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Giudicato e lavoro: no a preclusioni su cause diverse

Un lavoratore, dopo aver perso una causa per il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato, ne avvia una seconda per ottenere il compenso per le stesse attività, qualificandole però come prestazione d’opera autonoma. La Corte di Appello dichiara inammissibile la nuova domanda per effetto del giudicato. La Cassazione, con l’ordinanza in esame, ribalta la decisione, chiarendo il principio su giudicato e lavoro: una sentenza sul lavoro subordinato non preclude un’azione basata sul lavoro autonomo, data la diversa ‘causa petendi’.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Giudicato e Lavoro: la Cassazione chiarisce i limiti della preclusione

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 6287/2024) affronta un tema cruciale che intreccia il diritto processuale con il diritto del lavoro: i limiti del giudicato e lavoro. La Suprema Corte ha stabilito che una sentenza che nega l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato non impedisce al lavoratore di intentare una nuova causa per ottenere il pagamento delle stesse prestazioni, ma qualificandole come lavoro autonomo. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dalla richiesta di un lavoratore che aveva agito in giudizio contro una ditta individuale per ottenere il pagamento di circa 40.000 euro. Tale somma era richiesta a titolo di corrispettivo per prestazioni di ricondizionamento e trasporto di pallet in legno, svolte in un arco temporale di diversi mesi.

In un precedente giudizio, lo stesso lavoratore aveva già citato in giudizio la medesima ditta per gli stessi fatti, ma la sua domanda era stata respinta. In quella prima causa, il lavoratore aveva cercato di far riconoscere la natura subordinata del rapporto di lavoro. Nel secondo giudizio, invece, la richiesta di pagamento si fondava sulla qualificazione del rapporto come prestazione d’opera autonoma.

La Decisione della Corte di Appello e il concetto di Giudicato

La Corte di Appello di Bologna aveva rigettato l’appello del lavoratore, confermando la decisione di primo grado. Secondo i giudici di merito, la precedente sentenza negativa sul lavoro subordinato aveva creato un “giudicato”. In sostanza, la Corte territoriale riteneva che, essendo i fatti alla base delle due cause identici, la domanda di pagamento per prestazione d’opera fosse già deducibile nel primo giudizio. Di conseguenza, la seconda azione era preclusa, in quanto la causa petendi (il fondamento giuridico della richiesta) veniva considerata unitaria.

L’Analisi del Giudicato e Lavoro secondo la Cassazione

Il lavoratore ha presentato ricorso in Cassazione, denunciando la violazione dell’art. 2909 c.c. in materia di giudicato. La tesi difensiva si basava su un punto fondamentale: lavoro autonomo e lavoro subordinato hanno “matrici negoziali diverse” e, pertanto, anche la causa petendi è ontologicamente differente. Non si poteva, quindi, parlare di un giudicato che precludesse la seconda azione.

La Corte di Cassazione ha accolto pienamente questa tesi, ritenendo il motivo di ricorso fondato. Ha riaffermato un principio consolidato nella sua giurisprudenza: il giudicato formatosi su una domanda di pagamento di retribuzioni da lavoro subordinato non preclude la proposizione di una successiva domanda per un corrispettivo da lavoro autonomo, anche se relativa allo stesso rapporto fattuale.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha spiegato che si tratta di domande diverse, incompatibili e alternative. Il principio della preclusione del giudicato si applica solo alle questioni che costituiscono un “precedente logico necessario” per la prima decisione. Esso non si estende a ragioni giuridiche autonome e alternative che non sono state prospettate nel primo giudizio.

In altre parole, la domanda basata sull’art. 2094 c.c. (lavoro subordinato) e quella basata sull’art. 2222 c.c. (contratto d’opera/lavoro autonomo) sono distinte. La reiezione della prima non implica automaticamente l’infondatezza della seconda. Il giudice del primo procedimento ha accertato l’insussistenza della subordinazione, ma non si è pronunciato sulla possibile esistenza di un rapporto di lavoro autonomo. Pertanto, questa seconda qualificazione giuridica può essere legittimamente oggetto di un nuovo e distinto processo.

Conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza della Corte di Appello, rinviando la causa ad altra sezione della stessa per un nuovo esame del merito. Il giudice del rinvio dovrà attenersi al principio di diritto enunciato, escludendo la preclusione del giudicato ed esaminando nel merito la domanda del lavoratore. La decisione rappresenta un’importante tutela per i lavoratori, garantendo loro la possibilità di far valere le proprie ragioni sotto diverse qualificazioni giuridiche, senza che il rigetto di una domanda precluda automaticamente l’esame delle altre, quando queste si basino su presupposti normativi distinti.

Una sentenza che nega l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato impedisce di fare una nuova causa per lo stesso rapporto, ma qualificandolo come lavoro autonomo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, una sentenza passata in giudicato su una domanda basata sul lavoro subordinato non preclude la proposizione di una successiva domanda per lo stesso rapporto, qualora venga qualificato come lavoro autonomo. Si tratta di domande diverse e incompatibili con una differente causa petendi.

Perché lavoro autonomo e lavoro subordinato sono considerati due cause diverse ai fini del giudicato?
Perché hanno “matrici negoziali diverse” e, di conseguenza, diversi elementi di diritto su cui si fonda la richiesta. La diversità ontologica della causa petendi (la ragione giuridica della pretesa) fa sì che i due giudizi siano distinti e che il giudicato formatosi sul primo non si estenda al secondo.

Cosa significa che il giudicato copre solo i “precedenti logici necessari”?
Significa che la preclusione del giudicato si estende solo alle questioni che sono state decise e a quelle che rappresentano un presupposto indispensabile per la decisione presa. Non si estende a ragioni giuridiche autonome, alternative o subordinate che non sono state esaminate, come in questo caso la qualificazione del rapporto come lavoro autonomo rispetto a quello subordinato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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