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Gestione autonoma servizio idrico: non basta l’intento

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un piccolo Comune che rivendicava il diritto alla gestione autonoma del servizio idrico. La Corte ha stabilito che, per beneficiare della deroga alla gestione unica, non è sufficiente dimostrare l’intenzione o l’avvio di procedure amministrative, ma è necessaria la prova di una gestione effettiva e concreta del servizio entro la data limite prevista dalla legge. Gli atti preparatori e le autorizzazioni ottenute non sono bastati a soddisfare tale requisito.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Gestione autonoma servizio idrico: non basta l’intento, serve la prova dei fatti

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha fatto chiarezza su un tema cruciale per molti piccoli comuni: la possibilità di derogare alla regola della gestione unificata del servizio idrico. La pronuncia stabilisce un principio fondamentale: per la gestione autonoma servizio idrico non sono sufficienti le delibere e le autorizzazioni, ma è indispensabile dimostrare che il servizio era già effettivamente e concretamente gestito in autonomia entro i termini previsti dalla legge. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le motivazioni della Corte.

I fatti di causa

La controversia ha origine dalla richiesta di un piccolo Comune montano di ottenere la restituzione degli impianti del servizio idrico da parte della società incaricata della gestione integrata a livello d’ambito. Il Comune sosteneva di avere i requisiti per gestire autonomamente il servizio, in base a una specifica deroga legislativa riservata agli enti con popolazione inferiore a mille abitanti.

In primo grado, il Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche aveva dato ragione al Comune, ordinando alla società la riconsegna degli impianti. Tuttavia, la decisione è stata ribaltata in appello dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche. Secondo il giudice di secondo grado, il Comune non aveva fornito la prova decisiva: quella di aver già istituito e reso operativa una gestione autonoma del servizio entro la data limite del 31 dicembre 2012, come richiesto dalla normativa.

Il Comune ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando un’errata valutazione delle prove e una scorretta applicazione delle norme. In particolare, il ricorrente sosteneva che le numerose delibere comunali e le autorizzazioni ricevute dall’Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale (AATO) fossero sufficienti a dimostrare la sussistenza del suo diritto.

La decisione della Corte di Cassazione sulla gestione autonoma del servizio idrico

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha rigettato il ricorso del Comune, confermando la sentenza d’appello. I giudici supremi hanno chiarito che il punto nodale della questione non era la legittimità degli atti amministrativi prodotti, bensì l’assenza di prova di un fatto cruciale: l’effettiva gestione del servizio.

Il requisito della gestione ‘già istituita’

La normativa di riferimento (in particolare l’art. 147 del D.Lgs. 152/2006, nelle sue varie formulazioni) consente una deroga al principio dell’unicità di gestione per i piccoli comuni montani, ma a una condizione precisa: che la gestione in forma autonoma fosse ‘già istituita’ e operante entro un determinato termine. Questo requisito, ha spiegato la Corte, non si esaurisce in un mero proclama di intenti o nell’ottenimento di un’autorizzazione.

La prova insufficiente del Comune

La documentazione prodotta dal Comune, sebbene numerosa, dimostrava soltanto una volontà e una serie di passaggi preparatori. Le delibere dell’AATO autorizzavano il Comune ad ‘iniziare le procedure’, ma non attestavano una gestione in corso. Anzi, una delibera del consiglio comunale del 2015 è stata ritenuta decisiva in senso contrario: in essa, l’ente dichiarava di voler ‘attivare al più presto’ e ‘immediatamente tutte le procedure necessarie’, dimostrando così che, a quella data, nessuna gestione autonoma effettiva era ancora in atto.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla distinzione tra il piano della volontà amministrativa e quello della realtà fattuale. La normativa eccezionale, che permette la gestione autonoma servizio idrico, è di stretta interpretazione e richiede la sussistenza di una situazione concreta e non solo potenziale. I giudici hanno sottolineato che l’onere della prova di tale gestione effettiva entro il 31 dicembre 2012 gravava sul Comune, e tale onere non è stato assolto. Gli atti prodotti evidenziavano solo un’intenzione di avviare l’autoproduzione del servizio, ma non il suo effettivo esercizio. Di conseguenza, il possesso degli impianti da parte della società di gestione unica restava legittimo, in quanto basato sul sistema normativo generale che impone una gestione unitaria del servizio idrico per ambiti territoriali ottimali.

Le conclusioni

Questa ordinanza delle Sezioni Unite fornisce un’importante lezione per gli enti locali: per avvalersi delle deroghe previste dalla legge, non è sufficiente manifestare un’intenzione o compiere atti preparatori. È necessario tradurre tale volontà in una realtà operativa e documentabile entro i termini perentori fissati dal legislatore. La distinzione tra atti prodromici e gestione effettiva è netta e invalicabile. Per i comuni che aspirano alla gestione autonoma servizio idrico, la decisione sottolinea l’importanza di passare dalle parole ai fatti, dimostrando con prove concrete di aver assunto la piena responsabilità del servizio nei tempi e nei modi previsti dalla normativa.

Cosa è necessario per un piccolo Comune per ottenere la gestione autonoma del servizio idrico?
Non è sufficiente dimostrare l’intenzione o avviare procedure amministrative. È indispensabile provare di aver già istituito e reso operativa una gestione effettiva e concreta del servizio entro la data limite stabilita dalla legge (nel caso di specie, il 31 dicembre 2012).

Le autorizzazioni dell’Autorità d’ambito sono sufficienti a dimostrare il diritto alla gestione autonoma?
No. Secondo la Corte, le autorizzazioni a ‘iniziare le procedure’ sono atti preparatori e non attestano l’esistenza di una gestione già in corso. Il requisito fondamentale è la prova fattuale dell’esercizio del servizio, non solo il consenso dell’autorità competente.

Cosa dimostra, secondo la Corte, che il Comune non gestiva effettivamente il servizio?
Una delibera comunale del 2015, successiva alla scadenza del termine, in cui il Comune stesso dichiarava di voler ‘attivare immediatamente tutte le procedure necessarie’ per la gestione diretta, è stata considerata una prova del fatto che, a quella data, nessuna gestione effettiva era ancora in atto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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