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Fringe benefit: quando è parte della retribuzione?

Una società ha contestato l’inclusione di un’agevolazione abitativa (un fringe benefit) nella retribuzione totale di un dipendente reintegrato. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando che i benefici non strettamente necessari alla prestazione lavorativa sono da considerarsi parte integrante dello stipendio. La decisione chiarisce come calcolare il risarcimento per licenziamento illegittimo in presenza di fringe benefit.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Fringe benefit: quando è parte della retribuzione? L’analisi della Cassazione

La definizione di retribuzione non si limita alla sola busta paga. Spesso, infatti, i lavoratori ricevono benefici aggiuntivi, noti come fringe benefit, quali auto aziendali, buoni pasto o, come nel caso in esame, un alloggio. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: quando un beneficio non è strettamente funzionale allo svolgimento del lavoro, ma costituisce un vantaggio aggiuntivo per il dipendente, esso assume natura retributiva e deve essere incluso nel calcolo della retribuzione globale di fatto.

Il Caso: Un Alloggio Aziendale al Centro della Disputa

La vicenda trae origine dalla controversia tra una nota società e un suo dipendente, reintegrato nel posto di lavoro dopo un licenziamento illegittimo. Il contenzioso si è concentrato sulla quantificazione del risarcimento dovuto al lavoratore, in particolare sulla corretta determinazione della sua “retribuzione globale di fatto”.

Il punto cruciale era un’agevolazione abitativa: la società si faceva carico di una parte del canone di locazione di un immobile utilizzato dal dipendente. Il lavoratore sosteneva che questa agevolazione, quantificata in circa 786 euro mensili, dovesse essere considerata a tutti gli effetti parte del suo stipendio. La società, al contrario, ne contestava la natura retributiva.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione al lavoratore su questo punto, ma la società ha deciso di portare la questione fino in Cassazione, sollevando tre motivi di ricorso.

La Decisione della Corte sul fringe benefit

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso della società, confermando le decisioni dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno stabilito in modo inequivocabile che il contributo all’affitto fornito dall’azienda costituiva un fringe benefit con piena natura retributiva. Di conseguenza, tale importo doveva essere correttamente computato per determinare le somme dovute al lavoratore a seguito del licenziamento illegittimo.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha basato la sua decisione su argomentazioni logiche e giuridiche precise, smontando una per una le difese della società.

La Natura del Beneficio: Non Strumentale ma Retributivo

Il cuore del ragionamento della Cassazione risiede nella distinzione tra benefici strumentali e benefici retributivi. Un beneficio è “strumentale” quando è indispensabile per l’esecuzione della prestazione lavorativa (si pensi agli attrezzi di un operaio). In questo caso, l’alloggio non era necessario per lo svolgimento delle mansioni del dipendente, ma rappresentava un “beneficio ulteriore rispetto al trattamento dovuto”. Era, in sostanza, un arricchimento patrimoniale per il lavoratore, con carattere di continuità, e come tale andava considerato parte della sua retribuzione.

L’Irrilevanza delle Normative Fiscali e Previdenziali sul fringe benefit

La società ricorrente aveva invocato la normativa fiscale e previdenziale (come l’art. 51 del TUIR) per sostenere la propria tesi. La Corte ha chiarito che tali norme hanno uno scopo specifico: determinare quale parte del reddito sia soggetta a tassazione o a contribuzione. Tuttavia, queste regole non definiscono la nozione civilistica di retribuzione, che è più ampia e rilevante ai fini del calcolo di indennità e risarcimenti. L’eventuale non assoggettabilità fiscale di un fringe benefit non ne esclude la natura retributiva ai fini del rapporto di lavoro.

L’Interpretazione del Contratto Collettivo

Un altro argomento della società si basava sul Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), in particolare sull’articolo che disciplina il calcolo del Trattamento di Fine Rapporto (TFR). Secondo la difesa, poiché il CCNL escludeva prestazioni in natura come l’alloggio dal calcolo del TFR, ciò dimostrava la loro estraneità alla retribuzione. La Corte ha respinto anche questa interpretazione, spiegando che le norme sul TFR hanno un ambito di applicazione specifico e non possono essere usate per escludere la natura retributiva di un elemento ai fini del calcolo delle spettanze dovute per un licenziamento illegittimo, che si basano sulla nozione più ampia di “retribuzione globale di fatto”.

Le Conclusioni: Implicazioni per Datori di Lavoro e Dipendenti

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro e di grande importanza pratica. Per i datori di lavoro, emerge la necessità di valutare attentamente la natura di tutti i benefici concessi ai dipendenti. Se un fringe benefit non è strettamente legato all’esecuzione del lavoro, è molto probabile che venga considerato parte della retribuzione, con conseguenze sul calcolo di TFR, indennità, contributi e risarcimenti.

Per i lavoratori, questa sentenza rappresenta una tutela importante, garantendo che il valore reale del loro rapporto di lavoro, comprensivo di tutti i vantaggi economici continui, sia pienamente riconosciuto in caso di contenzioso.

Un beneficio in natura, come un alloggio, è sempre considerato parte della retribuzione?
No, non sempre. Secondo la Corte, un beneficio in natura assume natura retributiva quando non è strumentale allo svolgimento della prestazione lavorativa, ma costituisce un beneficio ulteriore e continuativo per il lavoratore rispetto al trattamento dovuto.

Le norme fiscali che definiscono il reddito da lavoro dipendente sono decisive per stabilire la natura retributiva di un fringe benefit a fini civilistici?
No. La Corte ha chiarito che le norme fiscali e previdenziali hanno lo scopo specifico di determinare la base imponibile per tasse e contributi, ma non definiscono la nozione civilistica di retribuzione, che è quella rilevante per calcolare le spettanze dovute al lavoratore (es. indennità risarcitoria per licenziamento illegittimo).

Se il contratto collettivo esclude un benefit dal calcolo del TFR, significa che quel benefit non ha natura retributiva?
No. La Corte ha specificato che le norme del contratto collettivo che disciplinano il calcolo del TFR hanno un ambito di applicazione limitato a tale istituto. L’esclusione di una voce dal calcolo del TFR non ne fa venir meno la natura retributiva ai fini del calcolo di altre spettanze, come l’indennità dovuta in caso di licenziamento illegittimo, che si basa sulla nozione onnicomprensiva di “retribuzione globale di fatto”.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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