Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 29073 Anno 2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al N. 30480/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende come da procura allegata al ricorso, domicilio digitale come in atti
-ricorrente –
contro
INPS –RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procura allegata al controricorso, domicilio digitale come in atti
-controricorrente –
avverso la sentenza N. 3201/2021 emessa dalla Corte d’appello di Roma, depositata in data 30.4.2021;
udita la relazione della causa svolta nella adunanza camerale del 24.9.2024 dal Consigliere relatore dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME COGNOME – dal maggio 1996 titolare di pensione privilegiata ordinaria, esente dall’IRPEF, per infermità traumatica contratta durante il servizio di leva – adì il Tribunale di Roma, chiedendo, ai sensi degli artt. 2033, 2038 e 2041 c.c., il rimborso di quanto indebitamente trattenuto dall’INPDAP (ora, INPS) in qualità di sostituto d’imposta; espose l’attore di aver avanzato una prima richiesta di restituzione all’Agenzia delle Entrate in data 11.12.2007, reiterata il 29.9.2008 all’INPDAP e al Ministero della Difesa; che la richiesta era stata accolta in via stragiudiziale, nel maggio 2009, con decorrenza dal novembre 2003; che l’INPDAP aveva quindi indebitamente ritenuto la somma di € 7.238,78, per il periodo dal 1° maggio 1996 al 1° novembre 2003. L’adito Tribunale, con sentenza n. 18280/2014, rigettò le domande; la Corte d’appello di Roma, del pari, rigettò il gravame del Vento con sentenza del 30.4.2021. Osservò in particolare la Corte -dopo aver rilevato l’inammissibilità dell’appello perché generico, in violazione dell’art. 342 c.p.c. – che esso era comunque infondato, perché, per le ritenute fiscali precedenti al 2009, poiché gli enti erogatori avevano rilasciato le certificazioni reddituali, restava esclusa la possibilità di rideterminare le stesse ritenute fiscali, rientrando nei compiti dell’Amministrazione Finanziaria quello di
quantificare l’eventuale credito fiscale e provvedere al rimborso, ex art. 37 del d.P.R. n. 602/1973. Ha poi aggiunto che non poteva configurarsi in alcun modo né l’azione di arricchimento senza causa, stante la natura di sostituto d’imposta dell’Istituto, né di ripetizione d’indebito, da promuovere, semmai, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, effettiva accipiens .
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME COGNOME sulla scorta di due motivi, cui resiste l’INPS con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 Con il primo motivo si lamenta ‘ Motivazione meramente apparente in ordine alla presunta inammissibilità dell’appello per ‘genericità’ e violazione dell’art. 342 c.p.c.’. Si sostiene come la Corte territoriale abbia del tutto obliterato quanto esposto nell’atto d’appello (specialmente, a p. 8 dell’atto , di cui si riproducono alcuni passaggi testuali), con cui venivano specificamente evidenziati gli errori imputati al primo giudice; l’affermazione di ‘ genericità e, consequenziale, inammissibilità è del tutto teorica, meramente apparente perché evidentemente non tarata sul caso concreto e priva di qualsiasi logica sostanziale, oltre che giuridica ‘ .
1.2 Con il secondo motivo si denuncia la ‘ Violazione degli artt. 2033 e 2038 C.C. Violazione dell’art. 112 c.p.c. omissione di pronuncia e difformità tra chiesto e pronunciato ‘, per aver la Corte d’appello ritenuto che l’azione di ripetizione d’indebito fosse infondata perché essa andava proposta contro l’A mministrazione Finanziaria, effettiva percettrice delle
ritenute indebitamente effettuate , ma sull’erroneo presupposto che l’INPDAP fosse effettivo sostituto d’imposta. In tal guisa, la Corte d’appello da una parte travisa l’oggetto della pretesa attorea e viola gli artt. 2033 e 2038 c.c., dall’altra non decide affatto sulla richiesta, subordinata, di risarcimento del danno per equivalente della quale, pure, esistevano tutti i requisiti.
2.1 Il primo motivo -oltre che ammissibile -è fondato.
Quanto al primo profilo, risulta assolutamente consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio secondo cui ‘ Qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata ‘ (Cass., Sez. Un., 3840/2007, e successive conformi).
Bene ha dunque impugnato parte ricorrente il capo sulla ritenuta genericità e inammissibilità dell’appello, ex art. 342 c.p.c., nonostante la Corte territoriale abbia poi affrontato il merito della questione, benché oramai priva di potestas iudicandi .
Ciò posto, il motivo è fondato. Anche nel rispetto dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis, stante la riproduzione, in parte qua , dei motivi di appello, con cui si individuavano analiticamente le parti della sentenza di primo grado soggette a critica, con evidenza delle rispettive ragioni -v. Cass. n. 24048/2021) il ricorrente ha ampiamente dimostrato che, al contrario di quanto affermato dalla Corte capitolina, nel gravame era stata manifestata non solo la volontà di impugnare, ma anche l’esposizione di una parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con espresse e motivate censure, era diretta ad incrinarne il fondamento logico-giuridico (Cass. n. 12280/2016). In particolare, tanto aveva fatto pure riepilogando, a p. 8 dell’appello ‘ ed in ossequio all’art. 342 c.p.c. n. 1 ‘, la consistenza delle censure stesse, riprodotte nel ricorso.
Risulta dunque evidente l’erroneità dell’apprezzamento di genericità colto, al riguardo, dal giudice d’appello.
3.1 Il secondo motivo, afferente al merito, resta conseguentemente assorbito.
4.1 -In definitiva, è accolto il primo motivo, assorbito il secondo. La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame dell’appello di NOME COGNOME COGNOME e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P. Q. M.
la Corte accoglie il primo motivo e dichiara assorbito il secondo; cassa in relazione, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile,