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Fusione societaria e risarcimento: la Cassazione nega

Una società nata da una fusione societaria ha richiesto un’equa riparazione per l’eccessiva durata di una procedura fallimentare iniziata dalla società incorporata. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che il diritto al risarcimento non si trasferisce automaticamente. La società incorporante può agire ‘iure successionis’ solo se il termine di durata ragionevole era già scaduto al momento della fusione, e ‘iure proprio’ solo se interviene formalmente nel giudizio. Poiché nessuna di queste condizioni era soddisfatta, la richiesta è stata respinta.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Societario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Fusione societaria e risarcimento: quando il diritto non si eredita

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale per il mondo delle imprese: cosa succede al diritto all’equa riparazione per l’eccessiva durata di un processo in caso di fusione societaria? La risposta dei giudici è netta: la successione universale che caratterizza la fusione non comporta un automatico trasferimento di questo specifico diritto. L’intervento attivo della nuova società nel procedimento diventa un requisito fondamentale.

I Fatti del Caso: una procedura lunga quasi trent’anni

La vicenda trae origine da una procedura fallimentare avviata nel 1991. Una società creditrice, per recuperare le proprie somme, si era insinuata al passivo del fallimento. L’anno successivo, nel 1992, questa società è stata oggetto di una fusione per incorporazione, venendo assorbita da un’altra entità giuridica.

La procedura fallimentare si è protratta per un tempo eccezionalmente lungo, concludendosi solo nel 2021, dopo quasi 29 anni. La società incorporante, ritenendo violato il principio della ragionevole durata del processo sancito dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), ha citato in giudizio il Ministero della Giustizia per ottenere un’equa riparazione ai sensi della Legge Pinto (L. 89/2001).

Sia il consigliere delegato che la Corte d’Appello, in fase di opposizione, hanno rigettato la domanda, sostenendo che la società incorporante non avesse titolo per richiederla.

La Decisione della Corte di Cassazione

La società ha quindi proposto ricorso per cassazione, basandolo su tre motivi principali: un vizio procedurale relativo alla composizione del collegio giudicante, un’errata interpretazione delle norme sulla successione in caso di fusione e un’illegittima condanna al pagamento di una sanzione per lite temeraria. La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la decisione dei giudici di merito.

Le Motivazioni: la distinzione tra successione universale e diritto all’indennizzo

La Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti importanti su ciascuno dei motivi di ricorso, ma il cuore della decisione risiede nell’analisi del diritto all’equa riparazione nel contesto di una fusione societaria.

Sulla presunta nullità del decreto

Il primo motivo, relativo alla diversa composizione del collegio giudicante tra l’udienza e la decisione, è stato ritenuto infondato. I giudici hanno spiegato che il verbale d’udienza fa piena prova dei giudici presenti e crea una presunzione che siano gli stessi a deliberare. Una mera omissione o un errore materiale nell’intestazione della sentenza non è sufficiente a provare il contrario e a determinare la nullità dell’atto, a meno che non venga fornita una prova specifica della diversità.

Sul diritto all’equa riparazione dopo una fusione societaria

Questo è il punto centrale della pronuncia. La Corte ha stabilito una distinzione fondamentale tra agire iure successionis (per diritto di successione) e iure proprio (per diritto proprio).

1. Diritto iure successionis: La società incorporante può reclamare l’indennizzo maturato dalla società incorporata solo se, al momento della fusione, il termine di durata ragionevole del processo (fissato in via generale a sei anni) era già stato superato. Nel caso di specie, la fusione è avvenuta nel 1992, appena un anno dopo l’inizio del procedimento presupposto. Pertanto, nessun diritto all’indennizzo era ancora sorto in capo alla società originaria e, di conseguenza, nulla poteva essere trasferito.

2. Diritto iure proprio: Per poter chiedere un indennizzo per il danno patito personalmente a causa del ritardo processuale successivo alla fusione, la società incorporante avrebbe dovuto assumere formalmente la qualità di parte, intervenendo nel giudizio. Non avendolo fatto, è rimasta un soggetto estraneo alla procedura e non può lamentare un danno diretto.

La Corte ha assimilato la fusione societaria alla successione mortis causa, dove il diritto all’indennizzo non si cumula, ma va analizzato per frazioni temporali separate, in relazione alla sofferenza patita da ciascun soggetto mentre era parte attiva del processo.

Sulla sanzione per domanda manifestamente infondata

Infine, il motivo relativo alla condanna al pagamento di 5.000 euro (ex art. 5-quater, L. 89/2001) è stato dichiarato inammissibile. La Suprema Corte ha ribadito che l’applicazione di tale sanzione rientra nella piena discrezionalità del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, a meno di vizi logici non riscontrati nel caso in esame.

Conclusioni: implicazioni pratiche per le aziende

L’ordinanza in esame offre un’importante lezione per le società coinvolte in operazioni di fusione. Non basta ereditare i rapporti giuridici attivi e passivi per poter automaticamente rivendicare un’equa riparazione per lungaggini processuali. È necessario che la società incorporante assuma un ruolo attivo nei procedimenti in cui subentra, formalizzando il proprio intervento. In caso contrario, rischia di perdere il diritto a essere indennizzata per i ritardi della giustizia, anche quando questi si protraggono per decenni.

Una società nata da una fusione societaria ha automaticamente diritto al risarcimento per l’eccessiva durata di un processo iniziato dalla società incorporata?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il diritto non si trasferisce automaticamente. La società incorporante può agire per diritto di successione (‘iure successionis’) solo se il termine di durata ragionevole del processo era già scaduto al momento della fusione. Altrimenti, non c’è alcun diritto da trasferire.

Quando può una società incorporante chiedere un indennizzo ‘iure proprio’ (nel proprio diritto) per la durata irragionevole di un processo?
Può farlo solo se interviene formalmente nel processo in corso, assumendo la qualità di parte. In assenza di un intervento formale, la società incorporante è considerata estranea al procedimento e non può lamentare un danno personale per la sua eccessiva durata successiva alla fusione.

La composizione del collegio giudicante indicata nell’intestazione della sentenza, se diversa da quella del verbale d’udienza, rende nulla la decisione?
No, non necessariamente. Secondo la Corte, il verbale d’udienza crea una presunzione che la deliberazione sia avvenuta da parte dei giudici presenti. Una difformità nell’intestazione della sentenza si presume un errore materiale emendabile, a meno che non venga fornita una prova rigorosa della non partecipazione di un giudice alla deliberazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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