Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2601 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2601 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27550/2021 R.G. proposto da:
NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso da sé medesimo;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME
-intimato-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 1490/2021, depositata il 10/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5/10/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
1. Il Tribunale di Rimini ha emesso, su ricorso di NOME COGNOME, un decreto che ha ingiunto a NOME COGNOME il pagamento di euro 15.500, sulla base di un assegno bancario rilasciato da NOME COGNOME in favore del figlio NOME COGNOME e da questi girato in favore di COGNOME.
NOME COGNOME ha proposto opposizione, deducendo che l’unico legame tra lui e COGNOME era costituto da alcuni prestiti, per 17.355,00 euro che. su intercessione del padre, il COGNOME gli aveva erogato e che lui aveva interamente restituito; ha poi chiesto, in via riconvenzionale, la restituzione della somma pagata per evitare il pignoramento mobiliare chiesto dal COGNOME sulla base del decreto ingiuntivo.
Si è costituito il COGNOME, deducendo di avere consegnato a NOME COGNOME la somma di euro 12.500, nonché l’ulteriore somma di euro 20.000 in contanti a NOME e NOME COGNOME, per l’acquisto di una azienda commerciale sulla base di un contratto preliminare di cessione d’azienda, e che le parti avevano sottoscritto un conteggio, con il quale ‘si dava atto che la somma da pagare a COGNOME era pari a euro 42.979,00′. Disconosciuta da NOME COGNOME la firma apposta in calce al contratto di cessione d’azienda, veniva espletata consulenza grafologica che concludeva nel senso che la firma disconosciuta non apparteneva a NOME COGNOME.
Il Tribunale di Rimini, con sentenza n. 440/2018, accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo; il Tribunale riteneva che il credito non fosse stato provato e che parte opposta avesse depositato documentazione priva di valenza probatoria; che l’assegno depositato da COGNOME era stato emesso da NOME COGNOME e che la girata al figlio NOME era oggetto di un procedimento penale e comunque frutto di firma non appartenente a NOME COGNOME. Il Tribunale rigettava poi la domanda riconvenzionale del
creditore opposto, stante il riferito mancato incasso per inefficacia della girata dell’opponente.
La sentenza era impugnata in via principale da COGNOME, che contestava la nullità della sentenza per omessa motivazione e la violazione e/o errata applicazione dell’art. 1988 c.c.
NOME COGNOME proponeva a sua volta appello incidentale, sostenendo che per mero errore il Tribunale aveva rigettato la sua domanda riconvenzionale, in quanto tale domanda aveva ad oggetto la condanna di COGNOME alla restituzione della somma portata da diverso assegno circolare incassato da COGNOME.
La Corte d’appello di Bologna, con la sentenza 10 giugno 2021, n. 1490, ha rigettato il gravame principale, ritenendo che la pronuncia di primo grado fosse sufficientemente motivata e, in relazione al secondo motivo, che COGNOME aveva già ottenuto un’ingiunzione di pagamento nei confronti di NOME COGNOME per la somma complessiva di euro 42.979,00 e che nel giudizio di opposizione si era avvalso delle medesime argomentazioni, depositando la medesima documentazione presentata nel presente processo, giudizio di opposizione definito con la sentenza del Tribunale di Rimini n. 223/2016, non impugnata, con la quale era stata accolta l’opposizione e revocato il decreto ingiuntivo, stabilendo l’inesistenza per mancata prova del credito vantato da COGNOME nei confronti di NOME COGNOME. Non può pertanto che condividersi – ha concluso la Corte d’appello – quanto affermato dal Tribunale, ossia che il credito dell’opposto non è stato provato. In merito all’appello incidentale, la Corte d’appello ha ritenuto fondata la censura, ma ha rilevato come nel frattempo NOME COGNOME avesse depositato un’istanza per la correzione di errore materiale e che l’istanza è stata accolta con conseguente correzione della sentenza (nel senso dell’accoglimento della domanda riconvenzionale, con condanna di COGNOME alla restituzione di euro 16.406) e perdita di interesse all’appello incidentale.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ricorre per cassazione.
L’intimato NOME COGNOME non ha proposto difese. Il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in tre motivi.
1. Il primo motivo lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 51, comma 1, n. 4 c.p.c. per avere il consigliere COGNOME omesso di astenersi nel procedimento r.g. 2174/2018 della Corte d’appello di Bologna pur essendo stato l’estensore della sentenza n. 223/2016 del Tribunale di Rimini: il giudice COGNOME ha partecipato alla decisione della sentenza oggetto del presente ricorso, ma il medesimo giudice, all’epoca in servizio al Tribunale di Rimini, nell’anno 2016 ha emesso la sentenza n. 223, con la quale -decidendo sulla domanda del ricorrente volta ad ottenere il pagamento di una somma dall’attuale resistente -aveva respinto la domanda, con la motivazione che non era stato adeguatamente provato il rapporto di società di fatto tra le parti; nel momento in cui il giudice COGNOME ha deciso di porre la sentenza da lui stesso emessa a fondamento della decisione che stava per prendere avrebbe dovuto astenersi dal giudizio, ma così non ha fatto violando l’articolo 51 n. 4 c.p.c.
Il motivo è infondato.
Anzitutto non ricorre l’ipotesi di cui al n. 4 dell’art. 51 c.p.c., non avendo il giudice COGNOME ‘ conosciuto la causa come magistrato in altro grado del processo ‘, essendo la sentenza n. 223/2016 stata resa in un altro processo. In ogni caso, il COGNOME, come da lui stesso ammesso, non ha neppure proposto istanza di ricusazione e, in difetto di ricusazione, la violazione dell’obbligo di astenersi da parte del giudice non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza da lui emessa, giacché l’art. 111 Cost., nel fissare i principi fondamentali del giusto processo (tra i
quali, appunto, l’imparzialità e terzietà del giudice), ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina e, in considerazione della peculiarità del processo civile, fondato sull’impulso paritario delle parti, non è arbitraria la scelta del legislatore di garantire, nell’ipotesi anzidetta, l’imparzialità e terzietà del giudice tramite gli istituti dell’astensione e della ricusazione; né detti istituti, cui si aggiunge quello dell’impugnazione della decisione nel caso di mancato accoglimento della ricusazione, possono reputarsi strumenti di tutela inadeguati o incongrui a garantire in modo efficace il diritto della parti alla imparzialità del giudice, dovendosi, quindi, escludere un contrasto con la norma recata dall’art. 6 della Convenzione EDU, che, sotto l’ulteriore profilo dei contenuti di cui si permea il valore dell’imparzialità del giudice, nulla aggiunge rispetto a quanto già previsto dal citato art. 111 Cost.’ (così Cass. n. 21094/2017).
Il secondo e il terzo motivo sono tra loro strettamente connessi:
il secondo motivo contesta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. per non avere la Corte d’appello rispettato il giudicato di cui alla sentenza n. 976/2017 del Tribunale di Rimini, agli atti del giudizio, sentenza resa in un giudizio promosso da COGNOME contro NOME COGNOME per il pagamento di una somma dovuta in conseguenza della società di fatto realizzata fra lo stesso COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, che ha accolto la domanda del ricorrente, in quanto è risultata provata l’esistenza della società di fatto tra le parti e l’accordo sulla corresponsione di parte dei ricavi a COGNOME;
il terzo motivo lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 395, n. 5 c.p.c. in relazione all’art. 2909 c.c., omesso esame di un fatto decisivo, costituito dall’applicazione dei giudicati confliggenti; nel giudizio d’appello erano state prodotte due sentenza definitive entrambe emesse dal Tribunale di Rimini tra le
medesime parti e in relazione ad analoghe domande di richieste di pagamento in relazione a una società di fatto, la prima sentenza emessa nel 2016 dal giudice COGNOME, la seconda sentenza emessa nel 2017 dal giudice COGNOME; la Corte d’appello doveva applicare il giudicato del 2017, in quanto successivo.
I due motivi sono inammissibili.
Il ricorrente censura, infatti, il contrasto tra la sentenza impugnata e la pronuncia, passata in giudicato, del Tribunale di Rimini n. 976/2017. Si tratta, come è evidente, di vizio non denunciabile con il ricorso per cassazione, ma con la revocazione di cui al n. 5 dell’art. 395 c.p.c. a norma del quale le sentenze pronunciate in grado d’appello sono impugnate per revocazione ‘ se la sentenza è contraria ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione ‘. Si veda al riguardo la pronuncia di questa Corte n. 17175/2020, per la quale ‘ in tema di giudicato esterno formatosi tra le stesse parti in un diverso giudizio, la deducibilità con ricorso per cassazione della violazione dell’art. 2909 c.c., ovvero del vizio di motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., è possibile solo nel caso in cui il giudice di merito abbia erroneamente accertato e interpretato il giudicato’ e quindi non nel caso, denunciato dal ricorrente, di mancata considerazione del giudicato medesimo.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Non vi è provvedimento sulle spese, non essendosi l’intimato difeso nel presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione