Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20319 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20319 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 6369/2022 r.g. proposto da:
Città Metropolitana di Catania, già Provincia Regionale di Catania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME giusta procura speciale rilasciata su atto separato, i quali dichiarano di voler ricevere gli avvisi, le comunicazioni e le notificazioni agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati.
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale su foglio separato e congiunto al controricorso, con facoltà di agire disgiuntamente, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma presso l’avv. NOME COGNOME, INDIRIZZO
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte di appello di Catania n. 1731/2021, depositata in data 6/9/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31/1/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
La Provincia Regionale di Catania, poi Città metropolitana, costituiva con i Comuni in essa compresi la società RAGIONE_SOCIALE per operare all’interno dell’Ambito territoriale ottimale (ATO), ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. n. 22 del 1997.
L’adesione della Provincia di Catania all’Ambito territoriale ottimale RAGIONE_SOCIALE era avvenuta con la deliberazione del Commissario ad acta 20/12/2002, n. 87.
Tale ordinanza aveva approvato gli schemi di costituzione delle società per la gestione integrata dei rifiuti, disponendo il trasferimento all’ATO di tutte le attività di competenza della Provincia nel campo della gestione dei rifiuti e la cessazione delle attività di gestione da parte della provincia. Nella deliberazione del Commissario ad acta n. 87 del 2002 veniva compreso lo schema di statuto di RAGIONE_SOCIALE, con lo scopo di «assicurare la gestione unitaria ed integrata dei rifiuti secondo criteri di efficienza ed economicità nell’ambito territoriale ottimale».
Tale previsione veniva riportata anche nel testo dello statuto approvato.
La Provincia Regionale di Catania impugnava la deliberazione 30/5/2011 di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione di approvazione del bilancio per l’esercizio finanziario del 2010 dinanzi al Tribunale di Catania, con atto di citazione del 12/10/2011.
In particolare, contestava l’imputazione a suo carico della somma di euro 1.036.675,96 per il costo del servizio reso.
Si costituiva in giudizio NOMECOGNOME chiedendo il rigetto della domanda attrice e proponendo anche domanda riconvenzionale volta ad ottenere, anche a titolo di ingiustificato arricchimento, la condanna al pagamento di quelle stesse somme riportate nel bilancio di esercizio tra i crediti.
Il Tribunale di Catania accoglieva la domanda della Provincia ed annullava la deliberazione del 12/10/2011.
Per il Tribunale, a mente dell’art. 6 dello statuto della società, sarebbe stato onere della Provincia comunicare la data di inizio del servizio; in assenza di tale comunicazione, l’ente avrebbe dovuto partecipare alle sole spese generali. Dalla documentazione in atti non vi era però prova di tale comunicazione da parte della provincia, dell’avvio del servizio, «né della sottoscrizione del relativo protocollo d’intesa». Pertanto, precisava il Tribunale, «in assenza di espressa manifestazione della volontà di attivare il servizio da parte dell’ente (nelle forme prescritte per gli enti pubblici e non certo tramite il silenzio) la società non era legittimata ad erogarlo».
La delibera di approvazione del bilancio 2010, laddove riportava la voce ‘ricavo per servizi nei confronti della provincia’, doveva essere annullata.
Il Tribunale dichiarava inammissibile, per carenza dei presupposti di cui all’art. 36 c.p.c., la domanda riconvenzionale della società volta
ad ottenere la condanna dell’ente al pagamento di quelle stesse somme a titolo di ingiustificato arricchimento, «essa non dipendendo dal titolo dedotto in giudizio dall’attore (trattandosi di impugnativa di delibera assembleare) o come mezzo di eccezione».
Proponeva appello RAGIONE_SOCIALE che veniva respinto dalla Corte d’appello di Catania, con sentenza n. 1731/2021, pubblicata il 6/9/2021.
5.1. Con il primo motivo di appello la società deduceva l’errore del Tribunale nell’aver ritenuto che l’erogazione del servizio da parte di RAGIONE_SOCIALE alla Provincia «fosse subordinata ad un atto volitivo discrezionale della stessa Provincia (comunicazione della data di inizio del servizio, ovvero convenzione)».
L’interpretazione letterale dell’art. 6 dello statuto della società non teneva conto del contesto in cui si collocava la disciplina dell’erogazione dei servizi di raccolta dei rifiuti da parte delle società d’ambito e, in particolare, del d.lgs. n. 22 del 1997 (decreto Ronchi).
Quest’ultimo aveva «affidato in via esclusiva il sistema di raccolta di rifiuti alla società d’ambito costituite dagli enti locali e le cui disposizioni, in quanto norme di riforma economico-sociale, sono immediatamente applicabile in regione siciliana».
Inoltre, non si è tenuto conto nemmeno del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale aveva confermato la competenza dell’autorità d’ambito a gestire il servizio di igiene urbana e l’impossibilità di qualsiasi altro soggetto a svolgerlo».
Con l’adozione, da parte del Commissario ad acta , della deliberazione n. 87 del 2002, di approvazione dello statuto di RAGIONE_SOCIALE – ad avviso dell’appellante – «gli enti locali si sono dunque spogliati di tutte le competenze in materia di gestione dei rifiuti in favore della società d’ambito, costituente una modalità di gestione del servizio a
carattere obbligatorio; ciò in funzione dell’inderogabile finalità di assicurare la raccolta integrata nell’area di competenza della società d’ambito e di evitare la frammentazione delle competenze dei vari enti».
5.2. Con il secondo motivo di appello si deduceva, in subordine, l’errore in cui era incorso il Tribunale «nell’escludere l’obbligo dello ente – una volta fruito comunque del servizio – di sostenere il relativo costo, non potendo esso addurre un proprio comportamento amministrativo contra legem (omessa richiesta dell’avvio del servizio) per esonerarsi dal pagamento dei relativi costi». Il pagamento limitato alle spese generali da parte della Provincia si riferiva all’ipotesi in cui «la società non abbia comunque svolto in concreto il servizio in favore della provincia, pur essendosi fatta carico dello stesso nell’interesse di tutti gli altri enti soci».
5.3. Con il terzo motivo di appello la società reputava errata la decisione del Tribunale nell’aver ritenuto inammissibile la domanda riconvenzionale di ingiustificato arricchimento.
5.4. Con il quarto motivo d’appello la società censurava la condanna alle spese, chiedendone quantomeno la compensazione.
La Corte d’appello di Catania, con la sentenza n. 1731/2021 sopra richiamata, accoglieva il primo motivo d’appello della società, rigettando le domande proposte dalla Provincia Regionale di Catania, poi Città metropolitana di Catania, con l’atto introduttivo del giudizio.
6.1. Per quel che ancora qui rileva, la Corte d’appello evidenziava che le società d’ambito avevano continuato ad operare sino all’anno 2012, ai sensi dell’art. 2, comma 186bis , della legge n. 191 del 2009, come introdotto dall’art. 1, comma 1quinquies , del decretolegge n. 2 del 2010, convertito con la legge n. 42 del 2010.
Chiariva la Corte di merito che la gestione integrata dei rifiuti, che non era venuta comunque meno neppure a seguito della soppressione della società d’ambito, non aveva comportato la soppressione delle competenze delle province per lo svolgimento del servizio di raccolta dei rifiuti nelle zone esterne ai perimetri abitati dei territori comunali, di cui all’art. 160 della legge regionale Sicilia n. 25 del 1993, essendosi limitata la legge a trasferirne l’esercizio alle società d’ambito, ai sensi dell’art. 6, comma 1, della legge regionale siciliana 8/4/2010, n. 9.
La Corte d’appello aggiungeva che l’art. 6, comma 1, della legge Regione Sicilia n. 9 del 2010 aveva previsto che per l’esercizio delle funzioni di gestione integrata dei rifiuti, la Provincia ed i comuni ricompresi in ciascun ambito territoriale costituissero per ogni ATO, una società consortile di capitali denominata «società per la regolamentazione del servizio di gestione rifiuti».
Per tale ragione, non era consentita la gestione autonoma del servizio di raccolta dei rifiuti ad opera di un ente socio di una società d’ambito, «essa ponendosi in contrasto con l’art. 200, comma 1, lettera a) del d.lgs. n. 152 del 2006 secondo cui la gestione dei rifiuti urbani è organizzata, fra l’altro, sulla base del criterio del superamento della frammentazione delle gestioni, attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti», cui gli enti locali «partecipano obbligatoriamente». All’ATO era quindi «trasferito l’esercizio delle loro competenze in materia di gestione integrata dei rifiuti».
Di conseguenza, la comunicazione, da parte degli enti territoriali partecipanti, alla società d’ambito, della data di inizio di espletamento del servizio, di cui all’art. 6 dello statuto, per avere un significato conforme alla legge di riferimento, non poteva «assurgere ad elemento costitutivo del diritto della società d’ambito a provvedere alla gestione ed erogazione del servizio di gestione integrata».
La corretta interpretazione – ad avviso della Corte d’appello – era quella di intendere tale dizione come previsione di un adempimento (la comunicazione) «diretto esclusivamente a regolare la fase di concreta attuazione del servizio, essendo finalizzata unicamente ad individuare concordemente la data di inizio».
Se ne deduceva il dovere in capo alla Provincia di cooperare all’adempimento, da parte della società d’ambito, dei compiti inerenti alla gestione del servizio, e attraverso il compimento di tutte quelle attività necessarie affinché esso potesse essere espletato, «senza che gli sia consentito frapporre comportamenti che tendano a paralizzare l’esecuzione di un servizio essenziale, con compromissione dell’interesse pubblico».
La previsione in ordine alla partecipazione ai soli oneri di spese generali della società d’ambito non poteva che riferirsi all’ipotesi in cui la società «non a comunque svolto in concreto il servizio in favore dell’ente territoriale», pur essendosi fatta carico dello stesso nell’interesse di tutti gli altri enti soci.
Restava assorbito il motivo d’appello concernente il rigetto della domanda di arricchimento ingiustificato proposta in via riconvenzionale dalla società.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Città metropolitana di Catania, già Provincia Regionale di Catania, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE proponendo anche ricorso incidentale, e depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione degli articoli 200, comma 1, lettera
A) e 201, comma 2, d.lgs. n. 152/06 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – Nullità della sentenza».
La Corte territoriale ha ritenuto che non sia consentita la gestione autonoma del servizio di raccolta dei rifiuti ad opera di un ente socio di una società d’ambito. Ha anche sostenuto che una diversa autonoma scelta da parte di un ente locale (comuni e province) si porrebbe in contrasto con l’art. 200, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 152 del 2006, a mente del quale la gestione dei rifiuti urbani è organizzata sulla base «del criterio del superamento della frammentazione delle gestioni, attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti».
Per la Corte d’appello, dunque, sarebbe sottratta agli enti locali la possibilità di incidere, con propria autonoma delibera, sulla gestione del servizio, ovvero di svincolarsi per la gestione del servizio medesimo, dalla società d’ambito e provvedervi autonomamente.
Per la ricorrente, invece, la Corte avrebbe erroneamente interpretato le disposizioni dello statuto societario, e segnatamente dell’art. 6, travisando «totalmente il dato letterale e la volontà in esso espressa dalle parti interessate».
Sul punto, indica l’art. 197 del d.lgs. n. 152 del 2006 il quale stabilisce che «alle province competono in linea generale le funzioni amministrative concernenti la programmazione ed organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale».
L’art. 198 del d.lgs. n. 152 del 2006 stabilisce, poi, che i comuni concorrono, nell’ambito delle attività svolte a livello degli ambiti territoriali ottimali, alla gestione dei rifiuti urbani ed assimilati, anche attraverso appositi regolamenti.
L’art. 200 del d.lgs. n. 152 del 2006 disciplina la gestione dei rifiuti urbani, organizzata attraverso ambiti territoriali ottimali, denominati ATO, delimitati dal piano regionale, secondo il criterio del
«superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti»; l’autorità d’ambito è una struttura costituita in ciascun ambito territoriale ottimale, cui gli enti locali partecipano obbligatoriamente.
Da tale complesso ordito normativo la ricorrente deduce che ne emergerebbe «in modo chiaro ed inequivocabile che il legislatore nazionale non ha inteso affidare alle province, quali enti intermedi, alcuna competenza di carattere operativo in materia di gestione integrata dei rifiuti, di competenza esclusiva, invece, dei comuni»; ciò del resto in continuità con le precedenti norme, e segnatamente con il d.lgs. n. 22 del 1997, in quanto «tali enti di area vasta, in forza del cit. art. 197 d.lgs. n. 152/06, assolvono esclusivamente funzioni di amministrativo, afferente al controllo e alla verifica delle attività riguardanti la gestione dei rifiuti in ambito provinciale».
Il sistema integrato di gestione dei rifiuti comporta che siano i comuni a concorrere, nell’ambito delle attività svolte, alla gestione dei rifiuti urbani ed assimilati, anche mediante l’adozione di appositi regolamenti.
La normativa si riferisce, dunque, «all’attività di raccolta dei rifiuti solidi urbani all’interno dei centri abitati e per le utenze domestiche in essi insistenti», i cui oneri devono trovare copertura con il pagamento da parte delle utenze medesime di una tariffa, fissata dai singoli comuni quale corrispettivo dell’espletamento del servizio.
Tale interpretazione non è sovvertita neppure dal richiamo all’art. 160 della legge Regione Sicilia n. 25 del 1993 che, a differenza dell’intero territorio nazionale, ha onerato le province regionali siciliane ad un’attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani e dei rifiuti speciali «nelle parti di territorio esterno ai perimetri recente abitati».
Si tratterebbe di un’attività non riconducibile a quella di gestione integrata dei rifiuti disciplinata dalle disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006, ma «di un’attività di tipo straordinario, la cui copertura finanziaria non è necessariamente assicurata con gli introiti derivanti dalla riscossione della tariffa a carico delle utenze domestiche».
In tal senso, la ricorrente richiama il parere n. 880511 dell’ufficio legislativo e legale della Regione Sicilia per il quale, pur nella considerazione che d.lgs. n. 22 del 1997 è applicabile in Sicilia in via generale, trattandosi di norma di riforma economico sociale, tuttavia ciò non riguardava tutte le disposizioni del predetto d.lgs., bensì «solo quelle che individuano i principi relativi alla gestione dei rifiuti, cui è, invece, estranea la disposizione contenuta nel cit. art. 160 l.r. n. 25/93, che disciplina soltanto l’assetto delle competenze in ordine alla gestione di particolari allocazioni di rifiuti».
L’attività di raccolta di rifiuti urbani e speciali, nel caso di rinvenimento di amianto o altri rifiuti di particolare pericolosità, abbandonati al di fuori del perimetro urbano, presenterebbe caratteri del tutto peculiari e sarebbe connotata dalla «straordinarietà dell’intervento». Quest’ultimo originerebbe solo a seguito di una preliminare attività di controllo esercitata dal Comune territorialmente competente e, solo successivamente, dall’intervento della provincia interessata. Ciò a differenza della gestione integrata dei rifiuti urbani che presenta invece caratteri dell’ordinarietà e della quotidianità.
Pertanto, mentre il costo del servizio principale deve essere addebitato ai cittadini utenti, quello dei «servizi a richiesta» – tale dovendosi reputare il servizio da svolgere per conto della Provincia di Catania – sarebbe dovuto avvenire «convenzionalmente», quindi mediante apposito negozio.
Era erronea allora l’interpretazione della Corte d’appello per cui vi sarebbe stato «un automatico trasferimento della funzione di cui
al cit. art. 160 legge regionale n. 25/93 in capo alle società d’ambito, tale da consentire a quest’ultimo di espletare il servizio di raccolta di rifiuti urbani e speciali rinvenuti al di fuori del perimetro urbano a proprio piacimento, anche soprattutto in assenza della comunicazione da parte dell’ente ricorrente, contenente una precisa ed ineludibile volontà di attivazione, a richiesta, del servizio medesimo».
Con il secondo motivo di impugnazione ricorrente deduce la «violazione e falsa applicazione dell’art. 2332 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. – Ultrapetizione – Nullità della sentenza – Violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 e seguenti c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., oppure, in via alternativa o gradata, nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, 2º comma, n. 4, c.p.c., art. 111 Costituzione, per motivazione contraddittoria e/o perplessa od incomprensibile, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
La Corte d’appello avrebbe ampliato il thema decidendum , pronunciando su circostanza «né dedotta dal giudice di prime cure né sollevata da controparte, violando l’art. 112 c.p.c.».
La Corte d’appello di Catania, infatti, ha riformato la sentenza del tribunale, in relazione alla violazione dell’art. 6 dello statuto della società, «evidenziando che tale opzione interpretativa si porrebbe in chiaro contrasto con la legge, con conseguente nullità della previsione statutaria».
Per la ricorrente, dunque, «tale pronunciamento è in evidente contrasto con quanto previsto dall’art. 2332 c.c. in relazione alla nullità delle clausole statutarie».
La Corte territoriale ha rilevato che «in assenza della comunicazione prevista dall’art. 6, secondo il quale l’ente socio partecipa ai soli oneri delle spese generali, per avere un significato conforme alla legge non può non riferirsi alle ipotesi in cui la società non abbia
comunque svolto il servizio in favore dell’ente territoriale, pur essendosi fatta carico dello stesso nell’interesse di tutti gli altri soci».
L’interpretazione offerta dal Tribunale di Catania, invece, «avreb -be comportato la nullità di dette clausole, ma la nullità di clausole statutarie può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, ai sensi dell’art. 1421 c.c., mediante domanda di accertamento dell’invalidità». Tale azione non sarebbe stata però «mai esercitata da alcuno».
La Corte territoriale, poi, nell’interpretazione dell’art. 6 dello statuto, avrebbe altresì «violato gli articoli 1362 e seguenti c.c., facendo cattivo uso dei criteri ermeneutici che devono ispirare il giudice di merito nella corretta interpretazione delle norme contrattuali», in tal modo travisando «totalmente il dato letterale della predetta clausola contrattuale, cui, invece, si era attenuto il primo giudice».
I primi due motivi di impugnazione, che vanno trattati congiuntamente per strette ragioni di connessione, sono infondati.
3.1. Va premesso un quadro ragionato della normativa applicabile, al fine di poter affermare che la gestione integrata dei rifiuti, di cui alla normativa affastellata nel corso degli anni, tende all’istituzione di un vero e proprio sistema integrato di gestione dei rifiuti, tale da coinvolgere all’unisono i vari enti locali, e quindi sia i comuni, sia la Provincia, all’interno dell’ambito ottimale territoriale.
Il tutto, ovviamente, nella peculiarità della legge regionale siciliana, dovendosi operare all’interno di una regione a statuto speciale.
L’art. 160 della legge Regione Sicilia 1/9/1993, n. 25 (Interventi straordinari per l’occupazione produttiva in Sicilia) stabilisce (Attività delle province regionali in materia di smaltimento dei rifiuti solidi) che «le province regionali svolgono obbligatoriamente l’attività di raccolta e smaltimento di rifiuti solidi urbani e di rifiuti speciali, di cui all’art. 13, comma 1, lettera f), della legge regionale 6 marzo
1986, n. 9, nelle parti di territorio esterno ai perimetri dei centri abitati».
Il testo della disposizione è inequivocabile nell’assegnare alle province siciliane il compito della attività di raccolta di smaltimento dei rifiuti solidi urbani e dei rifiuti speciali, all’esterno dei perimetri recente abitati.
Tale disposizione dovrà necessariamente confrontarsi con la disciplina normativa sopravvenuta, che configura gli enti individuati per la gestione lo smaltimento dei rifiuti nei perimetri segnati dagli ambiti territoriali ottimali (ATO).
4.1. Quanto ai comuni, vale quanto previsto dall’art. 3 del d.P.R. 10/9/1982, n. 915 (attuazione delle direttive CE n. 75/442 relative rifiuti, n. 76/403 relativa allo smaltimento dei policlorodifenili), a mente del quale «le attività inerenti allo smaltimento dei rifiuti urbani competono obbligatoriamente comuni che le esercitano con diritto di privativa nelle forme di privativa di cui al successivo art. 8».
Deve, dunque, tenersi conto non solo della direttiva unionale, ma anche della legislazione statale in materia, costituente norme di riforma economico sociale nei confronti delle regioni a statuto speciale delle province autonome.
Sul punto va segnalato l’art. 1 del d.lgs. 5/2/1997, n. 22 (decreto Ronchi), che nelle premesse reca la definizione per cui «considerato che lo Stato italiano si è assunto il dovere di recepire nell’ordinamento interno le direttive dell’Unione Europea e che, per effetto degli articoli 10 e 11 della Costituzione, le norme contenute in dette direttive, se di applicazione incondizionata, prevalgono nei settori di competenza, sempre nel rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento e dei diritti inalienabili della persona umana garantiti dalla Costituzione».
Di qui, la necessaria valorizzazione di tale inciso, nel senso della prevalenza del diritto unionale, anche soprattutto in tema di rifiuti, in relazione alle direttive CE 91/156, 91/689 e 94/62, che costituiscono un sistema compiuto di disciplina del settore dei rifiuti.
L’art. 1 del d.lgs. n. 22 del 1997, quanto al «campo di applicazione» prevede al comma 3 che «le disposizioni di principio del presente decreto costituiscono norme di riforma economico-sociale nei confronti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome aventi competenza esclusiva in materia, le quali provvedono ad adeguare i rispettivi ordinamenti entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto».
5.1. L’art. 23 del d.lgs. n. 22 del 1997 si occupa della gestione dei rifiuti urbani in ambiti territoriali ottimali, prevedendo che «salvo diversa disposizione stabilita con legge regionale, gli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei rifiuti urbani sono le province. In tali ambiti territoriali ottimali le province assicurano una gestione unitaria dei rifiuti urbani e predispongono piani di gestione dei rifiuti, sentiti i comuni, in applicazione degli indirizzi e delle prescrizioni del presente decreto».
Al comma 2 dell’art. 23 citato si stabilisce che «per esigenze tecniche o di efficienza nella gestione dei rifiuti urbani, le province possono autorizzare gestioni anche a livello sub-provinciale purché, anche in tali ambiti territoriali sia superata la frammentazione della gestione».
Il comma 5 dell’art. 23 del d.lgs. n. 22 del 1997, in attuazione delle direttive unionali, dispone che «per le finalità di cui ai commi 1, 2 e 3 le province, entro il termine di 12 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, disciplinano, ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142, e successive modificazioni, le forme ed i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito
ottimale. Nei casi in cui la forma di cooperazione sia attuata per gli effetti dell’art. 24 della legge 8 giugno 1990, n. 142, le province individuano gli enti locali partecipanti, l’ente locale responsabile del coordinamento, gli adempimenti ed i termini previsti per l’assicurazione delle convenzioni di cui all’art. 24, comma 1, della legge 8 giugno 1990 n. 142».
L’art. 22, comma 3, della legge 8/6/1990, n. 142 (ordinamento delle autonomie locali) stabilisce che «I comuni e le province possono gestire servizi pubblici nelle seguenti forme: c) a mezzo di azienda speciale ; d) a mezzo di istituzione e) a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, qualora si renda opportuna, in relazione alla natura del servizio da erogare, la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati».
Le società d’ambito, dunque, sono state costituite ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. n. 22 del 1997 e dell’art. 22 della legge n. 142 del 1990, svolgendo le funzioni loro deputate nell’ambito territoriale ottimale, con il conseguente superamento del precedente sistema di frammentazione del servizio di gestione dei rifiuti.
6.1. Nella Regione Sicilia l’attuazione del d.lgs. n. 22 del 1997 è avvenuta mediante l’ordinanza del Ministro dell’interno 31/5/1999, n. 2983, con la previsione per cui, a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani nella Regione siciliana, con il DPCM 22/1/1996, «il piano di emergenza è redatto in conformità ai principi, finalità e ai criteri stabiliti dall’art. 22 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 e successive modifiche ed integrazioni».
L’art. 1ter del decreto-legge 7/2/2003, n. 15, convertito in legge n. 62 del 2003, al fine di fronteggiare la persistente ed eccezionale necessità di superare l’emergenza ambientale, ha affermato che «sono comunque fatti salvi tutti gli effetti derivati dall’attuazione
delle ordinanze stesse, nonché le conseguenti attività svolte dall’ufficio del Commissario delegato-presidente della Regione siciliana»; ciò a conferma degli OPCM emessi nelle more in materia ambientale.
Sono stati utilizzati i «poteri sostitutivi», per cui la Provincia Regionale di Catania si è inserita negli ATO della regione siciliana con la delibera del Commissario ad acta n. 87 del 2012, con l’adesione della Provincia alla società d’ambito RAGIONE_SOCIALE
Il sistema di gestione dei rifiuti, a carattere integrato, attraverso l’utilizzazione degli ambiti ottimali territoriale, ha trovato conferma anche nella legislazione successiva.
L’art. 197 del d.lgs. n. 152 del 2006 (Competenze delle province) dispone che «in attuazione dell’art. 19 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, nella versione in vigore dal 13/2/2008, alle province competono «in linea generale le funzioni amministrative concernenti la programmazione ed organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti a livello provinciale, da esercitarsi con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente».
Quanto ai comuni l’art. 198 del d.lgs. n. 152 del 2006 prevede che «I comuni concorrono, nell’ambito delle attività svolte a livello degli ambiti territoriali ottimali di cui all’art. 200 e con le modalità ivi previste, alla gestione dei rifiuti urbani ed assimilati», l’ulteriore previsione del comma 2 dell’art. 198 che «I comuni concorrono a disciplinare la gestione dei rifiuti urbani con appositi regolamenti».
L’art. 200 del d.lgs. n. 152 del 2006, poi, disegna il sistema della gestione integrata del ciclo dei rifiuti, rivolgendosi sia ai comuni che alle province, attraverso l’organizzazione di un vero e proprio sistema, in grado di funzionare in modo efficiente.
Si prevede, dunque, – seguendo il solco segnato dal decreto Ronchi (d.lgs. n. 22 del 1997) – che «la gestione dei rifiuti urbani è organizzata sulla base di ambiti territoriali ottimali, di seguito anche
denominati ATO, delimitati dal piano regionale di cui all’art. 199, nel rispetto delle linee guida e secondo i seguenti criteri: a) superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti».
La disciplina del servizio di gestione integrata si rinviene nell’art. 201 del d.lgs. n. 152 del 2006, a mente del quale «al fine dell’organizzazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro il termine di 6 mesi dalla data di entrata in vigore della parte IV del presente decreto, disciplinano le forme e i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale».
Si prevede al comma 2 dell’art. 201 citato che «l’autorità d’ambito è una struttura dotata di personalità giuridica costituita in ciascun ambito territoriale ottimale delimitato dalla competente regione, alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale è trasferito l’esercizio delle loro competenze in materia di gestione integrata dei rifiuti».
Si prevede, quindi, la partecipazione obbligatoria degli enti locali all’autorità d’ambito.
La legge Regione Sicilia 8/4/2010, n. 9 (Gestione integrata dei rifiuti e bonifica dei siti inquinanti) si inserisce, proprio, nell’ambito della normativa nazionale, nell’ottica della struttura del servizio organizzata in base ad ambiti territoriali ottimali.
L’art. 1 della legge Regione Sicilia n. 9 del 2010 stabilisce che «oggetto della presente legge è la disciplina integrata dei rifiuti e la messa in sicurezza, la bonifica, il ripristino ambientale dei siti inquinati in maniera coordinata con le disposizioni del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e successive modifiche ed integrazioni, in attuazione delle direttive comunitarie in materia di rifiuti».
Con riferimento alle province, viene richiamato espressamente l’art. 197 del d.lgs. n. 152 del 2006, dall’art. 3 della legge Regione Sicilia n. 9 del 2010.
Si prevede all’art. 3, comma 2, della legge Regione Sicilia n. 9 del 2010 che «il Presidente della Provincia adotta le ordinanze di cui all’art. 191 del d.lgs. n. 152/2006 e successive modifiche ed integrazioni nonché per tutte le tematiche che esulino dal territorio di un singolo comune e che ricadano nell’ambito del territorio provinciale, ove non altrimenti attribuite».
Si chiarisce, quindi, la competenza dell’area vasta delle province, anche in materia di rifiuti.
Ai sensi dell’art. 6 della Regione Sicilia n. 9 del 2010, poi, si prevede che «in attuazione di quanto disposto dall’art. 45 della legge regionale 8 febbraio 2007, n. 2, per l’esercizio delle funzioni di gestione integrata dei rifiuti, la Provincia ed i comuni ricompresi in ciascun ambito territoriale ottimale costituiscono, per ogni ATO, una società consortile di capitali per l’esercizio delle funzioni affidate alla società stessa con la presente legge».
Si stabilisce anche che è posto a carico della provincia, quale quota di partecipazione, il 5%.
La Provincia viene a far parte integrante dell’organizzazione per la gestione integrata dei rifiuti, diventando anche quotista delle Società per la Regolamentazione del servizio di gestione rifiuti (SRR).
Nelle disposizioni transitorie si dispone che «alla data di entrata in vigore della presente legge, i consorzi e le società d’ambito costituiti ai sensi dell’art. 201 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, sono posti in liquidazione».
Con successive proroghe legislative le società d’ambito sopravvivono sino al 2012. Si fa riferimento, in particolare, all’art. 13 del decreto-legge 29/12/2011, n. 216, convertito in legge 24 del 2012,
n. 14 (proroga di termini in materia ambientale), per il quale «il termine di cui all’art. 2, comma 186-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni è prorogato al 31 dicembre 2012».
L’art. 1, comma 1quinquies , del decreto-legge 25/1/2010, n. 2, convertito in legge n. 42 del 2010, ha previsto che «all’art. 2, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, dopo il comma 186 è inserito il seguente: ‘186bis . Decorso un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono soppresse le autorità d’ambito territoriale, di cui agli articoli 148 e 201 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152».
9.1. In ordine, poi, al quadro giurisprudenziale, non può non osservarsi che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 373 del 2010, ha espressamente ribadito che l’art. 6, comma 4, della legge della Regione Puglia n. 36 del 2009, presenta profili di illegittimità costituzionale, in quanto «nell’ammettere la deroga al principio della unicità della gestione integrata dei rifiuti, si pone in contrasto con l’articolo 200, comma primo, lettera a), del d.lgs. n. 152 del 2006, secondo cui la gestione dei rifiuti urbani organizzata, fra l’altro, sulla base del criterio del superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti» (anche Corte cost., sentenza n. 307 del 2009).
In particolare, l’art. 6, comma 4, della legge regionale Puglia n. 36 del 2009, dichiarato incostituzionale, stabiliva che le autorità d’ambito «in deroga all’unicità della gestione, possono prevedere affidamenti limitati al servizio di raccolta, trasporto e igiene urbana per una durata non superiore al restante periodo di validità della durata delle concessioni degli impianti affidate e, comunque, per oltre 15 anni».
10. Pertanto, all’interno di tale quadro normativo va letto ed interpretato lo statuto della società RAGIONE_SOCIALE
Tale società è costituita tra la Provincia Regionale di Catania ed i comuni dell’ambito territoriale ottimale CT1 per assicurare la gestione integrata dei rifiuti di propria competenza.
L’art. 6 dello statuto (Erogazione dei servizi) prevede che «l’erogazione dei servizi relativi alla gestione integrata dei rifiuti sarà assicurata dalla società con le modalità previste dalla vigente normativa. Il consiglio d’amministrazione della società, entro il 30 settembre di ogni anno, aggiornando la pianificazione d’ambito, ove necessario, delibera, con riferimento all’anno successivo, l’eventuale avvio di nuovi servizi da espletare o l’estensione territoriale di servizi già espletati prevedendo la copertura dei relativi costi».
Nel paragrafo successivo dell’art. 6 si legge che «gli enti soci dovranno comunicare, alla società, entro 30 giorni, la data in cui dovrà decorrere l’espletamento del relativo servizio; tale data dovrà, comunque, ricadere tra il 1 gennaio ed il 31 dicembre dell’anno di avvio del servizio».
Si chiarisce successivamente che «nel caso in cui l’ente socio non effettua tale comunicazione o comunica una data successiva al 31 dicembre dell’anno di avvio del servizio, esso dovrà partecipare, in proporzione alla propria quota, agli oneri di spesa generali che la società sosterrà per l’avvio del servizio stesso a decorrere dal 1 gennaio del suddetto anno».
Con la precisazione per cui «il costo di ciascun servizio principale svolto dalla società dovrà essere perequato per tutti gli enti soci appartenenti allo stesso ambito, prescindendo dalla localizzazione degli impianti ed a tutta l’organizzazione del servizio, che sarà assunto in parte ponendo l’onere a carico direttamente dei cittadini utenti in misura percentuale non inferiore alla copertura del servizio di RSU stabilita annualmente dalle disposizioni di finanza locale per gli enti
locali e la restante parte verrà posta a carico degli enti pubblici in proporzione alla quota di partecipazione».
Si prevede, infine, che «per gli altri servizi a richiesta si provvederà convenzionalmente».
All’art. 7 dello statuto si stabilisce che «l’ente che aderisce alla società è comunque obbligato a partecipare alle spese generali di amministrazione proporzionalmente alla propria percentuale azionaria, indipendentemente dall’attivazione specifica di servizi da parte della società».
11. L’interpretazione fornita dalla Corte d’appello dell’art. 6 dello statuto della società RAGIONE_SOCIALE è coerente con la normativa in materia di ambiente che, nel corso degli anni, ha avuto come filo conduttore quello della gestione integrata dei rifiuti, attraverso un’organizzazione territoriale complessa, in grado di utilizzare appieno tutti gli strumenti atti a garantire la migliore efficacia delle attività di gestione dei rifiuti.
Ed infatti, la Corte territoriale ha sottolineato la ratio dell’art. 6, comma 1, della legge regionale Sicilia 8/4/2010, n. 9, che ha previsto, per l’esercizio delle funzioni di gestione integrata dei rifiuti, che la provincia ed i comuni fossero ricompresi in un ambito territoriale ottimale, costituendo, per ogni ATO, una società consortile di capitali denominata ‘società per la regolamentazione del servizio di gestione rifiuti’.
Ha precisato la Corte d’appello che tale normativa «non ha comportato la soppressione delle competenze delle province per lo svolgimento del servizio di raccolta dei rifiuti nelle zone esterne ai perimetri abitati dei territori comunali, di cui all’art. 160 della regionale n. 25/1993, essendosi la legge limitata a trasferirne l’esercizio alle società d’ambito».
Gli artt. 6 e 8 della legge regionale Sicilia n. 9 del 2010, avendo previsto la sostituzione delle società d’ambito con le società per la regolamentazione del servizio di gestione rifiuti, non consente «la gestione autonoma del servizio di raccolta dei rifiuti ad opera di un ente socio di una società d’ambito, essa ponendosi in manifesto contrasto con l’art. 200, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 152 del 2006».
A giudizio della Corte d’appello, allora, la gestione dei rifiuti urbani è organizzata «sulla base del criterio del superamento della frammentazione delle gestioni».
La Corte territoriale ha reputato che la costituzione della società d’ambito ha comportato che «l’esercizio di tutte le funzioni in materia di gestione dei rifiuti dei comuni e delle province partecipanti è affidato in via esclusiva alla società d’ambito, restando sottratta agli enti territoriali la possibilità di incidere, con propria autonoma delibera, sulla gestione del servizio, ovvero di svincolarsi, per la gestione del servizio medesimo, dalla società d’ambito e provvedere autonomamente».
Di qui, la conseguenza per cui la comunicazione, da parte degli enti territoriali partecipanti, alla società d’ambito, della data di inizio dell’espletamento del servizio, di cui all’art. 6 dello statuto, «non può assurgere a elemento costitutivo del diritto della società d’ambito a provvedere alla gestione ed erogazione del servizio di gestione integrata».
L’unica interpretazione possibile, non contrastante con la normativa sopra indicata, consiste nel ritenere che «tale adempimento può essere inteso come diretto esclusivamente a regolare la fase di concreta attuazione del servizio, essendo finalizzata unicamente ad individuare concordemente la data di inizio».
La Corte d’appello si è fatta carico anche di spiegare l’ulteriore previsione contenuta nell’art. 6 dello statuto, a mente del quale, in assenza di detta comunicazione, l’ente socio partecipa ai soli oneri di spese generali della società d’ambito, dovendosi riferire tale locuzione «all’ipotesi in cui la società non abbia comunque svolto in concreto il servizio in favore dell’ente territoriale, pur essendosi fatta carico dello stesso nell’interesse di tutti gli altri enti soci».
12. Tuttavia, a fronte di tale plausibile interpretazione della Corte d’appello, sorretta peraltro da tutta la normativa, sia nazionale che regionale, sul punto, non v’è stata alcuna indicazione, da parte della ricorrente, dei criteri di ermeneutica che sarebbero stati eventualmente violati, nell’interpretazione dell’art. 6 dello statuto della società.
Ed infatti, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli articoli 1362 e seguenti c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., 1/3/ 2019, n. 6156; Cass., n. 5647 del 2019; Cass. n. 6125 del 2014; Cass. n. 16254 del 2012; Cass. n. 24539 del 2009; Cass., sez. 3, 17/7/2003, n. 11193).
12.1. Inoltre, deve osservarsi che, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c. Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (Cass., 15/11/2017, n. 27136; Cass., sez. 1, 20/1/2021, n 995).
Tale onere di allegazione dei corretti criteri legali di ermeneutica contrattuale non è stato in alcun modo ottemperato da parte della ricorrente, benché la Corte d’appello abbia compiuto una adeguata interpretazione dell’art. 6 dello statuto societario.
La motivazione della sentenza della Corte d’appello impugnata esiste, allora, non solo in senso grafico, ma anche nell’enucleazione delle argomentazioni logiche e giuridiche sottese alla decisione adottata.
Inoltre, la ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 112 c.p.c., deducendo che la Corte d’appello avrebbe deciso su una circostanza «né dedotta dal giudice di prime cure né sollevata da controparte», senza però trascrivere, in modo sufficiente, le questioni sollevate dalle parti nel giudizio di prime cure ed in quello d’appello, non consentendo così a questa Corte di comprendere la reale portata della doglianza; con conseguente inammissibilità della stessa.
Poco perspicuo risulta anche il riferimento all’art. 1421 c.c., in quanto tale disposizione prevede anche il rilievo d’ufficio da parte del giudice della nullità del contratto, mentre la ricorrente sostiene che
«la nullità di clausole statutarie può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse mediante domanda di accertamento dell’invalidità», mentre tale «azione non sia mai stata esercitata alcuno».
15. Con il terzo motivo di impugnazione principale la ricorrente deduce «l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. – Ultrapetizione – Nullità della sentenza per violazione dell’art. 112, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
Per la ricorrente, dunque l’eccezione relativa alla mancata stipula della convenzione di affidamento, formulata nelle diverse fasi dei giudizi, sarebbe stata «totalmente disattesa dalla Corte territoriale» .
In particolare, l’art. 6 dello statuto prevedeva espressamente che «per gli altri servizi a richiesta si provvede convenzionalmente».
La Corte d’appello si sarebbe limitata a ritenere «sottratta agli enti territoriali la possibilità di incidere con propria autonoma delibera, sulla gestione del servizio ovvero di svincolarsi per la gestione del servizio medesimo, dalla società d’ambito e provvedere autonomamente», senza però pronunciarsi «sulla decisiva circostanza che, sulla base della citata disposizione statutaria, il servizio in questione può essere attivato esclusivamente a seguito della stipula di apposita convenzione».
16. Il motivo è inammissibile.
Il vizio di omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c. può essere fatto valere solo in relazione alla mancata decisione in ordine a specifiche domande o eccezioni sollevate dalle parti, ma non in ordine alla mancata pronuncia «sulla decisiva circostanza» che, ai sensi dell’art. 6 dello statuto, il servizio poteva essere attivato esclusivamente a seguito della stipula di apposita convenzione.
Ed infatti, per questa Corte poiché il vizio di omessa pronuncia si concreta nel difetto del momento decisorio, per integrare detto vizio
occorre che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, ciò che si verifica quando il giudice non decide su alcuni capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili, o sulle eccezioni proposte, ovvero quando pronuncia solo nei confronti di alcune parti. Per contro, il mancato o insufficiente esame delle argomentazioni delle parti integra un vizio di natura diversa, relativo all’attività svolta dal giudice per supportare l’adozione del provvedimento, senza che possa ritenersi mancante il momento decisorio (Cass., sez. 6-L, 3/3/2020, n. 5730).
Con un unico motivo di impugnazione incidentale la società RAGIONE_SOCIALE deduce «illegittimità ed erroneità di appello Catania n. 1490/2021 per violazione e falsa applicazione dell’art. 132, primo comma, n. 4, c.p.c., per omessa motivazione della decisione e violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronunzia su una domanda della parte appellante, in riferimento all’art. 360, primo comma, numeri 3,4 e 5, c.p.c. per violazione di legge ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione».
Il motivo è inammissibile.
Il ricorso incidentale è inammissibile in quanto la ricorrente non ha provveduto a trascrivere le richieste della società RAGIONE_SOCIALE, sia in prime cure che nella fase d’appello, non consentendo a questa Corte di comprendere il tenore e la portata anche specifica della doglianza.
Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate interamente tra le parti per la reciproca soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; dichiara inammissibile il ricorso incidentale.
Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 31 gennaio