Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5141 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 5141 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 17429-2019 proposto da:
COGNOME NOME in proprio e nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 99/2019 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZ. DIST. DI TARANTO, depositata il 27/03/2019 R.G.N. 613/2013;
R.G.N. 17429/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 17/01/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/01/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, confermando la pronuncia del Tribunale di Taranto, ha accolto la domanda proposta da NOME COGNOME per il riconoscimento della sussistenza, nei confronti sia di NOME COGNOME che della società RAGIONE_SOCIALE (azienda agricola amministrata dallo stesso COGNOME), di un rapporto di lavoro subordinato per il periodo dicembre 2000giugno 2005 e per il pagamento di differenze retributive.
La Corte territoriale ha ribadito, aderendo integralmente alla ricostruzione in fatto del giudice di prima istanza, che: il quadro probatorio acquisito dimostrava che le mansioni del NOME (giardinaggio, pulizia della piscina, manutenzione del campo da tennis, manutenzione ordinaria e straordinaria, guardiania diurna e notturna e bracciante agricolo) erano contemporaneamente e promiscuamente svolte sia a favore dell’abitazione privata dell’COGNOME sia della masseria; il riconoscimento dello svolgimento di lavoro festivo e straordinario andava ridotto (rispetto alla domanda attorea) e, poi, quantificato equitativamente; l’eccezione di inammissibilità del ricorso per illegittimo frazionamento del credito doveva essere respinta in quanto tardiva e inconferente.
Avverso tale sentenza ricorrono entrambi i datori di lavoro con quattro motivi e il lavoratore resiste con controricorso (depositando nota spese prima dell’udienza).
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 2909 cod.civ. e 111 Cost., ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., avendo, la Corte distrettuale, errato nel respingere l’eccezione di improponibilità del ricorso per abusivo frazionamento giudiziale del credito, avendo, il lavoratore, già ottenuto la conferma (in sede di opposizione) di una intimazione monitoria tesa al pagamento delle retribuzioni, nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE (con la quale era stato stipulato un contratto di lavoro), per il periodo luglio 2004-aprile 2005;
2. con il secondo motivo si denuncia sia violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 cod.civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., sia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., avendo, la Corte distrettuale, aderito acriticamente alla sentenza di primo grado, fornendo una motivazione del tutto apparente, priva di una ricognizione critica dei dati testimoniali e documentali acquisiti, nonché avendo travisato l’interpretazione sia della sentenza irrevocabile n. 1290/2012 (che ha rigettato la domanda della moglie del COGNOME avente ad oggetto l’attività di coadiuvante del marito nelle medesime attività) sia del verbale di udienza ove è stata trascritta la deposizione (ritenuta determinante) del teste COGNOME;
3. con il terzo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 1294 cod.civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., per avere, la Corte distrettuale, errato nel ritenere contemporaneamente vigente un rapporto di lavoro con due distinti datori di lavoro, posto che le mansioni del NOME si differenziavano a seconda della persona fisica o giuridica nei
confronti dei quali erano svolte (pulizia della piscina, per il primo, cura delle mucche, per il secondo);
4. con il quarto motivo si denuncia sia violazione o falsa applicazione degli artt. 432 cod.proc.civ. e 1226, 2697 cod.civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., sia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, per avere, la Corte distrettuale, trascurato di fornire sufficiente motivazione in merito al riconoscimento (seppur decurtato rispetto alle richieste del lavoratore) di lavoro festivo e straordinario, travisando la sentenza di primo grado e, in ogni c aso, quantificandolo equitativamente in difetto di prova sull’ ‘ an’;
il primo motivo di ricorso non merita accoglimento;
5.1. questa Corte ha già affermato che ‘qualora il lavoratore agisca in via monitoria per ottenere il pagamento di crediti retributivi e, con separato ricorso, per impugnare il licenziamento intimatogli, non sussiste un illegittimo frazionamento del credito, in quanto, benché all’interno di un unico rapporto, si è in presenza di crediti autonomi e distinti, scaturenti da diversi fatti costitutivi, aventi differenti regimi probatori e prescrizionali; peraltro, l’imposizione di un’unica azione impedirebbe al creditore l’uso della tutela monitoria, praticabile per i soli crediti assistiti da prova scritta, né è conferente il richiamo alla ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., da valutarsi in relazione alla durata del singolo processo e non dei molteplici possibili processi fra le stesse parti’ (Cass. n. 26464 del 2016). Inoltre, è stato precisato che l’attore che, a tutela di un credito nascente da un unico rapporto obbligatorio (nella specie per il pagamento di compensi professionali), agisce, dapprima, con ricorso monitorio, per la somma già documentalmente provata, e, poi,
in via ordinaria, per il residuo, non viola il divieto di frazionamento di quel credito in plurime domande giudiziali, e non incorre, pertanto, in abuso del processo, – quale sviamento dell’atto processuale dal suo scopo tipico, in favore di uno diverso ed estraneo al primo – stante il diritto del creditore a ricorrere ad una tutela accelerata, mediante decreto ingiuntivo, per la parte di credito assistita dai requisiti per la relativa emanazione (Cass. n. 22574 del 2016);
5.2. nel caso di specie, il lavoratore ha dapprima agito in via monitoria per il pagamento di crediti nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, sulla base di un regolare contratto di lavoro subordinato e dei prospetti paga emessi con riguardo all’ultimo periodo del rapporto; successivamente ha agito, con azione ordinaria, a tutela di un diverso credito dovuto in forza non di un unico rapporto obbligatorio (nei confronti della sola società) bensì di un articolato rapporto di lavoro svolto, contemporaneamente, nei confronti di due soggetti giuridici distinti, la società RAGIONE_SOCIALE e la persona fisica del suo amministratore, NOME COGNOME (con il quale non era stato stipulato alcun contratto di lavoro); il creditore ha, dunque, inteso avvalersi del procedimento d’ingiunzione (artt. 633 e segg. cod. proc. civ.) per il credito contraddistinto dai requisiti richiesti dalla legge in termini di prova scritta e di liquidità della somma pretesa e ha, successivamente, agito separatamente, con il procedimento ordinario, per un diverso credito che richiedeva di essere accertato e liquidato in quanto vantato nei confronti di due soggetti giuridici e domandato nel rispetto della c.d. retribuzione sufficiente (art. 36 Cost.);
5.3. non è, pertanto, configurabile alcun abuso del processo, giacché il creditore ha legittimamente utilizzato la via più celere (il procedimento monitorio) per riscuotere il credito già liquido
ed ha agito successivamente per l’accertamento e la liquidazione di un credito -soggettivamente ed oggettivamente -distinto, emergendo chiaramente diversa la natura delle pretese fatte valere nei separati procedimenti (senza alcun pericolo di formazione di giudicati contraddittori) e la sussistenza di un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (cfr. sul punto Cass. n. 25480 del 2023); 6. il secondo, il terzo motivo ed il quarto di ricorso sono inammissibili;
6.1. le censure formulate come violazione o falsa applicazione di legge e come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio -vizio il cui esame peraltro risulta impedito dalla presenza di una «doppia conforme» (art. 348 ter, ultimo comma, cod.proc.civ.; la medesima previsione è inserita, dall’art. 3, comma 27, lett. a), n. 2), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, nell’art. 360, quarto comma, cod.proc.civ.) – o errore di percezione, mirano in realtà alla rivalutazione dei fatti e del compendio probatorio operata dal giudice di merito non consentita in sede di legittimità;
6.2. come insegna questa Corte, il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez.
U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014);
6.3. la Corte distrettuale ha illustrato i motivi della irrilevanza della soccombenza della moglie del COGNOME nella (diversa) causa, dalla stessa proposta nei confronti dell’COGNOME, per lo svolgimento di attività di lavoro subordinata; ha, poi, richiamato le argomentazioni probatorie e ‘lo scrupoloso esame delle dichiarazioni dei testi escussi e delle sentenze pronunciate fra le parti in altri giudizi’ effettuato dal Tribunale, rilevando che i motivi di appello dei datori di lavoro sugli indici rivelatori della subordinazione erano svolti ‘del tutto astrattamente’ e che era stato dimostrato che la prestazione lavorativa (formalizzata con regolare contratto di lavoro subordinato nei confronti della società) era stata svolta indifferentemente nell’interesse d ell’COGNOME (ossia della sua abitazione) e della società (con riguardo alla masseria e all’azienda agricola); il dissenso che la parte ricorrente intende marcare nei riguardi della decisione impugnata (pur volendo prescindere dal motivo di inammissibilità rappresentato dalla pronuncia c.d. «doppia conforme») è formulato, da una parte, in termini generici, senza specifico riferimento alle argomentazioni sviluppate dalla sentenza della Corte territoriale, e, dall’altra, quale mera contrapposizione alla valutazione del quadro probatorio acquisito, difettando, inoltre, il presupposto del “fatto storico” dimostrato in giudizio, che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare e che se valutato avrebbe determinato un diverso esito della lite;
6.4. nel caso del lavoro festivo e straordinario di cui al quarto motivo difetta, inoltre, la necessaria riferibilità delle censure alla motivazione della sentenza impugnata, in quanto la Corte territoriale non ha affermato di ritenere equitativamente
provato lo svolgimento di lavoro oltre l’orario ordinario bensì ha esclusivamente ritenuto -‘ in considerazione della natura delle mansioni del NOME‘ (comprensive di guardiania e custodia diurna e notturna dell’abitazione dell’COGNOME e della masseria) ‘e muovendo dalla premessa che l’onere di provare il lavoro svolto oltre l’orario normale incombe sul lavoratore’ di decurtare, in parte, i conteggi allegati al ricorso introduttivo del giudizio con riguardo alle ‘maggiorazioni richieste’;
in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.; 8. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 5.500,00 per compensi professionali e in euro 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali ed accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, d ell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione