Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 10071 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 10071 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 20336/2020 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE Y Caucion De Seguros Y Reaseguros, che per effetto di fusione transfrontaliera ha incorporato RAGIONE_SOCIALE A sua volta cessionaria dell’intero portafoglio della Società Italiana RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE come da atto di conferimento d’azienda giusta autorizzazione dell’ISVAP in data 21/12/ 2004, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa giusta procura speciale in calce al ricorso dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso il suo studio.
-ricorrente-
CONTRO
Comune di Bari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso , dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e notifiche relative al presente procedimento a ll’ indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso il suo studio
-controricorrente-
E
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta mandato in calce al controricorso dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato
-controricorrente-
E
Fallimento COGNOME Giacomo, in persona del curatore fallimentare
-intimato- avverso la sentenza della Corte di appello di Bari n. 1479/2019, depositata il 28/6/2019
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del l’ 11 /4/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con atto di citazione notificato il 28/12/1999 il Comune di Bari conveniva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE
l’Impresa COGNOME Giacomo, sia quale capogruppo dell’RAGIONE_SOCIALE, sia in proprio, nonché la RAGIONE_SOCIALE, chiedendo la condanna delle convenute, in solido tra loro, al pagamento della somma di lire 915.455.429, oltre alla penale calcolata per il periodo successivo al 31/5/1999.
In particolare, il Comune rilevava che con la deliberazione di giunta municipale n. 7152 dell’1/12/87 era stata aggiudicata in concessione all’ATI Sinisi la realizzazione delle opere di urbanizzazione secondaria da eseguire in Santo Spirito, alla contrada INDIRIZZO, per il prezzo complessivo di lire 9.164.697.524.
La concessionaria Sinisi prestava tre polizze fideiussorie con la SIC: del 26/6/1989 per lire 129.659.890; del 2/8/1989 per lire 326.000.188 1953; del 29/8/1988 per lire 525.000.000, quale deposito cauzionale definitivo.
Tuttavia, la concessionaria si era resa gravemente inadempiente agli obblighi nascenti dei contratti, sia per la mancata esecuzione di parte dell’opera, sia per i notevoli ritardi nell’esecuzione dei lavori, sia per i danni arrecati alle strutture per omessa custodia.
Per tale ragione, il Comune, con la delibera n. 1023 del 16/7/1999, aveva disposto la rescissione ai sensi dell’art. 340 della legge n. 2248 del 23.865, con riferimento agli atti di concessione del 9/11/1988 e del 16/3/1989.
Il 3/12/2001 la commissione di collaudo redigeva l’atto unico di collaudo.
Si costituiva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE chiedendo il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, di accertare un credito dell’ATI per lire 6.612.775.185, con condanna del Comune a pagare in suo favore la quota del 50% di tale somma, pari lire 3.306.387.593.
Si costituiva in giudizio la SIC, chiedendo il rigetto della domanda del Comune e, in via gradata, la condanna dell’ATI al rimborso delle somme che fosse stata costretta a versare al Comune.
A seguito del fallimento dell’impresa Sinisi, dichiarato il 9/10/2000, e della successiva chiamata in causa da parte della SIC con notifica del 28/12/2000, con comparsa del 22/2/2001 si costituiva in giudizio la curatela del fallimento Sinisi, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità della domanda nei suoi confronti.
Con sentenza parziale n. 374/2007 del 30/1/2007 il tribunale di Bari, per quel che ancora qui rileva, rigettava la domanda della SIC nei confronti del fallimento.
Con ordinanza del 13/4/2010 tribunale di Bari disponeva la sospensione del giudizio all’esito della definizione del giudizio pendente tra il Comune di Bari, il fallimento RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE
La causa veniva riassunta dal Comune di Bari con ricorso del 12/1/2015.
7.1. Si costituiva in giudizio ex art. 111 c.p.c. la società RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria del portafoglio della SIC, richiamando tutte le domande e le eccezioni di quest’ultima.
Con sentenza definitiva n. 65/2016, dell’8/1/2016, il tribunale di Bari dichiarava inammissibile la domanda proposta nei confronti del fallimento; rigettava la domanda del Comune nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, debitrice principale, e delle imprese partecipanti all’ATI, «poiché generica nella allegazione dei fatti costitutivi del credito azionato, alla stregua del sopravvenuto giudicato della sentenza della Corte di appello di Bari del 23/3/2012».
Il tribunale reputava così «assorbita la domanda attorea per la escussione delle polizze fideiussorie svolta nei confronti della garante società RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE)».
Avverso tale sentenza proponeva appello il Comune di Bari con atto di citazione notificato il 5/12/2016.
In particolare, il Comune chiedeva la condanna in solido tra loro della SIC e della società RAGIONE_SOCIALE per il pagamento della somma di euro 529.775,20. Chiedeva la condanna al pagamento della somma di euro 311.488,67 anche nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE
La Corte d’appello di Bari, con sentenza n. 1479/2019, depositata il 28/6/2019, accoglieva l’appello del Comune, condannando la SIC, la RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE quest’ultima nei limiti della somma di euro 303.573,40, al pagamento della somma di euro 516.726,80.
Per quel che ancora qui rileva, la Corte territoriale rigettava il primo motivo di appello relativo alla pretesa violazione del diritto di difesa.
La Corte d’appello accoglieva il secondo motivo di gravame, in base al quale il Comune deduceva l’erroneità della sentenza del tribunale che, dopo aver rigettato la domanda attorea nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, debitrice principale, quale impresa partecipante all’RAGIONE_SOCIALE, aveva ritenuto assorbita la domanda attorea di escussione delle polizze fideiussorie svolta nei confronti della garante SIC, ora RAGIONE_SOCIALE.
Il giudice di secondo grado confermava che la domanda svolta dal Comune nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE era «generica nella allegazione dei fatti costitutivi del credito azionato in relazione al sopravvenuto giudicato (v. sentenza Corte di appello di Bari del 23/3/2012 in atti)».
La sentenza della Corte d’appello n. 507 del 2012, passata in giudicato, originava dal ricorso per decreto ingiuntivo del 28/4/1994 con cui COGNOME NOME, in proprio e quale capogruppo mandataria dell’RAGIONE_SOCIALE, nonché la società RAGIONE_SOCIALE chiedevano al tribunale di Bari l’ingiunzione di pagamento della somma Cdi lire 736.938.131 per i lavori relativi al presente giudizio.
Nel giudizio di appello risultava che il Comune era in credito nei confronti dell’ATI, sicché doveva essere revocato il decreto ingiuntivo opposto, mentre la società RAGIONE_SOCIALE doveva essere condannata a restituire al Comune di Bari la somma di lire 966.853.992, pari ad euro 499.338,41, già incassata a seguito di precetto.
Inoltre, la società RAGIONE_SOCIALE doveva essere condannata a pagare al Comune anche la somma di euro 268.858,01, relativa ai danni subiti dal Comune per i relativi costi da sostenere per l’affidamento dei lavori di completamento altra impresa.
Pertanto, per la Corte d’appello, con sentenza passata in giudicato, la società RAGIONE_SOCIALE veniva condannata a restituire al Comune di Bari la somma di euro 499.338, 41, e la medesima società doveva versare al Comune di Bari la somma di euro 54.435,58, oltre alla somma di euro 268.858,01 a titolo di risarcimento dei danni della maggiore spesa derivante dall’affidamento ad altra impresa dei lavori di completamento.
La Corte territoriale, però, nel presente giudizio evidenziava che la sentenza n. 507 del 2012 della Corte d’appello era passata in giudicato, sia per la determinazione dei periodi di ritardo imputabile all’ATI, sia per la determinazione dell’importo delle penali.
Tra l’altro, non risultava che si dovesse pagare una penale per il periodo successivo al 31/5/1999.
I danni oggetto del precedente giudizio, conclusosi con la sentenza della Corte d’appello n. 507 del 2012, erano solo quelli che si erano verificati prima dell’8/10/1994, data della notifica dell’atto di opposizione al decreto ingiuntivo.
Non erano coperti da giudicato i danni ulteriori, richiesti nel presente giudizio.
Tali danni ammontavano ad euro 303.570,40.
Per le ragioni sopra esposte veniva dunque confermata la sentenza di prime cure, che aveva dichiarato generica la domanda presentata dal Comune nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE
Era fondato il secondo motivo d’appello proposto dal Comune.
Il tribunale aveva ritenuto che il rigetto della domanda attorea nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, quale debitrice principale, aveva assorbito la domanda del Comune di escussione delle polizze fideiussorie nei confronti della garante SIC, poi RAGIONE_SOCIALE.
Per effetto della sentenza della Corte d’appello n. 507 del 2012 era passata in giudicato la condanna della RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore del comune di Bari della somma di euro 54.435,58 oltre al pagamento della somma di euro 268.858,01, a titolo di risarcimento dei danni per la maggiore spesa derivante dall’affidamento ad altra impresa dei lavori di completamento.
Nei confronti del fideiussore, però, non si era verificato alcun giudicato soggettivo.
In ogni caso, per la Corte d’appello, l’accoglimento della domanda proposta nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, nell’altro giudizio, comportava in questo giudizio la responsabilità della garante e l’accoglimento della domanda anche nei confronti del fideiussore.
Non era fondata l’eccezione del fideiussore di mancato rispetto del termine di 6 mesi di cui all’art. 1957, in quanto per scadenza dell’obbligazione principale doveva intendersi, non il termine di scadenza prevista esame del contratto, ma l’epoca di ultimazione dei lavori ovvero, in difetto, la data in cui, per eventi natura patologica, come nell’ipotesi di risoluzione, il rapporto si era comunque estinto.
Pertanto, ne derivava la condanna della società RAGIONE_SOCIALE al pagamento dell’ulteriore somma (rispetto a quella già liquidata nel precedente giudizio) di euro 303.573,40.
Inoltre, la SIC, come pure la RAGIONE_SOCIALE, in virtù del contratto di fideiussione, dovevano essere condannate in solido al pagamento della somma di euro 516.726,80, di cui euro 303.573,40 a titolo di garanzia del risarcimento dei danni liquidati nel presente giudizio, ed euro 137.478,57, a titolo di garanzia del risarcimento dei danni già riconosciuti liquidati nel precedente giudizio a carico della società RAGIONE_SOCIALE
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE
Ha resistito con controricorso il Comune di Bari, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO CHE:
Con un unico motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 5, comma 4, legge 10/12/1981, n. 741, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
In sostanza, per la ricorrente la Corte d’appello ha omesso di pronunciare sull’eccezione sollevata, prima dalla SIC, e poi ribadita dal RAGIONE_SOCIALE, quale cessionaria del portafoglio, di estinzione
dell’obbligazione del garante per il decorso del termine per l’effettuazione del collaudo previsto dall’art. 5, comma 4, della legge n. 741 del 1981.
La ricorrente, in ossequio al principio dell’autosufficienza, ha riportato il contenuto della comparsa di costituzione di SIC nel giudizio dinanzi al tribunale di Bari, ove si evidenzia che il verbale di visita e la relazione di collaudo sono stati redatti il 23/6/1997, mentre i lavori erano stati ultimati nel febbraio del 1991. Era decorso dunque il termine di legge.
L’eccezione era stata ribadita anche da COGNOME nella comparsa di costituzione, quale cessionaria del credito.
L’eccezione di estinzione risultava anche nella comparsa di replica depositata dal Atradius nel giudizio dinanzi al tribunale.
Anche nel giudizio d’appello la RAGIONE_SOCIALE aveva riproposto l’eccezione di estinzione della fideiussione.
La sentenza d’appello, invece, avrebbe omesso di decidere su tale eccezione, né tale decisione potrebbe ricavarsi implicitamente dalle argomentazioni riportate nella motivazione della sentenza di secondo grado.
Tra l’altro, l’art. 5 della legge n. 741 del 1981, elide la decadenza solo nell’ipotesi in cui il ritardo dipende da fatto imputabile all’impresa.
Tale fatto deve consistere in una condotta o in un evento riferibile all’impresa che impedisca ostacoli lo svolgimento delle operazioni di collaudo nel termine di legge, come nelle ipotesi di mancata consegna delle opere o della mancata rimozione di materiali o attrezzi.
Tale fatto non può invece rinvenirsi nel vizio dell’opera riscontrata in sede di tardivo suo collaudo.
Nella specie, però, il Comune aveva dichiarato di essersi immesso nel possesso del cantiere il 25/2/2000.
Il motivo è fondato.
2.1. L’art. 5 della legge 10/12/1981, n. 741, prevede, al comma 1, che «la collaudazione dei lavori pubblici deve essere conclusa entro sei mesi dalla data di ultimazione dei lavori».
Al comma 4 dell’art. 5 si precisa che «se il certificato di collaudo o quello di regolare esecuzione non sono approvati entro due mesi dalla scadenza dei termini di cui ai precedenti commi e salvo che ciò non dipenda da fatto imputabile all’impresa, l’appaltatore, ferme restando le eventuali responsabilità a suo carico accertate in sede di collaudo, ha diritto alla restituzione della somma costituente la cauzione definitiva, delle somme detenute ai sensi dell’art. 48, primo comma, del regolamento per l’amministrazione del patrimonio per la contabilità generale dello Stato approvato con regio decreto 23 maggio 1924, n. 827, come successivamente modificato, e di tutte quelle consimili trattenute a titolo di garanzia. Alla stessa data si estinguono le eventuali garanzie fideiussorie».
Orbene, a prescindere dal contrasto giurisprudenziale formatosi sul punto, è indubbio comunque che la Corte d’appello non abbia risposto all’eccezione formulata tempestivamente nel corso del giudizio di prime cure dalla SIC, e ribadita nel giudizio d’appello dal RAGIONE_SOCIALE, quale cessionaria del portafoglio della SIC.
Correttamente la ricorrente ha riportato il contenuto della comparsa di costituzione di prime cure della SIC, laddove emerge con chiarezza che la società ha sollevato l’eccezione di estinzione della fideiussione ai sensi dell’art. 5 della legge n. 741 del 1981 («si è verificata, in ogni caso, l’estinzione automatica delle garanzie fideiussorie ai sensi dell’art. 5 L. 741/81. L’art. 5 della legge n. 741 del 10/12/81 (termini e modalità dei collaudi) impone (al primo
comma) che il collaudo debba essere concluso entro 6 mesi dalla data di ultimazione dei lavori. Il penultimo comma del citato articolo prevede l’estinzione delle garanzie fideiussorie qualora il certificato di collaudo non sia approvato entro 2 mesi dalla scadenza dei termini di cui ai precedenti commi. Nel caso di specie, come risulta dalla pagina 3, punto n. 4, dell’Atto di Citazione, il Verbale di Visita e Relazione di Collaudo fu redatto in data 23/6/1997. I lavori sono stati ultimati nel Febbraio 1991. Il collaudo, per come pacificamente ammesso dal Comune di Bari è stato effettuato il 23/6/97, ben oltre, quindi, il termine assegnato dalla legge. Il mancato rispetto del nominato termine produce, automaticamente, l’estinzione delle garanzie fideiussorie, con la conseguente, integrale, liberazione del fideiussore».
Nelle conclusioni del giudizio di prime cure la SIC ha ribadito l’eccezione di estinzione, chiedendo accertarsi l’insussistenza dei crediti vantati dal Comune nei confronti della SIC e/o dell’ATI Sinisi «per essersi verificata l’estinzione automatica delle garanzie ai sensi dell’art. 5 L. 741/81».
Allo stesso modo, nella comparsa di costituzione di Atradius, depositata in occasione della prosecuzione del giudizio di primo grado, quale cessionaria, la società ha ribadito «tutte le difese, deduzioni ed eccezioni svolte da SIC».
Nella comparsa di replica depositata COGNOME nel giudizio dinanzi al tribunale si chiarisce in modo limpido che «si è verificata l’estinzione della garanzia fideiussorie ai sensi dell’art. 5 della legge n. 741/81, che prevede che la stazione appaltante debba eseguire il collaudo entro 6 mesi dalla data di ultimazione dei lavori. Il penultimo comma del citato articolo prevede l’estinzione delle garanzie fideiussorie qualora il certificato di collaudo non sia
approvato entro 2 mesi dalla scadenza dei termini di cui ai precedenti commi».
Si precisa che «il Comune, infatti, deliberò la rescissione del contratto di appalto in data 16/7/1999, in data 25/2/2000 si mise nel possesso nel cantiere, mentre l’atto unico di collaudo fu eseguito in data 3/12/2001».
Si riportava che era «incontestabile che le opere considerarsi ultimati a tale data, posto che, successivamente alla risoluzione, nessun lavoro potrà essere ultimato proseguito».
Si aggiungeva nella comparsa di replica che «seppur il termine volesse farsi decorrere dal giorno della immissione in possesso e, quindi, dal 25/2/2000 (data in cui non sussisteva più alcun impedimento per procedere al collaudo), alla data del 3/12/2001 le garanzie si sono, comunque, estinte, essendo inevitabilmente spirato il termine previsto dall’art. 5 L. 741/81. Il termine di 6 mesi per l’effettuazione del collaudo, infatti, scadeva (al più tardi) il 25/8/2000 (25/2/2000 + 6 mesi) e, conseguentemente, l’approvazione sarebbe dovuta intervenire nei 2 mesi successivi e, cioè, i 25/10/2000».
Inoltre, anche nella comparsa di costituzione di Atradius giudizio di appello si è ribadito che «si è infatti verificata la liberazione del fideiussore ai sensi dell’art. 5 L. 741/81, che prevede che la stazione appaltante debba eseguire il collaudo entro 6 mesi dalla data di ultimazione dei lavori».
L’eccezione è stata richiamata anche nella comparsa conclusionale di Atradius in sede di appello.
Si è chiarito che l’eccezione di decadenza ex art. 1957 c.c. non era stata riproposta in appello.
Al contrario, «l’eccezione sollevata per violazione dell’art. 5 L. 741/81 è stata riproposta ex art. 346 c.p.c. nella Comparsa di Costituzione e Risposta».
Neppure si può sostenere che l’avvenuto accertamento da parte della Corte d’appello della esclusiva responsabilità dell’appaltatrice, e quindi dell’ATI, avendo comportato la risoluzione del contratto per grave inadempimento della stessa, abbia reso del tutto irrilevante il rispetto dei termini di cui all’art. 5 della legge n. 741 del 1981, costituendo un’ipotesi di rigetto implicito dell’eccezione formulata e riproposta nei vari gradi di giudizio.
5.1. Infatti, parte della giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che l’intervenuta risoluzione del contratto per inadempimento dell’appaltatore, comporta l’inesigibilità della condotta dell’ente committente di provvedere al collaudo, in assenza della ultimazione dei lavori.
Si è affermato che, in tema di appalto di opera pubblica, il fatto imputabile all’impresa – che, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 741 del 1981, impedisce l’estinzione delle garanzie, che si determina, altrimenti, “ipso iure” in caso di omissione o di semplice ritardo del collaudo – può consistere anche in una condotta inadempiente tale che, inducendo la stazione appaltante a porre fine al rapporto contrattuale mediante l’attivazione dei poteri ufficiosi di risoluzione anticipata del rapporto, impedisca il completamento delle opere (ascrivibile all’impresa) cosicché queste non possono essere, per definizione, oggetto di collaudo nel termine di legge (Cass., sez. 1, 21/12/2015, n. 25674; anche Cass., sez. 1, 9/5/2018, n. 11189).
È però, altra parte della giurisprudenza di legittimità reputa che, in tema di appalto di opere pubbliche, in caso di risoluzione anticipata del contratto per fatto e colpa dell’appaltatore, quando i lavori, sebbene non integralmente ultimati, siano stati almeno parzialmente
eseguiti e l’interesse creditorio sia stato, almeno in parte, soddisfatto, l’ente pubblico appaltante è tenuto ad emettere il certificato di collaudo sia pure parziale, ossia limitato alla parte dei lavori eseguiti, pena l’estinzione della polizza fideiussoria, dovendosi evitare che il garante resti vincolato ad libitum, in forza di un rapporto accessorio ormai privo del fondamento causale (Cass., sez. 3, 4/12/2023, n. 33858).
Sulla questione v’è stata ordinanza interlocutoria di questa Corte (Cass. n. 5413 del 2025).
Per tale ragione, dal silenzio serbato dalla Corte d’appello in ordine all’eccezione sollevata, prima della SIC, e poi dall’Atradius, non può ricavarsi un rigetto implicito di tale eccezione, in ragione dell’intervenuta risoluzione del contratto per grave inadempimento dell’appaltatore.
6. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Bari, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’11 aprile 2025