Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20319 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20319 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 6369/2022 r.g. proposto da:
Città Metropolitana di RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale rilasciata su atto separato, i quali dichiarano di voler ricevere gli avvisi, le comunicazioni e le notificazioni agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati.
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale su foglio separato e congiunto al controricorso, con facoltà di agire disgiuntamente, dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma presso l’AVV_NOTAIO, INDIRIZZO
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE n. 1731/2021, depositata in data 6/9/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31/1/2025 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE:
La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, poi Città metropolitana, costituiva con i Comuni in essa compresi la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, per operare all’interno dell’Ambito territoriale ottimale (ATO), ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. n. 22 del 1997.
L’adesione della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE all’Ambito territoriale ottimale CT1, RAGIONE_SOCIALE, era avvenuta con la deliberazione del Commissario ad acta 20/12/2002, n. 87.
Tale ordinanza aveva approvato gli schemi di costituzione delle RAGIONE_SOCIALE per la RAGIONE_SOCIALE integrata dei RAGIONE_SOCIALE, disponendo il trasferimento all’ATO di tutte le attività di competenza della RAGIONE_SOCIALE nel campo della RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE e la cessazione delle attività di RAGIONE_SOCIALE da parte della provincia. Nella deliberazione del Commissario ad acta n. 87 del 2002 veniva compreso lo schema di statuto di RAGIONE_SOCIALE, con lo scopo di «assicurare la RAGIONE_SOCIALE unitaria ed integrata dei RAGIONE_SOCIALE secondo criteri di efficienza ed economicità nell’RAGIONE_SOCIALE territoriale ottimale».
Tale previsione veniva riportata anche nel testo dello statuto approvato.
La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE impugnava la deliberazione 30/5/2011 di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione di approvazione del bilancio per l’esercizio finanziario del 2010 dinanzi al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con atto di citazione del 12/10/2011.
In particolare, contestava l’imputazione a suo carico della somma di euro 1.036.675,96 per il costo del RAGIONE_SOCIALE reso.
Si costituiva in giudizio RAGIONE_SOCIALE, chiedendo il rigetto della domanda attrice e proponendo anche domanda riconvenzionale volta ad ottenere, anche a titolo di ingiustificato arricchimento, la condanna al pagamento di quelle stesse somme riportate nel bilancio di esercizio tra i crediti.
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE accoglieva la domanda della RAGIONE_SOCIALE ed annullava la deliberazione del 12/10/2011.
Per il Tribunale, a mente dell’art. 6 dello statuto della RAGIONE_SOCIALE, sarebbe stato onere della RAGIONE_SOCIALE comunicare la data di inizio del RAGIONE_SOCIALE; in assenza di tale comunicazione, l’ente avrebbe dovuto partecipare alle sole spese generali. Dalla documentazione in atti non vi era però prova di tale comunicazione da parte della provincia, dell’avvio del RAGIONE_SOCIALE, «né della sottoscrizione del relativo protocollo d’intesa». Pertanto, precisava il Tribunale, «in assenza di espressa manifestazione della volontà di attivare il RAGIONE_SOCIALE da parte dell’ente (nelle forme prescritte per gli enti pubblici e non certo tramite il silenzio) la RAGIONE_SOCIALE non era legittimata ad erogarlo».
La delibera di approvazione del bilancio 2010, laddove riportava la voce ‘ricavo per servizi nei confronti della provincia’, doveva essere annullata.
Il Tribunale dichiarava inammissibile, per carenza dei presupposti di cui all’art. 36 c.p.c., la domanda riconvenzionale della RAGIONE_SOCIALE volta
ad ottenere la condanna dell’ente al pagamento di quelle stesse somme a titolo di ingiustificato arricchimento, «essa non dipendendo dal titolo dedotto in giudizio dall’attore (trattandosi di impugnativa di delibera assembleare) o come mezzo di eccezione».
Proponeva appello RAGIONE_SOCIALE, che veniva respinto dalla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 1731/2021, pubblicata il 6/9/2021.
5.1. Con il primo motivo di appello la RAGIONE_SOCIALE deduceva l’errore del Tribunale nell’aver ritenuto che l’erogazione del RAGIONE_SOCIALE da parte di RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE «fosse subordinata ad un atto volitivo discrezionale della stessa RAGIONE_SOCIALE (comunicazione della data di inizio del RAGIONE_SOCIALE, ovvero convenzione)».
L’interpretazione letterale dell’art. 6 dello statuto della RAGIONE_SOCIALE non teneva conto del contesto in cui si collocava la disciplina dell’erogazione dei servizi di raccolta dei RAGIONE_SOCIALE da parte delle RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE e, in particolare, del d.lgs. n. 22 del 1997 (decreto Ronchi).
Quest’ultimo aveva «affidato in via esclusiva il sistema di raccolta di RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE costituite dagli enti locali e le cui disposizioni, in quanto norme di riforma economico-sociale, sono immediatamente applicabile in regione siciliana».
Inoltre, non si è tenuto conto nemmeno del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale aveva confermato la competenza dell’autorità d’RAGIONE_SOCIALE a gestire il RAGIONE_SOCIALE di igiene urbana e l’impossibilità di qualsiasi altro soggetto a svolgerlo».
Con l’adozione, da parte del Commissario ad acta , della deliberazione n. 87 del 2002, di approvazione dello statuto di RAGIONE_SOCIALE – ad avviso dell’appellante – «gli enti locali si sono dunque spogliati di tutte le competenze in materia di RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE, costituente una modalità di RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE a
carattere obbligatorio; ciò in funzione dell’inderogabile finalità di assicurare la raccolta integrata nell’area di competenza della RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE e di evitare la frammentazione delle competenze dei vari enti».
5.2. Con il secondo motivo di appello si deduceva, in subordine, l’errore in cui era incorso il Tribunale «nell’escludere l’obbligo dello ente – una volta fruito comunque del RAGIONE_SOCIALE – di sostenere il relativo costo, non potendo esso addurre un proprio comportamento amministrativo contra legem (omessa richiesta dell’avvio del RAGIONE_SOCIALE) per esonerarsi dal pagamento dei relativi costi». Il pagamento limitato alle spese generali da parte della RAGIONE_SOCIALE si riferiva all’ipotesi in cui «la RAGIONE_SOCIALE non abbia comunque svolto in concreto il RAGIONE_SOCIALE in favore della provincia, pur essendosi fatta carico dello stesso nell’interesse di tutti gli altri enti soci».
5.3. Con il terzo motivo di appello la RAGIONE_SOCIALE reputava errata la decisione del Tribunale nell’aver ritenuto inammissibile la domanda riconvenzionale di ingiustificato arricchimento.
5.4. Con il quarto motivo d’appello la RAGIONE_SOCIALE censurava la condanna alle spese, chiedendone quantomeno la compensazione.
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n. 1731/2021 sopra richiamata, accoglieva il primo motivo d’appello della RAGIONE_SOCIALE, rigettando le domande proposte dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, poi Città metropolitana di RAGIONE_SOCIALE, con l’atto introduttivo del giudizio.
6.1. Per quel che ancora qui rileva, la Corte d’appello evidenziava che le RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE avevano continuato ad operare sino all’anno 2012, ai sensi dell’art. 2, comma 186bis , della legge n. 191 del 2009, come introdotto dall’art. 1, comma 1quinquies , del decretolegge n. 2 del 2010, convertito con la legge n. 42 del 2010.
Chiariva la Corte di merito che la RAGIONE_SOCIALE integrata dei RAGIONE_SOCIALE, che non era venuta comunque meno neppure a seguito della soppressione della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE, non aveva comportato la soppressione delle competenze delle RAGIONE_SOCIALE per lo svolgimento del RAGIONE_SOCIALE di raccolta dei RAGIONE_SOCIALE nelle zone esterne ai perimetri abitati dei territori comunali, di cui all’art. 160 della legge regionale Sicilia n. 25 del 1993, essendosi limitata la legge a trasferirne l’esercizio alle RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 6, comma 1, della legge regionale siciliana 8/4/2010, n. 9.
La Corte d’appello aggiungeva che l’art. 6, comma 1, della legge Regione Sicilia n. 9 del 2010 aveva previsto che per l’esercizio delle funzioni di RAGIONE_SOCIALE integrata dei RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE ed i comuni ricompresi in ciascun RAGIONE_SOCIALE territoriale costituissero per ogni ATO, una RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di capitali denominata «RAGIONE_SOCIALE per la RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE».
Per tale ragione, non era consentita la RAGIONE_SOCIALE autonoma del RAGIONE_SOCIALE di raccolta dei RAGIONE_SOCIALE ad opera di un ente socio di una RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE, «essa ponendosi in contrasto con l’art. 200, comma 1, lettera a) del d.lgs. n. 152 del 2006 […] secondo cui la RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE urbani è organizzata, fra l’altro, sulla base del criterio del superamento della frammentazione delle gestioni, attraverso un RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE integrata dei RAGIONE_SOCIALE», cui gli enti locali «partecipano obbligatoriamente». All’ATO era quindi «trasferito l’esercizio delle loro competenze in materia di RAGIONE_SOCIALE integrata dei RAGIONE_SOCIALE».
Di conseguenza, la comunicazione, da parte degli enti territoriali partecipanti, alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, della data di inizio di espletamento del RAGIONE_SOCIALE, di cui all’art. 6 dello statuto, per avere un significato conforme alla legge di riferimento, non poteva «assurgere ad elemento costitutivo del diritto della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE a provvedere alla RAGIONE_SOCIALE ed erogazione del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE integrata».
La corretta interpretazione – ad avviso della Corte d’appello – era quella di intendere tale dizione come previsione di un adempimento (la comunicazione) «diretto esclusivamente a regolare la fase di concreta attuazione del RAGIONE_SOCIALE, essendo finalizzata unicamente ad individuare concordemente la data di inizio».
Se ne deduceva il dovere in capo alla RAGIONE_SOCIALE di cooperare all’adempimento, da parte della RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE, dei compiti inerenti alla RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, e attraverso il compimento di tutte quelle attività necessarie affinché esso potesse essere espletato, «senza che gli sia consentito frapporre comportamenti che tendano a paralizzare l’esecuzione di un RAGIONE_SOCIALE essenziale, con compromissione dell’interesse pubblico».
La previsione in ordine alla partecipazione ai soli oneri di spese generali della RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE non poteva che riferirsi all’ipotesi in cui la RAGIONE_SOCIALE «non a[vesse] comunque svolto in concreto il RAGIONE_SOCIALE in favore dell’ente territoriale», pur essendosi fatta carico dello stesso nell’interesse di tutti gli altri enti soci.
Restava assorbito il motivo d’appello concernente il rigetto della domanda di arricchimento ingiustificato proposta in via riconvenzionale dalla RAGIONE_SOCIALE.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Città metropolitana di RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, proponendo anche ricorso incidentale, e depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione degli articoli 200, comma 1, lettera
A) e 201, comma 2, d.lgs. n. 152/06 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – Nullità della sentenza».
La Corte territoriale ha ritenuto che non sia consentita la RAGIONE_SOCIALE autonoma del RAGIONE_SOCIALE di raccolta dei RAGIONE_SOCIALE ad opera di un ente socio di una RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE. Ha anche sostenuto che una diversa autonoma scelta da parte di un ente locale (comuni e RAGIONE_SOCIALE) si porrebbe in contrasto con l’art. 200, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 152 del 2006, a mente del quale la RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE urbani è organizzata sulla base «del criterio del superamento della frammentazione delle gestioni, attraverso un RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE integrata dei RAGIONE_SOCIALE».
Per la Corte d’appello, dunque, sarebbe sottratta agli enti locali la possibilità di incidere, con propria autonoma delibera, sulla RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, ovvero di svincolarsi per la RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE medesimo, dalla RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE e provvedervi autonomamente.
Per la ricorrente, invece, la Corte avrebbe erroneamente interpretato le disposizioni dello statuto societario, e segnatamente dell’art. 6, travisando «totalmente il dato letterale e la volontà in esso espressa dalle parti interessate».
Sul punto, indica l’art. 197 del d.lgs. n. 152 del 2006 il quale stabilisce che «alle RAGIONE_SOCIALE competono in linea generale le funzioni amministrative concernenti la programmazione ed organizzazione del recupero e dello smaltimento dei RAGIONE_SOCIALE a livello provinciale».
L’art. 198 del d.lgs. n. 152 del 2006 stabilisce, poi, che i comuni concorrono, nell’RAGIONE_SOCIALE delle attività svolte a livello degli ambiti territoriali ottimali, alla RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE urbani ed assimilati, anche attraverso appositi regolamenti.
L’art. 200 del d.lgs. n. 152 del 2006 disciplina la RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE urbani, organizzata attraverso ambiti territoriali ottimali, denominati ATO, delimitati dal piano regionale, secondo il criterio del
«superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE integrata dei RAGIONE_SOCIALE»; l’autorità d’RAGIONE_SOCIALE è una struttura costituita in ciascun RAGIONE_SOCIALE territoriale ottimale, cui gli enti locali partecipano obbligatoriamente.
Da tale complesso ordito normativo la ricorrente deduce che ne emergerebbe «in modo chiaro ed inequivocabile che il legislatore nazionale non ha inteso affidare alle RAGIONE_SOCIALE, quali enti intermedi, alcuna competenza di carattere operativo in materia di RAGIONE_SOCIALE integrata dei RAGIONE_SOCIALE, di competenza esclusiva, invece, dei comuni»; ciò del resto in continuità con le precedenti norme, e segnatamente con il d.lgs. n. 22 del 1997, in quanto «tali enti di area vasta, in forza del cit. art. 197 d.lgs. n. 152/06, assolvono esclusivamente funzioni di amministrativo, afferente al controllo e alla verifica delle attività riguardanti la RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE provinciale».
Il sistema integrato di RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE comporta che siano i comuni a concorrere, nell’RAGIONE_SOCIALE delle attività svolte, alla RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE urbani ed assimilati, anche mediante l’adozione di appositi regolamenti.
La normativa si riferisce, dunque, «all’attività di raccolta dei RAGIONE_SOCIALE solidi urbani all’interno dei centri abitati e per le utenze domestiche in essi insistenti», i cui oneri devono trovare copertura con il pagamento da parte delle utenze medesime di una tariffa, fissata dai singoli comuni quale corrispettivo dell’espletamento del RAGIONE_SOCIALE.
Tale interpretazione non è sovvertita neppure dal richiamo all’art. 160 della legge Regione Sicilia n. 25 del 1993 che, a differenza dell’intero territorio nazionale, ha onerato le RAGIONE_SOCIALE regionali siciliane ad un’attività di raccolta e smaltimento dei RAGIONE_SOCIALE urbani e dei RAGIONE_SOCIALE speciali «nelle parti di territorio esterno ai perimetri recente abitati».
Si tratterebbe di un’attività non riconducibile a quella di RAGIONE_SOCIALE integrata dei RAGIONE_SOCIALE disciplinata dalle disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006, ma «di un’attività di tipo straordinario, la cui copertura finanziaria non è necessariamente assicurata con gli introiti derivanti dalla riscossione della tariffa a carico delle utenze domestiche».
In tal senso, la ricorrente richiama il NUMERO_DOCUMENTO dell’ufficio legislativo e legale della Regione Sicilia per il quale, pur nella considerazione che d.lgs. n. 22 del 1997 è applicabile in Sicilia in via generale, trattandosi di norma di riforma economico sociale, tuttavia ciò non riguardava tutte le disposizioni del predetto d.lgs., bensì «solo quelle che individuano i principi relativi alla RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE, cui è, invece, estranea la disposizione contenuta nel cit. art. 160 l.r. n. 25/93, che disciplina […] soltanto l’assetto delle competenze in ordine alla RAGIONE_SOCIALE di particolari allocazioni di RAGIONE_SOCIALE».
L’attività di raccolta di RAGIONE_SOCIALE urbani e speciali, nel caso di rinvenimento di amianto o altri RAGIONE_SOCIALE di particolare pericolosità, abbandonati al di fuori del perimetro urbano, presenterebbe caratteri del tutto peculiari e sarebbe connotata dalla «straordinarietà dell’intervento». Quest’ultimo originerebbe solo a seguito di una preliminare attività di controllo esercitata dal Comune territorialmente competente e, solo successivamente, dall’intervento della provincia interessata. Ciò a differenza della RAGIONE_SOCIALE integrata dei RAGIONE_SOCIALE urbani che presenta invece caratteri dell’ordinarietà e della quotidianità.
Pertanto, mentre il costo del RAGIONE_SOCIALE principale deve essere addebitato ai cittadini utenti, quello dei «servizi a richiesta» – tale dovendosi reputare il RAGIONE_SOCIALE da svolgere per conto della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE – sarebbe dovuto avvenire «convenzionalmente», quindi mediante apposito negozio.
Era erronea allora l’interpretazione della Corte d’appello per cui vi sarebbe stato «un automatico trasferimento della funzione di cui
al cit. art. 160 legge regionale n. 25/93 in capo alle RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE, tale da consentire a quest’ultimo di espletare il RAGIONE_SOCIALE di raccolta di RAGIONE_SOCIALE urbani e speciali rinvenuti al di fuori del perimetro urbano a proprio piacimento, anche soprattutto in assenza della comunicazione da parte dell’ente ricorrente, contenente una precisa ed ineludibile volontà di attivazione, a richiesta, del RAGIONE_SOCIALE medesimo».
Con il secondo motivo di impugnazione ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 2332 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. – Ultrapetizione – Nullità della sentenza – Violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 e seguenti c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., oppure, in via alternativa o gradata, nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, 2º comma, n. 4, c.p.c., art. 111 Costituzione, per motivazione contraddittoria e/o perplessa od incomprensibile, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
La Corte d’appello avrebbe ampliato il thema decidendum , pronunciando su circostanza «né dedotta dal giudice di prime cure né sollevata da controparte, violando l’art. 112 c.p.c.».
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, infatti, ha riformato la sentenza del tribunale, in relazione alla violazione dell’art. 6 dello statuto della RAGIONE_SOCIALE, «evidenziando che tale opzione interpretativa si porrebbe in chiaro contrasto con la legge, con conseguente nullità della previsione statutaria».
Per la ricorrente, dunque, «tale pronunciamento è in evidente contrasto con quanto previsto dall’art. 2332 c.c. in relazione alla nullità delle clausole statutarie».
La Corte territoriale ha rilevato che «in assenza della comunicazione prevista dall’art. 6, secondo il quale l’ente socio partecipa ai soli oneri delle spese generali, per avere un significato conforme alla legge non può non riferirsi alle ipotesi in cui la RAGIONE_SOCIALE non abbia
comunque svolto il RAGIONE_SOCIALE in favore dell’ente territoriale, pur essendosi fatta carico dello stesso nell’interesse di tutti gli altri soci».
L’interpretazione offerta dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, invece, «avreb -be comportato la nullità di dette clausole, ma la nullità di clausole statutarie può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, ai sensi dell’art. 1421 c.c., mediante domanda di accertamento dell’invalidità». Tale azione non sarebbe stata però «mai esercitata da alcuno».
La Corte territoriale, poi, nell’interpretazione dell’art. 6 dello statuto, avrebbe altresì «violato gli articoli 1362 e seguenti c.c., facendo cattivo uso dei criteri ermeneutici che devono ispirare il giudice di merito nella corretta interpretazione delle norme contrattuali», in tal modo travisando «totalmente il dato letterale della predetta clausola contrattuale, cui, invece, si era attenuto il primo giudice».
I primi due motivi di impugnazione, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.
3.1. Va premesso un quadro ragionato della normativa applicabile, al fine di poter affermare che la RAGIONE_SOCIALE integrata dei RAGIONE_SOCIALE, di cui alla normativa affastellata nel corso degli anni, tende all’istituzione di un vero e proprio sistema integrato di RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE, tale da coinvolgere all’unisono i vari enti locali, e quindi sia i comuni, sia la RAGIONE_SOCIALE, all’interno dell’RAGIONE_SOCIALE ottimale territoriale.
Il tutto, ovviamente, nella peculiarità della legge regionale siciliana, dovendosi operare all’interno di una regione a statuto speciale.
L’art. 160 della legge Regione Sicilia 1/9/1993, n. 25 (Interventi straordinari per l’occupazione produttiva in Sicilia) stabilisce (Attività delle RAGIONE_SOCIALE regionali in materia di smaltimento dei RAGIONE_SOCIALE solidi) che «le RAGIONE_SOCIALE regionali svolgono obbligatoriamente l’attività di raccolta e smaltimento di RAGIONE_SOCIALE solidi urbani e di RAGIONE_SOCIALE speciali, di cui all’art. 13, comma 1, lettera f), della legge regionale 6 marzo
1986, n. 9, nelle parti di territorio esterno ai perimetri dei centri abitati».
Il testo della disposizione è inequivocabile nell’assegnare alle RAGIONE_SOCIALE siciliane il compito della attività di raccolta di smaltimento dei RAGIONE_SOCIALE solidi urbani e dei RAGIONE_SOCIALE speciali, all’esterno dei perimetri recente abitati.
Tale disposizione dovrà necessariamente confrontarsi con la disciplina normativa sopravvenuta, che configura gli enti individuati per la RAGIONE_SOCIALE lo smaltimento dei RAGIONE_SOCIALE nei perimetri segnati dagli ambiti territoriali ottimali (ATO).
4.1. Quanto ai comuni, vale quanto previsto dall’art. 3 del d.P.R. 10/9/1982, n. 915 (attuazione delle direttive CE n. 75/442 relative RAGIONE_SOCIALE, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili), a mente del quale «le attività inerenti allo smaltimento dei RAGIONE_SOCIALE urbani competono obbligatoriamente comuni che le esercitano con diritto di privativa nelle forme di privativa di cui al successivo art. 8».
Deve, dunque, tenersi conto non solo della direttiva unionale, ma anche della legislazione statale in materia, costituente norme di riforma economico sociale nei confronti delle regioni a statuto speciale delle RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Sul punto va segnalato l’art. 1 del d.lgs. 5/2/1997, n. 22 (decreto Ronchi), che nelle premesse reca la definizione per cui «considerato che lo Stato italiano si è assunto il dovere di recepire nell’ordinamento interno le direttive dell’Unione Europea e che, per effetto degli articoli 10 e 11 della Costituzione, le norme contenute in dette direttive, se di applicazione incondizionata, prevalgono nei settori di competenza, sempre nel rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento e dei diritti inalienabili della persona umana garantiti dalla Costituzione».
Di qui, la necessaria valorizzazione di tale inciso, nel senso della prevalenza del diritto unionale, anche soprattutto in tema di RAGIONE_SOCIALE, in relazione alle direttive CE 91/156, 91/689 e 94/62, che costituiscono un sistema compiuto di disciplina del settore dei RAGIONE_SOCIALE.
L’art. 1 del d.lgs. n. 22 del 1997, quanto al «campo di applicazione» prevede al comma 3 che «le disposizioni di principio del presente decreto costituiscono norme di riforma economico-sociale nei confronti delle regioni a statuto speciale e delle RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aventi competenza esclusiva in materia, le quali provvedono ad adeguare i rispettivi ordinamenti entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto».
5.1. L’art. 23 del d.lgs. n. 22 del 1997 si occupa della RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE urbani in ambiti territoriali ottimali, prevedendo che «salvo diversa disposizione stabilita con legge regionale, gli ambiti territoriali ottimali per la RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE urbani sono le RAGIONE_SOCIALE. In tali ambiti territoriali ottimali le RAGIONE_SOCIALE assicurano una RAGIONE_SOCIALE unitaria dei RAGIONE_SOCIALE urbani e predispongono piani di RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE, sentiti i comuni, in applicazione degli indirizzi e delle prescrizioni del presente decreto».
Al comma 2 dell’art. 23 citato si stabilisce che «per esigenze tecniche o di efficienza nella RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE urbani, le RAGIONE_SOCIALE possono autorizzare gestioni anche a livello sub-provinciale purché, anche in tali ambiti territoriali sia superata la frammentazione della RAGIONE_SOCIALE».
Il comma 5 dell’art. 23 del d.lgs. n. 22 del 1997, in attuazione delle direttive unionali, dispone che «per le finalità di cui ai commi 1, 2 e 3 le RAGIONE_SOCIALE, entro il termine di 12 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, disciplinano, ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni, le forme ed i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo RAGIONE_SOCIALE
ottimale. Nei casi in cui la forma di cooperazione sia attuata per gli effetti dell’art. 24 della legge 8 giugno 1990, n. 142, le RAGIONE_SOCIALE individuano gli enti locali partecipanti, l’ente locale responsabile del coordinamento, gli adempimenti ed i termini previsti per l’assicurazione delle convenzioni di cui all’art. 24, comma 1, della legge 8 giugno 1990 n. 142».
L’art. 22, comma 3, della legge 8/6/1990, n. 142 (ordinamento delle autonomie locali) stabilisce che «I comuni e le RAGIONE_SOCIALE possono gestire servizi pubblici nelle seguenti forme: […] c) a mezzo di azienda speciale RAGIONE_SOCIALE; d) a mezzo di istituzione […] e) a mezzo di RAGIONE_SOCIALE per azioni a prevalente capitale pubblico locale, qualora si renda opportuna, in relazione alla natura del RAGIONE_SOCIALE da erogare, la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati».
Le RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE, dunque, sono state costituite ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. n. 22 del 1997 e dell’art. 22 della legge n. 142 del 1990, svolgendo le funzioni loro deputate nell’RAGIONE_SOCIALE territoriale ottimale, con il conseguente superamento del precedente sistema di frammentazione del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE.
6.1. Nella Regione Sicilia l’attuazione del d.lgs. n. 22 del 1997 è avvenuta mediante l’ordinanza del Ministro dell’interno 31/5/1999, n. 2983, con la previsione per cui, a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei RAGIONE_SOCIALE solidi urbani nella Regione siciliana, con il DPCM 22/1/1996, «il piano di emergenza è redatto in conformità ai principi, finalità e ai criteri stabiliti dall’art. 22 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 e successive modifiche ed integrazioni».
L’art. 1ter del decreto-legge 7/2/2003, n. 15, convertito in legge n. 62 del 2003, al fine di fronteggiare la persistente ed eccezionale necessità di superare l’emergenza ambientale, ha affermato che «sono comunque fatti salvi tutti gli effetti derivati dall’attuazione
delle ordinanze stesse, nonché le conseguenti attività svolte dall’ufficio del Commissario delegato-presidente della Regione siciliana»; ciò a conferma degli OPCM emessi nelle more in materia ambientale.
Sono stati utilizzati i «poteri sostitutivi», per cui la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE si è inserita negli ATO della regione siciliana con la delibera del Commissario ad acta n. 87 del 2012, con l’adesione della RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
Il sistema di RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE, a carattere integrato, attraverso l’utilizzazione degli ambiti ottimali territoriale, ha trovato conferma anche nella legislazione successiva.
L’art. 197 del d.lgs. n. 152 del 2006 (Competenze delle RAGIONE_SOCIALE) dispone che «in attuazione dell’art. 19 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, nella versione in vigore dal 13/2/2008, alle RAGIONE_SOCIALE competono «in linea generale le funzioni amministrative concernenti la programmazione ed organizzazione del recupero e dello smaltimento dei RAGIONE_SOCIALE a livello provinciale, da esercitarsi con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente».
Quanto ai comuni l’art. 198 del d.lgs. n. 152 del 2006 prevede che «I comuni concorrono, nell’RAGIONE_SOCIALE delle attività svolte a livello degli ambiti territoriali ottimali di cui all’art. 200 e con le modalità ivi previste, alla RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE urbani ed assimilati», l’ulteriore previsione del comma 2 dell’art. 198 che «I comuni concorrono a disciplinare la RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE urbani con appositi regolamenti».
L’art. 200 del d.lgs. n. 152 del 2006, poi, disegna il sistema della RAGIONE_SOCIALE integrata del ciclo dei RAGIONE_SOCIALE, rivolgendosi sia ai comuni che alle RAGIONE_SOCIALE, attraverso l’organizzazione di un vero e proprio sistema, in grado di funzionare in modo efficiente.
Si prevede, dunque, – seguendo il solco segnato dal decreto Ronchi (d.lgs. n. 22 del 1997) – che «la RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE urbani è organizzata sulla base di ambiti territoriali ottimali, di seguito anche
denominati ATO, delimitati dal piano regionale di cui all’art. 199, nel rispetto delle linee guida […] e secondo i seguenti criteri: a) superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE integrata dei RAGIONE_SOCIALE».
La disciplina del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE integrata si rinviene nell’art. 201 del d.lgs. n. 152 del 2006, a mente del quale «al fine dell’organizzazione del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE integrata dei RAGIONE_SOCIALE urbani, le regioni e le RAGIONE_SOCIALE, entro il termine di 6 mesi dalla data di entrata in vigore della parte IV del presente decreto, disciplinano le forme e i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo RAGIONE_SOCIALE ottimale».
Si prevede al comma 2 dell’art. 201 citato che «l’autorità d’RAGIONE_SOCIALE è una struttura dotata di personalità giuridica costituita in ciascun RAGIONE_SOCIALE territoriale ottimale delimitato dalla competente regione, alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale è trasferito l’esercizio delle loro competenze in materia di RAGIONE_SOCIALE integrata dei RAGIONE_SOCIALE».
Si prevede, quindi, la partecipazione obbligatoria degli enti locali all’autorità d’RAGIONE_SOCIALE.
La legge Regione Sicilia 8/4/2010, n. 9 (Gestione integrata dei RAGIONE_SOCIALE e bonifica dei siti inquinanti) si inserisce, proprio, nell’RAGIONE_SOCIALE della normativa nazionale, nell’ottica della struttura del RAGIONE_SOCIALE organizzata in base ad ambiti territoriali ottimali.
L’art. 1 della legge Regione Sicilia n. 9 del 2010 stabilisce che «oggetto della presente legge è la disciplina integrata dei RAGIONE_SOCIALE e la messa in sicurezza, la bonifica, il ripristino ambientale dei siti inquinati […] in maniera coordinata con le disposizioni del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni, in attuazione delle direttive comunitarie in materia di RAGIONE_SOCIALE».
Con riferimento alle RAGIONE_SOCIALE, viene richiamato espressamente l’art. 197 del d.lgs. n. 152 del 2006, dall’art. 3 della legge Regione Sicilia n. 9 del 2010.
Si prevede all’art. 3, comma 2, della legge Regione Sicilia n. 9 del 2010 che «il Presidente della RAGIONE_SOCIALE adotta le ordinanze di cui all’art. 191 del d.lgs. n. 152/2006 e successive modifiche ed integrazioni nonché per tutte le tematiche che esulino dal territorio di un singolo comune e che ricadano nell’RAGIONE_SOCIALE del territorio provinciale, ove non altrimenti attribuite».
Si chiarisce, quindi, la competenza dell’area vasta delle RAGIONE_SOCIALE, anche in materia di RAGIONE_SOCIALE.
Ai sensi dell’art. 6 della Regione Sicilia n. 9 del 2010, poi, si prevede che «in attuazione di quanto disposto dall’art. 45 della legge regionale 8 febbraio 2007, n. 2, per l’esercizio delle funzioni di RAGIONE_SOCIALE integrata dei RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE ed i comuni ricompresi in ciascun RAGIONE_SOCIALE territoriale ottimale costituiscono, per ogni ATO, una RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di capitali per l’esercizio delle funzioni affidate alla RAGIONE_SOCIALE stessa con la presente legge».
Si stabilisce anche che è posto a carico della provincia, quale quota di partecipazione, il 5%.
La RAGIONE_SOCIALE viene a far parte integrante dell’organizzazione per la RAGIONE_SOCIALE integrata dei RAGIONE_SOCIALE, diventando anche quotista delle RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE).
Nelle disposizioni transitorie si dispone che «alla data di entrata in vigore della presente legge, i consorzi e le RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE costituiti ai sensi dell’art. 201 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, sono posti in liquidazione».
Con successive proroghe legislative le RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE sopravvivono sino al 2012. Si fa riferimento, in particolare, all’art. 13 del decreto-legge 29/12/2011, n. 216, convertito in legge 24 del 2012,
n. 14 (proroga di termini in materia ambientale), per il quale «il termine di cui all’art. 2, comma 186-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni […] è prorogato al 31 dicembre 2012».
L’art. 1, comma 1quinquies , del decreto-legge 25/1/2010, n. 2, convertito in legge n. 42 del 2010, ha previsto che «all’art. 2, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, dopo il comma 186 è inserito il seguente: ‘186bis . Decorso un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono soppresse le autorità d’RAGIONE_SOCIALE territoriale, di cui agli articoli 148 e 201 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152».
9.1. In ordine, poi, al quadro giurisprudenziale, non può non osservarsi che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 373 del 2010, ha espressamente ribadito che l’art. 6, comma 4, della legge della Regione Puglia n. 36 del 2009, presenta profili di illegittimità costituzionale, in quanto «nell’ammettere la deroga al principio della unicità della RAGIONE_SOCIALE integrata dei RAGIONE_SOCIALE, si pone in contrasto con l’articolo 200, comma primo, lettera a), del d.lgs. n. 152 del 2006, secondo cui la RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE urbani organizzata, fra l’altro, sulla base del criterio del superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE integrata dei RAGIONE_SOCIALE» (anche Corte cost., sentenza n. 307 del 2009).
In particolare, l’art. 6, comma 4, della legge regionale Puglia n. 36 del 2009, dichiarato incostituzionale, stabiliva che le autorità d’RAGIONE_SOCIALE «in deroga all’unicità della RAGIONE_SOCIALE, possono prevedere affidamenti limitati al RAGIONE_SOCIALE di raccolta, trasporto e igiene urbana per una durata non superiore al restante periodo di validità della durata delle concessioni degli impianti affidate e, comunque, per oltre 15 anni».
10. Pertanto, all’interno di tale quadro normativo va letto ed interpretato lo statuto della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
Tale RAGIONE_SOCIALE è costituita tra la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE ed i comuni dell’RAGIONE_SOCIALE territoriale ottimale CT1 per assicurare la RAGIONE_SOCIALE integrata dei RAGIONE_SOCIALE di propria competenza.
L’art. 6 dello statuto (Erogazione dei servizi) prevede che «l’erogazione dei servizi relativi alla RAGIONE_SOCIALE integrata dei RAGIONE_SOCIALE sarà assicurata dalla RAGIONE_SOCIALE con le modalità previste dalla vigente normativa. Il consiglio d’amministrazione della RAGIONE_SOCIALE, entro il 30 settembre di ogni anno, aggiornando la pianificazione d’RAGIONE_SOCIALE, ove necessario, delibera, con riferimento all’anno successivo, l’eventuale avvio di nuovi servizi da espletare o l’estensione territoriale di servizi già espletati prevedendo la copertura dei relativi costi».
Nel paragrafo successivo dell’art. 6 si legge che «gli enti soci dovranno comunicare, alla RAGIONE_SOCIALE, entro 30 giorni, la data in cui dovrà decorrere l’espletamento del relativo RAGIONE_SOCIALE; tale data dovrà, comunque, ricadere tra il 1 gennaio ed il 31 dicembre dell’anno di avvio del RAGIONE_SOCIALE».
Si chiarisce successivamente che «nel caso in cui l’ente socio non effettua tale comunicazione o comunica una data successiva al 31 dicembre dell’anno di avvio del RAGIONE_SOCIALE, esso dovrà partecipare, in proporzione alla propria quota, agli oneri di spesa generali che la RAGIONE_SOCIALE sosterrà per l’avvio del RAGIONE_SOCIALE stesso a decorrere dal 1 gennaio del suddetto anno».
Con la precisazione per cui «il costo di ciascun RAGIONE_SOCIALE principale svolto dalla RAGIONE_SOCIALE dovrà essere perequato per tutti gli enti soci appartenenti allo stesso RAGIONE_SOCIALE, prescindendo dalla localizzazione degli impianti ed a tutta l’organizzazione del RAGIONE_SOCIALE, che sarà assunto in parte ponendo l’onere a carico direttamente dei cittadini utenti in misura percentuale non inferiore alla copertura del RAGIONE_SOCIALE di RSU stabilita annualmente dalle disposizioni di finanza locale per gli enti
locali e la restante parte verrà posta a carico degli enti pubblici in proporzione alla quota di partecipazione».
Si prevede, infine, che «per gli altri servizi a richiesta si provvederà convenzionalmente».
All’art. 7 dello statuto si stabilisce che «l’ente che aderisce alla RAGIONE_SOCIALE è comunque obbligato a partecipare alle spese generali di amministrazione proporzionalmente alla propria percentuale azionaria, indipendentemente dall’attivazione specifica di servizi da parte della RAGIONE_SOCIALE».
11. L’interpretazione fornita dalla Corte d’appello dell’art. 6 dello statuto della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE è coerente con la normativa in materia di ambiente che, nel corso degli anni, ha avuto come filo conduttore quello della RAGIONE_SOCIALE integrata dei RAGIONE_SOCIALE, attraverso un’organizzazione territoriale complessa, in grado di utilizzare appieno tutti gli strumenti atti a garantire la migliore efficacia delle attività di RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE.
Ed infatti, la Corte territoriale ha sottolineato la ratio dell’art. 6, comma 1, della legge regionale Sicilia 8/4/2010, n. 9, che ha previsto, per l’esercizio delle funzioni di RAGIONE_SOCIALE integrata dei RAGIONE_SOCIALE, che la provincia ed i comuni fossero ricompresi in un RAGIONE_SOCIALE territoriale ottimale, costituendo, per ogni ATO, una RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE capitali denominata ‘RAGIONE_SOCIALE‘.
Ha precisato la Corte d’appello che tale normativa «non ha comportato la soppressione delle competenze delle RAGIONE_SOCIALE per lo svolgimento del RAGIONE_SOCIALE di raccolta dei RAGIONE_SOCIALE nelle zone esterne ai perimetri abitati dei territori comunali, di cui all’art. 160 della regionale n. 25/1993, essendosi la legge […] limitata a trasferirne l’esercizio alle RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE».
Gli artt. 6 e 8 della legge regionale Sicilia n. 9 del 2010, avendo previsto la sostituzione delle RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE con le RAGIONE_SOCIALE per la RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, non consente «la RAGIONE_SOCIALE autonoma del RAGIONE_SOCIALE di raccolta dei RAGIONE_SOCIALE ad opera di un ente socio di una RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE, essa ponendosi in manifesto contrasto con l’art. 200, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 152 del 2006».
A giudizio della Corte d’appello, allora, la RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE urbani è organizzata «sulla base del criterio del superamento della frammentazione delle gestioni».
La Corte territoriale ha reputato che la costituzione della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE ha comportato che «l’esercizio di tutte le funzioni in materia di RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE dei comuni e delle RAGIONE_SOCIALE partecipanti è affidato in via esclusiva alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, restando sottratta agli enti territoriali la possibilità di incidere, con propria autonoma delibera, sulla RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, ovvero di svincolarsi, per la RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE medesimo, dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE e provvedere autonomamente».
Di qui, la conseguenza per cui la comunicazione, da parte degli enti territoriali partecipanti, alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, della data di inizio dell’espletamento del RAGIONE_SOCIALE, di cui all’art. 6 dello statuto, «non può assurgere a elemento costitutivo del diritto della RAGIONE_SOCIALE a provvedere alla RAGIONE_SOCIALE ed erogazione del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE integrata».
L’unica interpretazione possibile, non contrastante con la normativa sopra indicata, consiste nel ritenere che «tale adempimento può essere inteso come diretto esclusivamente a regolare la fase di concreta attuazione del RAGIONE_SOCIALE, essendo finalizzata unicamente ad individuare concordemente la data di inizio».
La Corte d’appello si è fatta carico anche di spiegare l’ulteriore previsione contenuta nell’art. 6 dello statuto, a mente del quale, in assenza di detta comunicazione, l’ente socio partecipa ai soli oneri di spese generali della RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE, dovendosi riferire tale locuzione «all’ipotesi in cui la RAGIONE_SOCIALE non abbia comunque svolto in concreto il RAGIONE_SOCIALE in favore dell’ente territoriale, pur essendosi fatta carico dello stesso nell’interesse di tutti gli altri enti soci».
12. Tuttavia, a fronte di tale plausibile interpretazione della Corte d’appello, sorretta peraltro da tutta la normativa, sia nazionale che regionale, sul punto, non v’è stata alcuna indicazione, da parte della ricorrente, dei criteri di ermeneutica che sarebbero stati eventualmente violati, nell’interpretazione dell’art. 6 dello statuto della RAGIONE_SOCIALE.
Ed infatti, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli articoli 1362 e seguenti c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., 1/3/ 2019, n. 6156; Cass., n. 5647 del 2019; Cass. n. 6125 del 2014; Cass. n. 16254 del 2012; Cass. n. 24539 del 2009; Cass., sez. 3, 17/7/2003, n. 11193).
12.1. Inoltre, deve osservarsi che, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c. Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (Cass., 15/11/2017, n. 27136; Cass., sez. 1, 20/1/2021, n 995).
Tale onere di allegazione dei corretti criteri legali di ermeneutica contrattuale non è stato in alcun modo ottemperato da parte della ricorrente, benché la Corte d’appello abbia compiuto una adeguata interpretazione dell’art. 6 dello statuto societario.
La motivazione della sentenza della Corte d’appello impugnata esiste, allora, non solo in senso grafico, ma anche nell’enucleazione delle argomentazioni logiche e giuridiche sottese alla decisione adottata.
Inoltre, la ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 112 c.p.c., deducendo che la Corte d’appello avrebbe deciso su una circostanza «né dedotta dal giudice di prime cure né sollevata da controparte», senza però trascrivere, in modo sufficiente, le questioni sollevate dalle parti nel giudizio di prime cure ed in quello d’appello, non consentendo così a questa Corte di comprendere la reale portata della doglianza; con conseguente inammissibilità della stessa.
Poco perspicuo risulta anche il riferimento all’art. 1421 c.c., in quanto tale disposizione prevede anche il rilievo d’ufficio da parte del giudice della nullità del contratto, mentre la ricorrente sostiene che
«la nullità di clausole statutarie può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse […] mediante domanda di accertamento dell’invalidità», mentre tale «azione non sia mai stata esercitata alcuno».
15. Con il terzo motivo di impugnazione principale la ricorrente deduce «l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. – Ultrapetizione – Nullità della sentenza per violazione dell’art. 112, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
Per la ricorrente, dunque l’eccezione relativa alla mancata stipula della convenzione di affidamento, formulata nelle diverse fasi dei giudizi, sarebbe stata «totalmente disattesa dalla Corte territoriale» .
In particolare, l’art. 6 dello statuto prevedeva espressamente che «per gli altri servizi a richiesta si provvede convenzionalmente».
La Corte d’appello si sarebbe limitata a ritenere «sottratta agli enti territoriali la possibilità di incidere con propria autonoma delibera, sulla RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE ovvero di svincolarsi per la RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE medesimo, dalla RAGIONE_SOCIALE d’RAGIONE_SOCIALE e provvedere autonomamente», senza però pronunciarsi «sulla decisiva circostanza che, sulla base della citata disposizione statutaria, il RAGIONE_SOCIALE in questione può essere attivato esclusivamente a seguito della stipula di apposita convenzione».
16. Il motivo è inammissibile.
Il vizio di omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c. può essere fatto valere solo in relazione alla mancata decisione in ordine a specifiche domande o eccezioni sollevate dalle parti, ma non in ordine alla mancata pronuncia «sulla decisiva circostanza» che, ai sensi dell’art. 6 dello statuto, il RAGIONE_SOCIALE poteva essere attivato esclusivamente a seguito della stipula di apposita convenzione.
Ed infatti, per questa Corte poiché il vizio di omessa pronuncia si concreta nel difetto del momento decisorio, per integrare detto vizio
occorre che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, ciò che si verifica quando il giudice non decide su alcuni capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili, o sulle eccezioni proposte, ovvero quando pronuncia solo nei confronti di alcune parti. Per contro, il mancato o insufficiente esame delle argomentazioni delle parti integra un vizio di natura diversa, relativo all’attività svolta dal giudice per supportare l’adozione del provvedimento, senza che possa ritenersi mancante il momento decisorio (Cass., sez. 6-L, 3/3/2020, n. 5730).
Con un unico motivo di impugnazione incidentale la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE deduce «illegittimità ed erroneità di appello RAGIONE_SOCIALE n. 1490/2021 per violazione e falsa applicazione dell’art. 132, primo comma, n. 4, c.p.c., per omessa motivazione della decisione e violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronunzia su una domanda della parte appellante, in riferimento all’art. 360, primo comma, numeri 3,4 e 5, c.p.c. per violazione di legge ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione».
Il motivo è inammissibile.
Il ricorso incidentale è inammissibile in quanto la ricorrente non ha provveduto a trascrivere le richieste della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, sia in prime cure che nella fase d’appello, non consentendo a questa Corte di comprendere il tenore e la portata anche specifica della doglianza.
Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate interamente tra le parti per la reciproca soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; dichiara inammissibile il ricorso incidentale.
Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 31 gennaio