Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1138 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1138 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 4835-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI
Oggetto
R.G.N. 4835/2019
COGNOME
Rep.
Ud. 09/11/2023
CC
COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 8338/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 06/02/2018 R.G.N. 2467/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/11/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME NOMECOGNOME
Rilevato che:
con la sentenza impugnata, in parziale riforma della pronunzia del Tribunale di Napoli, la ‘RAGIONE_SOCIALE (da ora ‘RAGIONE_SOCIALE‘) é stata condannata al pagamento, in favore di NOME COGNOME, della somma di € 54.582,81, oltre accessori, a titolo di differenze retributive per il periodo dal 1° febbraio 2000 al 15 settembre 2003, data di effettiva reintegra della lavoratrice, sul presupposto della statuizione, contenuta in precedente sentenza (i.e.: n. 6124/2003), emessa dallo stesso Tribunale (poi confermata nei successivi gradi di giudizio), di illegittimità dei contratti a termine stipulati tra le parti e di conseguente declaratoria di sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate in epoca successiva al 20 dicembre 1999;
per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la ‘RAGIONE_SOCIALE‘ , affidato a due motivi, illustrati con memoria;
NOME COGNOME ha resistito con controricorso; il P.G. non ha formulato richieste;
chiamata la causa all’adunanza camerale del 9 novembre 2023, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel
termine di giorni sessanta (art. 380 bis 1, secondo comma, c.p.c.).
Considerato che:
con il primo motivo la società ricorrente – denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 12 disp. prel. al c.c., 2909 c.c., 278 c.p.c. e 32 della l. n. 183 del 2010, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – si duole che il giudice di appello non abbia interpretato il giudicato formatosi sull”an’ quale condanna al pagamento di quanto spettante alla lavoratrice in virtù della norma sostanziale applicabile al rapporto, coincidente, nel caso di specie, con il citato art. 32; lamenta, inoltre, che il predetto giudice abbia omesso di considerare che, a fronte di una sentenza che aveva pronunciato condanna generica al pagamento delle ‘retribuzioni’, queste ultime dove vano essere determinate e calcolate alla stregua di quanto statuito dalla norma in questione, recante la disciplina di un’indennità avente natura , appunto, retributiva;
con il secondo motivo – denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 12 disp. prel. al c.c., 2909 c.c. e 278 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. – si duole che la Corte territoriale abbia affermato che ‘l’entità del risarcimento era statuita nella sentenza sull’an divenuta cosa giudicata’, giacché l’entità in questione, individuando il ‘quantum’, non era stata , invece, determinata; evidenzia, inoltre, che ‘è nella sede del giudizio di quantum che vanno applicate le n orme vigenti’ a seguito di sentenza che contenga una pronuncia di condanna generica, sicché, ‘se la domanda attiene alla esistenza del diritto alla stabilizzazione, ed agli effetti che ne conseguono, riservando ad un successivo giudizio l’accertamento del quantum (…), la sentenza non può assumere efficacia in ordine all’entità del risarcimento’;
lamenta, ancora, che la menzionata l. n. 183 del 2010 era successiva alla sentenza di appello di riconoscimento dell”an’, intervenuta all’esito di un giudizio nel quale non si era discusso in alcun modo delle quantificazioni delle somme dovute, in termini di retribuzione o di risarcimento, sicché non poteva esservi alcuna preclusione a dedurre lo ‘ius superveniens’ in altro procedimento, atteso che la sentenza delle Sezioni Unite n. 21691/2016, integrante un ‘ipotesi di ‘overruling’ rispetto al ricorso per cassazione avverso la sentenza sull”an’ – risalente al gennaio 2011 -, non aveva affermato la deducibilità del fatto nuovo a pena di decadenza all’interno dello stesso processo; deduce, infine, che la sentenza impugnata è stata resa in un giudizio che aveva ad oggetto il risarcimento del danno, sicché la stessa è errata in rito nella parte in cui ha sostenuto che il risarcimento era stato già determinato, sia pure nell”an’, in altra sentenza, essendosi ‘male ricostruita la struttura processuale del giudiz io sull’an, in seno al quale non è devoluta la questione della quantificazione del danno, o dei numeratori per la determinazione di esso danno’.
Ritenuto che:
i motivi, da trattarsi congiuntamente attesa la loro connessione, sono infondati;
infatti, per come si legge nella decisione impugnata e nello stesso ricorso, il Tribunale, nella sentenza ‘presupposto’ poi confermata nei successivi gradi di giudizio, ha condannato la ‘Rai’ al pagamento delle ‘retribuzioni’ maturate in epoca successiva al 20 dicembre 1999, a fronte di una domanda della lavoratrice volta alla decl aratoria dell’illegittimità dei contratti a termine nonché – per come si legge sempre in ricorso – alla condanna della società al pagamento delle retribuzioni;
nell’ambito di un giudizio avente ad oggetto sia l”an’ che il ‘quantum’, il giudice, conformemente alla domanda, ha
condannato la società al pagamento delle ‘retribuzioni’, non quantificate nel loro ammontare, riferite ad un determinato arco temporale decorrente dal 20 dicembre 1999; conseguentemente, il giudicato connesso a tale statuizione concerne sia l”an’ che la qualificazione della posta in termini di retribuzione, nonché la cadenza mensile dell’obbligo di versamento della stessa, con decorrenza da una certa data (e fino a quella – deve ritenersi – di emanazione della sentenza o di ripristino del rapporto, se antecedente);
il giudizio successivo ora all’esame di questa Corte , in buona sostanza, ha ad oggetto la mera quantificazione di una posta retributiva – come tale considerata sia in primo che in secondo grado, ove l’importo liquidato alla lavoratrice non è stato riconosciuto a titolo risarcitorio, bensì retributivo, al pari di quanto avvenuto nel giudizio precedente – già individuata, appunto, nella sua qualificazione giuridica e nella sua consistenza quantitativa;
in un quadro così cristallizzato non può, così, più incidere la norma sopravvenuta sopra citata, che ha previsto una indennità forfettizzata avente natura – non retributiva, come erroneamente affermato in ricorso, bensì – risarcitoria (come previsto dalla formulazione dell’art. 32, quinto comma, della l. n. 183 del 2010, ove vi è il chiaro riferimento alla ‘condanna (…) al risarcimento’; in giurisprudenza, cfr., tra le altre, Cass. 20/11/2018, n. 29949, ove è affermato che «In tema di contratto a termine illegittimo con conversione in unico rapporto a tempo indeterminato, l’indennità di cui all’art.32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, come autenticamente interpretato dall’art. 1, comma 13, della l. n. 92 del 2012, ha natura risarcitoria ed è onnicomprensiva, ossia esaustiva di tutti i danni che sono conseguenza, sul piano retributivo e contributivo, della perdita del lavoro»); infatti , l’applicazione
della predetta norma comporterebbe una inammissibile modifica, rispetto alle statuizioni della sentenza ‘ presupposto ‘ , della natura della posta e dei relativi criteri di quantificazione;
la situazione in esame è diversa non solo da quella ‘classica’ in cui sull”an’ non si sia ancora formato il giudicato, ma anche da quella in cui la sentenza ‘presupposto’ contenga una condanna generica al pagamento del risarcimento del danno (come nel caso in cui si accerti la illegittimità del termine e si condanni il datore al pagamento del risarcimento del danno ‘come per legge’ o ‘da liquidarsi in separata sede’), nonché dall’altra nella quale detta sentenza contenga meri criteri di quantificazione del risarcimento in questione; si è in presenza, piuttosto, di una particolare ipotesi di formazione del giudicato – comprendente, nel caso, la conversione del contratto, la condanna al pagamento delle retribuzioni ed il numero dei mesi cui riferire tale pagamento – su cui non è in grado di incidere la nuova norma;
la presente causa, posto quanto visto, non può considerarsi, ai fini della norma stessa previsti, pendente, pena la ingiustificata lesione della parte all’affidamento, consacrato in una sentenza passata in giudicato, nel conseguimento di un certo numero di mensilità di retribuzioni a seguito della declaratoria di illegittimità dei rapporti a termine;
le spese del presente giudizio possono essere compensate, attesa la novità della questione, determinata della peculiarità della vicenda esaminata;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
PQM
rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9 novembre