Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5554 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L   Num. 5554  Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22367/2018 R.G. proposto da:
NOME COGNOME ,  elettivamente  domiciliato  in  ROMA,  INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE ,  in  persona  del  Presidente pro  tempore , rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
Oggetto: Lavoro pubblico contrattualizzato -Concorso interno -Annullamento integrale -Giudicato  amministrativo -Estensione – Effetti
R.G.N. 22367/2018
Ud. 20/02/2024 CC
COGNOME COGNOME
-intimato – avverso la sentenza n. 477/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/02/2018.
Udita la relazione svolta nella camera  di consiglio del giorno 20/02/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 477/2018 del giorno 8 febbraio 2018, la Corte d’appello di Roma –  decidendo in sede di rinvio ex art.  384 c.p.c. a seguito  della  pronuncia  di  questa  Corte  n.  8603/2016 -ha,  nella regolare costituzione dell’originaria appellata RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) e nella contumacia dell’originario appellante COGNOME, integralmente respinto le domande formulate dall’originario appellato NOME COGNOME.
Quest’ultimo aveva originariamente agito innanzi il giudice del lavoro  di  Roma,  premettendo  di  aver  partecipato  ad  un  concorso interno  dell’allora  RAGIONE_SOCIALE –  riservato  al  personale  di  secondo  livello professionale, profilo Primo Tecnologo e disposto con bando 1/2002 per  l’attribuzione  di  tre  posti  di  primo  livello  professionale,  profilo Dirigente Tecnologo, classificandosi al quarto posto, e quindi primo dei non promossi.
Aveva chiesto accertarsi il proprio diritto sia alla corretta valutazione dei titoli del curriculum professionale e di quello degli altri concorrenti che lo precedevano nella graduatoria -ed in particolare di COGNOME, classificatosi terzo sia all’attribuzione del terzo
nonché contro
-controricorrente –
posto utile nella graduatoria finale, con conseguente inquadramento finale nel posto di primo  livello professionale, profilo Dirigente Tecnologo a decorrere dal 30 dicembre 2001 e con condanna dell’RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno pari alle differenze retributive maturate dal 30  dicembre  2001  e  fino  all’effettivo  conferimento  della  posizione messa a concorso.
Accolta la domanda da parte del Tribunale di Roma e proposto appello da parte di NOME COGNOME, era stata prodotta da RAGIONE_SOCIALE la sentenza n. 387/2012 con la quale il Consiglio di Stato, all’esito di un separato giudizio al quale NOME COGNOME non aveva partecipato – ed in relazione al quale questa Corte, con sentenza n. 8924/2011, aveva affermato la giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di concorso che configurava una modalità di progressione verticale aveva annullato il concorso.
Pur  avendo NOME  COGNOME  eccepito  l’inammissibilità  del gravame di COGNOME COGNOME per sopravvenuta carenza di interesse ad agire, la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 5494/2012, aveva tuttavia dichiarato il difetto di giurisdizione sulla domanda di NOME COGNOME.
Impugnata tale statuizione in sede di legittimità, questa Corte, con  la  già  citata  pronuncia  n.  8603/2016,  aveva  accolto  il  secondo motivo  di  ricorso,  affermando  la  sussistenza  della  giurisdizione  del giudice ordinario.
Riassunto il giudizio da parte di NOME COGNOME, la Corte d’appello  di  Roma,  con  la  sentenza  n.  477/2018  qui  impugnata, richiamato il contenuto della decisione di questa Corte, ha ritenuto che il giudicato scaturito dalla decisione del Consiglio di Stato – giudicato rilevabile d’ufficio e comunque già dedotto nel precedente giudizio di appello – fosse opponibile anche ad NOME COGNOME, sebbene lo
stesso  non  avesse  partecipato  al  giudizio,  argomentando  che  la sentenza  di  annullamento  della  procedura  concorsuale  presentava, secondo  i  principi enunciati  dalla  giurisprudenza  amministrativa, contenuto  inscindibile,  come  tale  estensibile  anche  a  chi,  come NOME COGNOME, non aveva partecipato al giudizio.
Ha, pertanto, concluso la Corte capitolina che lo stesso NOME COGNOME non poteva chiedere la valutazione dei titoli e la spettanza del  diritto  al  superiore  inquadramento  sulla  base  di  una  procedura ormai annullata e non più esistente.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma ricorre ora NOME COGNOME.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE.
È rimasto intimato COGNOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380 bis.1, c.p.c.
Il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360,  n.  4,  c.p.c.,  la  nullità  della  sentenza  e  del  procedimento  per violazione degli artt. 100, 276, 334, 338, 343, 436 c.p.c. in relazione all’art. 2909 c.c. ed all’art. 111 Cost.
Argomenta,  in  particolare,  il  ricorso  che  la  Corte  d’appello,  in quanto  giudice  del  rinvio,  avrebbe  dovuto  esaminare -prima  della dedotta esistenza di un giudicato esterno opponibile al ricorrente -il profilo  dell’ammissibilità  e  procedibilità  degli  appelli  di  COGNOME COGNOME e dell’RAGIONE_SOCIALE.
La Corte d’appello, prosegue il ricorrente, avrebbe dovuto rilevare il  sopravvenuto  difetto  di  interesse  all’impugnazione  proprio  come conseguenza dell’annullamento del concorso, conseguentemente dichiarando l’inammissibilità dell’impugnazione, in tal modo determinandosi il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.
1.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., ‘anche in relazione all’art. 111 Cost. ed all’art. 101 c.p.c. ‘ .
Argomenta, in particolare, il ricorso che:
-in  primo  luogo,  la  Corte  d’appello  avrebbe  omesso  di considerare  il  giudicato  interno  scaturito  dalla  decisione  di questa  Corte  n.  8603/2016,  concernente  la  natura  non concorsuale della procedura per la quale è causa, laddove tale giudicato avrebbe vincolato la Corte d’appello a valutare la procedura concorsuale ‘con esclusivo riferimento alla natura di atto privatistico’ ;
-in secondo luogo, la Corte capitolina avrebbe erroneamente ritenuto  applicabili  anche  al  procedimento  civile  i  principi dettati dal giudice amministrativo in relazione a provvedimenti amministrativi, per l’effetto estendendo erroneamente  l’efficacia  espans iva  del  giudicato  in  caso  di annullamento di un atto amministrativo generale al processo civile, in tal modo violando i limiti del giudicato fissati dall’art. 2909 c.c.
I due motivi devono essere esaminati congiuntamente, stante la loro connessione, e sono infondati.
2.1.  Si  deve,  in  primo  luogo,  rilevare  che  è  consolidato  nella giurisprudenza di questa Corte l’orientamento secondo cui la denuncia di violazione del giudicato esterno se, da un lato, attribuisce al giudice
di legittimità il potere di ‘accertare direttamente l’esistenza e la portata del giudicato con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice di merito ‘ (Cass. S.U. Sez. U, Sentenza n. 24664 del 28/11/2007), dall’altro richiede pur sempre che vengano assolti gli oneri di specificazione e di allegazione di cui agli artt. 366, n. 6), e 369, n. 4), c.p.c., per cui il ricorrente è tenuto a trascrivere nel ricorso il testo della sentenza o del provvedimento giudiziale che si assume passato in giudicato e ad indicare tempi, modo e luogo della produzione del documento nel giudizio di merito (Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 15737 del 23/06/2017 e Cass. S.U. Sez. U, Sentenza n. 1416 del 27/01/2004).
È stato anzi precisato al riguardo che ‘ poiché la sentenza prodotta in un giudizio per dimostrare l’esistenza di un giudicato esterno rilevante ai fini della decisione assume rispetto ad esso – in ragione della sua oggettiva intrinseca natura di documento – la natura di una produzione documentale, il requisito di ammissibilità del ricorso per cassazione indicato dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. concerne, in tutte le sue implicazioni, anche una sentenza prodotta nel giudizio di merito, riguardo alla quale il motivo di ricorso per cassazione argomenti la censura della sentenza di merito quanto all’esistenza, alla negazione o all’interpretazione del suo valore di giudicato esterno ‘ (Cass. Sez. 6 3, Ordinanza n. 21560 del 18/10/2011 e negli stessi termini Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 12658 del 05/06/2014).
Nel caso in esame, pacifico il passaggio in giudicato della sentenza del Consiglio di Stato n. 387/2012 ed essendo in contestazione i riflessi che  tale  decisione  dovrebbe  avere  sulla  domanda  del  ricorrente,
sarebbe  stato  onere  del  ricorrente  procedere  alla  riproposizione  nel ricorso quantomeno dei passaggi essenziali di tale decisione, curando poi di procedere alla individuazione della sua collocazione negli atti del giudizio.
2.2.  Al  di  là  di  tale  –  già  di  per  sé  significativa  –  carenza, l’infondatezza del ricorso emerge alla luce dell’impostazione già seguita da  questa  Corte  in  materia  (Cass.  Sez.  L  –  Sentenza  n.  3830  del 15/02/2021)  in  ordine  alla  individuazione  degli  effetti  del  giudicato amministrativo.
Si è infatti osservato che, in assenza di una diversa disciplina specifica dettata per il processo amministrativo – assenza che rende operante il rinvio alle disposizioni processualcivilistiche -è da ritenersi che anche al giudicato amministrativo si applichi il principio generale secondo cui il giudicato opera solo inter partes , ma che, come evidenziato da giurisprudenza e dottrina, le peculiarità proprie del giudicato amministrativo – che attiene all’atto e non al rapporto -conducono alla individuazione, sia pure in via di eccezione rispetto alla regola generale, di casi nei quali l’estensione del giudicato si giustifica o per la particolare natura dell’atto o per la presenza di un legame inscindibile fra i destinatari che, per lo più valutato unitamente al vizio che inficia la validità del provvedimento, rende inconcepibile, sul piano logico e giuridico, che l’atto stesso possa continuare a produrre effetti nella sfera giuridica dei soggetti non impugnanti.
Il principio, consolidato da tempo nella giurisprudenza amministrativa e condiviso da questa Corte (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n.  2734  del  13/03/1998;  Cass.  Sez.  1,  Sentenza  n.  16728  del 24/08/2004; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11920 del 22/05/2009; Cass. Sez.  5  –  Ordinanza  n.  13389  del  17/05/2019),  è  stato  ribadito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. Stato Ad. Plen.,
27/02/2019,  nn.  4  e  5)  che  ha  rimarcato  la  natura  eccezionale dell’estensione  e,  individuatone  il  fondamento,  ha  precisato  che  la stessa può essere invocata in caso di annullamento: di un regolamento;  di  un  atto  plurimo  inscindibile;  di  un  atto  plurimo scindibile – quale è una graduatoria concorsuale – se il ricorso viene accolto per un vizio comune alla posizione di tutti i destinatari; di un atto  che  provvede  unitariamente  nei  confronti  di  un  complesso  di soggetti.
In tutte queste ipotesi, infatti, la natura dell’atto, valutata singolarmente o in rapporto al vizio accertato, è tale da determinare la giuridica  impossibilità  che  l’atto  stesso ‘ possa  non  esistere  più  per taluno e continuare ad esistere per altri ‘ .
È stato precisato, peraltro, che l’eccezione al principio dell’efficacia inter  partes del  giudicato  si  giustifica  in  ragione  dell’inscindibilità dell’annullamento sicché l’estensione riguarda solo l’effetto caducatorio e non concerne, invece, gli obblighi ordinatori e conformativi, rispetto ai quali torna ad espandersi la regola generale fissata dall’art. 2909 c. c.  (negli  stessi  termini  Cass.  Sez.  L  –  Sentenza  n.  21000  del 06/08/2019).
La pronuncia del Consiglio di Stato si pone, quindi, in continuità con l’orientamento consolidato nella giurisprudenza amministrativa secondo cui ‘ la sfera di efficacia soggettiva di una pronuncia giurisdizionale amministrativa di annullamento va differenziatamente individuata a seconda che si abbia riguardo alla sua parte dispositivocassatoria dell’atto ovvero a quella ordinatorio prescrittiva, statuente limiti e vincoli per la successiva azione dell’amministrazione; mentre, infatti, nel primo caso, con l’eliminazione dal mondo giuridico del provvedimento impugnato la pronuncia non può che fare stato “erga omnes”, nel secondo, la mancata evocazione in giudizio di una parte
impedisce  la  costituzione  nei  suoi  confronti  di  quella  “res  iudicata” idonea a vincolare i successivi organi giudicanti ‘ (Consiglio di Stato n. 561/1990 e negli stessi termini la successiva giurisprudenza richiamata al punto 31 di Consiglio di Stato n. 4/2019).
2.3. Tornando, allora, al caso in esame, si deve ritenere che la decisione della Corte Capitolina abbia fatto corretto governo di tali principi, rilevando -peraltro sulla scorta della giurisprudenza sia amministrativa (Cons. Stato Sez. IV, 18/11/2013, n. 5459) sia di questa Corte (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 6016 del 28/02/2023) – il carattere inscindibile della graduatoria del concorso e concludendo nel senso che l’annullamento di tale concorso non poteva non avere riflessi nella sfera di tutti coloro che al concorso stesso avevano partecipato, valendo inevitabilmente nella specie la constatazione della impossibilità che il concorso annullato potesse ‘non esistere più per taluno e continuare ad esistere per altri ‘ .
2.4. Si giunge, in tal modo, ad individuare il paralogismo che affligge il primo motivo del ricorso, e conseguentemente il gravame nel suo complesso: non può, infatti, il ricorrente sostenere che, mentre in capo all’intimato COGNOME doveva ritenersi venuto meno l’interesse a proporre appello, contestualmente doveva inve ce ritenersi permanere in capo al ricorrente medesimo l’interesse all’originaria domanda -ed alla conservazione degli effetti della pronuncia di prime cure – in quanto il radicale venire meno del concorso non poteva che determinare il correlato dissiparsi di tutte le pretese correlate al concorso medesimo, comprese quelle originariamente azionate dal ricorrente.
Quest’ultimo , infatti, rivendica il formarsi di un ipotetico giudicato che, in realtà, non potrebbe azionare né nei confronti dell’intimato né nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, atteso che tale giudicato dovrebbe concernere
l’accertamento del diritto ad una progressione nell’inquadramento sulla base di un concorso che invece è radicalmente venuto meno nei suoi effetti.
2.5. Né vale invocare, come pure ha fatto il ricorrente, un vincolo di giudicato derivante dalla decisione di questa Corte n. 8603/2016 che aveva affermato la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda proposta dal ricorrente.
Il  giudicato  desumibile  da  detta  pronuncia,  infatti,  concerne  la qualificazione della procedura selettiva all’origine del contendere e la sua devoluzione della giurisdizione del giudice ordinario, ma non è in grado di travolgere la precedente decisione del Consiglio di Stato che ha  annullato  la  procedura  medesima,  non  risultando  azionato  nei confronti di quest’ultima il rimedio previsto dalla legge per l’ipotesi di contrasto di giudicati.
Il ricorso deve quindi essere respinto.
La peculiarità e complessità della vicenda -che ha già registrato l’intervento di due decisioni di questa Corte giustificano l’integrale compensazione delle spese del presente grado di legittimità.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020). 
P. Q. M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
compensa integralmente le spese del giudizio di legittimità.
Ai  sensi  del  D.P.R.  30  maggio  2002,  n.  115,  art.  13  comma  1quater , nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis , ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale in data 20 febbraio