Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 31659 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 31659 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 3680/2024 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale rilasciata in calce al ricorso, il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e notifiche a ll’ indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
-ricorrente –
contro
Comune di Capri, in persona del legale rappresentante pro tempore,
-intimato –
avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 626/2023 depositata in data 15/2/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5/12 /2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
La fornitura d’acqua potabile alla popolazione di Capri è assicurata attraverso una rete di distribuzione locale collegata alla terraferma per mezzo dell’acquedotto sottomarino, realizzato dalla Cassa per il Mezzogiorno (CASSMEZ), ora gestito dalla regione Campania.
Gli impianti intermedi tra l’acquedotto sottomarino e la rete di distribuzione sul territorio comunale sono gestiti dal servizio acquedotto del Comune di Capri, in affidamento dalla regione.
La rete di distribuzione, invece – che è quella che rileva in questa sede – era prima gestita dalla RAGIONE_SOCIALE ed ora risulta affidata la società a capitale pubblico maggioritario RAGIONE_SOCIALE
Proprio in previsione della realizzazione dell’acquedotto sottomarino, finanziato dalla RAGIONE_SOCIALE, il Comune decideva di regolamentare la fase transitoria di gestione del servizio pubblico con le convenzioni n. 292 e 293 del 12/7/1973.
La RAGIONE_SOCIALE era proprietaria degli impianti, costituiti da tubazioni di medio e piccolo diametro, costituenti l’intera rete acquedottistica servente il territorio comunale. Era dunque titolare della rete di distribuzione idrica, non collegata alla terraferma.
In particolare, con la convenzione n. 292 il Comune acquisiva la disponibilità gratuita della rete di distribuzione.
Con la convenzione n. 293, sempre del 12/7/1973, il Comune affidava il servizio di distribuzione idropotabile, con connessa attività
di esazione, e con gli impianti di cui alla convenzione n. 292, alla RAGIONE_SOCIALE.p.a.
Veniva, poi, stipulato l’accordo integrativo n. 298, con il quale la RAGIONE_SOCIALE doveva fare i lavori di allacciamento delle nuove utenze alla rete di distribuzione e stipulare contratti di fornitura «in nome e per conto del Comune di Capri».
Nell’accordo integrativo n. 298 era inserita la clausola per cui il Comune di Capri, alla scadenza della convenzione, «avrebbe riconsegnato alla SIPPIC gli impianti e la rete di distribuzione nelle condizioni in cui le stesse si troveranno».
La concessione aveva durata biennale, con proroghe annuali automatiche, salvo disdetta.
Gli incassi del servizio dovevano essere riversati al Comune, che corrispondeva alla SIPPIC il corrispettivo in ragione del volume d’acqua distribuita.
Con delibera n. 386 del 27/6/1988 il Comune comunicava la disdetta, a partire dal 1/1/1989.
Allo stesso modo, la RAGIONE_SOCIALE comunicava la propria disdetta in data 29/9/1988.
3.1. Tuttavia, dal 1/1/1989 la RAGIONE_SOCIALE continuava a gestire la rete di distribuzione, nonostante le intervenute disdette reciproche.
Il Comune di Capri in data 19/12/1995 comunicava alla RAGIONE_SOCIALE, a mezzo di atto stragiudiziale, la volontà di assumere la gestione del servizio a partire dal 1996, invitando la società a mettere a disposizione gli impianti, le strumentazioni, i ruoli di riscossione e quanto necessario alla distribuzione idrica e alla sua gestione.
Il Comune, inoltre, con la delibera n. 68/96 costituiva una società con prevalente capitale pubblico per la gestione dei servizi sull’isola
di Capri, ossia la RAGIONE_SOCIALE, che entrava nella disponibilità della rete idrica.
Sorgeva una controversia sia in ordine all’individuazione dell’effettivo titolare della rete di distribuzione, una volta cessate le convenzioni stipulate nel 1963, sia in relazione al versamento al Comune degli incassi conseguiti dalla SIPPIC con la gestione del servizio idrico.
Il Comune di Capri, con atto di citazione dell’11/6/1996, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, che dava luogo all’iscrizione nel R.G. n. 6277/1996, chiedeva -per quel che ancora qui rileva – al tribunale di Napoli: «1) condannarsi la RAGIONE_SOCIALE a consegnare al Comune di Capri tutti gli impianti, strumenti, beni, documenti, ruoli, atti contabili amministrativi e tutto quanto altro costituente il complesso di beni a mezzo dei quali si espleta il pubblico servizio di distribuzione idropotabile ; 2) condannarsi la stessa a fornire al Comune il rendiconto della gestione di fatto del pubblico servizio in questione dal 1/1/89 alla data della sua materiale cessazione; 3) condannarsi la SIPPIC a versare al Comune le somme dalla SIPPIC riscosse dagli utenti 6) dichiararsi che il complesso di beni (rete di distribuzione, impianti, contatori e quant’altro) costituente la rete di distribuzione idrica attualmente gestita di fatto dalla SIPPIC non è di proprietà della stessa o, in subordine, dichiararsi che la parte già di proprietà RAGIONE_SOCIALE è divenuta di proprietà comunale al termine del periodo di concessione del pubblico servizio, emettendo pertanto sentenza dichiarativa dell’avvenuto trasferimento ».
Il Comune presentava ricorso ex art. 700 c.p.c. in data 16/2/1998, deducendo «l’abnormità della pretesa della SIPPIC di continuare a riscuotere dalla cittadinanza caprese i corrispettivi della fornitura idropotabile, nonché i canoni di depurazione fognatura».
Il Tribunale di Napoli in data 17/3/1998 accoglieva il ricorso «ordina alla RAGIONE_SOCIALE di cessare immediatamente l’emissione di fatture o bollette, nonché ogni altra forma di richiesta e accettazione di pagamenti, nei confronti dei cittadini del Comune di Capri a titolo di corrispettivo per lo svolgimento del servizio di distribuzione idrica » e «inib alla SIPPIC di ostacolare l’attività di riscossione dei canoni dagli utenti ed ogni altra attività compiuta dal Comune di Capri nell’esercizio del servizio pubblico di distribuzione idrica».
Il reclamo veniva rigettato.
Il Comune di Capri chiedeva passarsi alla fase di merito, con la dichiarazione dell’inesistenza del diritto di SIPPIC alla gestione del servizio idrico, oltre che dell’inesistenza del diritto di SIPPIC alla riscossione dei corrispettivi della fornitura idrica dei canoni (RG n. 5160 1998).
La RAGIONE_SOCIALE, oltre a richiedere l’autorizzazione alla chiamata in causa della RAGIONE_SOCIALE proponeva domanda riconvenzionale con comparsa del 5/11/1998, chiedendo, oltre alla riunione del giudizio con quello relativo alla proprietà della rete idrica (n. 6777/96), la condanna del Comune di Capri e della Capri RAGIONE_SOCIALE e dell’ATO Sarnese Vesuviano «al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE di tutte quelle somme percette dagli utenti capresi durante il periodo di loro gestione nonché a titolo di risarcimento danni di quelle somme che saranno accertate durante il corso del giudizio».
Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 9/11/2012, rigettava la domanda tesa all’accertamento della proprietà della redistribuzione in capo al Comune, come pure quella di rendiconto proposta dal Comune di Capri (domanda n. 2 della citazione), mentre accoglieva la domanda n. 3 del Comune, nel giudizio n. 6277 del 1996, dichiarando che RAGIONE_SOCIALE era tenuta a versare al Comune le
somme riscosse dagli utenti nel periodo dalla data di costituzione di RAGIONE_SOCIALE (inizio 1996) alla data del 17/3/1998, ossia la data dell’adozione del provvedimento cautelare, provvedendo ad una liquidazione equitativa in euro 850.000,00. Veniva esclusa la restituzione per il periodo precedente dal 1989 al 1995.
9.1. In particolare, quanto al diritto di proprietà, il tribunale rilevava che «il diritto dominicale vantato dalla SIPPIC sulla rete acquedottistica già prima che intervenissero gli atti concessori suddetti è certo e non è nemmeno oggetto di contestazione tra le parti; sicché, al termine della concessione in uso al Comune della rete, la SIPPIC, in quanto proprietà degli impianti, aveva il diritto a vedersi restituire gli impianti tutti, comprensivi anche delle eventuali migliorie apportate dall’ente locale».
9.2. In ordine alla richiesta di rendiconto della gestione per il periodo dal 1989 al 19/3/1998, data di emissione del provvedimento cautelare adottato nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, il tribunale rilevava che la domanda «non appare accoglibile per avvenuta prestazione, documentalmente attestata, della rendicontazione del servizio reso dal 1989 al 1995». Specificava, peraltro, che quanto «alla condanna dei rendiconti e alla condanna al pagamento degli importi riscossi, il Comune aveva proposto in precedenza analoghe domande in giudizi riuniti iscritti con i numeri 1228/92 e 17905/93, l’ultimo dei quali definito con sentenza n. 5717/10, di accertamento dell’obbligo della SIPPIC di versare al Comune di Capri l’importo di euro 1.456.851,57, a titolo di canoni acquedottistici per il periodo dal 1989 al 1992».
9.3. Veniva, invece, accolta -come già evidenziato sopra – la domanda di cui al n. 3 dell’atto di citazione con riguardo al versamento «delle somme che la RAGIONE_SOCIALE ha riscosso dagli utenti per la gestione di fatto, non autorizzata, del servizio pubblico».
Pertanto, in dispositivo statuiva «dichiara la convenuta tenuta a versare al Comune le somme riscosse dagli utenti capresi nel periodo dalla data di costituzione della RAGIONE_SOCIALE (inizi 1996) alla data del 17/3/1998».
9.4. Inoltre, aggiungeva il tribunale – con riferimento alla spettanza alla SIPPIC del nolo dei contatori e dell’aggio vizio prestato- che « il CTU nella determinazione dei canoni, si è limitato ad estrapolare il numero riportato nei registri di riscossione dall’utenza, senza operare, come sarebbe stato giusto, la necessaria decurtazione di quanto spettante al gestore per l’aggio relativo al servizio reso e ai noli dei contatori, appare equo ridurre ad euro 850.000,00 la somma suddetta, assumendo il parametro peritale come punto di riferimento per una liquidazione equitativa», all’attualità, con la maggiorazione degli interessi legali decorrenti dalla decisione al saldo.
Avverso tale sentenza proponeva appello principale la RAGIONE_SOCIALE (RG n. 4968/2013), sulla base di due motivi.
10.1. Con il primo motivo la RAGIONE_SOCIALE chiedeva accertare «l’occupazione senza titolo degli impianti e della rete idrica della RAGIONE_SOCIALE, condannare il Comune di Capri, in solido con gli altri appellati, al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE dell’importo di euro 19.071.724,83 corrispondente all’indennizzo per utilizzo sine titulo della rete è esclusiva proprietà della società appellante».
10.2. Con il secondo motivo di appello principale la SIPPIC chiedeva respingersi «La domanda del Comune di Capri di pagamento degli importi incassati utenti per i lavori idrici nel periodo 1/1/96-17/3/98 in quanto non provata, ed in via meramente subordinata determinare l’importo da restituire, valutato all’attualità in euro 503.616,32». Era dunque ingiustificata la liquidazione del danno effettuata dal tribunale in favore del Comune in via equitativa.
La determinazione delle somme doveva avvenire non in base alle fatture emesse, ma alle somme effettivamente riscosse, come accaduto nel periodo ricompreso tra primo bimestre 1996 e il VI bimestre 1998, con «bollette» emesse per euro 760.751 le somme riscosse pari ad euro 654.700,00, «ossia l’effettiva somma alla quale il giudice di prime cure avrebbe dovuto far riferimento ai fini della determinazione del quantum da restituire, previa sottrazione degli importi per nolo contatori, per aggio spettante all’azienda erogatrice del servizio e per i lavori di manutenzione».
Proponeva appello incidentale il Comune di Capri sulla base di 5 motivi.
11.1. Con il primo motivo il Comune chiedeva «accertare e dichiarare la insussistenza del diritto di proprietà di RAGIONE_SOCIALE sul complesso dei beni costituente la rete di distribuzione idrica».
11.2. Con il secondo motivo di appello incidentale censurava la sentenza di prime cure che aveva rigettato la richiesta di restituzione della rete idrica.
11.3. Con il terzo motivo di appello incidentale il Comune rilevava che lo stesso tribunale aveva affermato che non vi era stata espressa richiesta di SIPPIC per la restituzione del bene.
11.4. Con il quarto motivo di appello incidentale il Comune censurava la sentenza di prime cure nella parte in cui aveva rigettato la domanda di condanna della SIPPIC a fornire il rendiconto della gestione di fatto del pubblico servizio dal 1/1/89 alla data della sua materiale cessazione, nonché la domanda di condanna della SIPPIC a versare al Comune le somme riscosse dagli utenti.
Il Comune chiedeva i rendiconti dall’1/1/1989 alla cessazione della gestione (per l’intero periodo), con la restituzione dei canoni riscossi per gli anni 1993, 1994 e 1995 e non quindi soltanto per il periodo 1996-17/3/1998, come aveva fatto il tribunale.
11.5. Con il quinto motivo di appello incidentale del Comune evidenziava che il tribunale aveva accolto la domanda di restituzione «dei canoni riscossi limitatamente al periodo 1996-1998», operando, tra l’altro, «una riduzione in via equitativa». Nulla era stato liquidato per il periodo dal 1993 al 1995.
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 383 del 3/2/2021, accoglieva in parte l’appello proposto dal Comune di Capri in relazione ai motivi 4º e 5º, rigettando i motivi primo e 2º, e dichiarando inammissibile il 3º, mentre accoglieva solo in parte l’appello della RAGIONE_SOCIALE in relazione alla valutazione equitativa compiuta dal tribunale, senza tenere conto, però, delle spese per il nolo dei contatori, con esclusione del compenso, trattandosi di gestione d’affari altrui, con carattere di gratuità.
12.1. In particolare, la Corte d’appello rigettava il primo motivo di gravame del Comune di Capri, in quanto dalla convenzione del 1963 emergeva che il Comune, alla scadenza della stessa, «avrebbe riconsegnato alla SIPPIC gli impianti e la rete di distribuzione nelle condizioni in cui le stesse si troveranno».
12.2. Veniva conseguentemente rigettato anche il secondo motivo relativo alla domanda restitutoria presentata dal Comune, essendo le adduzioni di proprietà della RAGIONE_SOCIALE, unitamente alla redistribuzione.
12.3. Veniva dichiarato inammissibile il terzo motivo formulato dal Comune.
12.4. Veniva invece accolto il quarto motivo del Comune.
Con riferimento al mancato adempimento all’obbligo di rendiconto, la Corte territoriale rilevava che il Comune di Capri ne aveva formulato domanda per tutto il periodo di gestione di fatto del servizio idrico, a partire dal 1989, a seguito della scadenza e cessazione del rapporto concessorio, fino alla sua cessazione,
avvenuta il 19/3/1998 con l’emanazione del provvedimento cautelare.
Il tribunale aveva ritenuto assolto l’obbligo di rendiconto fino al 1995, ma il Comune evidenziava che erano stati «depositati soltanto dei registri senza alcun documento giustificativo».
La Corte d’appello rimarcava che erano stati «prodotti soltanto i registri dei corrispettivi e relativi ai soli anni dal 1996 al 1998 non anche per il periodo anteriore dal 1993 al 1995». Pertanto, in relazione al periodo 1993-1995 «il rendiconto non stato in realtà reso dalla SIPPIC ».
Per il periodo dal 1996 al 1998 la RAGIONE_SOCIALE aveva prodotto in giudizio i registri dei corrispettivi, nonché alcuni tabulati interni «privi di vidimazione, riportanti la lista degli utenti che hanno provveduto al pagamento delle bollette dei consumi idrici soltanto nel bimestre «settembre /ottobre ’97 e novembre /dicembre ’97».
Inoltre, si sottolineava che trattavasi di corrispettivi «fatturati e non effettivamente riscossi», mancando peraltro «gli estratti C/C dedicato agli accrediti degli utenti relativi al versamento di tali canoni».
Per tale ragione, il giudice di merito reputava che «anche per il periodo di gestione dal 1996 al 1998 la RAGIONE_SOCIALE non abbia reso in modo completo il proprio rendiconto al Comune di Capri».
12.5. La Corte d’appello, poi, affrontava congiuntamente il «secondo profilo del quarto motivo», con il quale il Comune censurava la sentenza sul quantum debatur nella parte in cui «ha integralmente rigettato la domanda di restituzione dei canoni riscossi per il periodo 1993-1995», unitamente al quinto motivo, che era stato costruito sotto 3 diversi profili: a) nella parte in cui il tribunale, pur accogliendo la domanda di restituzione dei canoni riscossi limitatamente al periodo 1996/1998, aveva però «operato una
riduzione in via equitativa (per aggio, nolo contatori, e lavori di manutenzione) non ammissibile per una domanda di restituzione e non risarcitoria»; b) per vizio di ultrapetizione, in quanto, in assenza di espressa domanda e/o eccezione sul punto da parte della RAGIONE_SOCIALE, il tribunale aveva «proceduto a tale riduzione dell’importo che detta società avrebbe dovuto riversare in favore dell’amministrazione comunale»; c) per aver operato tale riduzione «nonostante i relativi costi sostenuti dal gestore non sarebbero stati provati».
La Corte territoriale affrontava unitariamente anche la seconda censura dell’appello principale RAGIONE_SOCIALE, nella parte in cui il tribunale aveva «in modo assolutamente ingiustificato determinato in via equitativa a norma dell’art. 1226 c.c. tutti i canoni acquedottistici nel relativo periodo nonché pervenendo ad un’errata determinazione degli importi, in quanto la SIPPIC non avrebbe dovuto versare l’importo di fatturazione bensì solo le somme effettivamente riscosse dagli utenti». Tanto che la SIPPIC aveva dichiarato la «somma di euro 654.700,00 nel periodo compreso tra il primo bimestre 1996 e il VI bimestre 1998, da restituire, previa sottrazione degli importi per nolo contatori, per aggio e per i lavori di manutenzione».
La Corte d’appello, dopo aver ritenuto adempiuto l’obbligo di rendiconto fino al 1995 (tra l’altro errando perché nulla era stato prodotto), aveva nel dispositivo rigettato tutti i capi della domanda del Comune, e dunque anche la «domanda di restituzione dei canoni riscossi nel periodo di gestione dal 1993 al 1995».
Mentre in relazione al periodo di gestione successivo cioè dal 1996 al 1998 (data di emissione del provvedimento cautelare), il tribunale aveva condannato la RAGIONE_SOCIALE restituire al Comune di Capri la somma di euro 850.000,00 sulla base della CTU.
Per la Corte d’appello era fondato il secondo profilo del quarto motivo del Comune di Capri.
Ciò perché era «incontestato dalle parti che la RAGIONE_SOCIALE gestito il servizio pubblico di distribuzione idropotabile sul territorio del Comune di Capri, la cui titolarità in capo a quest’ultimo costituisce oggetto di affermazione del giudice di primo grado non appellata e su cui quindi è caduto il giudicato fra le parti, così come è caduto il giudicato sulla debenza (an debeatur) al Comune da parte della SIPPIC dei canoni riscossi dagli utenti».
Vi era dunque formazione del giudicato interno sia in ordine alla gestione di fatto del servizio di distribuzione dell’acqua da parte della SIPPIC, sia con riferimento al diritto del Comune di ottenere la restituzione dei canoni riscossi dagli utenti da parte della SIPPIC.
Per tale ragione – ad avviso della Corte territoriale – «il giudice di primo grado avrebbe anche dovuto determinare nel quantum l’importo dei canoni riscossi nel periodo di gestione 1993-1995».
Tra l’altro, la RAGIONE_SOCIALE, con il secondo profilo del secondo motivo aveva chiesto di tenere conto, nel perimetrare l’obbligo di restituzione, solo delle «somme effettivamente riscosse dagli utenti», mentre nel periodo compreso tra il primo bimestre 1996 e il 6º bimestre 1998 «a fronte di euro 760.751,00 di fatturato per bollette emesse per consumi idrici per complessivi, la stessa aveva in realtà incassato euro 654.700,00», da cui detrarre i costi per nolo contatori, per aggio e per lavori di manutenzione.
14. In ordine al quinto motivo di appello del Comune, unitariamente considerato per i tre profili già individuati, in relazione al periodo di gestione dal 1993 al 1995, la Corte d’appello affermava che il quantum spettante al Comune poteva ricavarsi in proporzione al quantum determinato per il periodo dal 1996 al 1998, affrontano unitariamente sia il motivo proposto dal Comune sia quello proposto da RAGIONE_SOCIALE (secondo motivo, perché il primo costituiva domanda nuova).
La Corte muoveva dalla qualificazione della gestione di fatto da parte della SIPPIC dal 1/1/1989 (dopo la disdetta del Comune n. 386 del 26/6/1988, a decorrere dal 1/1/1989) al 19/12/1995, quando il Comune comunica di voler assumere la gestione della rete, con la successiva costituzione della RAGIONE_SOCIALE con delibera n. 68 del 1996, che entra nella disponibilità della rete idrica.
Si trattava, allora, di negotiorum gestio ex art. 2028 c.c. in quanto la RAGIONE_SOCIALE, era consapevole, a seguito della cessazione del rapporto concessorio, che stava ormai gestendo un servizio pubblico senza averne più legittimazione, della altruista dell’affare.
Sussistevano poi requisiti della absentia domini , ossia la mancanza di opposizione o divieto del Comune di Capri (quale dominus) e dell’ utiliter coeptum, inteso come utilità per il dominus.
In relazione a tale periodo trovavano applicazione le norme sul mandato ai sensi dell’art. 2030 c.c., quindi con riferimento all’art. 1713 c.c. il gestore RAGIONE_SOCIALE era obbligato al rendiconto nei confronti del proprietario Comune di Capri.
Sussisteva anche la ratifica da parte dell’interessato per il periodo successivo (dal 1996 al 1998), in quanto il Comune con la comunicazione alla SIPPIC in data 19/12/95 aveva inteso assumere la gestione del servizio a partire dal 1996, con implicita ratifica della gestione svolta «dal 1996 in poi», avendo il Comune richiesto, anche per il periodo dal 1996 al 1998, la restituzione dei canoni riscossi durante tale gestione di fatto e non anche il risarcimento del danno.
15. Quanto alla determinazione degli importi, poiché per il periodo dal 1993 all’aprile 1996 non era stata prodotta alcuna documentazione, mentre per il periodo successivo dal maggio 1996 all’aprile 1998 erano stati prodotti i registri dei corrispettivi Iva, ma non anche i registri relativi alle somme effettivamente riscosse,
occorreva procedere a determinare quanto dovuto al Comune per il periodo dal 1996 al 1998, utilizzando le risultanze della CTU.
L’unico dato attendibile era costituito dall’ammontare complessivo dei corrispettivi «emessi dalla SIPPIC» nel periodo maggio 1996/marzo 1998 pari a lire 1.857.407.020, pari ad euro 959.270,67. Il corrispettivo per il nolo dei contatori era di lire 13.611.830,00, pari ad euro 7029,92. Il corrispettivo maturato dalla SIPPIC era pari ad euro 67.321,18.
Pertanto la somma dei corrispettivi emessi dalla RAGIONE_SOCIALE a titolo di canoni acquedottistici nel periodo suindicato, al netto del nolo contatori e dell’aggio risultava pari ad euro 884.908,97.
Questa somma non veniva utilizzata immediatamente ai fini del calcolo, ma serviva come punto di riferimento successivo.
L’unico dato certo di effettiva riscossione proveniva, però, dal fatto che la stessa RAGIONE_SOCIALE, pur non contestando di avere gestito il servizio pubblico anche nel periodo dal 1993 all’aprile 1996, aveva però ammesso per il periodo successivo «di aver riscosso la somma nel periodo compreso tra il primo bimestre 1996 e il VI bimestre 1998, a fronte di euro 760.751,00 di fatturato per bollette emesse per consumi idrici per complessivi, aveva in realtà incassato euro 654.700,00».
Pertanto, la percentuale di incasso su quanto fatturato era di circa l’86,6%.
L’86,06% di euro 760.751,00 era pari ad euro 654.700,00.
Tale fatturato dichiarato dalla RAGIONE_SOCIALE non corrispondeva a quello di entità superiore risultante dai registri dei corrispettivi prodotti alla stessa.
Per tale ragione la Corte d’appello reputava di potere e dovere determinare anche gli importi riscossi nel periodo dal maggio 1996 all’aprile 1998 «sulla base parametrica della suindicata percentuale
dell’86,06% ma applicata alle complessivo importo dei corrispettivi emessi e fatturati dalla RAGIONE_SOCIALE quali risultanti dai detti registri esaminati dal CTU e cioè l’importo di euro 959.270,67, percentuale così corrispondente all’importo di euro 825.548,34».
15.1. Con riguardo al periodo precedente, e quindi al periodo dal 1993 al 1995, oltre i mesi del 1996 precedenti a quelli esaminati dal CTU, e quindi da gennaio 1996 ad aprile 1996, per i quali non erano stati acquisiti registri di alcun tipo, si doveva procedere «ad una quantificazione presuntiva parametrica.
Pertanto, considerato che il numero di bimestri ricompresi nel secondo periodo di gestione (maggio 1996-aprile 1998) era pari al n. 11,5, suddividendo la corrispondente somma sopra determinata pari ad euro 825.548,34 per i bimestri ricompresi in tale periodo, si ricavava la somma di euro 71.786,81, corrispondente all’importo presuntivamente riscosso in ciascun bimestre.
Di qui, moltiplicando quell’unità di misura al numero dei bimestri ricompresi nel periodo precedente (dal 1993 ad aprile 1996) e cioè al numero di 20 bimestri, si otteneva la somma di euro 1.435.736,20, che «d ritenersi presuntivamente La somma riscossa a titolo di canoni-acqua dalla SIPPIC, nel periodo di gestione di fatto del servizio de quo dal 1993 ad aprile 1996».
16. Quanto al profilo del quinto motivo d’appello del Comune riguardante la deduzione dei costi sopportati da RAGIONE_SOCIALE (secondo profilo – ultrapetizione), per aggio, nolo contatori e lavori di manutenzione, la Corte territoriale lo reputava infondato con riferimento al nolo contatori e fondato per i lavori di manutenzione.
Non v’era stata alcuna ultrapetizione in relazione alla richiesta dalla RAGIONE_SOCIALE per le spese sostenute per il nolo contatori e manutenzione della rete, come si ricavava dalla comparsa di costituzione della società.
In relazione, poi, al terzo profilo del quinto motivo d’appello del Comune, in ordine alla mancanza di prova dei costi sopportati dalla SIPPIC, per la Corte territoriale doveva tenersi conto della gestione del servizio da parte della SIPPIC nel periodo dal 1993 al 1998 in via di fatto, quale gestione d’affari altrui.
Non spettava alla RAGIONE_SOCIALE il compenso, dovendosi ritenere gratuita l’obbligazione del gestore.
Non spettava neppure l’importo per nolo contatori. Infatti, gli stessi erano previsti solo da apposita pattuizione contenuta nella convenzione del 1963. Pertanto, una volta venuta meno tale convenzione, la RAGIONE_SOCIALE non poteva più pretendere tali importi per un periodo di gestione di fatto.
Erano, invece, dovuti gli importi per i lavori di manutenzione, ai sensi dell’art. 2031 c.c., dovendo il dominus rimborsare tutte le spese necessarie utili affrontate dal gestore, quantificate peraltro dal CTU.
Con riferimento, poi, al «quinto motivo-terzo profilo del Comune» ed al «secondo motivo-primo profilo della SIPPIC», entrambe le parti avevano censurato la valutazione compiuta in via equitativa dal tribunale.
Tali motivi erano fondati.
La valutazione equitativa era consentita al giudice soltanto ex art. 1226 c.c. per la domanda di risarcimento del danno, mentre, nella specie, il tribunale aveva operato una valutazione equitativa in relazione ad una «domanda restitutoria formulata dal Comune di Capri».
I costi di manutenzione erano stati stimati dal CTU in euro 68.000,00 e, dunque, dovevano essere detratti.
Quanto al primo motivo d’appello della RAGIONE_SOCIALE, avverso il rigetto della domanda riconvenzionale da parte del tribunale, la
Corte d’appello reputava che la RAGIONE_SOCIALE, per la prima volta, soltanto nella fase di appello, e quindi inammissibilmente, aveva dedotto che il danno subito era di collegarsi all’indennità di occupazione sine titulo della redistribuzione da parte del Comune.
Nel frattempo – nel giudizio che ora ci riguarda -il Comune di Capri, con distinti atti di citazione, notificati rispettivamente l’8/5/1992 e l’1/9/1993, conveniva in giudizio dinanzi al tribunale di Napoli, la RAGIONE_SOCIALE al fine di vederla condannare dell’art. 278, secondo comma, c.p.c., «al pagamento di una somma almeno pari all’importo dei canoni riscossi nell’esercizio del 1989 (con il primo atto di citazione) e nell’esercizio del 1992 (con il secondo atto di citazione)», con richiesta di ordine nei confronti della società «di presentare il rendiconto delle somme riscosse, ai sensi dell’art. 263 c.p.c. e, nel merito, all’esito di presentazione del conto e previa CTU, chiedendo condannarsi la RAGIONE_SOCIALE al pagamento di tutte le somme dovute all’amministrazione».
I due giudizi, iscritti a ruolo, rispettivamente, con nn. 12281/92 e 17905/93 venivano successivamente riuniti, con provvedimento del 14/6/2001, dinanzi alla sezione stralcio del tribunale di Napoli.
Questa Corte, a sezioni unite, adita per regolamento di giurisdizione ex art. 41 c.p.c., con ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, «con sentenze numeri 18881 e 18882, entrambe del 26/11/1997», rigettava i ricorsi della SIPPIC ed affermava la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie.
A seguito della riassunzione dei giudizi, il Comune osservava che, dalle scritture depositate agli atti dalla SIPPIC, risultava che, per ogni bimestre, tra le ‘competenze Comune di Capri’ venivano indicati sotto la voce ‘Introiti utenti acqua’ gli importi che «la stessa società dichiarava incassati» e che, dunque, dai medesimi documenti, il credito azionato «risultava riconosciuto dalla controparte, odierna
appellata, e, relativamente alla sola sorte capitale, esso era pari all’importo di euro 1.456.856,57».
Il Comune ribadiva la propria richiesta di ordine di esibizione, nei confronti della SIPPIC, dei documenti relativi alle somme riscosse per gli anni 1989-1992 unitamente alle scritture contabili dalle quali risultavano le fatture emesse nei confronti degli utenti relazione al suddetto periodo.
All’udienza del 16/2/2006 il Comune depositava CTU redatta dall’Ing. NOME COGNOME espletata nel giudizio n. 6277/1996.
Il tribunale di Napoli, con sentenza n. 5717 del 18/5/2010, dichiarava che la RAGIONE_SOCIALE era «tenuta a versare al Comune di Capri la somma di euro 1.456.851,57, a titolo di canoni per il servizio idrico riscossi dagli utenti negli anni 1989, 1990, 1991 e 1992, nel contempo respingendo la domanda di condanna al pagamento della somma stessa e riservando alla separato giudizio in corso l’accertamento dell’importo effettivo da pagare».
La RAGIONE_SOCIALE con atto di citazione notificato il 17/6/2011 proponeva appello avverso la sentenza n. 5717/2010 del tribunale di Napoli, pubblicata il 18/5/2010, che aveva accolto la domanda proposta dal Comune di Capri nei termini di seguito precisati: «accoglie in parte le domande come in epigrafe proposte dal Comune di Capri; dichiara la sRAGIONE_SOCIALE in Ischia e Capri RAGIONE_SOCIALE, con sede in Napoli, tenuta a versare al Comune di Capri la somma di euro 1.456.851,57, a titolo di canoni per il servizio idrico riscossi dagli utenti negli anni 1989, 1990, 1991 e 1992; respingere la domanda di condanna al pagamento della somma stessa tal quale; riserva in proposito, al separato giudizio in corso, l’accertamento dell’importo effettivo da pagare».
L’appellante COGNOME formulava quattro motivi di impugnazione avverso tale sentenza.
24.1. Con il primo motivo di appello deduceva «l’omessa pronuncia in ordine all’eccezione sollevata dalla convenuta RAGIONE_SOCIALE di inammissibilità delle domande proposte dal Comune di Capri sul presupposto che dette domande fossero state proposte dal Comune anche in altro procedimento recante n. 6277/1996 RG innanzi a tribunale di Napoli, avente ad oggetto la domanda di condanna della RAGIONE_SOCIALE a fornire il rendiconto della gestione del pubblico servizio di distribuzione idrica dall’anno 1989 sino alla sua cessazione, nonché al pagamento delle somme riscosse dagli utenti per il medesimo periodo».
Si sarebbe trattato – a giudizio dell’appellante COGNOME – di una «ipotesi di identità delle pretese fatte valere in giudizi diversi», con il «pericolo di una duplicazione delle stesse condanna».
Tra l’altro, nel giudizio n. 6277/1996 erano stati nominati due esperti, «con il riconoscimento di un credito della RAGIONE_SOCIALE.p.a. di gran lunga superiore rispetto a quello impropriamente riconosciuto in favore del comune con la gravata sentenza del tribunale».
Peraltro, l’appellante evidenziava che, ove anche il primo giudice non avesse ritenuto fondata l’eccezione di inammissibilità delle domande, comunque «avrebbe dovuto accogliere l’istanza di sospensione ex art. 295 c.p.c. in attesa della definizione del contenzioso riferito al procedimento n. 6277/1996».
24.2. Con il secondo motivo di appello si deduceva la «contraddittorietà della sentenza anche nella parte in cui il tribunale accerta un debito della RAGIONE_SOCIALE sulla base delle rendicontazioni inviate al Comune che lo stesso giudice di primo grado ritiene di contenuto inscindibile e che indicano anche partite a credito della RAGIONE_SOCIALE per i servizi resi durante la gestione del servizio di distribuzione idrica con un saldo positivo a favore di quest’ultima».
24.3. Con il terzo motivo d’appello la SIPPIC deduce la «errata individuazione in sentenza degli importi a credito del Comune». Il giudice di prime cure avrebbe ritenuto applicabile alla SIPPIC il principio «del riscosso per il non riscosso», quale esattore di fatto. Aveva, invece, escluso – in modo erroneo – che la SIPPIC avesse indicato nel rendiconto «solo il valore delle fatture emesse e non invece l’importo degli incassi depurato di quanto dovuto alla stessa per spese compensi».
Lamentava inoltre «l’erroneità dell’importo indicato in sentenza di euro 1.456.851,57 sia perché palesemente riferito alle fatture emesse per il periodo dal 1989 alle 1992 e non certo agli importi incassati dagli utenti depurati delle somme spettanti alla RAGIONE_SOCIALE, sia perché con negli atti introduttivi del presente giudizio il Comune aveva avanzato istanza di rendicontazione solo per gli anni dal 1990 al 1992».
24.4. Con il quarto motivo d’appello si evidenziava la «contraddittorietà della sentenza laddove il tribunale, pur riconoscendo la pendenza di altro giudizio tra le stesse parti ed avente identità di oggetto rispetto a quello sottoposto al proprio esame, al quale aveva demandato il compito di accertare l’effettivo importo da pagare, facendo ricorso ai risultati dei rendiconti, nonostante ritenuti precedentemente inutilizzabili, aveva individuato in euro 1.456.851,57 quanto incassato dalla SIPPIC s.p.a. per canoni acquedottistici dei propri utenti».
25. Proponeva appello incidentale il Comune di Capri in quanto il tribunale di Napoli, pur avendo riconosciuto il credito vantato dal Comune, non aveva però inteso emettere una pronuncia di condanna, aveva rinviato ad un separato giudizio.
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 626/2023, depositata il 15/2/2023, accoglieva l’appello incidentale proposto dal
Comune di Capri e, in riforma parziale della sentenza appellata, condannava la RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore del comune della somma di euro 1.456.851,57, oltre interessi legali dalla prima domanda giudiziale «per i canoni relativi agli anni 1989, 1990 e 1991 e dalla seconda domanda giudiziale per i canoni relativi all’anno 1992 sino al soddisfo».
27.1. In motivazione rigettava l’eccezione preliminare dell’appellante concernente la sospensione ex art. 295 del giudizio d’appello, in ragione della pendenza tra le stesse parti del giudizio di cassazione avverso la sentenza n. 383/2021 pronunciata dalla Corte d’appello di Napoli a definizione del giudizio contrassegnato con il n. 4968/2013. Che avrebbe avuto carattere pregiudiziale.
Infatti, non erano stati prodotti in giudizio né la richiamata sentenza n. 383/2021 dalla Corte d’appello di Napoli, né i ricorsi per cassazione proposti dalle parti avverso la predetta sentenza e neppure gli atti introduttivi del secondo grado di giudizio.
Chiariva la Corte territoriale che «i canoni per i servizi idrici oggetto della richiesta di pagamento da parte del Comune nel giudizio definito ormai in primo grado con la sentenza n. 12125/2012 del tribunale di Napoli e in secondo grado con la sentenza n. 383/2021 dalla Corte di appello di Napoli, attengono a un periodo temporale successivo e, quindi, non coincidente rispetto a quello per cui si procede in questa sede (dal 1989 al 1992)».
Con riferimento alla richiesta di rendiconto, tale domanda non era stata più coltivata dal Comune attore, «avendo il primo giudice escluso la necessità di instaurare un giudizio di conto ex att. 263 e ss. c.p.c. in quanto il Comune aveva ritenuto ‘valida la somma esposta nei conteggi inviatigli dalla controparte’ e aveva così individuato precisamente l’importo della somma pretesa in euro 1.456.857,57».
27.2. Nel merito l’appello principale risultava infondato.
La qualificazione in sentenza del rapporto intercorso tra le parti nel senso della gestione d’affari altrui ex art. 2028 c.c. non aveva «formato oggetto di impugnativa per cui non p essere rimessa in discussione in questa sede».
Ad avviso della SIPPIC era stato riconosciuto un credito in favore del Comune di Capri, pari ad euro 1.456.851,57, ma, in realtà, «detta somma non sarebbe stata realmente riscossa dagli utenti del servizio idrico, ma riportata come posta meramente addebito degli utenti nelle scritture della stessa SIPPIC, da valutarsi inscindibilmente».
Per la Corte territoriale, però, «le rendicontazioni bimestrali dall’anno 1989 alle 1992 provenienti dalla stessa società appellante, in atti, devono ritenersi indicative di effettive poste passive della SIPPIC e non esposta in contabilità solo ‘virtualmente’, come bene ritenuto dal primo giudice».
Per il giudice di secondo grado tali scritture recavano «in corrispondenza alla colonna intestata ‘NS DARE’, diverse somme relative a ‘COMPETENZE COMUNE DI CAPRI’, con ulteriore specifica voce ‘INTROITI UTENTI ACQUA’, che identificano chiaramente le somme per i canoni idrici versare dagli utenti del servizio, dovendosi valorizzare particolarmente l’utilizzo della locuzione ‘ INTROITI’ che rimanda logicamente al già riscosso e senza alcuna annotazione ulteriore di segno contrario alla scrittura stessa».
Tra l’altro, l’appellante società non aveva neppure confutato l’argomento enunciato nella sentenza di prime cure, per il quale «si tratterebbe di somme realmente incassate per canoni idrici» proprio perché esposte dalla SIPPIC in contabilità «in uno a quelle per rimborso spese compenso di un servizio evidentemente completato».
La società non aveva chiarito in alcun modo le voci eventualmente presenti nelle rendicontazioni «che siano incidenti specificamente su quella ‘INTROITO UTENTI ACQUA’ e che, quindi, siano tali da ledere il carattere imprescindibile delle scritture».
In ordine, poi, alla domanda riconvenzionale della RAGIONE_SOCIALE in relazione ad un suo preteso credito verso il Comune, si precisava che «il primo giudice espressamente escluso la proposizione di qualsivoglia domanda riconvenzionale da parte della società convenuta e che non risulta delineata compiutamente neanche un’eccezione di compensazione».
La RAGIONE_SOCIALE non aveva peraltro neppure individuato il titolo dell’asserito credito né indicato quale sarebbe l’importo dello stesso.
27.3. Era invece fondato l’appello incidentale del Comune, in quanto il primo giudice aveva violato l’art. 112 c.p.c., in quanto, dopo aver accertato e quantificato il credito del Comune di Capri nella somma di euro milione 456.851,57, anziché pronunciare la sentenza di condanna della SIPPIC al pagamento di tale somma, come richiesto espressamente dall’attore, aveva respinto tale domanda, riservando «al separato giudizio in corso l’accertamento dell’importo effettivo da pagare», ed aggiungendo che «sarà compito dell’altro giudice, che conosce il coacervo dei rapporti e delle questioni tra le parti utilizzare questa decisione ai fini dell’altra da pronunciare».
Insomma, il Comune attore non aveva chiesto la pronuncia di una sentenza di accertamento delle somme spettantigli, ma una pronuncia di condanna al pagamento.
28. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE
È rimasto intimato il Comune di Capri.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente COGNOME deduce la «omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia – violazione di una norma di diritto ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 111 della Costituzione».
La Corte d’appello, pur pronunciandosi sulla richiesta di sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c., aveva però omesso di pronunciarsi «in merito all’eccezione di inammissibilità di tale giudizio, sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE già nel corso del giudizio di primo grado».
Ad avviso della ricorrente il Comune di Capri aveva già chiesto la condanna della SIPPIC al pagamento delle somme riscosse dagli utenti per i canoni idrici «per il periodo dal ’90 al ’92 ed aveva proposto analoga domanda nel giudizio definito con la sentenza n. 12125/2012 che condannava la SIPPIC al pagamento di euro 850.000,00 per canoni idrici riscossi e la n. 383/2021 già richiamata».
Per la ricorrente, dunque, il Comune avrebbe «inteso ottenere una duplice condanna in rapporto alla medesima pretesa».
La Corte territoriale, malgrado tale eccezione, ha però omesso di pronunciarsi su di essa, «incorrendo nel vizio di motivazione enunciato in rubrica». Neppure potrebbe sostenersi che, con il rigetto dell’istanza di sospensione ex art. 295 c.p.c., la Corte abbia inteso pronunciarsi anche sull’eccezione di inammissibilità, rigettandola con motivazione implicita.
Il motivo è inammissibile.
2.1. In realtà, la ricorrente, onde consentire a questa Corte di comprendere il contenuto effettivo sia degli atti di citazione promosso in questa sede, con riferimento alle annualità dal 1989 al 1992, sia dell’atto di citazione relativo all’altro giudizio pendente all’epoca dinanzi al tribunale di Napoli, con riferimento alle annualità
dal 1993 al 1998, avrebbe dovuto trascrivere, quantomeno per stralcio, il contenuto di tali atti.
2.2. Inoltre, la Corte d’appello ha pronunciato sull’eccezione di inammissibilità sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE con riferimento alla domanda giudiziale in esame, perché si tratterebbe di una sorta di duplicazione di giudizio, laddove ha espressamente affermato che il secondo giudizio pendente dinanzi al tribunale di Napoli riguarda annualità diverse di riscossione dei canoni da parte della SIPPIC per conto del Comune.
Si legge, infatti, in motivazione, nella sentenza d’appello n. 626 del 15/2/2023 che «i canoni per i servizi idrici oggetto della richiesta di pagamento da parte del Comune nel giudizio definito ormai in primo grado con la sentenza n. 12125/2012 del tribunale di Napoli e in secondo grado con la sentenza n. 383/2021 della Corte di appello di Napoli, attengono a un periodo temporale successivo e, quindi, non coincidente rispetto a quello per cui si procede in questa sede (dal 1989 al 1992)».
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta «l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. – errata applicazione dell’art. 2709 c.c. ex art. 360, n. 3, c.p.c. ».
La Corte d’appello avrebbe violato il principio di inscindibilità delle scritture contabili, avendo accertato un debito della SIPPIC sulla base dei rendiconti, senza però considerare «altre partite già riportate che indicavano un credito a saldo della SIPPIC».
La Corte territoriale ha reputato che le scritture contabili riportavano quanto introitato effettivamente dalla RAGIONE_SOCIALE a seguito della riscossione del canone nei confronti della popolazione caprese, né risultavano «ulteriori operazioni strettamente collegate alla
predetta annotazione di cui vi sia traccia nelle rendicontazioni stesse». Tanto che la SIPPIC non avrebbe «chiarito in alcun modo le voci eventualmente presenti nelle rendicontazioni, che siano incidenti specificamente su quella ‘introito utenti acqua’».
Per la ricorrente, invece, la RAGIONE_SOCIALE avrebbe «sempre evidenziato in tutta la corrispondenza inviata al Comune, del tutto ignorata dalla Corte, che essa, dalle rendicontazioni inviate al Comune di Capri, risultava creditrice nei confronti dell’ente locale per i servizi resi durante la gestione del servizio di distribuzione idrica, precisando che non risultava alcun importo a credito del Comune».
Pertanto, stante la natura inscindibile di tali scritture, la Corte d’appello avrebbe dovuto esaminare le stesse «nel loro complesso», avendo invece ritenuto di poter trarre dalla voce introiti, riportata accanto alle somme a debito degli utenti del servizio, che la RAGIONE_SOCIALE avesse effettivamente incassato per le annualità ’89 – ’92, la somma di euro 1.456.851,57».
Con l’aggiunta che «tale importo pure riportato nelle singole fatture non risulta essere stato incassato effettivamente dagli utenti».
Il motivo è inammissibile.
4.1. In realtà, – in presenza peraltro di una doppia decisione conforme di merito ex art. 348ter c.p.c., che osta ad una censura sulla motivazione – non v’è alcuna indicazione del fatto storico decisivo il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte d’appello.
Il motivo pecca, anzitutto, di assenza di autosufficienza, in quanto la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto riportare nel motivo di ricorso, almeno per stralcio, il contenuto di alcune delle scritture contabili utilizzate dalla Corte territoriale per riconoscere l’esistenza del credito nei confronti del Comune.
In sostanza, la ricorrente reputa che all’interno delle scritture contabili siano ricomprese anche poste attive in favore della SIPPIC, con conseguente suo credito.
Tuttavia, nel motivo di ricorso non si trascrive alcun passo di tali scritture contabili da cui desumere che effettivamente delle stesse fossero ricomprese anche singole voci di credito in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Si chiede, dunque, a questa Corte una nuova rivisitazione degli elementi istruttori, già analiticamente e diligentemente compiuto dalla Corte d’appello, non consentita in questa sede.
La Corte d’appello, sul punto, ha affermato che «in relazione ad un suo preteso credito verso il Comune, deve precisarsi che il primo giudice ha espressamente escluso la proposizione di qualsivoglia domanda riconvenzionale da parte della società convenuta e che non risulta delineata compiutamente neanche un’eccezione di compensazione, non avendo, tra l’altro, l’odierna appellata individuato né il titolo dell’asserito credito, né indicato quale sarebbe l’importo per il quale risulterebbe essa creditrice nei confronti del Comune, limitandosi soltanto a richiamare genericamente rendicontazioni inviate al Comune di Capri con annotazione di poste passive attive da interpretare in applicazione del principio di inscindibilità ex art. 709 c.c.».
Il motivo risulta dunque inammissibile anche perché non coglie la specifica ratio decidendi della Corte d’appello, la quale ha accertato che la RAGIONE_SOCIALE, in prime cure, non ha presentato né una domanda riconvenzionale con riferimento ai suoi pretesi crediti verso il Comune, e neppure sollevato l’eccezione di compensazione.
Con il terzo motivo di impugnazione principale la ricorrente si duole della «violazione di una norma di diritto ex art. 360, punto 3, c.p.c., in relazione all’art. 2697 c.c. ».
La Corte d’appello non ha considerato che il Comune di Capri, pur avendo preteso il pagamento dei canoni idrici dal 1990 al 1992, non avrebbe «fornito alcuna prova a fondamento di tale pretesa, sebbene a tanto fosse tenuto ai sensi dell’art. 2697 c.c.».
Inoltre, le richieste istruttorie avanzate dal Comune nel corso del giudizio di prime cure (domanda ex art. 263 c.p.c. e istanza di esibizione ex art. 210 c.p.c., oltre alla CTU (finalizzata all’accertamento di un suo eventuale credito), confermerebbero «che le pretese creditorie del Comune erano del tutto carenti, sotto il profilo probatorio».
La Corte territoriale, dunque, non avrebbe potuto ritenere provato il credito del Comune esclusivamente «in virtù delle richiamate scritture, assolutamente priva di valore probatorio».
Tra l’altro, non poteva equipararsi «la posizione di un esattore a quella di un utile gestore».
Segnala la ricorrente che la Corte d’appello «senza procedere, al pari del tribunale, ad un’approfondita lettura delle richiamate scritture, da cui si evince che l’importo di euro 1.456.851,57 corrispondeva alle fatture emesse dalla SIPPIC per il periodo ’89-’92 e non certo agli importi incassati a titolo di canoni idrici per il diverso periodo ’90-’92, ha ritenuto fondata la pretesa creditoria avanzata dal Comune, incorrendo neppure i profili di legittimità dedotti in rubrica».
La Corte d’appello non poteva esimersi dal quantificare i costi sopportati dalla RAGIONE_SOCIALE per la gestione del servizio di distribuzione idrica, «a nulla rilevando la circostanza che tale società non ebbe ad avanzare alcuna domanda di compensazione in ragione dei suoi eventuali crediti».
6. Il motivo è inammissibile.
Il motivo, anzitutto, non si confronta con la ratio della motivazione della sentenza della Corte d’appello la quale ha accertato che «la qualificazione in sentenza del rapporto intercorso tra le parti nel senso della negotiorum gestio non ha formato oggetto di impugnativa per cui non può essere rimesso in discussione in questa sede».
Tale ratio decidendi non risulta in alcun modo censurata da parte della SIPPIC.
Pertanto, risulta inammissibile la porzione del motivo nel quale si critica la sentenza della Corte d’appello per la ragione per cui non si poteva «equiparare la posizione di un esattore a quella di un utile gestore».
Il motivo è inammissibile anche perché, in sostanza, seppure si deduca una violazione di legge, in realtà si chiede una nuova valutazione degli elementi istruttori, già compiutamente eseguita dalla giudice di merito, non consentita in questa sede.
Ed infatti, la Corte d’appello nella sentenza impugnata ha scrutinato con attenzione le scritture contabili ed ha interpretato le stesse in base a ciò che vi era espressamente riportato, a dimostrazione del fatto che le somme ivi indicate costituivano, non solo quelle fatturate da RAGIONE_SOCIALE agli utenti, ma le somme effettivamente incassate.
Ciò derivava dalla lettura della colonna intestata ‘NOSTRO DARE’, ove erano indicate le somme relative a ‘COMPETENZA COMUNE DI CAPRI’, con ulteriore specificazione che trattavasi di voce relativa a ‘INTROITI UTENTI ACQUA’, che, dunque, identificavano «chiaramente le somme per i canoni idrici versate dagli utenti del servizio, dovendosi valorizzare particolarmente l’utilizzo della locuzione ‘INTROITI’ che rimanda logicamente alla già riscosso e
senza alcuna notazione ulteriore di segno contrario nella scrittura stessa».
Ulteriore argomento utilizzato dalla Corte d’appello si rinviene nell’affermazione per cui l’appellante non aveva confutato «l’argomento di cui alla sentenza impugnata secondo cui si tratterebbero di somme realmente incassate per canoni idrici poiché esposte dalla società in contabilità in uno a quelle per rimborso spese compenso di un servizio evidentemente completato».
Con la conseguenza – come chiosa la Corte d’appello – per cui «le richiamate rendicontazioni bimestrali provenienti dalla stessa RAGIONE_SOCIALE costituiscono idonea prova del credito vantato dal Comune con riferimento ai canoni idrici dal 1989 sino al 1992».
Non v’è stata, peraltro, alcuna violazione dell’art. 2697 c.c., che riguarda l’eventuale violazione da parte del giudice della regola di riparto dell’onere della prova, e non la congrua ed accurata valutazione degli elementi istruttori.
Con il quarto motivo di impugnazione principale si deduce la «violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione e art. 115 c.p.c., art. 2697 c.c., nonché art. 360, punto 5, c.p.c. ‘per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ‘».
La Corte d’appello avrebbe erroneamente accolto il gravame incidentale proposto dal Comune, per la violazione dell’art. 112 c.p.c.
In realtà, per la ricorrente, la decisione del primo giudice di limitarsi all’accertamento della sussistenza del credito del Comune di Capri, demandando però ad un separato giudizio per «l’accertamento dell’importo effettivo da pagare», avrebbe confermato soltanto che «il Comune di Capri non aveva fornito alcuna prova a sostegno della pretesa creditoria avanzata nei confronti della SIPPIC».
Non vi sarebbe violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il giudicato sancito dall’art. 112 c.p.c., «perché i tribunali prima e la Corte partenopea poi, con l’impugnata sentenza, avrebbero dovuto rigettare la richiesta di condanna della RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di euro 1.456.851,57, nel rispetto dei principi di allegazione e dell’onere della prova sanciti rispettivamente dall’art. 115 c.p.c. e dall’art. 2697 c.c.».
8. Il motivo è inammissibile.
Anzitutto, si rileva che non è stata impugnata la ratio decidendi per cui vi era stata una espressa domanda di condanna da parte del Comune.
Inoltre, la Corte d’appello ha chiarito che era stata raggiunta la prova della sussistenza del credito vantato dal Comune di Capri nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
La Corte territoriale ha preso in esame proprio la somma richiesta dal Comune di Capri sulla base delle scritture contabili, pari ad euro 1.456.851,57.
La Corte di secondo grado ha evidenziato che la RAGIONE_SOCIALE reputava che tale somma «non sarebbe stata realmente riscossa dagli utenti del servizio idrico, ma riportata come posta meramente addebito degli utenti nelle scritture della stessa SIPPIC, da valutarsi inscindibilmente».
La Corte d’appello, invece, ha rigettato l’appello della SIPPIC sul punto, soffermandosi sull’esame analitico delle scritture contabili e, soprattutto, sulla dizione, posta nelle scritture, alla voce ‘INTROITI UTENTI ACQUA’, che rimandava «logicamente alla già riscosso e senza alcuna notazione ulteriore di segno contrario nella scrittura stessa».
Trattasi di una valutazione pienamente meritale che non può essere messa in discussione nuovamente in questa sede, anche perché sostenuta da argomentazioni plausibili.
In assenza di attività difensiva da parte del Comune di Capri, non si provvede sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5/12/2024