Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20221 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 20221 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/07/2025
Dott.
NOME COGNOME
Presidente –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott.
NOME
SARRACINO
Consigliere –
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2316/2021 R.G. proposto da:
DI NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall ‘ avvocato NOME COGNOME con diritto di ricevere le comunicazioni all ‘ indirizzo pec dei Registri di Giustizia;
– ricorrenti –
contro
REGIONE PUGLIA, in persona del legale rappresentante pro -tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la
Oggetto:
retrodatazione
inquadramento – giudicato
DELEGAZIONE ROMANA DELLA REGIONE PUGLIA, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 885/2020 della CORTE D ‘ APPELLO di BARI, depositata il 07/07/2020 R.G.N. 2338/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
05/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO IN FATTO
I ricorrenti, dottori agronomi dipendenti della Regione Puglia, agivano con ricorso al Tribunale di Bari del 18/11/2005 per ottenere la retrodatazione del loro inquadramento a far data dal 24.4.1981, con tutte le correlative conseguenze in punto di ricostruzione della carriera e di maturazione di differenze retributive.
Esponevano di essere stati assunti dalla Regione inizialmente in data 22.5.1980 con contratti di formazione lavoro (per la realizzazione di un progetto inerente allo sviluppo dell’irrigazione in Puglia) frequentando un apposito corso della durata di un anno denominato ‘corso di specializzazione post – laurea progetto irrigazione’, volto a formare tecnici laureati nel settore irrigazione (scadenza del progetto 24.3.1981).
Sulla base della legge n. 33 del 1980, che consentiva l’immissione in ruolo del detto personale giovanile e della legge regionale n. 12 del 1981 (art. 4) la Regione Puglia aveva bandito le prove di idoneità.
Era stato svolto l’esame di idoneità e le graduatorie, distinte per livello, erano state approvate in data 13.12.1982.
Quindi la Giunta, con atto n. 1026 del 14.12.1983, aveva formalizzato il rapporto di lavoro a tempo indeterminato non di ruolo, per tutti i giovani che avevano superato le predette prove di idoneità (tra cui gli odierni ricorrenti) con decorrenza giuridica ed economica 1.1.1983 (in sostanza dall’approvazione delle graduatorie).
Successivamente, i suddetti lavoratori erano stati inseriti nei ruoli a partire dall’1.01.1985, con decorrenza giuridica ed economica dall’1.01.1983, ai sensi della legge n. 134 1984.
Con successivo atto Giuntale n. 6078 del 24.6.1988, detto inquadramento venne retrodatato al 24.3.1981, termine coincidente con quello finale del progetto ex lege n. 285/1977 e del ridetto ‘corso di specializzazione post – laurea’.
Tale atto giuntale venne, però, annullato dalla Commissione Governativa di Controllo con decisione n. 21323 prot. n. 18144 del 15.12.1988.
Proposto ricorso dinanzi al TAR Puglia Lecce da altri lavoratori (diversi dagli odierni istanti), con decisione del n. 8/1993 il provvedimento di annullamento della Giunta fu, a sua volta, annullato.
Il successivo ricorso in appello al Consiglio di Stato, da parte della Commissione Governativa, venne dichiarato perento con decreto Presidenziale del 19.11.2003.
In sede di ricorso dinanzi al Tribunale di Bari i ricorrenti, sul presupposto che la perenzione del giudizio amministrativo avesse comportato la riespansione e/o reviviscenza ( erga omnes ) degli effetti del cennato atto Giuntale n. 6078 del 24.6.1988 chiedevano affermarsi tale retrodatazione al 24.3.1981 degli inquadramenti con ogni conseguenza.
Costituitasi in giudizio la Regione Puglia eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice adito ed in ogni caso sosteneva che nessuna retrodatazione poteva essere disposta in assenza di una previsione legislativa in tal senso.
Il Tribunale adito dichiarava il proprio difetto di giurisdizione.
La Corte d’appello di Bari con sentenza n. 3532/2013 riformava tale decisione in punto di giurisdizione.
Riassunto il giudizio, il Tribunale di Bari, con sentenza del 10.5.2018, nel contraddittorio tra le parti, rigettava il ricorso.
Riteneva che i ricorrenti, in quanto estranei al giudizio instaurato dinanzi al TAR Puglia Lecce non potessero beneficiare dell’effetto demolitivo rispetto alla decisione del 15 dicembre 1988.
Evidenziava che l’omessa impugnazione dell’atto della Commissione Governativa di Controllo n. 21323 prot. n. 18144 del 15.12.1988 di annullamento dell’atto Giuntale n. 6078 del 24.6.1988, che aveva retrodatato il loro inquadramento al 24.3.1981, impediva loro di invocare la perdurante efficacia di tale atto Giuntale.
In ogni caso richiamava, quanto all’infondatezza comunque della pretesa, pronunce del Consiglio di Stato su fattispecie analoghe (così Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 settembre 2002, n. 5017).
11. L’impugnazione dei lavoratori era respinta dalla Corte d’appello di Bari con sentenza n. 885/2020, oggetto dell’odierno ricorso.
Escludeva la Corte territoriale ogni violazione del giudicato rispetto alla precedente sentenza della Corte d’appello n. 3532 del 31.12.2013 che non aveva operato alcuna concreta valutazione circa il merito della pretesa attorea, essendosi limitata a dirimere la sola questione processuale della giurisdizione.
Riteneva, per il resto, infondata la tesi sostenuta dai ricorrenti basata sulla permanente efficacia del provvedimento Giuntale che aveva riconosciuto l’inquadramento retroattivo (per essere, ad avviso degli appellanti, definitivo con efficacia erga omnes l’annullamento dell’atto della Commissione Governativa di Controllo n. 21323 prot. n. 18144 del 15.12.1988 che il primo a sua volta aveva annullato).
Richiamava l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che, con le sentenze nn. 4 e 5 del 2019, aveva rimarcato la natura eccezionale dell’estensione e, individuatone il fondamento, aveva precisato che la stessa può essere invocata in caso di annullamento: di un regolamento; di un atto plurimo inscindibile (ad es. decreto di esproprio di un bene in comunione); di un atto plurimo scindibile, qual è una graduatoria concorsuale, se il ricorso viene accolto per un vizio comune alla
posizione di tutti i destinatari; di un atto che provvede unitariamente nei confronti di un complesso di soggetti (scioglimento di un organo collegiale).
In tutte queste ipotesi, infatti, la natura dell’atto, valutata singolarmente o in rapporto al vizio accertato, è tale da determinare la giuridica impossibilità che l’atto stesso «possa non esistere più per taluno e continuare ad esistere per altri».
Tuttavia, evidenziava che l’Alto Consesso della Giustizia amministrativa aveva anche ribadito che l’eccezione al principio dell’efficacia inter partes del giudicato si giustifica in ragione dell’inscindibilità dell’annullamento, sicché l’estensione riguarda solo l’effetto caducatorio e non concerne, invece, gli obblighi di accertamento della pretesa, ordinatori e conformativi, rispetto ai quali torna ad espandersi la regola generale fissata dall’art. 2909 cod. civ.
Precisava che se era vero che il Consiglio di Stato, con decreto Presidenziale del 19.11.2003, aveva dichiarato la perenzione dell’appello a suo tempo proposto dalla Commissione Governativa di Controllo che non l’aveva coltivato, era anche vero che il medesimo Consiglio Stato con sentenza n. 5017/2002 aveva respinto (questa volta entrando nel merito della vicenda) l’analogo ricorso di altri dipendenti Regionali assunti ex lege n. 285/1977, confermando la legittimità della decisione della predetta Commissione Governativa.
Riteneva, quindi, che, nello specifico, residuasse una questione puramente conformativa della P.A. la quale, in sintesi, doveva decidere nella specie (ovvero nel caso di lavoratori non rientranti né nel ‘primo’, né nel ‘secondo’ gruppo) se conformarsi all’una o all’altra decisione e tanto era stato fatto essendosi la Regione Puglia uniformata, in modo del tutto corretto, alle ragioni in diritto seguite dal Consiglio di Stato.
Ed infatti la decisione del TAR Lecce n. 8/1993 di annullamento della decisione della Commissione Governativa, richiamata dagli appellanti, non aveva riconosciuto tout court il diritto dei vari
dipendenti alla retrodatazione dell’inquadramento per cui è causa, essendosi limitata a rilevare che le ragioni esplicitate nella delibera di Giunta n. 6078/1988 ‘se da un lato non possono rivelarsi atte a trasformare la natura giuridica del rapporto de quo e quindi a legittimare una pretesa dei dipendenti volta ad ottenere una retrodatazione dell’inquadramento, d’altro canto rappresentano valide motivazioni a sostegno del potere discrezionale esercitato dalla Amministrazione’, per cui nulla ostava a che il (discrezionale) potere conformativo della P.A. di cui sopra risultasse esercitato, nei confronti degli odierni ricorrenti (che si ribadisce, non erano ‘parti’ nel giudizio sfociato nella cennata sentenza del TAR Puglia Lecce), in modo difforme in virtù di una rimeditata valutazione della vicenda.
Richiamava Cons. Stato Sez. IV n. 8196/2009 che, in totale distonia con la cennata deliberazione giuntale n. 6078/1988 – poi annullata dalla Commissione Governativa con provvedimento del 15.12.1988 -, aveva ritenuto che alcuna retrodatazione dell’inquadramento in ruolo avrebbe potuto giustificarsi, malgrado il rapporto di lavoro pertinente agli interessati presentasse tutti i connotati tipici (in primis, la diretta correlazione tra la prestazione di lavoro ed i fini istituzionali dell’ente) del rapporto di pubblico impiego, non essendo in discussione la pregressa sussistenza, in capo agli interessati, di un tale rapporto lavorativo subordinato, pacifica ai sensi delle considerazioni sopra svolte, ma la particolare natura (non di ruolo a tempo indeterminato) dello stesso, che ne impediva l’equiparazione al rapporto di ruolo e, quindi, la retrodatazione della nomina definitiva alla data di trasformazione dell’originario contratto di formazione in contratto a tempo indeterminato.
Contro tale sentenza i lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
La Regione Puglia ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va preliminarmente affrontato il tema della validità della partecipazione al giudizio della Regione Puglia; questa S.C. ha già ritenuto (Cass. 24 dicembre 2019, n. 34467 e più di recente Cass. 28 dicembre 2023, n. 36212) la necessità dell ‘ autorizzazione a resistere, richiesta dall ‘ art. 44 dello Statuto della Regione Puglia, secondo cui alla Giunta Regionale spetta di deliberare «in materia di liti attive e passive» con dizione analoga a quella prevista in altre regioni e stabilmente intesa da questa Corte nel senso che la Regione può «promuovere le liti o resistervi soltanto previa autorizzazione della Giunta» (v. Cass., Sez. Un., 8 maggio 2007, n. 10371; Cass. 11 gennaio 2008, n. 480); la Regione, tuttavia, ha depositato nel fascicolo telematico, in sede di costituzione di nuovo difensore avvenuta in data 14.05.2025, delibera in ratifica della costituzione in giudizio, che sana ogni difetto in proposito; d ‘ altra parte – si osserva -ai sensi del novellato art. 372 cod. proc. civ., applicabile immediatamente al procedimento (v. art. 35, comma 6, d.lgs. n. 149/2022), al fine di introdurre in sede di legittimità i documenti riguardanti l ‘ ammissibilità del ricorso o (qui) del controricorso, è sufficiente il deposito telematico, non essendo stata più riprodotta la previsione di una notifica alle altre parti, in ragione della conoscibilità indotta dall ‘ acquisizione al fascicolo informatico (v. analogamente, per il controricorso, il novellato art. 370 cod. proc. civ.).
Sempre in via preliminare va disattesa l ‘ eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza.
Gli atti rilevanti sono trascritti nelle parti di interesse e comunque sono debitamente richiamati e allegati.
Tanto chiarito si osserva che si discute, nel caso di specie, di una retrodatazione degli effetti giuridici ed economici dell ‘ inquadramento di due anni (1.01.1981 -31.12. 1982) diversa e più ampia rispetto a
quella prevista dalle leggi nazionali e regionali e fissata all ‘ 1.01.1983 (v. infra ).
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione di giudicato interno in relazione all ‘ art. 2909 del cod. civ., ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.
Rilevano che nella sentenza della Corte d ‘ appello n. 3532/2013 era stato così evidenziato: ‘Orbene non vi è dubbio che il fatto costitutivo della pretesa azionata in prime cure sia integrato inequivocabilmente dalla delibera della G.R. n. 6078/88 che ha riconosciuto il diritto degli odierni appellanti alla retrodatazione del loro inquadramento dell ‘ VIII livello sin dal 24.3.81 ed il cui successivo annullamento in forza della decisione 21323 della Commissione Governativa di Controllo del 15.12.88 ne ha cagionato la lamentata lesione con conseguente pregiudizio alla ricostruzione giuridica ed economica della loro complessiva carriera.
Sostengono che già la predetta sentenza aveva statuito sul diritto degli odierni appellanti all ‘ applicazione in loro favore della già richiamata delibera di G.R. n. 6078/88.
Il motivo è infondato.
Il passaggio motivazionale cui i ricorrenti fanno riferimento è servito alla Corte territoriale ad enucleare il petitum ai fini della valutazione della fondatezza dell ‘ appello che aveva riguardato la declinata giurisdizione da parte del Tribunale.
Nessuna statuizione di merito vi era stata circa la pretesa azionata solo una individuazione di quest ‘ ultima sulla base della domanda azionata ed al solo fine di individuare la giurisdizione.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione di giudicato amministrativo in relazione all ‘ art. 2909 cod. civ., ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.
Censurano la sentenza impugnata per aver richiamato, a sostegno dell ‘ affermazione che il giudicato amministrativo opera solo inter partes Cass. n. 13389/2019 che non attiene assolutamente al caso de quo.
Il motivo è, in sé, inconferente rispetto al complessivo decisum .
Ed infatti la Corte territoriale non ha affermato in assoluto che il giudicato amministrativo opera solo inter partes ma, richiamando l’Adunanza Plenaria del 2019, ha precisato che l’eccezione al principio dell’efficacia inter partes del giudicato si giustifica in ragione dell’inscindibilità dell’annullamento, sicché l’estensione riguarda solo l’effetto caducatorio e non concerne, invece, gli obblighi di accertamento della pretesa, ordinatori e conformativi, rispetto ai quali torna ad espandersi la regola generale fissata dall’art. 2909 cod. civ.
In ogni caso, pur annullato l’atto di controllo, residuava il potere della P.A. di rivedere le determinazioni di cui all’atto originario (sul punto è chiara la richiamata Adunanza Plenaria n. 4 del 2019 che al punto 2. Dei principi di diritto ha cosi statuito: ‘ 2. Il giudicato amministrativo ha di regola effetti limitati alle parti del giudizio e non produce effetti a favore dei cointeressati che non abbiano tempestivamente impugnato. I casi di giudicato con effetti ultra partes sono eccezionali e si giustificano in ragione dell’inscindibilità degli effetti dell’atto o dell’inscindibilità del vizio dedotto: in particolare, l’indivisibilità degli effetti del giudicato presuppone l’esistenza di un legame altrettanto inscindibile fra le posizioni dei destinatari, in modo da rendere inconcepibile, logicamente, ancor prima che giuridicamente, che l’atto annullato possa continuare ad esistere per quei destinatari che non lo hanno impugnato. Per tali ragioni deve escludersi che l’indivisibilità possa operare con riferimento a effetti del giudicato diversi da quelli caducanti e, quindi, per gli effetti conformativi, ordinatori, additivi o di accertamento della fondatezza della pretesa azionata, che operano solo nei confronti delle parti del giudizio ‘).
E la P.A. anche giudizialmente ha sostenuto che quell’atto non poteva essere emanato in quanto in assenza di previsione legislativa non poteva essere disposta la retrodatazione.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 4 e 6 della Legge Regionale Pugliese n. 12/1981 e dell’art. 10 della Legge Regionale Pugliese n. 16/1980, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.
Sostengono che l’acclarata retrodatazione dell’inquadramento dei ricorrenti nel ruolo regionale pugliese alla data del 24 marzo 1981 ha come indefettibile corollario l’applicazione in loro favore, ratione temporis, della legge regionale n. 16/1980 sicché appare, ictu oculi, fondata la domanda dei ricorrenti di dichiarare il loro diritto all’inquadramento nell’8° livello funzionale ex art. 10 della L.R. 16/80 dal 24/3/81 al 31/12/82 e di conseguenza nella prima qualifica dirigenziale, ai sensi dell’art. 36 della L.R. n. 26/84, a far data dal 1° gennaio 1983 e di condannare l’Ente Regione Puglia, nella persona del Presidente della G.R. pro -tempore , quale legale rappresentante, ad inquadrarli nell’8° livello funzionale della L.R. 16/1980 a far data dal 24/3/1981 e nella prima qualifica dirigenziale, ai sensi dell’art. 36 L.R. 26/1984, a far data dall’1/1/1983.
La sentenza impugnata non avrebbe messo in correlazione la domanda dei ricorrenti con le leggi regionali in materia.
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale ha ritenuto la salvezza del potere amministrativo nonostante la pronuncia del TAR Puglia Lecce.
Nello specifico l’Amministrazione ha valutato di non far rivivere l’atto Giuntale n. 6087/1988 (che, invece, a dire dei ricorrenti, riviveva sulla base della sentenza del TAR Puglia emessa nei confronti di altri lavoratori).
Tale valutazione è corretta in base a quanto affermato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 8196/2009 (richiamata nella sentenza impugnata) con la quale in totale distonia con la cennata deliberazione giuntale n. 6078/1988 – poi annullata dalla Commissione Governativa con provvedimento del 15.12.1988 – si è ritenuto che la normativa applicabile alla fattispecie non lasciava, in realtà, alla Regione alcun margine per valutazioni discrezionali, precisamente ancorando la decorrenza dell’immissione in ruolo dei giovani assunti, ex lege n. 285/1977, alla data di approvazione delle graduatorie degli esami di idoneità, ai quali gli stessi dovevano essere sottoposti.
L’Adunanza plenaria n. 4 del 2019 sopra ricordata, al punto 2. dei principi di diritto, ha così statuito:
‘2. Il giudicato amministrativo ha di regola effetti limitati alle parti del giudizio e non produce effetti a favore dei cointeressati che non abbiamo tempestivamente impugnato. I casi di giudicato con effetti ultra partes sono eccezionali e si giustificano in ragione dell’inscindibilità degli effetti dell’atto o dell’inscindibilità del vizio dedotto: in particolare, l’indivisibilità degli effetti del giudicato presuppone l’esistenza di un legame altrettanto inscindibile fra le posizione dei destinatari, in modo da rendere inconcepibile, logicamente, ancor prima che giuridicamente, che l’atto annullato possa continuare ad esistere per quei destinatari che non lo hanno impugnato. Per tali ragioni deve escludersi che l’indivisibilità possa operare con riferimento a effetti del giudicato diversi da quelli caducanti e, quindi, per gli effetti conformativi, ordinatori, additivi o di accertamento della fondatezza della pretesa azionata, che operano solo nei confronti delle parti del giudizio.’
In sostanza, come è stato anche successivamente ribadito, l’inscindibilità riguarda solo l’effetto di annullamento (il c.d. effetto caducatorio), perché è solo rispetto ad esso che viene a crearsi la sopra richiamata situazione di incompatibilità logica che un atto inscindibile
possa non esistere più per taluno e continuare ad esistere per altri, mentre, gli effetti di accertamento della pretesa e, consequenzialmente a tale accertamento, quelli ordinatori / conformativi operano sempre solo inter partes , essendo soltanto le parti legittimate a far valere la violazione dell’obbligo conformativo o dell’accertamento della pretesa contenuto nel giudicato (v. anche pronunce successive all’adunanza plenaria nel medesimo senso: così, tra le più recenti, Consiglio di Stato sez. II, 30 maggio 2024, n. 4857).
Quindi, per i soggetti diversi dalle parti nel giudizio dinanzi al G.A., effetto caducatorio sussiste, l’obbligo conformativo no.
Ed allora, state la mancanza di un obbligo conformativo, correttamente è stato ritenuto che non potesse giustificarsi la retrodatazione dell’inquadramento in ruolo sul presupposto (nella specie insussistente) dell’aver il pregresso rapporto di lavoro svolto dagli interessati presentato tutti i connotati tipici ( in primis la diretta correlazione tra la prestazione di lavoro ed i fini istituzionali dell’Ente) che caratterizzano il rapporto di pubblico impiego.
Nello specifico non è in discussione la pregressa sussistenza in capo agli originari ricorrenti di un rapporto di pubblico impiego a far tempo dalla ultimazione dei progetti (e fino all’immissione in ruolo), ma si trattava di un rapporto avente una natura particolare dello stesso (come si evince dallo stesso ricorso, per il periodo dal termine finale del progetto ex lege n. 285/1977 e del ridetto ‘corso di specializzazione post – laurea’ -24.3.1981 -fino alla immissione in ruolo post graduatoria si trattava, infatti, di un rapporto ‘non di ruolo’ a tempo indeterminato), il che ne impediva la equiparazione al rapporto di ruolo e precludeva la retrodatazione della nomina definitiva degli interessati alla suddetta data finale del progetto.
La decorrenza dell’immissione in ruolo dei giovani assunti con contratto a tempo determinato ex lege n. 285/1977 era ancorata alla data di approvazione delle graduatorie degli esami di idoneità ai quali
gli stessi dovevano essere sottoposti. In tal senso chiaramente disponevano a livello statale gli art. 26 ter e ss. d.l. 30 dicembre 1979 n. 663, conv. dalla l. 29 febbraio 1980 n. 33, nonché, a livello regionale.
Ed infatti un ‘rapporto non di ruolo a tempo indeterminato’ si riferisce a un contratto di lavoro a tempo indeterminato che non prevede un “ruolo” specifico o un’assegnazione a un determinato posto di lavoro all’interno di una struttura pubblica.
Peraltro, la suddetta decisione del Consiglio di Stato, n. 8196/2009, come quella del Consiglio di Stato n. 5017/2002, ha riguardo altri lavoratori inseriti nella medesima graduatoria.
Diversamente ragionando si determinerebbe una evidente disparità di trattamento.
Insomma, la pretesa retrodatazione della decorrenza giuridica ed economica all ‘ 1.01.1981 (rispetto a quella dell ‘ 1.01.1983) incontra il limite dell ‘ essere stato in detto periodo (1.01.1981 -31.12.1982) il rapporto dei ricorrenti un rapporto non di ruolo.
Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 91 e 182 cod. proc. civ., ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.
Censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto tardiva oltre che infondata l ‘ eccezione di carenza dello ius postulandi della Regione Puglia.
Il motivo deve essere disatteso.
È assorbente quanto riportato nella sentenza impugnata circa l ‘ avvenuta rituale costituzione -non contestata – della Regione Puglia nelle precedenti fasi del presente giudizio (che deriva da una sentenza del Tribunale di Bari del 22.10.2009 dichiarativa del difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario, poi annullata dalla Corte d ‘ appello con sentenza n. 3532/2013).
Tale originaria autorizzazione a proporre una domanda o a resistere in giudizio, non contenente, come nella specie, alcuna limitazione al primo grado, abilita implicitamente il legale rappresentante dell ‘ ente anche alla proposizione dell ‘ appello (ovvero a costituirsi in giudizio), in conformità al principio generale secondo il quale la procura speciale al difensore, rilasciata in primo grado ‘per il presente giudizio’, senza alcuna indicazione delimitativa, esprime la volontà della parte di estendere il mandato all ‘ appello, quale ulteriore grado in cui si articola il giudizio stesso, così superando la presunzione di conferimento solo per primo grado, ai sensi dell ‘ art. 83, ultimo comma, cod. proc. civ. (v. Cass. 16 febbraio 2012, n. 2210; Cass. 27 dicembre 2013, n. 28672 con principio richiamato da Cass., Sez. Un., n. 28672 del 12 maggio 2023).
Da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato.
Quanto alla regolamentazione delle spese, valuta il Collegio che l’assoluta peculiarità della vicenda in esame, come evincibile dall’ iter della stessa riassunto nello storico di lite, giustifichi la compensazione delle spese tra le parti.
Occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., Sez. Un., 20 febbraio 2020, n. 4315, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte,
-rigetta il ricorso;
-compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta Sezione