Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25218 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 25218 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 27529-2019 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della RAGIONE_SOCIALE rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME, NOME COGNOME;
– resistenti con mandato – avverso la sentenza n. 6945/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 22/03/2019 R.G.N. 1613/2014;
Oggetto
Coadiuvante gestione commercianti Giudicato esterno
R.G.N. 27529/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 13/05/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. La Corte d’appello di Napoli, in accoglimento del gravame proposto da INPS, ha confermato l’avviso di addebito inerente alla pretesa contributiva relativamente al periodo aprile/giugno 2012, per l’iscrizione alla Gestione commercianti del coniuge coadiuvante dell’impresa familiare di f armacia di cui COGNOME NOME era titolare.
In primo grado il Tribunale di Benevento aveva accolto l’opposizione sul rilievo che il coniuge della contribuente, iscritto all’albo degli avvocati, esercitasse una professione incompatibile con altra attività. Per contro, la Corte territoriale ha invece valorizzato gli elementi probatori forniti da INPS, quali lo svolgimento marginale dell’attività forense, il mancato superamento della soglia minima di produzione reddituale per l’iscrizione alla Cassa professionale di categoria, la dichiarazione di aver prodotto redditi derivanti da partecipazioni ad attività di impresa, circostanze emerse dal verbale ispettivo e dalla prova testimoniale svolta nel corso di altro procedimento. In particolare , nell’ impugnata sentenza è stato ritenuto che l’attività di farmacia potesse essere ricondotta nell’ambito di impresa commerciale per la vendita di farmaci, prodotti da banco, di prodotti non sanitari -integratori e cosmetici- e che gli artt. 1 e 2 L.613/1966 (normativa in materia di estensione dell’assicurazione obblig atoria IVS agli esercenti attività commerciali ed ai loro familiari che partecipano al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza) consentano l’iscrizione del coadiutore anche se il titolare è iscritto ad ENPAF ; la Corte di merito ha anche affermato che i fatti costitutivi della
pretesa risultavano provati da ll’atto di enunciazione di impresa familiare sottoscritto dai coniugi il 3/12/2001, dalla domanda di iscrizione per assicurazione obbligatoria formulata dalla Terreri l’ 1/6/2004, dalla dichiarazione che il coniuge risultava occupato nell’attività di farmacia svolgendo la propria opera con carattere di abitualità e prevalenza partecipando agli utili nella misura del 49%, dalla infondatezza della successiva dichiarazione della titolare di avere erroneamente iscritto il coniuge alla gestione commercianti in forza di un errore materiale del proprio commercialista derivante dalla circostanza che la RAGIONE_SOCIALE aveva ritenuto che i collaboratori di impresa familiare che non esercitano alcuna attività di vendita al pubblico di prodotti farmaceutici non siano tenuti ad iscrizione o contribuzione a fini previdenziali, e dal rilievo che COGNOME NOME non fosse iscritto alla Cassa forense nell’anno 2012 e fosse cessato dagli studi legali dal 2002. La Corte territoriale non ha attribuito rilievo alla tesi contraria basata sulla circostanza che il coniuge dell’appellata abbia versato i contributi alla Cassa Forense in anni successivi dal 2015 al 2017, o che abbia prestato assistenza a stretti familiari senza che ne sia fornita alcuna prova concreta, di contro all’impegno corrispondente all a ripartizione di utili al 49%; non ha ritenuto rilevante il giudicato formatosi nel corso di altri procedimenti per annualità antecedenti i base a dichiarazioni testimoniali non attendibili.
La parte privata propone ricorso in cassazione affidandosi a due motivi; l’INPS è rimasto intimato .
La controversia è stata trattata e decisa nell’adunanza camerale del 13 maggio 2025.
CONSIDERATO CHE
Con il ricorso NOME COGNOME rammenta che a seguito di ispezione in farmacia nel 2005 era stata iscritta d’ufficio alla Gestione commercianti per consentire ad INPS di conseguire la contribuzione per la posizione del coniuge coadiuvante, senza tuttavia essere a sua volta assoggettata a contribuzione, in quanto già iscritta alla propria cassa professionale ENPAF. Ricorda inoltre che numerosi avvisi di addebito, scaturiti da quella ispezione ed aventi ad oggetto diverse fasce temporali, sono stati annullati in sede giudiziaria a seguito delle opposizioni proposte.
1.1. Tanto premesso con il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 2909 c.c., l’esistenza di un giudicato formatosi sulla pretesa sostanziale dedotta in giudizio per effetto della pronuncia del Tribunale di Benevento, favorevole alla contribuente (sent. n. 895/2015 -R.G. n.1562/2015), passata in cosa giudicata, come da attestazione di cancelleria, che aveva accertato l’insussistenza della specifica obbligazione contributiva oggetto del presente giudizio.
1.2. Evidenzia che si trattava proprio della medesima pretesa contributiva, riportata nell’impugnata sentenza, inerente ai contributi previdenziali da aprile a giugno 2012 richiesti per il coniuge coadiuvante, di cui all’avviso di addebito n.NUMERO_CARTA. il 9/4/13, inclusa nell’avviso di addebito n.NUMERO_CARTA inoltrato via PEC in data 18/2/15 – di importo complessivamente maggiore perché comprensivo di tre periodi di omissione contributiva, di cui il primo (aprile/giugno 2012) coincidente con quello in esame nel presente giudizio – favorevolmente conclusosi in primo grado con sent. n.189/14 in R.G.2449/13, poi riformata in appello. 1.3. Lamenta, quindi, che con il successivo avviso di addebito si
chiedeva nuovamente il pagamento dei medesimi contributi che avevano formato oggetto della pretesa riportata nell’avviso di addebito opposto nel presente procedimento, per il quale erano state formulate le stesse conclusioni (insussistenza dei presupposti di fatto per l’iscrizione del coadiutore nella Gestione commercianti e nullità della pretesa contributiva).
1.4. Evidenzia che in quella sentenza, come in quella di primo grado poi riformata in questo procedimento, era emerso che il coniuge della titolare di farmacia non svolgeva alcuna attività commerciale in modo prevalente e continuo rispetto alla attività di avvocato e che l’iscrizione dei collaboratori dei farmacisti non si applica a coloro che sono professionisti iscritti ad un altro albo previsto dalla legge. Sottolinea che si trattava proprio della medesima pretesa contributiva, per lo stesso periodo e per lo stesso importo.
1.5. Deduce allora che essendo passata in giudicato una decisione che aveva escluso la debenza di quegli specifici contributi, non era possibile procedere nuovamente ad una valutazione di tale rapporto giuridico, ostandovi il principio del ne bis in idem .
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 co.1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 4 del DM n.55/2014 e dell’art. 13 L.247/2012, per avere la Corte liquidato le spese del primo grado in € 1.800, 00 ed in secondo grado in € 2.000,00, a fronte del valore della lite pari ad € 875,56, dovendosi applicare le tariffe per lo scaglione di valore di causa inferiore a € 1.100,00, esclusa la fase istruttoria non svolta in entrambi i gradi di merito. Rileva, poi, che negli altri giudizi in cui era stata accolta la domanda, il giudice aveva disposto la compensazione delle spese di lite.
Il primo motivo va accolto.
3.1. Nel ricorso è stata specificamente e sufficientemente riportata la sopravvenuta formazione di un giudicato fra le stesse parti gravante sugli stessi fatti e circostanze oggetto della pretesa contributiva di INPS, come meglio illustrato in parte narrativa. La sentenza n. 895/2015 emessa dal Tribunale di Benevento ha avuto ad oggetto l’accertamento negativo del credito contributivo avanzato da INPS nella stessa frazione temporale contestata nell’avviso di addebito del 2013, esitato con sentenza n.189/2014 della stessa autorità giudiziaria e riformata con la sentenza di appello in questa sede impugnata. 3.2. Si osserva che il giudicato esterno involge la questione, affrontata e positivamente risolta in altri giudizi, circa la natura non commerciale dell’attività svolta dal coniuge coadiuvante e l’insussistenza del carattere di abitualità e prevalenza dell a prestazione resa all’interno dell’impresa familiare rispetto all’attività professionale di avvocato; l’accertamento di fatto compiuto nel processo esitato con sentenza n. 895/15 si coniuga con l’argomento in diritto svolto nella sentenza n.189/14 che fa leva sull’art. 1 co. 202 della L. 662/96 per affermare in senso restrittivo l’esclusione dei professionisti dalla estensione dell’assicurazione obbligatoria IVS di cui alla L. 613/66 ai soggetti che esercitino in qualità di lavoratori autonomi le attività commerciali classificate nel settore terziario ai sensi dell’art. 49 co.1 lett.d) della L. n. 88/1989. Gli argomenti avversi contemplati nella motivazione della sentenza di appello in questa sede impugnata ritornano sul carattere di abitualità e prevalenza, basato su circostanze di fatto compiutamente esaminate e non sindacabili in sede di legittimità.
3.3. Tuttavia, osta alla conferma della pronuncia di riforma il divieto del ne bis in idem, conclamato a seguito della sopravvenuta pronuncia n.895/15 che per lo stesso arco
temporale (aprile-giugno 2012) e per lo stesso importo (contributi IVS fissi/percentuale sul minimale € 800,25, oltre sanzioni e compensi di riscossione riportati in avviso di addebito per un totale di € 875,56) ha pronunciato l’insussistenza dell’obbligo contributivo. La conferma della opposta pronuncia si porrebbe in posizione di insanabile contrasto di giudicati laddove le pronunce rese si basano su identici accertamenti in fatto e su analoghe questioni afferenti l’iscrizione di professionisti alla gestione commercianti.
4. Questa Corte ha affermato sul tema, il principio che ‘L’esistenza del giudicato esterno è, a prescindere dalla posizione assunta in giudizio dalle parti, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, trattandosi di un elemento che può essere assimilato agli elementi normativi astratti, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto; sicché, il suo accertamento non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del “ne bis in idem”, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione’ (cfr. Cass. n. 29375/2024 e n. 16847/2018); in quest’ultima è stato anche precisato che ‘la garanzia di stabilità derivante dall’applicazione del giudicato esterno, ancorchè di formazione successiva, in quanto radicata sull’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata (i quali escludono la legittimità di soluzioni interpretative volte a conferire rilievo a formalismi non giustificati da effettive e concrete garanzie difensive) non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372
c.p.c.: esso si riferisce infatti esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, ma non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato (comprovando, d’altronde, questi ultimi la sopravvenuta formazione di una regula iuris alla quale il giudice ha il dovere di conformarsi in relazione al caso concreto ed attenendo pertanto ad una circostanza che incide sullo stesso interesse delle parti alla decisione), pertanto correttamente riconducibili alla categoria dei documenti riguardanti l’ammissibilità del ricorso (Cass. s.u. 16 giugno 2006, n. 13916; Cass. 23 dicembre 2010, n. 26041; Cass. 21 maggio 2014, n. 11219)’.
4.1 Nel caso di specie, il documento afferente l’attestazione di giudicato del 21/8/2019 relativo alla sentenza n.895/2015, ancorché di formazione successiva rispetto alla sentenza di appello impugnata, rientra in quest’ultima categoria di documenti ammessi, ed illustra fondate ragioni per l’accoglimento del primo motivo di ricorso, emergendo il divieto di un rinnovato accertamento sui medesimi fatti.
L’impugnata sentenza va dunque cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 ult. co. c.p.c., per sopravvenuta formazione di un giudicato esterno sulla eadem res . Va esclusa la reviviscenza dell’originario titolo che subisce la carenza di condizione di proseguibilità della domanda posto che la presente pronuncia interviene direttamente sulla domanda proposta dalla parte, con la conseguenza che non sarà più possibile procedere ” in executivis ” sulla base di quella di primo grado.
Il secondo motivo di ricorso resta assorbito nell’accoglimento del primo, non potendosi comunque disporre la condanna alle spese a carico della parte che, all’esito complessivo del giudizio, non è soccombente rispetto alla tutela della posizione soggettiva
del bene giuridico, già soddisfatto in altro giudizio. La condanna alle spese statuita in appello viene dunque travolta dalla cassazione dell’intera pronuncia.
Riguardo alla regolazione delle spese del processo, comprensive della presente fase di legittimità, può disporsene la compensazione in ragione della sopravvenienza della formazione di un giudicato esterno, preclusivo di una diversa soluzione della controversia, condizione che integra le «gravi ed eccezionali ragioni» giustificanti, a norma dell’art. 92 c.p.c. la compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio (cfr. per casi analoghi, Cass. 16847/18 cit., 1620/24).
Nulla si dispone sul contributo unificato, stante l’esito del processo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, e cassa senza rinvio l’impugnata sentenza perché azione non poteva essere proseguita.
Compensa le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma, all’esito della camera di consiglio del 13