Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2330 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2330 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 1527-2021 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME ed elettivamente domiciliato a ll’ indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati a ll’ indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
– controricorrente –
nonchè contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata a ll’ indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 1909/2020 della CORTE DI APPELLO di CATANIA, depositata il 09/11/2020;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 29 ottobre 2024.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 15.5.2010 NOME NOME e NOME evocavano in giudizio NOME Massimo innanzi al Tribunale di Catania, esponendo di aver subito la totale evizione del bene acquistato dal convenuto con atto del 18.5.2005, costituito da un dipinto risultato di provenienza illecita, sottoposto a sequestro penale in data 8.5.2007 e poi restituito al suo legittimo proprietario. Invocavano, quindi, la condanna del convenuto alla restituzione del prezzo pagato dagli attori, pari ad € 11.000,00, oltre interessi e spese, nonché al risarcimento del danno.
Nella resistenza del convenuto, il Tribunale adito, esteso il contraddittorio nei confronti di NOMECOGNOME dante causa del convenuto, rigettava la domanda, con sentenza n. 5719/2016, condannando gli attori alle spese del grado.
Con la sentenza impugnata, n. 1909/2020, la Corte di Appello di Catania riformava la decisione di prime cure, accogliendo la domanda degli attori e condannando il NOME alle spese del doppio grado nei soli confronti di questi ultimi, compensandole invece nei riguardi della terza chiamata NOME
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione NOME COGNOME affidato a tre motivi.
Resistono con controricorso NOME e COGNOME NOME.
Resiste con separato controricorso NOME spiegando ricorso incidentale affidato ad un solo motivo.
A seguito di proposta di definizione anticipata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. la parte ricorrente principale, con istanza del 13.10.2023, ha chiesto la decisione del ricorso.
In prossimità dell’odierna adunanza camerale, il ricorrente principale ed i controricorrenti NOME e NOME hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente il collegio dà atto che, a seguito della pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9611 del 10 aprile 2024, non sussiste alcuna incompatibilità del presidente della sezione o del consigliere delegato, che abbia formulato la proposta di definizione accelerata, a far parte, ed eventualmente essere nominato relatore, del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art. 380-bis.1, atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione, con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa.
Sempre in via preliminare va dato atto che, a seguito della proposta di definizione anticipata, la ricorrente incidentale non ha depositato istanza di decisione. Il ricorso incidentale, dunque, si intende rinunciato ope legis , in funzione della previsione di cui all’art. 380 bis c.p.c.
Passando all’esame dei motivi del ricorso principale, con il primo si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 1483 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ravvisato la sussistenza dell’evizione della cosa venduta, nonostante vi fosse prova della condizione di buona fede in cui versava il COGNOME.
Con il secondo motivo, invece, quest’ultimo si duole della violazione o falsa applicazione dell’art. 1483 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente ravvisato l’estinzione del diritto di proprietà, in capo ai controricorrenti COGNOME e COGNOME senza considerare che essi, quali legittimi proprietari del quadro oggetto di causa, avrebbero potuto resistere all’evizione, vertendo essi nella posizione di terzi in buona fede, ignari della provenienza furtiva del dipinto.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto poiché entrambi concernenti la configurabilità dell’evizione ravvisata nella specie dal giudice di merito, sono infondate.
La Corte di Appello ha ritenuto accertata la provenienza furtiva del quadro oggetto di causa, venduto dal NOME al Nicotra e alla Santangelo ed oggetto di sequestro penale, ed ha configurato l’evizione del bene compravenduto, con conseguente operatività della relativa garanzia, a prescindere dalla sussistenza del dolo o della colpa del venditore, come pure della buona fede dell’acquirente (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata). La statuizione è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui ‘Gli effetti della garanzia per evizione, che sanziona l’inadempimento da parte del venditore dell’obbligazione di cui all’art.1476 c.c., conseguono al mero fatto obiettivo della perdita del diritto acquistato e, quindi, indipendentemente dalla colpa del venditore e dalla stessa conoscenza da parte del compratore della
possibile causa della futura evizione, in quanto detta perdita comporta l’alterazione del sinallagma contrattuale e la conseguente necessità di porvi rimedio con il ripristino della situazione economica del compratore quale era prima dell’acquisto’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20165 del 18/10/2005; conf. Cass. Sez. 6 -2, Ordinanza n. 20877 del 10/10/2011, secondo cui l’evizione non è esclusa neanche dalla conoscenza, da parte del compratore, della possibile causa di futura evizione, ove la stessa effettivamente si verifichi; nonché Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5561 del 19/03/2015). La condizione soggettiva, tanto del venditore (NOMECOGNOME, quanto degli acquirenti (Nicotra – Santangelo) è dunque assolutamente irrilevante ai fini della sussistenza dell’evizione.
Con il terzo motivo il ricorrente principale lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 1153 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto applicare, al caso di specie, la regola del ‘possesso vale titolo’ e dunque ravvisare la proprietà del quadro oggetto di causa in capo al COGNOME in ragione della sua condizione di possessore dell’opera.
La censura è infondata.
L’evizione rappresenta un rimedio funzionale a riequilibrare il sinallagma contrattuale ed opera a prescindere dalla considerazione della condizione soggettiva dell’alienante, il che preclude l’applicazione della regola di cui all’art. 1153 c.c. Ne costituisce prova il fatto che, ai fini della configurabilità dell’evizione, non occorre che l’evitto perda il possesso della cosa acquistata, ma è sufficiente che il suo acquisto sia impedito dal diritto vantato dal terzo sulla cosa stessa (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7294 del 13/05/2003). In proposito, va data continuità al principio secondo cui ‘L’evizione nel contratto di compravendita si verifica allorché l’acquisto del diritto sul bene ad
opera dell’acquirente è impedito e reso inefficace dal diritto che il terzo vanti sullo stesso bene, senza che occorra anche, quale elemento necessario, che il compratore sia privato dell’effettivo possesso che si trovi eventualmente ad esercitare sulla cosa, tenuto conto che la causa del contratto sta nel trasferimento del diritto sul bene, mentre la consegna dello stesso è solo una sua conseguenza logica e giuridica’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20165 del 18/10/2005).
In definitiva, il ricorso principale va rigettato.
Quello incidentale, invece, va dichiarato estinto per mancato deposito di istanza di decisione nei termini previsti dall’art. 380 bis c.p.c.
Le spese del presente giudizio di legittimità sono compensate tra ricorrente principale e incidentale, mentre seguono la soccombenza, nell’ambito del rapporto tra ricorrente principale e controricorrente, e sono liquidate come da dispositivo.
Poiché il ricorso è deciso in conformità alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380bis c.p.c., vanno applicati -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis c.p.c.- il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., con conseguente condanna della parte ricorrente al pagamento di una somma equitativamente determinata (nella misura di cui in dispositivo), nonché al pagamento di una ulteriore somma -nei limiti di legge- in favore della cassa delle ammende.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso principale e dichiara estinto quello incidentale;
compensa le spese del presente giudizio di legittimità tra ricorrente principale ed incidentale;
condanna il ricorrente principale al pagamento delle stesse spese in favore dei controricorrenti COGNOME e COGNOME che liquida in € 3.000 per compensi ed € 200 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, inclusi iva e cassa avvocati;
condanna, altresì, la parte ricorrente, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., al pagamento, in favore della parte controricorrente COGNOME e COGNOME, di una somma ulteriore ex art. 96, comma 3 c.p.c. pari ad € 3.000,00, nonché al pagamento della somma di € 1.500,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda