Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25506 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25506 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3403/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato presso l’avvocato COGNOME NOME (EMAIL), che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso.
–
ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (EMAIL), giusta procura speciale in calce al controricorso.
–
contro
ricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE.
–
intimato –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari n. 1394/2019 depositata il 20/06/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/06/2024 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Bari, Sezione Distaccata di Putignano, il Comune di Alberobello, chiedendo che, previo accertamento del suo obbligo alla tutela, alla vigilanza sanitaria ed al recupero dei cani randagi, fosse condannato al pagamento in suo favore di somme a titolo di risarcimento del danno ex art. 2043 cod. civ., perché aveva rifiutato di fornirgli, per il suo ricovero di cani randagi realizzato su un fondo di sua proprietà, cibo e farmaci per gli animali; a titolo di gestione di affari ex art. 2031 cod. civ. per le spese sostenute nello svolgimento dell’attività di canile convenzionato; a titolo di indebito arricchimento ex art. 2041 cod. civ., essendosi il Comune avvantaggiato dallo svolgimento della sua attività.
Si costituiva, resistendo, il Comune di Alberobello.
1.2. Con sentenza n. 453/2015 del 28 gennaio 2015 il Tribunale di Bari, Sezione di Rutigliano, essendo nel tempo stata soppressa nelle more la sede di Putignano, rigettava la domanda attorea.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME proponeva appello, in cui si costituiva resistendo il Comune di Alberobello.
2.1. Con sentenza n. 1394/2019 del 20 giugno 2019 la Corte d’Appello di Bari rigettava il gravame.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME propone ora ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso il Comune di Alberobello.
4. La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., in relazione all’art. 2028 cod. civ., con riferimento alla ritenuta insussistenza dei requisiti per l’applicazione, al caso di specie, del negozio giuridico della ‘gestione di affari altrui’.
Lamenta che l’impugnata sentenza ha escluso nel caso di specie la configurabilità della negotiorum gestio sul rilievo della mancanza del suo presupposto essenziale, e cioè della absentia domini (cfr. pag.4 della sentenza impugnata).
Deduce che tale requisito non può dirsi escluso, nel caso di specie, dalla presenza di un canile convenzionato, dato che il Comune avrebbe provato l’affidamento, in convenzione con altra ditta, soltanto del servizio di ricovero e cura dei cani, ma non anche del servizio di recupero, esclusivamente svolto dall’esponente.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ‘Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art.360, n.5 c.p.c.’.
Lamenta che la corte di merito ha pronunciato, a suo sfavore, senza consentirgli di fornire idonea prova dei propri assunti difensivi, dato che non ha ammesso la prova testimoniale già articolata in primo grado ed insistita in grado di appello.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., in relazione all’art. 2041 cod. civ.’.
Deduce che, erroneamente, la corte d’appello ha escluso la ricorrenza dei presupposti dell’azione di indebito arricchimento ed ha quindi trascurato i principi posti dalle Sezioni Unite, sia con la sentenza n. 33954 del 5/12/2023 -secondo cui ‘sarà sempre ammissibile la proposizione dell’azione di ingiustificato arricchimento qualora il rigetto della domanda risarcitoria sia ascrivibile a ragioni che consentono di affermare la coerenza del titolo posto a fondamento della relativa domanda, come in caso di carenza degli elementi costitutivi della fattispecie legale o in caso di elementi impeditivi’ -, sia dalla sentenza n. 10798 del 26.05.2015, con cui le Sezioni Unite hanno affermato che il riconoscimento dell’utilità non costituisce requisito dell’azione ex art. 2041 cod. civ.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., in relazione al D.M. n.55/2014, con riferimento alla determinazione del valore della domanda e alla conseguente statuizione sulle spese di giudizio, sia nel primo che nel secondo grado di giudizio’.
Lamenta che sia il giudice di prime cure che la Corte d’Appello di Bari hanno errato nella determinazione dello scaglione applicabile, individuato in quello da euro 260.000 a 520.000, invece che in quello da euro 52.000 ad euro 260.000, avendo valutato il valore della domanda non correttamente determinandolo mediante la somma della sorte capitale richiesta con gli interessi e la rivalutazione monetaria, in totale dispregio di quanto statuito dal d.m. 55/2014.
5. Il primo motivo è inammissibile.
La corte territoriale ha svolto adeguata motivazione in fatto -fondata sulla considerazione della iniziativa spontanea ed unilaterale della gestione dei cani randagi da parte del COGNOME mentre da parte del Comune era in corso un formale affidamento del servizio ad un’altra ditta – ed è pervenuta ad escludere l’esistenza del presupposto della absentia domini .
Sotto la formale invocazione della violazione di legge, il ricorrente invero sollecita un riesame di tale valutazione di merito, tuttavia precluso in sede di legittimità.
In diritto, la corte di merito ha applicato al caso di specie gli insegnamenti di questa Suprema Corte, secondo cui il requisito della absentia domini va specificamente valutato in rapporto all’attività svolta dalla pubblica amministrazione, intesa sia quale estrinsecazione di potestà autoritativa che quale esercizio di attività regolate nelle forme del diritto privato, che deve conformarsi al principio di evidenza pubblica sancito dall’art. 97, comma 2, Cost., nella duplice forma di buon andamento ed imparzialità della condotta dei pubblici uffici (Cass., 03/02/2017, n. 2944).
Si è inoltre precisato che non è possibile ‘considerare inerzia, né impedimento a provvedere -absentia domini -il particolare modo di deliberare ed operare delle persone giuridiche pubbliche, pur se suscettibile di causare ritardi contrastanti con le aspettative del beneficiario’ (Cass., 09/11/ 1993, n. 11061).
La corte barese, sul motivato fattuale rilievo, per un verso, dell’ottemperanza dell’amministrazione comunale al suo dovere di controllo del fenomeno del randagismo e, per altro verso, della discrezionalità nell’organizzazione del servizio, affidato ad una ditta privata in convenzione, ha pertanto escluso il presupposto della absentia domini pronunciando conformemente ai suindicati principi di diritto.
6. Il secondo motivo è inammissibile.
Si limita, in parte travisandolo, a censurare un passaggio della motivazione della corte di merito (v. p. 7), ed invoca il vizio di omesso esame in presenza di cd. doppia conforme, non avendo il ricorrente dimostrato che siano diverse le ragioni delle pronunce in primo ed in secondo grado, con conseguente violazione dell’art. 348 -ter cod. proc. civ. (v. Cass., 09/08/2022, n. 24508: ‘Nell’ipotesi di ‘doppia conforme’ prevista dall’art. 348 ter c od. proc. civ., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitar e l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c od. proc. civ., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse’ ; v. anche Cass. 5528/2014).
E’ poi ulteriormente inammissibile, dato che deduce il vizio di omesso
esame in relazione ad elementi istruttori, e dunque in maniera difforme dai principi dettati dalle note sentenze delle Sezioni Unite n. 8053 e 8054 del 2014, che hanno avuto modo di precisare che ‘L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia’ (v. anche , quale successiva conforme, Cass., 29/10/2018, n. 27415).
Aggiungasi che, nel confermare la sentenza di prime cure, la corte ha svolto una motivata valutazione delle risultanze probatorie acquisite, attribuendo rilievo alla prova documentale attestante che la p.a. si era già munita di un proprio servizio per il controllo e la gestione del randagismo, con conseguente ‘assoluta indifferenza … alle attività, ancorché meritevoli, poste in esser e dal sig. COGNOME‘ (p. 7 sentenza impugnata).
Orbene, una siffatta motivazione resiste al sindacato di legittimità, dato che, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, al giudice di merito spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (v. Cass., 13624/2018; Cass., 16467/2017; Cass., 742/2015) e non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (v ., tra le tante, Cass., 02/08/2016, n. 16056; Cass., 31/07/2017, n. 19011; Cass., 07/12/2017, n. 29404).
7. Il terzo motivo è inammissibile.
Non coglie la ratio decidendi dell’impugnata sentenza che, invero, con motivata valutazione in fatto, ha espressamente escluso nel caso di specie l’esistenza dei presupposti dell’azione ex art. 2041 cod. civ., per la dirimente considerazione che la p.RAGIONE_SOCIALE. ha gestito, mediante convenzione ad una ditta privata, il controllo del randagismo, nell’indifferenza dell’attività svolta, con iniziativa unilaterale, dall’odierno ricorrente.
Ne deriva pertanto che l’impugnata sentenza rimane legittimamente fondata su tale ragione non denunciata, alla luce del principio di diritto per cui quando la sentenza di merito impugnata si fonda -come nel caso in esame -su più rationes decidendi autonome, nel senso che ognuna di esse è sufficiente, da sola, a sorreggerla, perchè possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile che il soccombente censuri tutte le rationes ; l’omessa impugnazione di una di essere rende, dunque, inammissibile, per difetto di interesse, le censure relative alle altre, le quali, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (Cass., 27/07/2017, n. 18641; Cass., 16/04/2014, n. 8847; Cass., 14/02/2012, n. 2108; Cass., 03/11/2011, n. 22753).
8. Il quarto motivo è infondato.
Premesso che, per costante orientamento, il sindacato di questa Corte è limitato alla verifica che le spese processuali non siano addossate alla parte totalmente vittoriosa e che, nella loro liquidazione, ai sensi dell’art. 4, comma 1, d.m. n. 55 del 2014, non siano superati i valori minimi o massimi dello scaglione applicabile senza adeguata motivazione (Cass., 11601/2018; Cass., 25847/2023), nel caso di specie la corte d’appello ha espressamente considerato non solo l’importo capitale ma anche gli interes si, su di esso decorrenti dal 2001 sino alla data di proposizione della domanda giudiziale, e così decidendo si è attenuta al disposto dell’art. 10 cod. proc. civ., secondo cui ‘il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda a norma delle disposizioni seguenti. A tale effetto le domande proposte nello stesso processo contro la medesima persona si sommano tra loro, e gli
interessi scaduti, le spese e i danni anteriori alla proposizione si sommano col capitale’.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.700,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza Sezione