Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23369 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23369 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25370/2021 R.G. proposto da
:
AZIENDA REGIONALE PER RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI ROMA n. 1268/2021 depositata il 31.3.2021, NRG 427/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
la Corte d’Appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Roma con la quale era stata rigettata l’opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto da NOME COGNOME per la quantificazione delle differenze retributive tra l’inquadramento in categoria BS e quello in categoria superiore C riconosciute in suo favore, in forma generica, da precedente statuizione del Tribunale di Roma passata in giudicato.
la Corte d’Appello richiamava un proprio precedente su caso identico, nel quale si era ritenuto il formarsi del giudicato, nel precedente giudizio, sulla spettanza delle differenze tra i livelli iniziali della categoria B e della categoria C, sul presupposto che, al fine di far considerare importi diversi dai tabellari iniziali, Ares avrebbe dovuto dare corso a tempestiva e specifica allegazione e prova, come non era in quella sede avvenuto;
2.
Area 118 ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, mentre il lavoratore è rimasto intimato;
è in atti memoria della ricorrente;
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.
il primo motivo del ricorso per cassazione adduce la violazione dell’art. 2909 c.c., nonché degli artt. 278 e 324 c.p.c. e con esso si assume che l’originaria sentenza passata in giudicato, risultando pronunciata in forma generica, non creava preclusione rispetto al calcolo del quantum debeatur ;
il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 112, 342 e 352 c.p.c. e omessa pronuncia su un motivo di appello;
con esso, riprendendo gli argomenti della prima censura, si segnala che sul tema era stato proposto motivo di appello, su cui però la Corte territoriale non aveva pronunciato;
il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 Cost, degli artt. 1362, 1363, 1364, 1365, 1371 e 2103 c.c., nonché dell’art. 52 del d. lgs. n. 165v del 2001, dell’art. 28 del CCNL 7 aprile 1999 e dei principi in materia di interpretazione e applicazione delle norme contrattuali e collettive (art. 360 n.3 c.p.c.);
il motivo assume che l’art. 28 del CCNL di comparto nel riconoscere, comunque, le differenze tra i livelli iniziali, a prescindere dall’ottenimento precedente di fasce retributive superiori -regolerebbe il fenomeno della legittima attribuzione di mansioni superiori e non quello dell’attribuzione ‘di fatto’;
il quarto motivo denuncia l’omesso esame di fatto decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.) e con esso si sostiene che la condanna generica non impedisce di valutare nel successivo giudizio se il diritto a percepire ulteriori importi sussista anche in concreto in ragione di quanto già pagato;
2.
i motivi vanno esaminati congiuntamente e vanno disattesi, in ragione del giudicato rilevato dalla Corte territoriale e sostanzialmente in sé non contrastato dalle censure sviluppate con il ricorso per cassazione, in quanto anche il primo motivo, pur richiamando l’art. 2909 c.c.. non affronta in realtà i profili decisivi che si andranno a precisare;
tale giudicato è del resto evidenziato, nella sua ricorrenza, proprio in base a quanto di esso è riportato anche nel ricorso per cassazione;
la sentenza il cui giudicato è dirimente è la n. 4048/2016, richiamata anche nella sentenza impugnata attraverso il richiamo ai passaggi della sentenza n. 2179/2020 che la citano;
la sentenza n. 4048/2016, oltre a confermare la condanna generica al pagamento delle differenze retributive tra le diverse categorie, ha infatti espressamente affermato – nel testo trascritto sia nella
sentenza qui impugnata, sia nel ricorso per cassazione (pag. 5) che « la deduzione dell’odierna appellante secondo cui le somme avrebbero dovute essere quantificate in base ad importi percepiti e non in base a quelli dovuti in forza delle tabelle salariali della contrattazione collettiva non è fondata, atteso che l’eventuale percezione da parte degli odierni appellanti di importi diversi dai minimi tabellari avrebbe dovuto essere oggetto di tempestiva e specifica allegazione, nonché di prova, da parte dell’odierna appellante »;
è quindi vero che la pronuncia originaria da cui è scaturito il giudicato -che è la citata sentenza n. 4048/2018 di reiezione dell’appello avverso la sentenza del Tribunale di Frosinone – era generica;
tuttavia, essa si è espressa anche, nel senso dell’infondatezza, rispetto alla quantificazione del c.d. sottraendo in importi diversi dai minimi tabellari o livelli iniziali -negandone la possibilità per difetto di prova e dunque questo profilo, al di là dell’assetto giuridico astratto, non può ulteriormente essere disaminato;
ciò rende superflue le questioni riguardanti appunto il regime giuridico del calcolo di quelle differenze retributive, qui assorbito dall’essere intervenuto, su di esso, il giudicato, nel senso che tra le parti, per quanto deciso nel precedente intercorso, quegli importi sono da attribuire in misura pari alla differenza tra i trattamenti C iniziale ed il trattamento della posizione BS, come ritenuto dalla Corte d’Appello nella sentenza n. 4048/2018 e ora anche, per effetto del giudicato, dalla sentenza oggetto del presente ricorso per cassazione;
il tema non è dunque quello, cui la ricorrente insiste ancora in memoria, della natura di condanna generica dell’originaria sentenza tra le parti, perché ciò non esclude che, ferma restando tale natura, la pronuncia possa in concreto già definire -come è nel caso di specie -in via parimenti generica ma preclusiva rispetto a
ricostruzioni successive diverse, alcuni profili della base di calcolo del diritto riconosciuto;
3.
le ragioni sopra esposte sono assorbenti rispetto a quanto argomentato nei motivi e ciò comporta il rigetto dell’impugnazione, senza che nulla debba statuirsi sulle spese in quanto il lavoratore è rimasto intimato;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 -bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16/04/2025.