Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22633 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22633 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 10426/2024 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difes a dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO domicilia ope legis.
-ricorrente-
CONTRO
COGNOME rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale allegata al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME i quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce n. 168/2024, depositata il 22/2/2024.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/4/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME presentava domanda di finanziamento in relazione a taluni terreni, per il settore «seminativi», per l’anno 2000, chiedendo la somma di euro 35.436,84 (la controversia in esame attiene, però, alle annualità 2001, 2002, 2003 e 2004 per gli aiuti alla produzione di olio di oliva).
Per ottenere l’accertamento della legittimità della richiesta di pagamento in ordine all’aiuto per i seminativi iniziava un giudizio dinanzi al Tribunale di Lecce, con atto di citazione del 28/10/2007.
Dopo aver ricevuto regolarmente il pagamento per l’anno 2000, aveva ricevuto la notifica in data 30/3/2004 di un verbale di contestazione per violazione dell’art. 2, comma 1, della legge n. 898 del 1996, poiché «mediante l’esposizione di dati o notizie false conseguì indebitamente un contributo comunitario pari ad euro 15.375,53».
In relazione alla domanda di aiuto presentata per l’anno 2000 relativa alla coltivazione di girasole le veniva contestato: a) di non avere avuto l’effettiva disponibilità dei terreni per i quali aveva presentato «analoghe richieste per aiuto seminativi negli anni 19981999-2001 e 2004»; ciò in quanto il contratto di affitto era in capo alla Cooperativa agricola San Lorenzo ed il subaffitto non era possibile; b) in ordine all’altro terreno, questo non poteva essere condotto da NOME COGNOME, in quanto NOME COGNOME padre dell’istante, «aveva solo una procura a vendere da parte del proprietario»; c) i terreni in ogni caso non avevano le caratteristiche per ricevere le coltivazioni denunciate in domanda.
Successivamente la ricorrente chiedeva il pagamento dello aiuto comunitario in ordine alla produzione di olio d’oliva per gli anni
2001, 2002, 2003 e 2004, per complessivi euro 203.505,26, oltre al risarcimento dei danni a causa del mancato pagamento dei predetti contributi.
Notificava, quindi, atto di citazione del 2/4/2008 per ottenere la condanna di AGEA al pagamento dell’aiuto comunitario richiesto in ordine alla produzione di olio di oliva per gli anni 2001, 2002, 2003 e 2004, per la somma di euro 203.505,26.
In particolare, la COGNOME deduceva che il ritardo del pagamento era dovuto a causa di un provvedimento di sospensione ex art. 33 del d.lgs. n. 228 del 2001, a lei comunicato in data 27/1/2004.
Il provvedimento era giustificato dall’apertura di un processo penale nei suoi confronti per associazione a delinquere e truffa in erogazione di contributi comunitari, sicché era stata bloccata ogni forma di aiuto sia per il settore dell’olio di oliva che per i seminativi.
Il ricorso avverso il provvedimento di sospensione dei finanziamenti presentato dinanzi al Tar veniva rigettato.
Si costituiva in giudizio AGEA deducendo che, per la campagna 2001, l’aiuto era stato già erogato, mentre per quanto riguardava le altre campagne il pagamento era stato legittimamente sospeso ai sensi dell’art. 33 del d.lgs. n. 228 del 2001; i procedimenti sospesi potevano essere riattivati con idonea garanzia, non eseguita dalla COGNOME.
La domanda di danni poi era sfornita di prova.
Pendeva giudizio dinanzi al Tar promosso dalla COGNOME per accertare la illegittimità del provvedimento di sospensione degli aiuti, sicché AGEA chiedeva la sospensione del procedimento ex art. 295 c.p.c.
Il Tribunale sospendeva il giudizio e, a seguito della sentenza irrevocabile del Tar, che aveva rigettato il ricorso, la COGNOME riassumeva il giudizio civile.
Il Tribunale, con sentenza n. 5280/2015, depositata il 3/11/ 2015, rigettava la domanda.
La sospensione adottata da AGEA risultava legittima, assumendo il valore «di atto dovuto e vincolante con funzione cautelativa». Ciò in quanto dal rapporto amministrativo dei Carabinieri in data 28/6/ 2002 era emerso che alla COGNOME era stata contestata la violazione dell’art. 2, comma 1, della legge n. 898 del 1986.
Occorreva dunque attendere il definitivo accertamento dei fatti, in quanto la sentenza emessa dal Tribunale n. 1036/2013 era stata appellata da RAGIONE_SOCIALE
Con riferimento alla mancata consegna del modulo per la fideiussione, il Tribunale reputava che non vi era prova del fatto che la mancata presentazione di idonea garanzia da parte dell’attrice fosse imputabile alla condotta di RAGIONE_SOCIALE.
Avverso tale sentenza proponeva appello NOME COGNOME.
La Corte d’appello di Lecce, con sentenza n. 168/2024, depositata il 22/2/2024, accoglieva parzialmente l’appello e, in parziale riforma della sentenza, condannava RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore di NOME COGNOME della somma di euro 151.594,69.
In particolare, la Corte territoriale reputava fondato il primo motivo d’appello, nel senso che la sentenza di prime cure era frutto di un’errata valutazione della documentazione prodotta oltre che di falsa applicazione dell’art. 33 del d.lgs. n. 228 del 2001.
In realtà, doveva osservarsi che l’attrice assumeva la lesione del proprio diritto soggettivo al pagamento degli utili comunitari, a causa del protrarsi della sospensione dell’erogazione degli stessi, laddove nessun accertamento dei fatti risultava ancora compiuto, cioè a distanza di quattro anni dalla notifica del provvedimento di sospensione (dal gennaio 2004 alla notifica dell’atto di citazione del luglio 2008).
Con riferimento all’intervenuto provvedimento di archiviazione in sede penale, nessun accertamento definitivo era stato compiuto in ordine ai fatti di causa. Tuttavia, con sentenza del Tribunale di Lecce n. 1036/del 2013 era stata accolta la domanda della COGNOME, limitatamente agli aiuti comunitari come risultante a seguito della verifica del CTU per l’importo di euro 14.085,40.
A seguito dell’impugnazione di RAGIONE_SOCIALE però, la Corte d’appello, con sentenza n. 616, depositata in data 16/6/2016, in accoglimento dell’appello, aveva rigettato la domanda dell’attrice.
Per la Corte territoriale non sussistevano «i titoli abilitativi e presupposti, conformemente alle contestazioni di AGEA, per ottenere gli aiuti richiesti in citazione».
Ad avviso della Corte d’appello, quindi, l’accertamento definitivo in merito alle contestazioni poste a base del provvedimento di sospensione, contenuto nella sentenza d’appello, faceva «stato fra le parti»; per tale ragione, la Corte d’appello era «tenuta a prenderne conto».
Ne conseguiva che alla luce di tali accertamenti definitivi in ordine alla domanda di aiuti del 2000, la sospensione degli aiuti relativi all’olio di oliva per gli anni 2002-2003-2004, per l’ammontare di euro 151.594,69 «non più ragione d’essere alla luce della ratio dell’art. 33 citato, essendo venuta meno la funzione cautelare della dedotta sospensione».
Precisava poi la Corte territoriale che «dagli atti non risulta alcuna contestazione mossa da AGEA circa la debenza di tali contributi e circa il loro ammontare, avendo AGEA limitato la propria difesa alla legittimità della sospensione di detti contributi per non essere pervenuto l’accertamento definitivo dei fatti di cui al già più volte citato art. 33».
Veniva rigettato il secondo motivo d’appello della COGNOME, in relazione alla mancata consegna da parte di AGEA dei moduli per presentare la fideiussione, trattandosi di domanda generica, con la quale l’attrice aveva solo allegato il disagio finanziario senza specificare le circostanze specifiche poste a base dello stesso.
Mancava anche la prova del nesso causale.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’AGEA.
Ha resistito con controricorso NOME COGNOME.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione l’AGEA deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 132, 2º comma, n. 4, c.p.c., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
La motivazione della sentenza della Corte d’appello sarebbe inesistente, perché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse o obiettivamente incomprensibile.
La Corte d’appello, infatti, inizialmente ha dato atto dell’intervenuto giudicato, negativo per la COGNOME, con riferimento agli aiuti comunitari per l’anno 2000, tanto che risultava «l’accertamento definitivo dei fatti de quibus in sede civile».
Tuttavia, dopo aver richiamato, appunto, la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 616 depositata in data 16/6/2016, che aveva riformato la sentenza del Tribunale n. 1013 del 2013, con accoglimento dell’appello proposto da AGEA e il «rigetto della domanda attorea», tanto che tale sentenza, passata in giudicato, aveva ritenuto «non sussistenti i titoli abilitativi e i presupposti, conformemente alle contestazioni di AGEA, per ottenere gli aiuti richiesti in citazione», ne aveva tratto una conclusione diametralmente opposta, giungendo ad accogliere l’appello della COGNOME con riferimento agli anni 2002,
2003 e 2004, pur essendo stati negati gli aiuti del 2000, in relazione ai medesimi terreni.
Con il secondo motivo di impugnazione si deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La Corte d’appello avrebbe violato il giudicato intervenuto tra le parti di cui alla sentenza n. 616 del 2016 della Corte d’appello.
In quest’ultima sentenza, infatti, si era accertato che le domande di aiuto comunitario non contenevano l’indicazione dei titoli giustificanti possesso e/o la detenzione dei fondi per i quali si chiedevano gli aiuti.
La COGNOME aveva dedotto che, quanto ad un terreno, si trattava di un’azienda di proprietà del Ministero della Difesa, concessa in affitto alla Cooperativa agricola San Lorenzo e da quest’ultima subaffittata alla COGNOME.
L’altro terreno era costituito da un appezzamento intestato, sia pure solo formalmente, a NOME COGNOME il quale l’aveva da tempo venduto a NOME COGNOME padre della deducente.
Alla domanda di aiuto comunitario non era poi allegata alcuna autocertificazione.
Mancavano i titoli giustificativi relativi alla conduzione dei terreni per i quali si chiedevano gli aiuti comunitari.
Pertanto, in quel giudizio, si chiariva che «nessun rilievo e, quindi, in mancanza di titoli registrati e di autocertificazione, la eventuale diretta conduzione da parte della COGNOME dei terreni per i quali è stato chiesto il contributo comunitari».
Tra l’altro, per i terreni demaniali in uso militare, concessi in affitto, con atto del 13/3/1996, alla Cooperativa San Lorenzo, «era espressamente previsto il divieto, in modo assoluto, di ogni forma di cessione, di fitto, di subaffitto o comunque di subconcessione, pena
la decadenza del contratto stesso». La delibera 10/7/1996, con la quale la RAGIONE_SOCIALE aveva concesso in subaffitto detti terreni sino al 10/11/2011 alla COGNOME, oltre ad essere priva di data certa nei riguardi dei terzi, era in insanabile contrasto con quanto previsto dal contratto registrato concluso con il Ministero della Difesa.
In ordine all’altro terreno, di cui alla particella 78, risultava che il padre della COGNOME aveva una procura a vendere il bene, conferitagli dal proprietario NOME COGNOME con atto del 3/11/1979, per cui detto titolo non legittimava la conduzione dei terreni da parte della appellata.
I due motivi, che vanno affrontati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono fondati.
3.1. Ed infatti, il giudicato formatosi sulla domanda proposta da NOME COGNOME contro AGEA, in relazione alla richiesta di aiuti comunitari per l’anno 2000, relativa alla coltivazione di girasole, a seguito della sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 616 del 2016, non può non estendere i suoi effetti anche alla successiva domanda proposta sempre da NOME COGNOME contro AGEA, in ordine al pagamento degli aiuti comunitari richiesti per la produzione di olio d’oliva per gli anni 2001 (già pagato), 2002, 2003 e 2004, per complessivi euro 203.505,26, oltre al risarcimento dei danni subiti a causa del mancato pagamento dei contributi.
Risulta, infatti, dalla trascrizione della motivazione della Corte d’appello di Lecce n. 600 del 2016 che, seppure con riferimento all’anno 2000, la COGNOME non aveva i titoli giustificanti possesso e/o la detenzione dei fondi, per i quali aveva avanzato richiesta di aiuti comunitari.
Ed infatti, nell’atto di citazione di primo grado, relativo al giudizio per i contributi dell’anno 2000, la richiedente aveva allegato di avere
il possesso di 2 distinti terreni: il primo facente parte di un’azienda di proprietà del Ministero della Difesa, concessa in affitto alla Cooperativa agricola San Lorenzo da quest’ultima a lei subaffittata; il secondo, costituito da un appezzamento di terreno intestato a tale NOME COGNOME il quale l’aveva da tempo venduto, trasferendone il possesso a NOME COGNOME padre della deducente, che glielo aveva concesso in comodato.
Tuttavia, la Corte d’appello di Lecce, con la sentenza n. 600 del 2016, passata in giudicato, ha accertato l’insussistenza di un titolo giuridico in capo alla COGNOME, neppure a livello di autocertificazione.
La Corte territoriale ha sottolineato che un terreno apparteneva al demanio militare, sicché «per i terreni demaniali in uso militare facenti parte del comprensorio militare ‘ Poligono di Torre Venneri’, concessi in affitto, con atto del 13/3/1996, alla RAGIONE_SOCIALE, rappresentata dalla signora NOME COGNOME quale presidente del consiglio di amministrazione della predetta RAGIONE_SOCIALE, era espressamente previsto il divieto, in modo assoluto, di ogni forma di cessione, di fitto, di subaffitto o comunque di subconcessione, pena la decadenza del contratto stesso».
Con riguardo, poi, all’altro terreno, di cui alla particella 78, risultava «dal verbale di constatazione e contestazione del 12/4/2004 che il padre della COGNOME aveva una procura vendere il bene, conferitagli dal proprietario NOME COGNOME con atto del 3/11/1979, per cui detto titolo non legittimava la conduzione dei terreni da parte dell’odierno appellante».
Insomma, la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 600 del 2016, con riferimento all’anno 2000, ha reputato l’insussistenza di titoli giustificativi della conduzione dei due fondi, per i quali la COGNOME aveva chiesto contributi comunitari.
Poiché i contributi comunitari riguardano i medesimi fondi, anche per gli anni 2002, 2003 e 2004, il giudicato formatosi sui fondi comunitari relativi all’anno 2000, spiega necessariamente i suoi effetti anche per gli anni successivi, trattandosi di situazioni stabili che non possono essere state modificate nel tempo, in quanto un terreno apparteneva al demanio militare, e l’altro non era nella disponibilità giuridica della richiedente, in quanto il padre aveva semplicemente una procura a vendere.
Per questa Corte, infatti, nei rapporti di durata, il vincolo del giudicato formatosi in relazione a periodi temporali diversi opera solo a condizione che il fatto costitutivo sia lo stesso ed in relazione ai soli aspetti permanenti del rapporto, con esclusione di quelli variabili (cfr. Cass., sez. 1, 19/4/2023, n. 10430; Cass., sez. L, 18/8/2020, n. 17223).
Può aggiungersi che, con riferimento al giudicato esterno ‘riflesso’ ai sensi dell’art. 2909 c.c., per questa Corte l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato non estende i suoi effetti, né è vincolante, nei confronti dei terzi ma, quale affermazione obiettiva di verità, è idoneo a spiegare efficacia riflessa verso soggetti estranei al rapporto processuale, sempreché il terzo non sia titolare di un rapporto autonomo ed indipendente rispetto a quello in ordine al quale il giudicato interviene, non essendo ammissibile, in tale evenienza, che egli, salvo diversa ed espressa indicazione normativa, ne possa ricevere pregiudizio giuridico o possa avvalersene a fondamento della sua pretesa (cfr. Cass., sez. 5, 17 maggio 2017, n. 12252; Cass., sez. 5, 3 marzo 2017, n. 5403; in tema di diritti reali vedi Cass., sez. 6, 8 ottobre 2013, n. 22908; Cass., 11 marzo 2005, n. 5381).
Inoltre, effettivamente la motivazione della sentenza della Corte d’appello palesa una contraddittorietà di fondo, contenendo al suo interno delle affermazioni logicamente incompatibili.
Ed infatti, da un lato, reputa che l’accertamento definitivo (in favore dell’AGEA) contenuto nella sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 616 del 2016, con riguardo alla insussistenza dei presupposti per gli aiuti comunitari per l’anno 2000, passata in giudicato, faceva stato tra le parti, sicché se ne doveva tenere conto, ma dall’altro, pur a fronte di tali accertamenti definitivi in ordine alla domanda di aiuti del 2000 (favorevoli all’AGEA), accoglieva la domanda della COGNOME per i contributi relativi agli anni successivi, non risultando alcuna contestazione mossa da AGEA circa la debenza di tali contributi.
Se, infatti, mancavano i presupposti per i contributi comunitari relativi all’anno 2000, in relazione ai medesimi due terreni, che, per fattori oggettivi, non potevano essere condotti dalla COGNOME, tale mancanza non poteva non riverberarsi anche per gli anni successivi.
La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 aprile 2025