Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13432 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 13432 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 20/05/2025
SENTENZA
sul ricorso 19685-2019 proposto da:
COMUNE DI ANCONA, elettivamente domiciliato in ROMA, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dell’avvocato NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
NOMECOGNOME NOME COGNOME quest’ultimo anche come difensore di se stesso, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME presso il cui studio
elettivamente domiciliano in ROMA al INDIRIZZO giusta procura a margine del controricorso;
-controricorrenti –
avverso l’ordinanza n. 2875/2019 del TRIBUNALE di ANCONA depositata il 18 aprile 2019;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15 maggio 2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
lette le memorie delle parti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME per il ricorrente e l’avvocato NOME COGNOME per i controricorrenti;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, con ricorso per decreto ingiuntivo, chiedevano che venisse ingiunto al Comune di Ancona il pagamento della somma complessiva di euro 77.986,78, al netto degli acconti già ricevuti, a titolo di compenso professionale non pagato come già liquidato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Ancona in data 21 maggio 2018 in riferimento ad una serie di parcelle.
A seguito della notifica del decreto ingiuntivo n. 1046/2018, emesso in accoglimento del ricorso proposto dai professionisti, il Comune di Ancona proponeva opposizione, eccependo la nullità e
chiedendo di conseguenza la revoca del decreto e, in via subordinata, l’accertamento dell’eccessiva entità delle somme richieste e per l’effetto la loro riduzione proporzionale in relazione alle effettive prestazioni svolte e alle tariffe concretamente applicabili.
In particolare, il Comune eccepiva, non solo l’improponibilità e l’inammissibilità dell’azione per abuso del processo e la litispendenza e/o la continenza per essere il compenso domandato già stato richiesto in altro procedimento, ma evidenziava anche il proprio difetto di legittimazione passiva ex art. 191 TUEL per mancanza di copertura finanziaria.
L’ente locale, oltre a contestare il quantum domandato, offriva il pagamento di una somma in via transattiva.
Con comparsa di risposta gli opposti si costituivano in giudizio e chiedevano il rigetto dell’opposizione.
A seguito del mutamento di rito, il Tribunale di Ancona in composizione collegiale, con ordinanza n. 2785 del 18 aprile 2019, nel rigettare l’opposizione, accertava l’avvenuto pagamento in corso di causa da parte del Comune di una somma a titolo di acconto, revocava il decreto ingiuntivo e condannava l’Ente al pagamento della restante somma.
In particolare, il giudice di prime cure innanzitutto evidenziava la diversità tra la causa in esame e quelle in relazione alle quali si invocava la litispendenza e la continenza, rigettando in tal senso la relativa eccezione.
Il Tribunale escludeva poi la sussistenza di un comportamento qualificabile in termini di abuso del processo da parte degli avvocati COGNOME in quanto le pretese oggetto dell’ingiunzione
opposta avevano una causa petendi e soggetti coinvolti diversi dagli altri giudizi e tutte le controversie avevano ad oggetto l’accertamento di fatti distinti, difettando pertanto il requisito che, secondo la giurisprudenza di legittimità, è necessario ricorra per aversi un’ipotesi di abusivo frazionamento del credito.
In merito all’eccezione di difetto di legittimazione passiva del Comune per mancata copertura finanziaria, il Tribunale rilevava la sua infondatezza non solo per la sussistenza dell’impegno di spesa provvisorio che emergeva dai decreti di nomina degli opposti depositati dal Comune, ma anche perché la nullità prevista per la mancata previsione della spesa e della sua copertura non concerne le deliberazioni relative agli incarichi per la difesa degli Enti comunali in controversie giudiziarie, basate, come nel caso di specie, sulla sussistenza di un valido contratto scritto tra i difensori e il Comune.
Nel merito riteneva che per ogniuna delle cause per le quali era stato richiesto il compenso, la domanda degli opposti fosse congrua, anche in considerazione del valore delle controversie per le quali era stata prestata l’attività professionale.
Era altresì respinta l’eccezione di compensazione che il Comune aveva sollevato, sul presupposto che fossero stati versati degli importi che però non tenevano conto di alcuni pagamenti già effettuati, dovendosi reputare che l’eccezione fosse rimasta priva di dimostrazione da parte del Comune.
Il decreto doveva però essere revocato in quanto nella pendenza del giudizio di opposizione il Comune aveva versato delle somme in favore degli opposti, il che imponeva la revoca del decreto opposto, con la condanna dell’opponente al pagamento di quanto
ancora dovuto, determinato in € 55.794,98, somma alla quale doveva aggiungersi l’importo corrisposto dagli opposti quale tassa per il parere emesso dal Consiglio dell’Ordine.
Per la cassazione di tale ordinanza il Comune di Ancona ha proposto ricorso sulla base di diciassette motivi.
Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME resistono con controricorso.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.
Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti consistente nella formulazione di una pretesa di pagamento da parte dei professionisti relativa al deposito di una memoria di costituzione per resistere ad una istanza di sostituzione del custode in altro giudizio e rilevante ai fini dell’accoglimento dell’eccezione di litispendenza e continenza.
A parere del ricorrente se il giudice di prime cure non avesse omesso la valutazione di tale fatto avrebbe necessariamente accolto la suddetta eccezione, affermando che il compenso richiesto nei giudizi precedenti alla ingiunzione fosse relativo al solo giudizio di cognizione, mentre quello richiesto con il decreto ingiuntivo opposto fosse relativo alla sola fase interinale/cautelare.
Il motivo è manifestamente infondato in quanto la decisione impugnata ha evidentemente preso in esame il fatto di cui si assume l’omesso esame, avendo a pag. 6 esplicitamente rilevato che la domanda rispetto alla quale si invoca la litispendenza o la
continenza, aveva ad oggetto i compensi relativi al solo giudizio di cognizione, mentre nel presente giudizio era chiesto il corrispettivo per l’assistenza prestata limitatamente al procedimento che ineriva alla richiesta di sostituzione del custode nominato nel corso del procedimento cautelare incidentale.
La censura peraltro si risolve nell’apodittica affermazione circa l’identità delle due cause presupposte cui si riferisce la richiesta di pagamento dei professionisti, ma anticipa in ogni caso la questione relativa al preteso abusivo frazionamento del credito, sul presupposto che, pur volendo rilevare le differenze tra il giudizio relativo alla richiesta di sostituzione del custode e quella di cognizione, si imporrebbe la trattazione cumulata delle domande di liquidazione dei compensi, tema sul quale si avrà modo di tornare nel prosieguo della motivazione.
4. L’infondatezza della censura denota quindi come debba essere rigettato anche il secondo motivo di ricorso che denuncia la nullità dell’ordinanza o del procedimento per la violazione dell’art. 39 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. per aver il Tribunale erroneamente rigettato l’eccezione di litispendenza e continenza, dovendo piuttosto considerare il compenso richiesto con decreto ingiuntivo necessariamente compreso nella parcella oggetto di separato ricorso proposto dai professionisti.
Il motivo denuncia altresì l’omesso esame di un fatto storico decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. consistente negli acconti corrisposti ai professionisti per un altro giudizio. A parere del ricorrente, se il Tribunale avesse valutato tale fatto avrebbe
rilevato la sussistenza di detti pagamenti ed acconti già corrisposti, rigettando di conseguenza la domanda di pagamento. Il ricorrente lamenta, sotto tale profilo, la conseguente nullità dell’ordinanza in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. per non aver il Tribunale provveduto, alla luce di tale eccezione di intervenuto pagamento, alla separazione del giudizio o alla trasformazione del rito.
Tale seconda censura investe il mancato accoglimento dell’eccezione di compensazione, che sarà oggetto dei successivi motivi di ricorso, ma in questa sede ne va rilevata l’infondatezza in quanto, lungi dall’esserne stata omessa la disamina, l’ordinanza impugnata l’ha esaminata, ritenendola però priva di fondamento, alla luce dei documenti prodotti, ed il cui omesso esame il ricorrente lamenta, sollecitando a ben vedere una rivalutazione di merito delle prove, preclusa in questa sede.
5. Il terzo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto storico decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., consistente nella formulazione di una pretesa di pagamento da parte dei professionisti, per aver depositato una memoria di costituzione per resistere ad una istanza di sostituzione del custode in altro giudizio e rilevante ai fini dell’accoglimento dell’eccezione sull’abusivo frazionamento del credito da parte dei professionisti.
A parere del ricorrente, se il giudice di merito avesse esaminato tale fatto, non avrebbe affermato la diversità della causa petendi , dei presupposti e dei contratti di patrocinio, ma avrebbe necessariamente accolto l’eccezione.
Il quarto motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. consistente nell’avere gli odierni controricorrenti nello stesso giorno depositato due distinti ricorsi per decreto ingiuntivo relativi, entrambi, a crediti per compenso professionale afferenti agli stessi incarichi professionali della vicenda oggetto del presente giudizio.
A parere del ricorrente se il Tribunale avesse valutato tale fatto avrebbe accolto l’eccezione sull’abuso del processo.
Il quinto motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. consistente nell’esistenza di un rapporto fiduciario ultraventennale durante il quale lo studio legale dei controricorrenti sarebbe stato incaricato dal Comune di difenderlo nelle controversie giudiziarie inerenti alla vicenda Longarini -Piano di Ricostruzione di Ancona, fatto rilevante per l’accoglimento dell’eccezione sull’abuso del processo.
In particolare, a parere del ricorrente, il compenso richiesto dai professionisti, oggetto del presente giudizio, farebbe intrinsecamente parte di un unico rapporto fiduciario, essendo tutte le diverse azioni giudiziarie proposte in altra sede afferenti alla stessa vicenda giudiziaria avverso la stessa controparte.
I controricorrenti avrebbero indebitamente parcellizzato i crediti maturati all’interno di tale rapporto fiduciario, in assenza di alcun interesse oggettivo al loro frazionamento, in distinte azioni giudiziarie.
Il sesto motivo di ricorso denuncia la nullità dell’ordinanza in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. per irriducibile
contraddittorietà della motivazione, che nega che i compensi richiesti dagli avvocati avevano ad oggetto il medesimo rapporto fiduciario, fondando il rigetto dell’eccezione di abusivo frazionamento del credito, su affermazioni contrarie alle pronunce giurisprudenziali evocate dal Tribunale.
In particolare, a parere del ricorrente, il giudice di prime cure, pur richiamando correttamente la giurisprudenza di legittimità sul frazionamento del credito, avrebbe poi erroneamente affermato la diversità di soggetti e di causa petendi tra il giudizio oggetto dei compensi richiesti e le altre cause azionate in altra sede.
Il settimo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. in relazione agli artt. 2 e 111 Cost., per aver il Tribunale errato nel rigettare l’eccezione sull’abusivo frazionamento del credito sulla base dell’omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. consistente nella formulazione di una pretesa di pagamento da parte dei professionisti per aver depositato una memoria di costituzione per resistere ad una istanza di sostituzione del custode in altro giudizio.
A parere del ricorrente il giudice di prime cure avrebbe errato nel rigettare tale eccezione che sarebbe invece fondata in ragione, non solo del comportamento dei creditori contrario alla regola di correttezza e buona fede per aver aggravato ingiustificatamente la posizione del debitore, ma anche per l’evidente antinomia esistente tra la moltiplicazione dei processi ed il principio costituzionale della ragionevole durata del processo.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono manifestamente infondati.
In primo luogo deve escludersi la stessa ammissibilità della deduzione del vizio di omesso esame, atteso che i fatti decisivi, di cui sarebbe stata omessa la disamina, e cioè la sostanziale identità ed unitarietà del rapporto professionale instaurato con gli opposti, sono stati specificamente e puntualmente esaminati dal giudice di merito, che ha escluso che potesse ravvisarsi un’unitaria causa petendi alla base delle domande autonomamente azionate dagli avvocati COGNOME, avendo invece ritenuto che l’esercizio in via autonoma delle pretese creditorie si giustificasse per la diversità dei presupposti delle azioni intraprese (stante la diversità dei contratti di patrocinio di volta in volta intervenuti tra il Comune ed i difensori) e per la diversità dei soggetti coinvolti nella varie liti e per la diversa veste nella quale il Comune aveva partecipato ai diversi giudizi (così pag. 8 dell’ordinanza impugnata).
Del pari deve escludersi che ricorra la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione, in quanto la motivazione del provvedimento impugnato risulta ampiamente satisfattiva del principio del cd. minimo costituzionale della motivazione (Cass. S.U. n. 8053/2014), essendo le pretese irriducibili contraddizioni segnalate dal ricorrente piuttosto la conseguenza del dissenso della valutazione in fatto operata dal Tribunale rispetto alla diversa ricostruzione dei rapporti, ritenuta invece corretta da parte della difesa dell’ente locale.
L’ordinanza gravata peraltro ha espresso la sua decisione nella piena consapevolezza dei principi affermati da questa Corte in
tema di abusivo frazionamento del credito, quali puntualizzati in particolare da Cass. S.U. n. 4090/2017, secondo cui le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, – sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale – le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183, c.p.c., riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101, comma 2, c.p.c.
Non ignora il Collegio che la successiva giurisprudenza ha in parte ampliato le fattispecie nelle quali è dato invocare il divieto di abusivo frazionamento del credito, essendosi infatti reputato che le domande relative a diritti di credito analoghi per oggetto e per titolo, benché fondati su differenti fatti costitutivi, non possono essere proposte in giudizi diversi, quando i menzionati fatti costitutivi si inscrivano in una relazione unitaria tra le parti, anche di mero fatto, caratterizzante la concreta vicenda da cui deriva la controversia, salvo che l’attore abbia un interesse
oggettivo – il cui accertamento compete al giudice di merito – ad azionare in giudizio solo uno ovvero alcuni dei crediti sorti nell’ambito della suddetta relazione unitaria (Cass. n. 14143/2021; Cass. n. 25480/2023; Cass. S.U. n. 7299/2025).
Tuttavia, il presupposto che giustifica tale ampliamento del divieto è sempre correlato all’accertamento in concreto (e che implica evidentemente un giudizio di fatto), circa la possibilità di inserire i vari giudizi per i quali si richiede il compenso in un rapporto di carattere unitario. Nella fattispecie tale accertamento è stato operato dal giudice di merito, con motivazione logica e coerente, che ha sottolineato l’autonomia delle procure rilasciate ai controricorrenti da parte del Comune e la diversità delle varie cause patrocinate sia per le questioni affrontate sia per la diversa posizione che rivestiva il Comune nelle stesse, così che a fronte di tale accertamento viene meno a monte la stessa possibilità di invocare il principio del divieto di abusivo frazionamento del credito, e di riflesso anche la lamentata violazione delle norme in tema di buona fede contrattuale (e ciò anche alla luce del difetto di specificità dei motivi, che reiterano la tesi della sostanziale unitarietà del rapporto in cui si inserivano gli incarichi conferiti agli avvocati COGNOME senza però peritarsi di dettagliare, a fronte della contestazione delle controparti, la pretesa identità delle questioni e della posizione del Comune nei vari giudizi).
L’ottavo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. consistente nell’esistenza di acconti percepiti dagli avvocati, erroneamente non conteggiati nella delibera con la quale il Consiglio Comunale di Ancona aveva
deciso di liquidare numerose parcelle in favore dei detti professionisti, e rilevante ai fini dell’accoglimento dell’eccezione di compensazione del credito.
Secondo il ricorrente, se il giudice di merito avesse tenuto conto dell’erroneo calcolo effettuato nella delibera, avrebbe accolto l’eccezione, trattandosi di crediti che soddisfano i requisiti di omogeneità, esigibilità e liquidità.
Il nono motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1241, 1242, 1243 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per aver il Tribunale erroneamente rigettato l’eccezione di compensazione dei crediti in conseguenza dell’omesso esame di un fatto decisivo consistente nell’esistenza di acconti percepiti dagli avvocati ed erroneamente non conteggiati nella delibera di liquidazione delle parcelle.
I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono palesemente infondati.
Ed, infatti, una volta rilevato che la violazione di legge di cui al nono motivo appare conseguenza dell’erronea verifica dell’esistenza dei controcrediti del Comune da portare in compensazione dei crediti oggetto della domanda monitoria, anche in questo caso risulta dedotto l’omesso esame di un fatto che è invece stato oggetto di specifica disamina da parte del Tribunale che, come si ricava da quanto riportato a pag. 15 dell’ordinanza gravata, ha espressamente riferito di aver preso atto della delibera n. 111/2014 invocata dal Comune, ritenendo che dalla stessa nonché dalla restante documentazione versata in atti non fosse possibile accertare che effettivamente fossero state versate delle somme in eccedenza rispetto a quanto dovuto per
effetto dell’atto di riconoscimento di debiti fuori bilancio, relativamente a prestazioni professionali rese dagli avvocati COGNOME ribadendo analogo ragionamento anche alla pag. 16, in relazione alla pretesa scaturente dalla fattura n. 34 del 2014.
La doglianza si risolve nell’unilaterale convinzione del ricorrente che in realtà i documenti prodotti comproverebbero la bontà del proprio assunto.
Il motivo che difetta evidentemente del requisito di specificità di cui all’art. 366 co. 1 n. 6 c.p.c., nella parte in cui si limita solo a richiamare alcuni documenti versati in atti, senza peraltro nemmeno richiamarne per sintesi il contenuto, nella parte in cui sarebbe funzionale all’accoglimento della propria tesi difensiva, si risolve anche in questo caso in un’inammissibile contestazione all’accertamento operato dal giudice di merito, invocando peraltro, come riprova della bontà della propria tesi, una determinazione dirigenziale del 2015 (n. 2342 del 23.12.2015), con la quale unilateralmente il Comune avrebbe individuato sia l’erronea liquidazione dei compensi, sia la possibilità di portare in detrazione la somma versata in eccesso dal credito oggetto di causa.
Il decimo motivo di ricorso denuncia la nullità dell’ordinanza in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. per la violazione dell’art. 14 D. Lgs. n. 150/2011 e art. 702 bis e ss., c.p.c., per non aver il Tribunale provveduto alla conversione del rito o alla separazione dei giudizi relativi alle compensazioni eccepite, a fronte della richiesta di pagamento dei compensi contenuta nel decreto ingiuntivo opposto. In particolare, a parere del ricorrente, il giudice di merito avrebbe rigettato l’eccezione d i compensazione
ritenendola erroneamente non provata, nonostante la produzione documentale dei mandati di pagamento.
Il motivo è evidentemente destituito di fondamento, proprio alla luce dei principi affermati da Cass. S.U. n. 4485/2018 che ha ritenuto che il procedimento speciale di cui all’art. 14 del D. Lgs. n. 150/2011, oltre ad avere carattere di esclusività per tutte le controversie aventi ad oggetto la liquidazione dei compensi per prestazioni giudiziali civili, resti applicabile anche quando il cliente sollevi contestazioni relative all’esistenza del rapporto o, in genere, all'” an debeatur “.
E’ stato altresì previsto che qualora il convenuto ampli l’oggetto del giudizio con la proposizione di una domanda (riconvenzionale, di compensazione o di accertamento pregiudiziale) non esorbitante dalla competenza del giudice adito ai sensi dell’art. 14 d.lgs. cit., la trattazione di quest’ultima dovrà avvenire, ove si presti ad un’istruttoria sommaria, con il rito sommario (congiuntamente a quella proposta ex art. 14 dal professionista) e, in caso contrario, con il rito ordinario a cognizione piena (ed eventualmente con un rito speciale a cognizione piena), previa separazione delle domande.
Tuttavia, poiché nella fattispecie il Comune si è limitato solo ad eccepire la compensazione, senza proporre una autonoma domanda, la controversia deve ritenersi che resti limitata all’accertamento dell’ an debeatur , e che pertanto resti smentita la tesi del ricorrente che vorrebbe necessitata la separazione dei giudizi (dovendo in questo senso reputarsi superato il precedente orientamento, che prima della novella del 2011, riteneva che anche l’eccezione di compensazione precludesse la possibilità di
decidere la causa ai sensi dell’art. 28 della legge n. 794/1942, così Cass. n. 4133/2001).
8. L’undicesimo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3 e 5, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 191 e 194 TUEL anche in relazione all’allegato n. 4/2 D. Lgs. n. 118/2011 e agli artt. 97 e 119 Cost. per avere il Tribunale rigettato l’eccezione di legittimazione passiva del Comune per mancanza di copertura finanziaria. A parere del ricorrente, il Tribunale avrebbe dovuto accogliere l’eccezione in quanto, in assenza di un previo contratto e senza l’osservanza dei controlli contabili, il rapporto obbligatorio si sarebbe instaurato direttamente ed esclusivamente tra chi ha fornito la prestazione e l’amministratore o il funzionario inadempiente che l’ha consentita. Pertanto, ai fini del pagamento della prestazione i professionisti avrebbero dovuto rivolgersi al funzionario che, acquisendo l’impegno, non ne aveva dato copertura, difettando di conseguenza qualsiasi responsabilità del Comune.
Il motivo è inammissibile ex art. 360 bis, n. 1, c.p.c., avendo il Tribunale deciso la controversia in conformità della giurisprudenza di questa Corte, e senza che il motivo offra argomenti per indurre a rivedere il precedente orientamento.
Deve infatti ricordarsi che è stato anche di recente ribadito che non è affetta da nullità la delibera dell’ente locale che affidi l’incarico di difendere in giudizio l’ente ad un avvocato, a causa della omessa indicazione della spesa e dei mezzi per farvi fronte, perché le prescrizioni dettate dalla legge in materia riguardano solo le delibere implicanti un esborso di somme certe e definite, e non sono applicabili nel caso di spesa non determinabile al
momento della relativa assunzione (Cass. n. n. 13913/2019; Cass. n. 17056/2017; Cass. n. 21007/2019; Cass. n. 5803/2022; Cass. n. n. 26036/2024; Cass. n. 6942/2023).
9. Il dodicesimo motivo di ricorso, trasversale a tutte le parcelle liquidate dal Tribunale, denuncia la nullità dell’ordinanza e la violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, nn. 3 e 4, c.p.c. con conseguente violazione dei principi generali in tema di contestazione degli assunti avversari sul valore della lite, per aver il Tribunale erroneamente ritenuto non contestata la determinazione dello scaglione utilizzato come parametro per liquidare il compenso degli avvocati controricorrenti. Secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe dovuto controllare d’ufficio l’esattezza dello scaglione applicato e determinare quello applicabile secondo le regole di diritto.
Il motivo è infondato.
Infatti, deve reputarsi che il principio di non contestazione ben possa operare anche in relazione all’individuazione del valore della lite nelle controversie di liquidazione dei compensi professionali, e ciò nel caso in cui il cliente non contesti l’importo sulla scorta del quale il professionista ha individuato lo scaglione di calcolo.
Va poi evidenziato, come si avrà modo anche di chiarire in occasione della disamina dei successivi motivi di ricorso, che il Tribunale, nel caso in cui era posto in dubbio l’effettivo valore della causa presupposta, non ha mancato di procedere autonomamente alla sua verifica.
Il tredicesimo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. consistente nella necessità di riduzione del 30% relativamente alla parcella n. 32 del 6 maggio 2015 (Comune di Ancona/RAGIONE_SOCIALE). Su tale punto, secondo il ricorrente, il giudice di prime cure avrebbe omesso qualsiasi analisi e conseguente motivazione in quanto, se avesse valutato tale riduzione e così computato detta somma anticipata per il suo effettivo valore figurativo, quale maggiore acconto inclusivo dello sconto concordato, la somma finale riconoscibile ai professionisti, sarebbe stata inevitabilmente minore di quanto disposto nel decreto ingiuntivo.
Il motivo, che a sua volta si risolve in un’inammissibile censura di merito, oltre che difettare del requisito di specificità, omettendo di riportare sia pure per sintesi il contenuto degli atti sui quali si fonda (pretesa riduzione unilaterale dei compensi da parte dei professionisti), non tiene conto del fatto che la parcella n. 32 del 6/5/2015 non rientra tra quelle che sarebbero state elencate nella delibera n. 111/2014, e quindi esulerebbe dal novero di quelle per le quali sarebbe stato accordato uno sconto nella misura del 30%.
Il quattordicesimo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 e 4, c.p.c., la nullità dell’ordinanza e la violazione ed errata applicazione dell’art. 115 c.p.c., nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 c.p.c., 4 e 5, D.M. n. 55/2014, per aver il Tribunale erroneamente ritenuto non contestata la determinazione dello scaglione utilizzato come parametro dai controricorrenti per la liquidazione del compenso.
A parere del ricorrente, il giudice di prime cure, nel liquidare la maggior somma richiesta, avrebbe omesso di valutare, quale idonea contestazione del quantum debeatur della parcella n. 32, la somma offerta dal ricorrente.
Il motivo è manifestamente infondato, in quanto non si avvede che il Tribunale, nell’individuare il valore della causa, ai fini della corretta indicazione dello scaglione di calcolo, alla pag. 12, oltre a richiamare il principio di non contestazione, evidenzia che la causa era pacificamente ad oggetto indeterminabile, avendo quindi compiuto un’autonoma valutazione circa il reale oggetto del contendere.
Il quindicesimo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 4, e 5, D.M. n. 55/2014 in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per aver il Tribunale erroneamente frazionato, con riferimento alla soprarichiamata parcella n. 32, la tariffa mediante riconoscimento di un valore della lite eccessivo rispetto a quello effettivo della causa per la quale era stato richiesto il compenso. In particolare, secondo il ricorrente, il giudice di merito avrebbe erroneamente applicato le norme relative alle parcelle forensi in quanto avrebbe effettuato una duplicazione della voce ‘studio controversia’ da riferirsi rispettivamente alla fase di sospensione dell’esecuzione della sentenza ex art. 373 c.p.c. e al ricorso in cassazione, nonostante la stessa debba considerarsi una voce unica e non ripetibile nell’ambito di un singolo processo.
Il motivo è manifestamente infondato, in quanto si fonda sulla pretesa che richiedere il compenso anche per la fase di inibitoria svoltasi dinanzi alla Corte d’Appello, in aggiunta al compenso
richiesto per la proposizione del ricorso per cassazione, sarebbe un’indebita duplicazione, senza però confrontarsi con la costante giurisprudenza di questa Corte che ritiene che per la fase di cui all’art. 373 c.p.c. spetti alla parte un autonomo compenso che ben può essere liquidato anche dalla Corte all’esito del giudizio di legittimità, conclusione questa che presuppone evidentemente l’autonomia delle attività espletate nell’una e nell’altra sede (cfr. Cass. n. 29567/2024; Cass. n. 36966/2018; Cass. n. 19544/2015).
13. Il sedicesimo motivo di ricorso denuncia la nullità dell’ordinanza e la violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, nn. 3 e 4, c.p.c. con conseguente violazione e falsa applicazione dei principi generali in tema di contestazione degli assunti avversari sul valore della lite, per aver il Tribunale erroneamente ritenuto non contestata la determinazione dello scaglione utilizzato come parametro per liquidare il compenso degli avvocati controricorrenti.
Secondo il ricorrente il giudice di prime cure avrebbe erroneamente considerato, quale mera contestazione generica del quantum debeatur , la proposta di liquidazione offerta dal ricorrente.
Il motivo di ricorso denuncia altresì la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 4 e 5, D.M. n. 55/2014 in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per aver il Tribunale effettuato una duplicazione della parcella con riferimento all’istanza di sospensione dell’esecuzione della sentenza di primo grado e del giudizio di merito. Il Tribunale, nel liquidare la parcella, avrebbe,
a parere del ricorrente, duplicato le voci della fase istruttoria e decisionale.
In via subordinata il ricorrente con tale motivo lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5, D.M. n. 55/2014 in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per insussistenza dei presupposti normativi per la liquidazione degli onorari massimi. Secondo il ricorrente, il giudice di prime cure, erroneamente e senza alcun richiamo ai parametri normativi vigenti, avrebbe applicato alla parcella riferita al giudizio di merito i valori tariffari massimi, nonostante la contestazione effettuata dal ricorrente della duplicazione delle parcelle, del valore della causa e dei parametri tariffari che al più avrebbero potuto essere quelli medi. Il motivo è fondato quanto alla denuncia che si sarebbe proceduto ad una duplicazione dei compensi, liquidando in aggiunta a quelli per il giudizio di appello, autonomamente quelli per la fase inibitoria ex art. 283 c.p.c.
Questa Corte ha però affermato che l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva o dell’esecuzione della sentenza impugnata, formulata ai sensi dell’art. 283 cod. proc. civ., mette capo ad un subprocedimento incidentale, privo di autonomia rispetto al giudizio di merito, sicché la regolamentazione delle spese ad esso relative deve essere disposta, al pari di quella concernente le spese del procedimento principale, con il provvedimento che chiude quest’ultimo, tenendo conto del suo esito complessivo (Cass. n. 2671/2013).
Si palesa pertanto erronea la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto di liquidare autonomamente i compensi agli
avvocati COGNOME per la richiesta di sospensione dell’efficacia esecutiva ex art. 283 c.p.c.
La stessa deve pertanto essere cassata, con rinvio al Tribunale di Ancona, affinché, in relazione alla causa Comune di Ancona Barone iscritta al n. 302/2008 RGAC della Corte d’Appello di Ancona, provveda alla liquidazione dei compensi, conformemente a quanto sopra prescritto.
Restano assorbite le altre censure che investono le modalità di liquidazione, quanto all’opzione per i valori massimi
14. Con il diciassettesimo motivo il ricorrente solleva -in via subordinata all’applicazione al caso di specie dell’orientamento giurisprudenziale sull’insindacabilità in sede di legittimità delle statuizioni del giudice di merito relative alla liquidazione degli onorari -l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 14 D. LGS. n. 150/2011 per violazione del principio di uguaglianza ex artt. 2 e 111 Cost. anche in relazione all’art. 13 CEDU laddove la stessa norma, impedendo il ricorso in appello, si risolverebbe di fatto in un giudizio in unico grado, andando così a costruire un unicum che priverebbe il ricorrente della propria legittima facoltà di difesa.
Il motivo è manifestamente infondato.
La questione posta è già stata esaminata e reputata manifestamente infondata dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. n. 238/1976.
In tale pronuncia è stato evidenziato che, secondo l’orientamento della giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 22 del 1973, con cui sono state dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 28, 29 e 30 della legge n. 794 del 1942
sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24, comma secondo, della Costituzione) il procedimento speciale de quo (oggi trasfuso nell’art. 14 del D. Lgs. n. 150/2011) è previsto per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti spettanti ad avvocati e procuratori per prestazioni giudiziali in materia civile, e per l’esame e la decisione delle opposizioni proposte a norma dell’art. 645 del codice di procedura civile contro decreti ingiuntivi emessi per i detti crediti, e sempre che da parte del convenuto o dell’opponente non venga contestata l’esistenza del rapporto di patrocinio; in tale procedimento vanno osservate le comuni norme circa l’onere della domanda e della prova, a cui rigorosamente è correlato l’esercizio della potestà giurisdizionale sotto il profilo istruttorio e quello decisorio; nello stesso procedimento, di indubbia natura contenziosa, sono ammissibili le indagini volte all’accertamento dei fatti dedotti dalle parti e le prove, in particolare quelle orali, per interrogatorio formale e per testimoni e il tutto da svolgersi nelle forme compatibili con la natura camerale del procedimento, ed ovviamente in attuazione del principio generale della idoneità degli atti processuali al raggiungimento del loro scopo; ed infine delle ragioni addotte dalle parti e delle risultanze istruttorie il giudice necessariamente tiene conto nel decidere la controversia e su di esse ha l’obbligo di motivare, in modo succinto ma esauriente, nel provvedimento conclusivo.
Non sussistono pertanto le asserite violazioni degli artt. 3 e 24 della Costituzione perché il relativo trattamento a favore dei professionisti legali, è previsto solo per un determinato e limitato settore del contenzioso tra professionista e cliente, e per
questioni, che, essendo relative a prestazioni giudiziali in materia civile e di solito semplici, possono essere decise dal giudice con facilità, e quindi non appare arbitrario né irrazionale che tale trattamento non sia stato esteso a tutti i professionisti di cui all’art. 633 del codice di procedura civile; perché è di conseguenza (e d’altronde manca la tutela costituzionale del doppio grado di giurisdizione) che il procedimento si esaurisca in unico grado.
Alla giurisprudenza costituzionale ha poi successivamente mostrato di aderire anche questa Corte che ha affermato che nella disciplina de qua, che prevede una deroga al principio del doppio grado di giurisdizione, non sussistono profili di illegittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 34, secondo comma, Cost., avuto riguardo al fatto che la Corte Costituzionale, con le sentenze n. 22 del 1973 e n. 238 del 1976, ha già dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 28, 29 e 30 della citata legge n. 794 del 1942, in riferimento ai medesimi parametri, sul rilievo che la non impugnabilità del provvedimento conclusivo del procedimento per la liquidazione delle prestazioni giudiziali in materia civile rese dagli avvocati è stata razionalmente intesa negli stretti limiti della non appellabilità del medesimo provvedimento in quanto emanato nell’ambito della materia della liquidazione, e che detto regime, pur escludendo il doppio grado di cognizione di merito – peraltro non riconosciuto dalla Costituzione quale necessaria garanzia del diritto di difesa -, assicura comunque il valido esercizio di tale diritto attraverso la esperibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost. (Cass. n. 10190/2000; Cass. n. 6225/2010).
Atteso il parziale accoglimento del ricorso, l’ordinanza deve essere cassata con rinvio al Tribunale di Ancona in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Non sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, co. 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del TU di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P. Q. M.
La Corte accoglie il sedicesimo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, e, rigettati gli altri motivi, cassa l’ordinanza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Ancona, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda