Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3458 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 3458 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24076/2019 R.G. proposto da:
REGIONE LAZIO , elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
NOME ENGINEERING PROF.ING. NOME COGNOME, NOMECOGNOME COGNOME
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliati in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 2929/2019 depositata il 7.5.2019.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 6/2/2025 dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso come da conclusioni scritte, uditi gli Avvocati NOME COGNOME per parte ricorrente e NOME
COGNOME per parte controricorrente.
FATTI DI CAUSA
La Regione Lazio ha evocato in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma la RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME e NOME COGNOME Ingegneri Associati (di seguito, semplicemente, RAGIONE_SOCIALE), in proprio e nella qualità di capogruppo mandataria dell’Associazione temporanea di prestatori di servizio (di seguito, semplicemente ATP) tra la stessa e la RAGIONE_SOCIALE, nonché NOME COGNOME, la sRAGIONE_SOCIALE. COGNOME e NOME COGNOME, con riferimento all’appalto per l’elaborazione del progetto definitivo ed esecutivo della viabilità di collegamento fra l’area pontina e l’autostrada A2, aggiudicato alla predetta ATP in seguito a gara pubblica del 12.1.1998.
1.1. La Regione ha chiesto la dichiarazione di inesistenza di due lodi arbitrali pronunciati rispettivamente il 7.10.2005 e il 28.7.2009, emessi a definizione di controversie intercorse con la RAGIONE_SOCIALE in proprio e quale capogruppo mandataria dell’ATP; in subordine, la declaratoria della loro inefficacia in conseguenza del provvedimento di annullamento in autotutela dei bandi di gara da essa disposto il 7.6.2011; la condanna della ATP e
di COGNOME alla restituzione di quanto percepito in forza del primo lodo e la dichiarazione di non debenza delle somme portate dal secondo lodo; la condanna di tutti i convenuti al risarcimento dei danni e al rimborso delle spese.
1.2. Il primo lodo del 7.10.2005 aveva per oggetto il pagamento dei corrispettivi dovuti per la progettazione preliminare, per la somma di € 5.662.161,21, oltre accessori.
Il secondo lodo del 28.7.2009 aveva per oggetto il risarcimento del danno, per oltre 11 milioni di euro, per la mancata esecuzione della progettazione definitiva ed esecutiva conseguente all’annullamento dell’aggiudicazione e all’affidamento dell’incarico ad altri professionisti.
Entrambi i lodi erano divenuti irrevocabili in difetto di impugnazione per nullità ex art.828 cod.proc.civ. da parte della Regione Lazio.
Il Tribunale, in contraddittorio con i convenuti, ha dichiarato l’inesistenza o comunque la nullità dei due lodi arbitrali pronunciati il 7.10.2005 e il 28.7.2009; ha condannato l’ATP e COGNOME in solido alla restituzione di quanto percepito in forza del primo lodo; ha dichiarato non dovute le somme portate dal secondo lodo; ha respinto la domanda risarcitoria; ha condannato i convenuti alla rifusione delle spese sostenute dalla Regione Lazio.
Hanno proposto appello la RAGIONE_SOCIALE in proprio e nella qualità di capogruppo mandataria dell’ATP, NOME COGNOME, la sRAGIONE_SOCIALE. COGNOME e NOME COGNOME e ha resistito la Regione Lazio, proponendo appello incidentale quanto al rigetto della sua domanda risarcitoria.
Con sentenza n.929 del 7.5.2019 la Corte di appello di Roma ha accolto l’appello principale e, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto le domande della Regione Lazio volte a far dichiarare inesistenza o inefficacia dei due lodi, ha respinto l’appello incidentale, e ha posto le spese processuali del doppio grado a carico della Regione.
In sintesi, secondo la Corte di appello:
il sopravvenuto annullamento ex tunc in autotutela dei bandi di gara non comportava l’inesistenza dell’accordo compromissorio;
l’annullamento dell’aggiudicazione disposta ex art.16, comma 3°, del r.d. 18.11.1923 n.2440, non determinava la caducazione automatica del contratto e comunque non retroagiva prima della sua disposizione, così da inficiare la preesistente introduzione del giudizio arbitrale;
l’atto di autotutela non era stato emesso entro un termine ragionevole ex art.21 nonies della legge n.241 del 1990 e il giudicato amministrativo sulla determina del 2011 era scaturito da ragioni procedurali;
i procedimenti arbitrali erano stati incardinati in forza di clausola compromissoria all’epoca valida ed efficace;
nel corso del procedimento arbitrale del 2005 la Regione nulla aveva eccepito ed anzi aveva chiesto la risoluzione del contratto per inadempimento, così confermando la sua esistenza;
nel corso del procedimento arbitrale del 2009 la Regione aveva eccepito inesistenza o invalidità del contratto, ma non della clausola compromissoria, e gli Arbitri si erano pronunciati espressamente al proposito respingendo tali eccezioni;
i lodi non impugnati per nullità erano ormai divenuti irrevocabili e la cosa giudicata copriva il dedotto e il deducibile;
l’impugnazione dei lodi era pure preclusa dal disposto dell’art.817, comma 2, cod.proc.civ.;
il sopravvenuto annullamento dei bandi di gara non aveva prodotto l’effetto di caducare i lodi irrevocabili;
come ritenuto dal Tribunale, non vi era stata adeguata dimostrazione di false dichiarazioni rese dagli appellanti in sede di gara in ordine ai necessari requisiti di partecipazione;
la pretesa risarcitoria avanzata dalla Regione era prescritta ai sensi dell’art.2947, comma 3, cod.civ., perché si poteva tuttalpiù
configurare nella condotta attribuita alle controparti il reato di turbata libertà degli incanti di cui all’art.353 c.p. e poiché era rilevante il momento in cui il danno era divenuto oggettivamente percepibile e riconoscibile.
Avverso la predetta sentenza, notificata il 28.5.2019, la Regione Lazio ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 26.7.2019 e affidato a dieci motivi.
Con atto notificato il 4.10.2019. hanno proposto controricorso la RAGIONE_SOCIALE in proprio e nella qualità di capogruppo mandataria dell’ATP, NOME COGNOME la RAGIONE_SOCIALE COGNOME e NOME COGNOME, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione, con favore di spese e condanna di controparte ex art.96, commi 1 o 3, cod.proc.civ.
Il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
La causa è stata discussa in pubblica udienza il 6.2.2025, dopo un differimento disposto per ragioni di ufficio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I primi sei motivi di ricorso sono tutti diretti avverso le argomentazioni con cui la Corte di appello ha giustificato l’accoglimento dell’appello e ha riformato la decisione di primo grado che aveva accolto la domanda principale della Regione dichiarativa dell’inesistenza e nullità dei due lodi arbitrali.
Nella sua memoria illustrativa la Regione sottolinea che la questione centrale e assorbente che si pone all’attenzione della Corte attiene alla possibilità di opporre, rispetto a un giudicato, un fatto sopravvenuto, e segnatamente l’annullamento in sede di autotutela dell’aggiudicazione.
Evidenzia ancora la ricorrente che il provvedimento di annullamento è stato impugnato dinanzi al Giudice Amministrativo,
ma il ricorso è stato respinto, e vi è quindi un giudicato sulla legittimità del provvedimento di annullamento e che in particolare il ricorso è stato respinto nella parte in cui la controparte aveva eccepito la nullità del provvedimento per violazione del giudicato.
7.1. La Corte di appello ha motivato la decisione con tre rationes concorrenti.
In primo luogo (pag.8, terzo capoverso e seguenti) perché il sopravvenuto annullamento degli atti di gara, sia pur con efficacia ex tunc , disposto in autotutela, non comportava l’inesistenza dell’accordo compromissorio, che riposava su di un piano giuridico assolutamente distinto.
In secondo luogo (pag.8, ultimo capoverso, e pag.9), perché la pretesa carenza di potestas iudicandi degli arbitri, non era stata contestata, né rilevata ex officio, nell’ambito dei due giudizi arbitrali.
In terzo luogo (pag.9, terzo capoverso) per l’acquisita irrevocabilità dei due lodi non impugnati e la copertura da parte del giudicato del dedotto e del deducibile.
7.2. Tutti e sei i predetti motivi appaiono infondati per le ragioni di seguito esposte.
Appare quindi il caso di rammentare il consolidato giurisprudenziale di questa Corte, secondo il quale, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l’omessa impugnazione di una di esse o la ritenuta infondatezza o inammissibilità delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Sez. 5, n. 11493 del 11.5.2018; Sez. 1, n.
18641 del 27.7.2017; Sez. 3, n. 15350 del 21.6.2017; Sez. 6 – 5, n. 9752 del 18.4.2017).
Sicché l’infondatezza delle censure rivolte contro una delle tre rationes, infra argomentata, comporta automaticamente l’inammissibilità di quelle rivolte contro le altre due.
Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art.2909 cod.civ. e si duole che la Corte territoriale abbia applicato il principio che il giudicato copre il dedotto e il deducibile senza considerare che il fatto opposto ai lodi arbitrali era un fatto sopravvenuto.
8.1. Il motivo è infondato perché il fatto sopravvenuto può produrre effetti giuridici e incidere sugli effetti del giudicato solo se si è al cospetto di un rapporto non esaurito: non può invece produrre effetti giuridici senza la permanenza nel tempo di un rapporto di durata (come nella specie).
Comunque anche nell’ambito di un rapporto non esaurito (e non è questo il caso in esame) il fatto sopravvenuto non potrebbe caducare gli effetti giuridici già collegati dal giudicato al fatto pregresso ma potrebbe incidere solo pro futuro all’interno di un rapporto di durata.
Al proposito Sez. 3, n. 25454 del 6.12.2007 ha affermato che « Allorquando due giudizi tra le stesse parti vertano sullo stesso rapporto giuridico e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento già compiuto in ordine a una situazione giuridica e la soluzione di questioni di fatto o di diritto, che abbiano inciso su un punto fondamentale comune ad entrambe le cause ed abbiano costituito la logica premessa contenuta nel dispositivo della sentenza passata in giudicato, precludono il riesame del punto accertato e risolto anche nel caso in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo ed il petitum del primo. Rispetto al suddetto principio, del
tutto scontato nella giurisprudenza di questa Corte, è stato, tuttavia, precisato (ex plurimis: Cass., n. 12554/98; Cass., n. 10420/2002; Cass., n. 7411/2004) che nei rapporti di durata, in relazione ai quali l’autorità della cosa giudicata ha come suo presupposto il principio rebus sic stantibus, la statuizione può essere modificata sulla base di fatti sopravvenuti alla sua formazione.»
8.2. Non persuade la diversa opinione espressa dal Procuratore generale che ha sostenuto che l’intangibilità del giudicato appare derogabile anche sulla base dei fatti sopravvenuti, come avviene ad esempio nell’ipotesi della sopravvenienza di fatti nuovi impeditivi in pendenza di giudizio di rinvio ex art. 394 cod.proc.civ.
La pronuncia della Sez. 1, 30.10.2003, n. 16294, secondo cui « il giudice di rinvio può prendere in considerazione fatti nuovi incidenti sulla posizione delle parti e sulle loro pretese, senza con ciò violare il divieto di esaminare punti non prospettati dalle parti nelle precedenti fasi, a condizione che si tratti di fatti impeditivi, modificativi o estintivi intervenuti in un momento successivo a quello della loro possibile allegazione nelle pregresse fasi processuali» non appare rilevante sia perché attiene a una deroga alle preclusioni endoprocessuali e non all’efficacia del giudicato, sia perché non si riferisce a un rapporto esaurito, ma a un rapporto in corso e anzi sub iudice.
8.3 . Il Procuratore Generale, a supporto delle argomentazioni della ricorrente, osserva che l’annullamento in autotutela dell’atto amministrativo è esplicazione del principio di legalità dell’azione amministrativa e consente di travolgere consequenzialmente gli atti contrattuali a valle dell’aggiudicazione annullata, sottolineando che nel caso in questione la legittimità dell’annullamento era passata indenne attraverso il vaglio giurisdizionale amministrativo.
In disparte il fatto che il Codice del procedimento amministrativo (d.lgs. n.104 del 2.7.2010) agli artt.121 e 122 ha superato
l’automatismo nella caducazione degli atti negoziali a valle dell’annullamento (giurisdizionale) e che la tesi della caducazione automatica dei negozi a valle è perlomeno discussa in giurisprudenza (per una ampia disamina del quadro giurisprudenziale ordinario e amministrativo vedasi recentemente Sez.1, 18.11.2024 n.29573), appare assorbente il rilievo dell’insormontabile ostacolo opposto dal giudicato intervenuto in precedenza.
8.4. Ben si può condividere quindi l’assunto dei controricorrenti secondo i quali l’annullamento della gara può avere effetti consequenziali e indiretti sul contratto susseguente e nella specie sull’accordo compromissorio, ma non certamente allorché in seguito alla emanazione del lodo e alla successiva impugnazione o (come nella specie) alla sua mancata impugnazione si sia formato il giudicato anche sulla validità ed efficacia dell’accordo compromissorio.
Non è consentito infatti alla parte interessata, neppur in omaggio al perseguimento del rispetto di legalità, come invece ipotizza il Procuratore Generale, di infrangere il giudicato che fa stato a ogni effetto fra le parti, copre il dedotto e il deducibile e costituisce regula juris (e quindi legge) del caso concreto, esprimendo una fondamentale esigenza di certezza del diritto.
Né vi può esser dubbio che la forza del giudicato debba essere riconosciuta anche alla decisione arbitrale non impugnata, alla stregua dei principi coniati dall’o rdinanza n. 24153 del 25.10.2013, delle Sezioni Unite, secondo cui l’attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla legge 5 gennaio 1994, n. 25 e dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicché lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza.
8.5. Appare il caso ancora di aggiungere che la tesi del Procuratore generale che istituisce una sorta di specie di concatenazione logica «annullamento dell’aggiudicazione -caducazione del contratto – caducazione dei giudicati che si basavano su contratto» non può essere condivisa anche perché il giudicato è esercizio di potere giurisdizionale che, una volta investito, decide della legittimità del proprio presupposto, statale o convenzionale, posto che anche la fonte convenzionale del potere arbitrale è parificata a quella della giurisdizione.
8.6. Non convince neppure il rilievo che la Regione ricorrente cerca di ascrivere al fatto che il Consiglio di Stato con la sentenza n.4170/2013 ha rigettato la domanda di nullità del provvedimento di annullamento in autotutela che l’RAGIONE_SOCIALE aveva fondato anche sulla violazione del giudicato arbitrale.
In disparte il fatto che la sentenza in questione non è né trascritta né allegata e che i controricorrenti sostengono che l’accoglimento del ricorso in rito è dipeso dalla tardività dell’impugnazione, appare assorbente il rilievo che il giudicato riguarda la legittimità dell’annullamento dell’aggiudicazione e non già il contratto conseguente e la clausola compromissoria, come puntualmente osservato dalla Corte romana, che a pagina 8 ha sottolineato il difetto di caducazione automatica del contratto e della clausola compromissoria e conseguentemente del lodo emesso in forza di essa.
8.7. Non appare pertinente neppure l’invocazione da parte della Regione Lazio della pronuncia delle Sezioni Unite del 21.11.2024 n. 30051, adottata in materia di autotutela tributaria, secondo la quale il potere di autotutela costituisce una prerogativa di cui è titolare la Pubblica Amministrazione e che si giustifica in quanto connaturato al compito istituzionale di perseguire la miglior cura dell’interesse pubblico affidato; la posizione di supremazia dei soggetti pubblici significa che essi hanno non solo il potere di
provvedere alla cura degli interessi a loro assegnati, ma anche quello di intervenire per rimediare agli eventuali pregiudizi che siano insorti in ragione della stessa attività amministrativa.
Da tali generali e ineccepibili osservazioni non deriva affatto che l’esercizio del potere di autotutela possa travolgere il giudicato formatosi nel frattempo.
Al contrario, la pronuncia citata dalla Regione, pur resa nella specifica materia tributaria, ha avuto cura di far espressamente salvi gli effetti del giudicato, allorché ha affermato che il potere di autotutela tributaria (le cui forme e modalità sono disciplinate dall’art. 2-quater, comma 1, del d.l. n. 564 del 1994, conv. con modif. dalla l. n. 656 del 1994, e dal successivo d.m. n. 37 del 1997, nonché, con decorrenza dal 18 gennaio 2024, dagli artt. 10quater e 10-quinquies, della l. n. 212 del 2000) trae fondamento, al pari della potestà impositiva, dai principi costituzionali di cui agli artt. 2, 23, 53 e 97 Cost. in vista del perseguimento dell’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi legalmente accertati; di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria, qualora non sia decorso il termine di decadenza per l’accertamento previsto per il singolo tributo e sull’atto non sia stata pronunciata sentenza passata in giudicato, può legittimamente annullare, per vizi sia formali che sostanziali, l’atto impositivo viziato ed emettere, in sostituzione, un nuovo atto anche per una maggiore pretesa. (Sez. U, n. 30051 del 21.11.2024).
Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione dei principii relativi alle conseguenze dell’annullamento dell’aggiudicazione rispetto al contratto e sostiene che l’annullamento in autotutela comporta l’automatica caducazione del contratto e ciò con efficacia ex tunc .
Anche questa censura, secondo cui l’annullamento dell’aggiudicazione determina la caducazione automatica del
contratto (tanto più se non vi è stata formale stipulazione, ma l’aggiudicazione ne ha tenuto il luogo) incorre nell’obiezione dirimente sopra esposta: l’atto amministrativo, al pari della legge, quand’anche convalidato da una verifica giurisdizionale circa la sua legittimità, non può rendere privo di effetti il giudicato.
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione degli art.828 e 829 cod.proc.civ. perché l’inesistenza della clausola compromissoria non avrebbe dovuto necessariamente essere dedotta con l’azione di nullità ex art.829 cod.proc.civ. e avrebbe potuto essere eccepita in ogni momento.
10.1. Neppure questo mezzo appare fondato.
L’art.817 cod.proc.civ. (come sostituito dall’art. 22, d.lgs. 2.2.2006, n. 40, applicabile ai procedimenti arbitrali, nei quali la domanda di arbitrato è stata proposta successivamente al 2.3.2006) dispone:
« Se la validità, il contenuto o l’ampiezza della convenzione d’arbitrato o la regolare costituzione degli arbitri sono contestate nel corso dell’arbitrato, gli arbitri decidono sulla propria competenza.
Questa disposizione si applica anche se i poteri degli arbitri sono contestati in qualsiasi sede per qualsiasi ragione sopravvenuta nel corso del procedimento. La parte che non eccepisce nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri l’incompetenza di questi per inesistenza, invalidità o inefficacia della convenzione d’arbitrato, non può per questo motivo impugnare il lodo, salvo il caso di controversia non arbitrabile .»
Il testo anteriore alla riforma del 2006 recitava:
« La parte, che non eccepisce nel corso del procedimento arbitrale che le conclusioni delle altre parti esorbitano dai limiti del compromesso o della clausola compromissoria, non può, per questo motivo, impugnare di nullità il lodo ».
10.2. Il primo lodo del 2005 era conseguito a una domanda di arbitrato sicuramente radicata prima della riforma del 2006.
La sentenza impugnata (pag.9, quarto capoverso) chiarisce invece che il secondo procedimento arbitrale, deciso nel 2009, era stato introdotto il 31.1.2007 e quindi dopo l’entrata in vigore della riforma.
La ricorrente inoltre nel suo quarto mezzo, richiamando il proprio atto di appello, ha implicitamente ammesso che il secondo procedimento, culminato nel lodo del 2009, era stato introdotto dopo la riforma del 2006.
10.3. Comunque anche con riferimento al regime pregresso e in base al previgente testo dell’art. 817 cod.proc.civ. questa Corte ha affermato che « se le parti concordano sul fatto che la composizione della lite è stata devoluta ad arbitri e se la procedura per arbitrato rituale ha avuto corso fino alla pronuncia del lodo senza che in quella procedura sia stata sollevata l’eccezione di incompetenza di cui all’art. 817 cod.proc.civ., non può più una parte far valere la nullità del lodo (ex art. 829, comma 1, n. 4) » (Sez. L, n. 4156 del 24.2.2006).
In definitiva, dopo l’accettazione da parte degli arbitri e la loro nomina a cura delle parti, la parte doveva eccepire l’inesistenza della convenzione d’arbitrato nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri e diversamente non poteva più per tale motivo impugnare il lodo.
10.4. Beninteso, la previsione dell’art. 817, comma 2, secondo periodo, cod.proc.civ., non preclude l’eccezione e rilevazione d’ufficio della non arbitrabilità della controversia, perché avente ad oggetto diritti indisponibili o per l’esistenza di una espressa norma proibitiva, in sede di impugnazione del lodo per nullità, anche qualora la relativa eccezione non sia stata formulata in sede arbitrale. (Sez. U, n. 19852 del 20.6.2022).
Nel caso in esame tuttavia non si verte in ipotesi di non arbitrabilità della controversia, ma semplicemente di dedotto sopravvenuto annullamento del contratto contenente la clausola compromissoria.
10.5. Trovano quindi applicazione i principi ripetutamente espressi dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui è inammissibile l’impugnazione di un lodo fondata su questioni relative alla natura rituale o irrituale dell’arbitrato qualora le questioni medesime risultino prospettate per la prima volta in sede di impugnazione, non essendo state mai sollevate in precedenza nel corso del giudizio arbitrale ex art. 817 cod.proc.civ. (Sez. 1, n. 2066 del 25.1.2022); ovvero in caso di deferimento della controversia ad un collegio arbitrale, il difetto di potestas iudicandi del collegio decidente, per essere la convenzione di arbitrato nulla, deve essere eccepito nella prima difesa successiva all’accettazione degli arbitri, sicché, in difetto, la dedotta invalidità degrada a nullità sanabile (Sez. 2, n. 15613 del 4.6.2021); o ancora, l’eccezione d’incompetenza dell’arbitro di cui all’art. 817, comma 2 cod.proc.civ., salvo il caso di controversia non arbitrabile, coerentemente con la nuova accezione para-giurisdizionale dell’arbitrato rituale, è da considerarsi quale eccezione di rito in senso stretto, soggetta al limite temporale indicato dall’ art. 817, comma 3, cod.proc.civ., solo per la parte che ha partecipato al relativo giudizio arbitrale e non per quella che, rimasta assente, in sede di impugnazione del lodo contesti in radice che la lite sia devolvibile agli arbitri (Sez. 3, n. 5824 del 28.2.2019).
E difatti, anche dopo la novella introdotta dal d.lgs. n. 40 del 2006, solo qualora una delle parti contesti in radice che la lite sia devoluta ad arbitri e, pur regolarmente chiamata, rifiuti di partecipare al giudizio arbitrale, non opera l’art. 817, comma 3, cod.proc.civ. e, perciò, la stessa non subisce la preclusione posta da tale disposizione, con la conseguenza che può adire il giudice ordinario perché accerti che il lodo, comunque emesso pur in
mancanza di clausola compromissoria, sia inefficace o inesistente nei suoi confronti. (Sez. 3, n. 5824 del 28.2.2019).
10.6. Giova infine rammentare che secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite l’attività degli arbitri rituali, anche alla stregua della disciplina complessivamente ricavabile dalla legge 5.1.1994, n. 25 e dal d.lgs. 2.2.2006, n. 40, ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario (Sez. U, n. 24153 del 25.10.2013) e piena attitudine al giudicato (vedi in seguito Sez. 1, n. 20899 del 7.9.2017; Sez. 1, n. 6830 del 24.3.2014; Sez. 1, n. 25372 del 12.11.2013; Sez. 1, n.3899 del 12.2.2024).
Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia omessa pronuncia e violazione dell’art.112 cod.proc.civ. con riferimento alle deduzioni con cui aveva sostenuto che l’art.16, comma 3, del r.d. 2440 del 1923 è applicabile alle sole amministrazioni statali ed è norma dispositiva, liberamente derogabile.
11.1. La Regione Lazio si duole di una omessa pronuncia sul suo motivo di appello con cui aveva assunto che al lodo del 2005 non era applicabile il nuovo art. 817 e che inoltre la clausola compromissoria non poteva ritenersi esistente perché il contratto non era sostituito dal verbale di aggiudicazione. Ciò perché la Regione aveva derogato all’art. 16 del r.d. n. 2440/1923, norma dispositiva, avendo richiesto certificazione comprovante quanto dichiarato in sede di gara ed essendo libera di non procedere all’affidamento.
11.2. Il mezzo appare infondato.
Diversamente da quanto sostenuto dalla Regione, la Corte di appello ha pronunciato sul motivo a pagina 10 (primi paragrafi) affermando che l’intervenuto giudicato sull’esistenza della convenzione di arbitrato ai sensi dell’art. 817, comma 2, spiega efficacia anche in relazione al primo lodo, al quale la norma (in vigore dal 2006) non sarebbe stata applicabile.
La Corte romana al riguardo ha osservato: « La pretesa inesistenza dell’accordo compromissorio è dunque sanata dall’iter impugnatorio del lodo e l’avvenuta formazione del giudicato sostanziale in merito alla esistenza, validità ed efficacia del secondo lodo, emesso tra le stesse parti e riferito alla medesima convenzione di arbitrato, spiega efficacia anche con riferimento al primo lodo, al quale non è temporalmente applicabile la norma sopra richiamata, in vigore dal 2.3.2006. Ne deriva che l’asserita inesistenza sopravvenuta dell’accordo compromissorio, a seguito della definitività del provvedimento emesso dalla Regione Lazio in autotutela, non può spiegare effetti né con riferimento alla pretesa inesistenza del lodo del 2009, né con riferimento alla pretesa inesistenza del lodo del 2005 .»
La Corte di appello, in buona sostanza, rispondendo alla censura -così in effetti esaminata – ha detto che il giudicato successivo copre il precedente e ha fatto applicazione della regola che fra due giudicati successivi eventualmente contrastanti prevale il successivo.
Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione dell’art.16 del r.d. 2440/1923 per il caso in cui si dovessero ritenere implicitamente disattese le deduzioni del mezzo precedente.
12.1. In tal modo la ricorrente ripropone la censura di cui al precedente motivo sub specie di violazione di diritto.
12.2. Il mezzo appare inammissibile: la ratio decidendi che ha ispirato la decisione della Corte capitolina, sopra richiamata e citata in relazione al motivo precedente, non è stata specificatamente impugnata per cui la censura risulta priva di decisività.
Con il sesto motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt.817 bis e 824 bis cod.proc.civ . e dell’art.27 della legge n. 40 del 2016 perché il primo lodo era stato
pronunciato prima della riforma del 2006 e l’inesistenza della clausola compromissoria non esige la proposizione della impugnazione per nullità e può essere denunciata in ogni tempo.
Il motivo appare inammissibile per la stessa ragione del precedente e cioè per la mancanza di una specifica censura della decisione della Corte di appello fondata sul giudicato ravvisato nel secondo lodo del 2009.
I successivi quattro motivi dal settimo al decimo investono invece la decisione di rigetto della domanda risarcitoria subordinata della Regione Lazio.
15 . Con il settimo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art.346 cod.proc.civ. ed error in procedendo.
15.1. La Regione ricorda di aver impugnato in via subordinata con appello incidentale la decisione di primo grado con cui il Tribunale aveva rigettato la sua domanda risarcitoria, domanda che essa aveva riproposto in appello per il caso di mancato accoglimento della domanda principale.
A tal riguardo la Corte romana aveva rigettato il gravame incidentale, ritenendo fondata l’eccezione di prescrizione sollevata nel giudizio di primo grado dai convenuti- appellanti -appellati in via incidentale.
A tal proposito la ricorrente osserva che l’eccezione di prescrizione non era stata riproposta dalle controparti nella prima difesa successiva al deposito della comparsa di costituzione della Regione recante l’appello incidentale.
15.2. Il motivo appare fondato: gli stessi controricorrenti (controricorso, pag.43) ammettono di aver operato con l’atto di appello un mero richiamo agli scritti di primo grado e di aver argomentato sulla prescrizione soltanto nelle note conclusive. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la riproposizione
dell’eccezione deve essere formulata in modo specifico e non è al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni prese davanti al primo giudice.
Secondo le Sezioni Unite, la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, non ha l’onere di proporre appello incidentale per richiamare in discussione le proprie domande o eccezioni non accolte nella pronuncia, da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perché assorbite; in tal caso la parte è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello o nel giudizio di cassazione in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinunzia derivante da un comportamento omissivo (Sez. U , n. 13195 del 25.5.2018).
Si è poi ribadito che la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, non ha l’onere di proporre appello incidentale in relazione alle proprie domande o eccezioni non accolte (perché superate o non esaminate in quanto assorbite) ma deve solo riproporle espressamente nel giudizio di impugnazione, al fine di evitare la presunzione di rinunzia derivante da un contegno omissivo, precisando tuttavia che non è a tal fine sufficiente un generico richiamo alle «eccezioni» contenute nelle difese del precedente grado di giudizio, siccome inidoneo a manifestare in modo specifico la volontà di riproporre una determinata domanda o eccezione (Sez. 3 , n. 33649 del 1.12.2023; Sez. 3, n. 25840 del 13.11.2020; Sez. 2 , n. 40833 del 20.12.2021).
Inoltre le parti del processo di impugnazione, nel rispetto dell’autoresponsabilità e dell’affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale ex art. 343 cod.proc.civ.), a riproporre
ai sensi dell’art. 346 cod.proc.civ. le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel thema probandum e nel thema decidendum del giudizio di primo grado (Sez. U, n. 7940 del 21.3.2019).
15.3. È pur vero che i controricorrenti, già appellanti, soccombenti in primo grado, che avevano visto assorbita la domanda subordinata della Regione e la loro eccezione di prescrizione, nell’atto di gravame diretto avverso l’accoglimento della domanda principale della Regione avevano dichiarato di anticipare, per quanto potesse occorrere « le eccezioni e deduzioni tutte che gli appellanti avevano già proposto in primo grado…. con riguardo alle domande che risultano implicitamente assorbite e che devono intendersi integralmente trascritte. »
Nel far ciò gli appellanti hanno fatto riferimento ad alcune pagine della comparsa di costituzione, della memoria istruttoria, della comparsa conclusionale e della memoria di replica.
E tuttavia, da un lato, il riferimento, così operato per generica relazione, non soddisfa il requisito della specificità della deduzione, dall’altro rappresenta una difesa anticipata rispetto a una domanda che solo successivamente la Regione ha ritenuto di riproporre in appello.
In tal modo la deduzione degli appellanti si risolve in un richiamo generico agli atti di primo grado e in una mera clausola di stile, inidonea a soddisfare il necessario requisito di specificità che avrebbe richiesto quantomeno un sintetico accenno al contenuto delle eccezioni riproposte.
16. Con l’ottavo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt.353 e 640 c.p. commessa dalla Corte territoriale nel ritenere che il fatto attribuito
al partecipante a una gara di appalto dichiarando il falso in ordine al possesso dei necessari requisiti integrasse il solo delitto di cui all’art.353 c.p. e non anche quello di truffa.
Il motivo resta evidentemente assorbito per effetto dell’accoglimento del motivo precedente.
Con il nono motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia omessa pronuncia, violazione dell’art.112 cod.proc.civ. e nullità per error in procedendo con riferimento alle stesse questioni proposte con il mezzo precedente.
Anche questo motivo resta assorbito per effetto dell’accoglimento del settimo.
Con il decimo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia error in procedendo e nullità della sentenza per motivazione apparente con riferimento alla infondatezza dell’appello incidentale.
18.1. Osserva la ricorrente che quand’anche la Corte di appello avesse statuito in proposito, cosa che in realtà non era comprensibile, l’avrebbe fatto con motivazione solo apparente.
La ricorrente si riferisce alla affermazione della Corte « anche a prescindere dal condivisibile rilievo del Tribunale » resa a proposito della mancanza di prova di false dichiarazioni in sede di gara sul possesso dei requisiti, in assenza peraltro di un accertamento penale sull’ipotizzata turbativa d’asta.
18.2. Il mezzo è inammissibile perché la censura in questione è rivolta nei confronti di un’affermazione che non costituisce ratio decidendi del rigetto della domanda risarcitoria, fondata sull’avvenuta prescrizione.
Si tratta in realtà di una mera motivazione ad abundantiam che non va oltre la soglia dell’ obiter dictum, formulata in modo del tutto sommario per approvare genericamente il decisum di primo grado.
Per i motivi esposti occorre accogliere il settimo motivo di ricorso, assorbiti l’ottavo e il nono, respinti o dichiarati inammissibili ut supra tutti gli altri, cassare la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinviare la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per la regolazione