità di un diritto reale su cosa altrui, con prospettazione alternativa di diverse modalità di acquisto a titolo derivativo o originario, e non ad una situazione di mero fatto, preclude infatti la possibilità di qualificare l’azione in termini di spoglio del mero possesso corrispondente ad una servitù di passaggio, e la stessa domanda di condanna della COGNOME alla rimozione degli assi di legno collocati sulla striscia di terreno asseritamente asservita, é stata avanzata in conseguenza dell’accertamento della lesione del diritto reale di servitù preteso in via principale e non di una mera situazione di possesso.
Deve quindi ritenersi intervenuto, col passaggio in giudicato della sentenza n.406/2018 della Corte d’Appello di Ancona, un accertamento ormai intangibile di infondatezza dell’ actio confessoria servitutis esercitata dalla RAGIONE_SOCIALE a favore della sua proprietà immobiliare (particella 287/a) nei confronti di COGNOME NOME, relativamente alla medesima striscia di terreno larga m 2,50 a confine tra le particelle 287/c e 287/d, oggetto dell’ actio confessoria esercitata sempre dalla RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME nel giudizio di primo grado, poi sfociato in appello nella sentenza impugnata in questa sede, essendo stato ormai accertato che con l’atto di divisione del 25.2.1958 fu creata una semplice servitù irregolare, ossia un diritto personale dei condividenti e non reale, non essendo stati individuati in tale atto e
non essendo risultati accertabili successivamente i fondi dominanti a servizio dei quali la servitù sarebbe stata costituita, non essendo state specificate nell’atto le modalità di esercizio, l’estensione e le caratteristiche della pretesa servitù, e non essendo consentita la costituzione di servitù personali che non siano a vantaggio di un fondo specificamente individuato.
Essendo stato documentato che COGNOME NOME e COGNOME NOME sono eredi legittimi di COGNOME NOME, in quanto rispettivamente marito e figlia della stessa, deceduta il 20.6.2018, in base all’art. 2909 cod. civ. il giudicato fa stato anche nei loro confronti, per cui i ricorrenti possono opporlo, per la sua incompatibilità, all’ actio confessoria servitutis ed alla conseguente richiesta di loro condanna a non sostare con le loro auto sulla striscia di m 2,50 che corre lungo il confine tra le particelle 287/c e 287/d, esercitate nei loro confronti dall’RAGIONE_SOCIALE, domande che, nel cassare l’impugnata sentenza, vanno quindi dichiarate inammissibili, per non violare il principio del ne bis in idem.
Il secondo motivo di ricorso, inerente alla violazione e falsa applicazione degli articoli 1079 e 2697 cod. civ., degli articoli 113, 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., ed all’omesso esame di una serie di elementi decisivi per il giudizio che avrebbero dovuto indurre la Corte d’Appello a non confermare la tesi, sostenuta in primo grado, della costituzione con l’atto di divisione del 25.2.1958 della pretesa servitù prediale, deve ritenersi assorbito per effetto dell’accoglimento del primo motivo.
Quanto alle spese processuali, che la parte ricorrente ha chiesto di porre a carico della controparte per tutti i gradi di giudizio con distrazione in favore del legale antistatario, occorre considerare che il giudicato esterno preclusivo si é formato solo dopo la pronuncia della sentenza impugnata, per cui la domanda dei ricorrenti di condanna della controparte alle spese processuali anche di primo e
secondo grado in base al principio della soccombenza, con distrazione a favore del legale antistatario, AVV_NOTAIO, va respinta, e le spese processuali vanno dichiarate compensate tra le parti per tutti i gradi di giudizio.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa l’impugnata sentenza, e decidendo il merito, dichiara inammissibili le domande avanzate in primo grado dall’RAGIONE_SOCIALE NOME nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, e dichiara compensate tra le parti le spese per tutti i gradi giudizio.
Così deciso nella camera di consiglio del 13.3.2024