Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32631 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32631 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24989/2020 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 7988/2019 depositata il 23/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia trae origine dalla interpretazione di atti di donazione della nuda proprietà con riserva di usufrutto su immobili di famiglia che i genitori compirono negli anni 1979-1987 in favore dei figli, parti in causa. Ne è derivata un’incertezza sull’appartenenza esclusiva a NOME COGNOME del lastrico solare, contestata dai fratelli NOME e NOME COGNOME, che pretendevano un «diritto di possesso» sul bene. Nel 1996 NOME COGNOME conveniva dinanzi al Tribunale di Frosinone i fratelli per la dichiarazione della sua proprietà e del diritto di uso del lastrico solare di un immobile in Frosinone, impedito dalla chiusura di una porta, e per vietare ai convenuti di accedervi, salvo il risarcimento del danno.
Nel 2004 il Tribunale (sentenza n. 804/2004) accertava la nuda proprietà del lastrico solare in capo all’attrice per averlo ricevuto in donazione con l’atto per notaio COGNOME del 1987, fermo restando quindi l’usufrutto sull’immobile a favore dei donanti. Assumendo la sussistenza di tale ultimo diritto in capo ai genitori, il Tribunale rigettava le ulteriori domande, incompatibili con la situazione di nuda proprietà in capo all’attrice.
In appello, l’attrice deduceva il decesso dei genitori avvenuto già prima dell’inizio del processo e la Corte di appello di Roma con la sentenza n. 3047/2010 rigettava il gravame dell’attrice, sostenendo nella parte saliente: « pur essendo incontestabile che la COGNOME è divenuta proprietaria del bene in conseguenza della morte degli usufruttuari e che dal contenuto della domanda di primo grado si evince con chiarezza che ella chiedeva l’accertamento della piena proprietà del lastrico solare , deve osservarsi che in primo grado era stata fornita esclusivamente la prova della nuda proprietà attraverso gli atti notarili prodotti e mai era stata dedotta la morte degli usufruttuari, sicché la sentenza appare corretta e non sembra emendabile
attraverso la inammissibile produzione di nuovi documenti in appello, perché trattasi di documenti (certificati di morte) che ben potevano essere prodotti in primo grado ». Inoltre, argomentava la Corte di appello: « La domanda risarcitoria doveva essere comunque rigettata, non avendo l’appellante provato la dedotta servitù di passaggio sul lastrico solare, la quale, trattandosi di servitù non apparente non usucapibile né costituibile per la destinazione del padre di famiglia, può essere provata solo con un titolo che nella specie manca e non pure con la prova testimoniale di un precedente accesso che ben può essere avvenuto con la tolleranza dei fratelli, non potendosi peraltro dubitare che il lastrico in questione era, in precedenza, dotato di altro accesso, poi chiuso dalla stessa appellante principale ».
Nel dicembre 2011 NOME COGNOME proponeva un nuovo giudizio contro dinanzi al Tribunale di Frosinone contro i fratelli, affinché, « riconosciuta l’intervenuta estinzione del diritto di usufrutto con consequenziale espansione del diritto reale », fosse dichiarato che i fratelli non hanno alcun diritto di accesso sul richiamato bene e procedessero, quindi, alla riconsegna del lastrico, con divieto di accesso.
Il Tribunale adito ha accolto la domanda, sulla base della legittimazione anche del nudo proprietario all’esercizio dell’azione di rivendica, che non costituisce bis in idem avendo l’attrice agito in negatoria nel precedente giudizio.
La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 7988/2019, rigettando il gravame proposto da NOME COGNOME, da un lato ha confermato la sentenza di primo grado, dall’altro ha aggiunto, interpretando la precedente sentenza di secondo grado del 2010, che l’attrice era stata riconosciuta (nuda) proprietaria esclusiva del lastrico, per cui estintosi l’usufrutto (che non si trasmette agli eredi) può esercitare la rivendica, in termini testuali « a prescindere dal fatto che la domanda di rivendica può essere proposta anche dal nudo proprietario come correttamente affermato dal primo giudice, nel
presente giudizio la COGNOME agisce quale piena proprietaria per essersi consolidato l’usufrutto nel suo diritto di proprietà alla morte dell’usufruttuario. Va, dunque, disattesa la doglianza inerente alla mancata titolarità del nudo proprietario a proporre la domanda di rivendica poiché da una parte vi era implicito riconoscimento della Corte di appello effettuato con l’indicata sentenza del 2010 e dall’altro l’orientamento della giurisprudenza secondo cui l’azione di rivendicazione può essere proposta anche dal nudo proprietario ». Infine (p. 7), ha negato rilievo alla sentenza del Pretore di Frosinone del 1994 che aveva riconosciuto il possesso del lastrico in capo ai fratelli NOME e NOME COGNOME, stante l’autonomia delle due tutele (possessoria e petitoria).
Contro la sentenza n. 7988/2019 della Corte romana ricorre in Cassazione NOME COGNOME con tre motivi.
Resiste NOME COGNOME con controricorso, mentre NOME COGNOME non ha svolto difese.
. Il consigliere delegato ha proposto di definire il ricorso per inammissibilità o manifesta infondatezza. La parte ricorrente ne ha chiesto la decisione.
Sono pervenute memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Del collegio fa legittimamente parte il Consigliere Dr. NOME COGNOME che ha redatto la proposta di definizione. Infatti, secondo Cass. SU 9611/2024: «Nel procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati ex art. 380-bis c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), il presidente della sezione o il consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione può far parte – ed eventualmente essere nominato relatore – del collegio investito della definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., non versando in situazione di incompatibilità agli effetti degli artt. 51, comma 1, n. 4, e 52 c.p.c., atteso che tale proposta non rivela una funzione decisoria e non è
suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta, che si sussegue nel medesimo giudizio di cassazione con carattere di autonomia e con contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa».
2.1. – Il primo motivo di ricorso deduce violazione degli artt. 948, 949 e 2909 c.c. e sostiene che: (a) l’usufrutto dei genitori si era estinto anteriormente all’inizio del primo processo; (b) l’attrice non ha allegato tale estinzione nel giudizio di primo grado del primo processo che lei aveva instaurato ancora come nuda proprietaria del lastrico solare per ottenerne l’accertamento del suo uso esclusivo; (c) nel primo processo è stata esercitata un’azione di rivendicazione;
(d) il giudicato di rigetto nel primo processo rende inammissibile la sua seconda domanda in cui NOME COGNOME agisce di nuovo in rivendicazione, come piena proprietaria, poiché l’allegazione dell’estinzione dell’usufrutto è preclusa dal principio che il giudicato copre il dedotto e il deducibile.
In altri termini, il primo motivo denuncia che la Corte di appello ha erroneamente escluso l’esistenza del giudicato sul fatto che l’attrice non è piena proprietaria, ma è solo nuda proprietaria, con conseguente rigetto della domanda di uso esclusivo del lastrico solare, che vale in via definitiva poiché l’attrice avrebbe dovuto allegare l’estinzione dell’usufrutto già nell’introdurre il primo processo e non può recuperare l’allegazione per agire adesso in rivendicazione quale piena proprietaria. In particolare, si fa valere che l’attrice ha proposto, in entrambi i processi, la stessa azione di rivendicazione, e non un’actio negatoria come ritenuto dai giudici. Infatti, la causa petendi e il petitum delle due azioni sono identici: il riconoscimento della piena proprietà e la restituzione del possesso esclusivo del lastrico. La qualificazione dell’azione non può basarsi su mere espressioni formali usate dall’attrice, ma deve considerare il contenuto sostanziale delle domande.
Ancora, secondo la tesi del ricorrente, la Corte di appello non ha correttamente valutato il giudicato formatosi con la sentenza di primo grado del 2004, confermata dalla sentenza d’appello del 2010 nel primo giudizio, che aveva già respinto le domande dell’attrice. Il giudicato copre sia l’accertamento della nuda proprietà, sia il rigetto della domanda di possesso esclusivo, impedendo alla controparte di riproporre la stessa domanda in un nuovo giudizio. Inoltre, il giudizio di merito trascura di riconoscere che il possesso dell’immobile è sempre appartenuto agli usufruttuari fino alla loro morte e che tale possesso non è trasferibile alla nuda proprietaria. La Corte di appello ignora il limite imposto dal giudicato e nega erroneamente la rilevanza della questione, nonostante la precedente sentenza chiarisse già i diritti delle parti in merito all’immobile.
2.2. – Il motivo è inammissibile per difetto del requisito di specificità.
Come questa Corte ha avuto più volte occasione di affermare, la rilevanza del giudicato esterno nel giudizio di legittimità è da coordinare con il requisito di specificità/autosufficienza del ricorso. Pertanto, la parte ricorrente che deduca l’incidenza di un precedente giudicato deve, a pena d’inammissibilità, riprodurre nel ricorso in modo esauriente e preciso il correlativo testo della sentenza (cfr. Cass. 15737/2017), mentre non sono sufficienti richiami frammentari e parziali, come quelli contenuti nel caso attuale a p. 2 e 13 del ricorso.
L’inammissibilità del motivo rende irrilevante esaminare la questione se una parte possa far valere l’estinzione dell’usufrutto al fine di agire in un secondo processo per recuperare un bene nella qualità di proprietaria piena, quand’anche tale estinzione si sia verificata anteriormente ad un primo processo in cui la parte abbia agito quale nuda proprietaria e si sia vista rigettare la stessa pretesa con sentenza passata in giudicato. In altre parole, rimane irrilevante vagliare se valga anche per il caso attuale (come è plausibile) l’argomento
che la diversa relazione giuridica rispetto al bene (in questo caso: la diversità della relazione di proprietà piena rispetto a quella di nuda proprietà) individua in termini diversi l’oggetto del giudicato nei due processi, cosicché il principio che il giudicato copre il dedotto e il deducibile è tagliato fuori.
– Il secondo motivo fa valere che sulla circostanza che l’attrice sia solo nuda proprietaria e non piena proprietaria si è formato il giudicato interno, poiché ella non ha proposto appello incidentale sul punto e quindi vi è nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.
Del secondo motivo è da dichiarare ugualmente l’inammissibilità per difetto del requisito di specificità/autosufficienza, ma sotto un profilo diverso rispetto a quello proprio del primo motivo, trattandosi di una censura ex art. 112 c.p.c. concernente l’omessa considerazione del giudicato interno formatosi nel passaggio dal primo al secondo grado. L’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito al fine accertare gli errores in procedendo presuppone il puntuale rispetto ad opera della parte ricorrente del requisito di specificità della censura. In altri termini, l’accesso agli atti di causa (nel caso attuale: per la lettura della sentenza di primo grado) presuppone che nell’esposizione del motivo siano riportati i passi rilevanti degli atti, con precise indicazioni che consentano alla Corte di riscontrare i passi nei luoghi rilevanti all’interno dei singoli atti e di confrontarli con una censura formulata in termini così stringenti da sollecitare un efficiente e produttivo esercizio del potere di controllo, evitando di compiere general-generiche verifiche degli atti o anche solo indagini integrative per colmare lacune nell’indicazione delle circostanze rilevanti per la valutazione della decisività della questione (cfr. Cass. SU 34469/2019, Cass. 9878/2020, 23834/2019, 2771/2017). L’esposizione del motivo ha mancato di rispettare tali requisiti.
Il secondo motivo è inammissibile.
4. – Il terzo motivo deduce, infine, la violazione degli artt. 1140 e 1146 c.c. e fa valere che in prime cure il convenuto aveva proposto eccezione riconvenzionale (ribadita in appello) affermando il proprio legittimo possesso, esercitato pacificamente ed ininterrottamente sin dal 1989, come riconosciuto dal Pretore di Frosinone con sentenza del 1994. In particolare, si ribadisce che il precedente giudicato ha negato il diritto di uso e/o possesso esclusivo in capo all’attrice. Di conseguenza, il giudicato e il ne bis in idem valgono tanto per l’accertamento negativo della piena proprietà in capo all’attrice, quanto per la manutenzione e/o rivendica del diritto di possesso in capo ai convenuti.
Il terzo motivo è infondato.
Infatti, come è noto, il diritto di usufrutto si estingue con la morte del beneficiario, con impossibilità di ipotizzare il trasferimento all’erede dell’usufruttuario del diritto reale sul bene. Ciò non preclude, in linea di principio, all’erede dell’usufruttuario di far valere la propria condizione di possessore anche nei confronti del nudo proprietario in favore del quale si sia consolidata la piena proprietà del bene (cfr. Cass. 8075/2003). Nel caso di specie, tuttavia, il possesso è fatto valere dall’odierno ricorrente sulla base di una decisione conclusiva di un precedente giudizio possessorio che certamente non può essere opposta alla ragione petitoria fatta valere dall’attrice nel giudizio attuale. Per quanto riguarda infine l’argomento che, anche nell’esposizione del presente motivo, si ritrae dalla precedente vicenda giudiziaria intercorsa tra le parti, esso è neutralizzato dal richiamo a quanto si è sostenuto nel disattendere i primi due motivi di ricorso.
– Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, anche ai sensi dell’art. 96 co. 3 e 4 c.p.c. (la decisione è conforme alla proposta: cfr. art. 380 bis cpc).
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1-quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,
ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in €. 3.000,00 oltre a €. 200,00 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge. Inoltre, condanna la parte ricorrente al pagamento ex art. 96 co. 3 c.p.c. di € 3.000,00 in favore della parte controricorrente, nonché al pagamento ex art. 96 co. 4 c.p.c. di € 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 23/10/2024.