Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 6951 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 6951  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16193-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,  INDIRIZZO,  presso  lo  studio  degli avvocati NOME COGNOME, NOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
NOME, domiciliato in INDIRIZZO presso LA  CANCELLERIA  DELLA  CORTE  SUPREMA  DI  CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente – avverso  la  sentenza  n.  417/2019  della  CORTE  D’APPELLO  di GENOVA, depositata il 08/10/2019 R.G.N. 284/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/01/2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Oggetto
R.G.N. 16193/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 21/01/2025
CC
La  Corte  d’appello  di  Genova,  con  l’impugnata  sentenza,  in parziale  riforma  della  sentenza  di  primo  grado,  ha  dichiarato dovuta  dal  RAGIONE_SOCIALE  in  favore  di  NOME  NOME  la somma di  €  133.401,02  in  luogo  della  maggior  somma  di  € 143.636,36  riconosciuta  dal  tribunale  e,  tenuto  conto  del pagamento successivamente effettuato dalla società, ha condannato NOME  NOME alla restituzione in favore del RAGIONE_SOCIALE di € 9236,07, oltre accessori di legge.
Va premesso  che il giudizio ha ad oggetto l’accertamento della retribuzione globale di fatto, eccedente quella riconosciuta dalla datrice di lavoro, dopo la reintegrazione del lavoratore disposta con  sentenza  passata  in  giudicato  e  recuperata  con  rito monitorio, riservandosi il maggior dovuto.
La Corte a fondamento dell’accoglimento dell’appello ha osservato, nei limiti e per i motivi precisati, anzitutto che la condanna al pagamento di € 143.636,36 era stata pronunciata in primo grado senza considerare che parte di tale credito aveva già trovato riconoscimento attraverso il procedimento monitorio, cosicché il petitum della controversia aveva ad oggetto unicamente il differenziale tra il suddetto credito complessivo e la somma portata dal decreto ingiuntivo già ottenuto dal lavoratore.
Ciò detto, la Corte ha escluso la computabilità nella retribuzione globale di fatto delle quote di TFR e, per quanto ancora qui rileva, ha sostenuto che andasse invece computato nella retribuzione globale di fatto il controvalore costituito dalla quota di locazione di cui la società si era fatta carico in concreto; costituendo pacifica circostanza che il suddetto fringe benefit ammontante ad € 786,98 mensili fosse stato previsto nell’accordo di sublocazione prodotto in atti e che esso avesse carattere continuativo; pertanto l’agevolazione fornita dalla
società relativamente al canone di locazione dell’alloggio utilizzato  dall’NOME  aveva  natura  retributiva  non  essendo strumentale allo svolgimento della prestazione lavorativa, costituendo bensì un beneficio ulteriore rispetto al trattamento dovuto.
Pertanto sul punto l’impugnata sentenza doveva trovare conferma in base al  supplemento di c.t.u. espletato  nel corso del  giudizio  d’appello,  giacchè  il  consulente  tecnico  aveva rideterminato il complessivo credito dell’NOME in € 103.401,02 con un debit o a suo carico di € 9236,07 .
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE con tre motivi di ricorso ai quali ha resistito COGNOME NOME con controricorso. Le parti hanno depositato memorie. Il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380 bis1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
Ragioni della decisione
1.- Col primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 155,1 comma c.p.c., in relazione all’articolo 360, numero 3 c.p.c., violazione dell’articolo 132, numero 4 c.p.c. e 118 disp att. c.p.c. in relazione all’articolo 360, numero 4 c.p.c. per motivazione insussistente e/o contraddittoria atteso che la sentenza ha dato per pacifico un fatto che in realtà non è mai stato dedotto da nessuna delle due parti in causa; posto che mancava in atti la deduzione che il contratto di sublocazione prevedesse un fringe benefit ammontante ad 786,98 € . NOME NOME in primo grado si era solo limitato ad affermare che 786,98 € rappresenta vano la differenza tra quanto pagato dalla RAGIONE_SOCIALE per la conduzione dell’immobile e quanto da lui pagato per la sublocazione.
Nessun fringe benefit era stato quantificato nell’importo ritenuto dalla Corte d’appello all’interno dello stesso contratto di locazione prodotto da entrambe le parti; l’unica disposizione che
menziona specifici importi economici era quello che prevedeva che in ordine al corrispettivo per il primo anno di sublocazione il conduttore doveva corrispondere ad RAGIONE_SOCIALE a titolo di canone l’importo pari alla rendita catastale di € 1367,00.
2.-  Con  il  secondo  motivo  si  sostiene  la  violazione  falsa applicazione dell’articolo 51 d.p.r. n. 917/1986, nonché dell’articolo 12 legge n. 153/1969, in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c., violazione dell’articolo 132 numero 4 c.p.c. e 118 disp att. c.p.c. in relazione all’articolo 360, numero 4 c.p.c. per motivazione insussistente e/o contraddittoria.
3.Come terzo motivo si denuncia l’omessa pronuncia sul motivo d’appello relativo alla violazione dell’articolo 195 CCNL in relazione all’articolo 360, numero 4 c.p.c. atteso che nulla è previsto con riferimento ai canoni di locazione corrisposti dal datore di lavoro per gli immobili locati ad uso foresteria sub locati ai propri dipendenti nella norma collettiva, la quale prevede la determinazione della normale retribuzione, come confermerebbe l’articolo 236 del CCNL che nel disciplinare il calcolo del TFR ai fini della determinazione della retribuzione utile esclude le prestazioni in natura quando sia previsto un corrispettivo a carico del lavoratore.
4.I tre motivi di ricorso possono essere affrontati unitariamente per motivi di connessione logica e giuridica. Essi sono infondati.
5.-  La  Corte  di  appello,  col  sostegno  della  giurisprudenza  di questa Corte (sentenza n. 74/2018), ha confermato la tesi del giudice di primo grado secondo cui l’agevolazione fornita dalla società relativamente al canone di locazione dell’alloggio utilizzato  dall’NOME  aveva  natura  retributiva  non  essendo strumentale allo svolgimento della prestazione lavorativa, costituendo bensì un beneficio ulteriore rispetto al trattamento dovuto.
6.-  Ciò  posto  devono  essere  anzitutto  disattese  le  censure relative ai vizi motivazione invero del tutto inesistenti posto che la  motivazione  è  senz’altro  sussistente  e  non  si  ravvisano  le insufficienze  lamentate,  né  sono  riscontrabili  incongruenze  in relazione a fatti decisivi.
7.-  Inoltre,  è  pacifico  che  il  lavoratore  aveva  dedotto  che esistesse  una  differenza  fra  quanto  da  lui  stesso  pagato  e quanto pagato dal RAGIONE_SOCIALE per la conduzione dell’immobile (pari a € 786,98). Entrambe le parti hanno di fatto confermato che erano pagate 786,98 € mensili da parte del RAGIONE_SOCIALE per sublocazione dell’alloggio.
8.- Che poi tale differenza costituisse anche un fringe benefit o comunque una attribuzione patrimoniale con valore retributivo e fosse regolata dall’accordo di sublocazione intervenuto tra le parti, deriva dall’interpretazione dell’accordo operata dalla Corte di merito anche sulla base dello stesso comportamento attuativo e delle concordi ammissioni delle parti; e l’esito di questa attività interpretativa non può essere censurato in questa sede senza scadere nella contestazione del merito delle valutazioni e degli accertamenti operati alla Corte, peraltro qui censurati irritualmente, senza neppure dedurre la violazione di canoni ermeneutici di cui agli artt.1362 e ss. cc. .
9.- Non esiste inoltre alcuna  omessa pronuncia relativamente all’interpretazione del contratto collettivo che la Corte d’appello ha in realtà disatteso motivatamente.
La  Corte  infatti  ha  affermato  che,  quanto  all’articolo  236  del CCNL richiamato dall’appellante, esso aveva un diverso ambito di  applicazione  giacché  indicava  le  voci  che  non  andavano comprese nel calcolo del trattamento di fine rapporto; ciò che non valeva, però, ad escludere la natura retributiva delle voci suddette.
Si tratta non solo di una pronuncia effettivamente esistenza, ma anche di una pronuncia corretta atteso che nel caso di specie non  si  discute  della  base  di  computo  del  TFR  bensì  della retribuzione globale di fatto ai fini del calcolo delle spettanze dovute per il licenziamento  illegittimo.
11.-  Nemmeno  la  regolamentazione  fiscale  e  previdenziale richiamata  dalla  ricorrente  può    essere  decisiva  ai  fini  della individuazione della natura retributiva dell’emolumento e della sua inclusione nella base di computo dell’indennità risarcitoria dovuta per il licenziamento.
Sul  punto  la  Corte  ha  esattamente  osservato  che  le  norme indicate  in  proposito  hanno  unicamente  lo  scopo  di  fornire  i criteri per stabilire se il controvalore del fringe benefit vada o meno  assoggettato  a  tassazione  o  a  contribuzione  e  che l’eventuale  non  assoggettabilità  non  farebbe  venir  meno  la natura retributiva dello stesso ai fini che qui rilevano.
12.- Sulla scorta delle premesse, il ricorso va quindi respinto e le  spese  di  lite  seguono  il  criterio  della  soccombenza  dettato dall’art. 91 c.p.c. con distrazione per l’AVV_NOTAIO, antistatario. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in euro 3.500,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfettarie, oltre accessori dovuti per legge con distrazione per l’ AVV_NOTAIO, antistatario. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.