SENTENZA CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA N. 334 2025 – N. R.G. 00000655 2024 DEPOSITO MINUTA 11 07 2025 PUBBLICAZIONE 14 07 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA
SEZIONE LAVORO
La Corte d’Appello, nella persona dei consiglieri
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME ha pronunciato la seguente
Presidente rel. Consigliere Consigliere
SENTENZA
nella causa di II grado iscritta al n. 655/2024 RGA promossa da:
con il patrocinio dell’avv. NOME COGNOME
appellante
contro
, con il patrocinio dell’avv. NOME
MAGAGNA
appellato
Oggetto: Altre controversie in materia di previdenza obbligatoria
posta in decisione all’udienza collegiale del giorno 19/6/2025 udita la relazione della causa fatta dal Consigliere dott. NOME COGNOME sentite le parti e viste le conclusioni dalle medesime rassegnate e come in atti; esaminati gli atti e i documenti di causa ,
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
1. Per l’esposizione dei fatti di causa e delle ragioni del contendere può e deve farsi riferimento alla premessa della sentenza appellata, tanto sintetica quanto chiara e completa: ‘ Con ricorso depositato il 22/02/2024 l’
, ha proposto opposizione all’avviso di addebito n. 339 2024 00000060 23 000 formato il 09 gennaio 2024 dall’ , notificato a mezzo PEC il 15.1.2024, per rettifica da DM/10 per contributi a titolo di Gestione Aziende con lavoratori dipendenti per il periodo da gennaio 2022 a febbraio 2023 oltre alle sanzioni per morosità, agli oneri di riscossione ed alle spese di notifica per un totale di €uro 36.085,09 .
Premesso che la pretese contributive dell’ afferivano a contributi non versati per malattia e maternità per i propri dipendenti, rientranti esclusivamente nelle categorie degli impiegati e dirigenti e non impiegando operai, l’ ha sollevato in primo
luogo eccezione di giudicato, posto che l’AVA impugnato era stato emesso in violazione dell’art. 2909 c.c. formatosi tra le parti per effetto delle due sentenze pronunziate dal giudice del lavoro del Tribunale di Ferrara n.199/2014 e n.92/2016, entrambe passate in giudicato, come attestato in calce alle sentenze stesse, che statuiscono su fatti, situazioni, rapporti e questioni di diritto che hanno già costituito oggetto di definitiva deliberazione e di pronuncia da parte del giudice il quale aveva già defi nitivamente accertato che non è dovuta da l’indennità economica di malattia e maternità.
Analogamente, una terza sentenza del Tribunale di Ferrara, la n. 148/2019, decidendo sui ricorsi riuniti di , che aveva impugnato cinque avvisi di addebito per il pagamento di contributi asseritamente dovuti per gli stessi titoli, aveva ri tenuto fondata l’eccezione di giudicato ed aveva dichiarato l’insussistenza dell’obbligo contributivo.
La Corte di Appello di Bologna, Sezione Controversie di Lavoro, con sentenza n. 202/2021 aveva poi respinto l’appello di avverso la sentenza n.148/2019, proprio per la sussistenza del giudicato esterno che estende i propri effetti ai periodi contributivi cronologicamente successivi.
Avverso la sentenza della Corte di Appello ricorreva in Cassazione, con ricorso iscritto al n.15662/2021 R.G. in cui si era costituita con controricorso. La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con ordinanza n.10797/2023 aveva dichiarato inammissibile il ricorso di , con condanna l’ al pagamento delle spese di lite.
Era così divenuta definitiva ex art. 324 c.p.c. la sentenza della Corte di Appello di Bologna sopra indicata, confermativa del giudicato esterno sui periodi contributivi successivi in presenza delle medesime condizioni, come nella fattispecie oggetto del presente ricorso. Ha evidenziato infine che, con più recente sentenza n. 164 del 27.10.2023, il Tribunale di Ferrara aveva ritenuto che il giudicato tra le stesse parti non investe solo la qualificazione giuridica di , ma ogni questione di fatto e le conseguenze in diritto sottese alle decisioni sulle quali si è formato il giudicato sostanziale sicché nulla era dovuto da ad a titolo contributivo. Nel merito, l’azienda ricorrente ha sostenuto che, essendo un ente pubblico economico, la contribuzione non era dovuta, in quanto essa provvede all’integrale pagamento, ai sensi degli artt. 20 e 48 CCNL e degli artt. 17 e 18 CCNL dell’intera retribuzione ai dipendenti assenti per malattia e maternità, mentre l’istituto previdenziale non erogava alcuna somma. Ha precisato che l’ente pubblico economico non rientra tra quelli elencati nell’art. 20 comma 2° D.L. n. 112/2008, convertito con modificazioni in L. n. 133/2008, che ha imposto, con decorrenza 1° gennaio 2009, alle “imprese dello stato, degli enti pubblici e degli enti locali privatizzate e a capitale misto” l’obbligo di versare all la contribuzione per maternità e quella per malattia degli operai.
Soggiungeva altresì di non occupare alcun operaio, il che rendeva comunque ingiustificata la pretesa dell’ .
Chiedeva pertanto dichiararsi la insussistenza della pretesa contributiva ed il conseguente annullamento dell’avviso di addebito opposto.
Costituitosi in giudizio, l’ ha resistito alle azioni chiedendone il rigetto e prospettando la pendenza del giudizio di appello avverso la più recente sentenza n. 164/2023.
Quanto alla sentenza definitiva del 2014, ha evidenziato che nella stessa era stato stabilito che l’ appartiene al novero dei datori di cui all’art. 20 comma 1° legge cit., ma essa riguarda solo contributi dell’anno 2009; per i contributi, invece, matu rati successivamente a maggio 2011, doveva trovare applicazione l’art. 20 comma 1 bis, secondo il quale ‘i datori di lavoro di cui al comma 1 sono comunque tenuti al versamento della contribuzione di finanziamento dell’indennità economica di malattia in base all’articolo 31 della legge 28 febbraio 1986, n. 41, per le categorie di lavoratori cui la suddetta assicurazione è applicabile ai sensi della normativa vigente’. Inoltre, secondo la parte, la pronuncia nulla stabiliva circa i contributi per maternità sui quali non poteva essere intervenuto alcun giudicato.
Ha poi dedotto che la sentenza definitiva del 2016 risulta intrinsecamente contraddittoria, inidonea a formare l’effetto di cosa giudicata sostanziale, posto che, mentre da un lato richiama il giudicato della sentenza del 2014, ribadendo che l’ è un ente pubblico economico, dall’altro ha escluso l’applicazione dell’art. 20 comma 1 bis in quanto superato dal 2° comma, lett. b) dell’art. 20, che dispone che le imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali privatizzate e a capitale misto debbano versare la contribuzione per malattia solo per gli operai, (essendo comunque dato pacifico che non ha operai). Nemmeno tale seconda pronuncia statuiva alcunché sui contributi per maternità.
Analogamente doveva dirsi in merito alla sentenza della Corte d’Appello di Bologna n. 202/2021, che non riportava alcuna ragione giuridica per escludere il versamento della contribuzione per maternità. La Corte bolognese non aveva peraltro affrontato alcuna questione, limitandosi il Giudice di secondo grado ad affermazioni di carattere generale. Nulla era stato espresso in concreto e con specifico riferimento alla natura della persona giuridica dell’ né quale delle due diverse interpretazioni (sent. n. 199/14 o n. 92/16) potesse essere ritenuta condivisibile.
Né alcuna pronuncia era intervenuta sul punto ad opera della Corte di Cassazione investita del gravame, essendo stata emessa una ordinanza di inammissibilità del ricorso (v. ord. 21.4.2023).
Secondo l’ente previdenziale l’obbligo contributivo discende proprio dalla qualità di ente pubblico economico, strumentale all’esercizio di impresa da parte della P.A.: era quindi irrilevante l’impiego effettivo o meno di operai, in considerazione del fatto che il sistema previdenziale sfugge alla logica della esatta corrispondenza tra premi ed indennizzo (c.d. principio mutualistico) ma risulta piuttosto ispirato al principio di solidarietà, in un regime di assenza di necessaria correlazione tra contributo e prestazione. Ha infine sostenuto nel merito che l’obbligo contributivo discendeva proprio dalla qualità di ente pubblico economico, strumentale all’esercizio di impresa da parte della P.A.: che irrilevante era l’impiego effettivo o meno di operai; che il
sistema previdenziale sfugge alla logica della esatta corrispondenza tra premi ed indennizzo (c.d. principio mutualistico) ma risulta piuttosto ispirato al principio di solidarietà, in un regime di assenza di necessaria correlazione tra contributo e prestazione ‘.
Sulla scorta di istruttoria meramente documentale, il Tribunale ha accolto il ricorso, richiamando un precedente di quello stesso ufficio (sent. n. 164/2023) che aveva ravvisato la sussistenza di un giudicato opponibile.
2. Ha proposto appello l’ , reiterando le ragioni di diritto infruttuosamente sottoposte al primo giudice e articolate qui sottoforma di censura alle valutazioni della decisione impugnata.
Si è ricostituito il contraddittorio con la costituzione dell’ente appellato, che a propria volta ha ribadito le ragioni vittoriosamente addotte avanti il Tribunale.
La causa è stata istruita con l acquisizione della documentazione già prodotta dalle ‘ parti ed è stata decisa come da infrascritto dispositivo, per i seguenti motivi.
3. L’appello è infondato e deve essere respinto.
Va innanzi tutto disattesa la richiesta di differimento formulata dall’ : la causa ha natura essenzialmente di diritto e specificità sue proprie tali da rendere irrilevante sia la pendenza di altro giudizio tra le stesse parti sia la pendenza di gravame avverso la sentenza di questa Corte che ha respinto altro analogo appello dell ‘ .
La materia del contendere è innanzi tutto – e, come si vedrà, esclusivamente – relativa alla controversa esistenza e portata del giudicato rilevante per il caso di specie.
In tesi di , in estrema sintesi, le contraddizioni contenute nelle due pronunce del Tribunale e la ragione di definitività della decisione della Corte d’Appello sulla terza decisione di primo grado impedirebbero di ravvisare ‘ una chiara e necessaria ratio decidendi ed accertamento di fatto tale da potersi attribuire valore di res iudicata ‘, richiamando quelle decisioni di legittimità secondo cui ‘ l’efficacia preclusiva del giudicato opera nei limiti dell’accertamento che ha formato oggetto di un determinato giudizio e non si estende ad altri accertamenti della stessa natura riguardanti diversi periodi di tempo (V. Cass., sentt. nn. 7981/16, 13047/17. Cfr. Cass., sentt. nn. 15493/15, 7981/16) ‘ (pag. 16 appello).
Ebbene, per quanto accurata la ricostruzione e articolato l’impegno argomentativo, la tesi di si scontra con il principio cui deve ispirarsi la valutazione del caso, che potrebbe definirsi di ‘conservazione degli effetti dell’attività giurisdizionale’ .
E’ noto che ” l’efficacia del giudicato, riguardante anche i rapporti di durata, non è … impedita dall’autonomia dei periodi… in riferimento agli elementi costitutivi della fattispecie originante l’obbligazione relativa ad un determinato periodo che assumano carattere tendenzialmente permanente” (Cass. n. 17223/20, che cita a sua volta i precedenti conformi, in ambito tributario, Cass. nn. 13498/2015 e 37/2019; conforme altresì, successivamente, Cass. nn. 10430/2023; 1465/2021 e, con specifico riferimento al rapporto di pubblico impiego, Cass. n. 18901/2019). In base a tale principio, il lavoratore che abbia ottenuto un giudicato favorevole sul diritto di percepire una certa retribuzione aggiuntiva in alcuni periodi di un rapporto poi proseguito è onerato dell’allegazione e della prova del perpetuarsi dei medesimi
fatti costitutivi anche in periodi successivi, ma una volta accertati tali fatti costitutivi, purché anche il regime giuridico sia rimasto invariato, il precedente giudicato può avere effetto quanto alla qualificazione giuridica dell’accaduto ‘ (così in motivazione Cassazione civile sez. lav., 11/12/2024, n. 31853).
Nel caso di specie, la continuità e uniformità della fattispecie rispetto ai casi già sottoposti alla cognizione del Tribunale è data dalla natura della pretesa (trattandosi di questione di diritto) e dalla già scrutinata norma, anche nella sua versione come modificata nel tempo.
Se infatti la sentenza n. 199/2014 ha preso in esame un periodo anteriore alla novella del 2011 1 , la sentenza n. 92/2016 ha preso in considerazione quello dal luglio 2012 a ottobre 2012 2 , sicchè ha necessariamente riguardato anche le norme sopravvenute (e in particolare l’art. 20 comma 1 bis D.L. n. 112/2008)
La questione esaminata allora (tanto nella sua componente di fatto quanto in quella di diritto) è inevitabilmente sovrapponibile a quella odierna, perché determinata dalla natura dell’ente , dalla immutata composizione del suo personale dipendente e dalla pretesa contributiva nella sua previsione normativa.
Entrambe le sopra indicate decisioni hanno concluso per l’insussistenza della pretesa contributiva 3 ed esaminare ora gli elementi addotti dall’ nel merito
1 Così da pag. 1 della sentenza (all. 17
49″
MOTIVAZIONE
1. Con due distinti ricorsi, successivamente riuniti per connessione oggettiva soggettiva, 1’Azienda Casa Emilia Romagna ACER Ferrara ha proposto opposizione ad altrettante carlelle di pagamento meglio indicate atti inlrodultivi recanti addebiti contributivi INPS per malattia e maternità, derivali da rettifiche di DMIO, relativi al periodo maggiolgiugno 2009 e luglio/dicembre 2009 negli
2 Così da pag. 1 della sentenza (all/ 19
Con ricorso tempestivamente depositato il 1.9.2014 Azienda Casa Emilia Romagna RAGIONE_SOCIALE) di Ferrara ha agito nei confronti di INPS RAGIONE_SOCIALE avanzando opposizione nei confronti dell’aviso di addebito 1. 339 2014 00005945 33 0oo del 9.7.2014 notificato il 22.7.2014, emesso -a seguito di rettifiche di modelli DMIO per il recupero di contibuti per malattia maternità asseritamente maturati nel periodo dal luglio 2012 a ottobre 2012
3 Così i dispositivi delle due decisioni sopra indicate
Il giudice, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattese, dichiara la insussistenza della pretesa contributiva dell’INPS nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in relazione rettifiche di DMIO, relative al periodo maggiolgiugno 2009
NUMERO_CARTA e n. 039 2011 NUMERO_CARTA
Dichiara integralmente compensate le spese di lite
costituirebbe una sorta di remissione in termini per impugnazioni non proposte ovvero respinte, con evidente compromissione della funzionalità del sistema per il venire meno del necessario affidamento sull’autorità del giudicato
L’appello deve dunque essere rigettato.
Le spese del grado -liquidate tenendo conto della sostanziale ripetitività delle difese -seguono la soccombenza.
Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali previsti dal novellato art. 131-quater, D.P.R. n. 115/02, ai fini del versamento da parte dell’appellante di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per l’impugnazione , se e in quanto dovuto.
P.q.m.
La Corte d’Appello sezione lavoro, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da avverso la sentenza n. 146/2024 del Tribunale di Ferrara resa e pubblicata il giorno 5/7/2024, ogni diversa e contraria domanda o eccezione disattesa, assorbita o respinta,
1. rigetta l’appello;
2. condanna l’ al pagamento delle spese processuali, liquidate in €. 3.500,00 per compenso, oltre 15% per spese generali ed oltre IVA e CPA come per legge;
3. dà atto della sussistenza dei presupposti processuali previsti dal novellato art. 13 1-quater , D.P.R. n. 115/02, ai fini del versamento da parte dell’appellante di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per l’impugnazione , se e in quanto dovuto.
Bologna, 19/6/2025
Il Presidente est. dott. NOME COGNOME
Il giudice; definitivamente pronurciando; dichiara insussistente la pretesa contributiva fatta valcre da INPS e RAGIONE_SOCIALE nei confronti di Azienda Casa Emilia Romagna RAGIONE_SOCIALE