Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 14772 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 14772 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 29992-2021 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
I.T.L. -ISPETTORATO RAGIONE_SOCIALE DI CATANZARO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 654/2021 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 19/05/2021 R.G.N. 651/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/03/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Oggetto
Sanzioni amministrative
R.G.N. 29992/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 05/03/2025
CC
RILEVATO CHE
Con ordinanza n. 28 del 2012 l’Ispettorato del Lavoro di Catanzaro ingiungeva a NOME COGNOME, in proprio e quale titolare dell’omonima impresa individuale, il pagamento di euro 65.925,00, a titolo di sanzione amministrativa, per avere omesso di comunic are, nei termini previsti, l’avvenuta assunzione di diciotto braccianti agricoli nonché la mancata consegna ai dipendenti della dichiarazione di assunzione contenente i dati di registrazione nel libro matricola dell’azienda, di cui agli artt. 1 e 9 bis co. 3 della legge n. 608/1996.
Impugnato il provvedimento, il Tribunale di Lamezia Terme accoglieva l’opposizione e, per l’effetto, annullava l’ordinanza -ingiunzione.
La Corte di appello di Catanzaro, con la sentenza n. 654/2021, in riforma della gravata pronuncia, rigettava invece l’opposizione originaria proposta dal COGNOME, condannandolo anche al pagamento delle spese di lite.
I giudici di seconde cure rilevavano che, a fronte della prova dell’Amministrazione circa l’inadempimento commesso dal datore di lavoro, il COGNOME aveva allegato di avere adempiuto tardivamente agli obblighi connessi all’instaurazione del rapporto avendovi provveduto lo stesso giorno dell’assunzione e non quello antecedente all’assunzione medesima: ciò perché si erano verificati motivi di urgenza imputabili a forza maggiore rappresentati dalla esigenza di effettuare il più presto possibile il raccolto delle cipolle che rischiavano di marcire nei campi a causa delle incessanti piogge cadute nei giorni precedenti; ritenevano, però, che l’originario opponente non aveva dimostrato che si verteva in una ipotesi di cd. forza maggiore perché dalla stessa
prospettazione dei fatti e dalle prove raccolte la fattispecie concreta andava inquadrata in un caso di ‘urgenza per esigenze produttive’ che comunque richiedeva una prima informazione sintetica agli Uffici competenti che dal COGNOME non era stata inoltrata.
Avverso tale decisione NOME COGNOME in proprio e nella qualità sopra indicata, proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui resisteva con controricorso l’ITL di Catanzaro.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 9 bis co. 2 D.l. n. 510 del 1996, conv. in legge n. 608 del 1996, in relazione all’art. 3 legge n. 689 del 1981 e all’art. 45 cpc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc; si sostiene che la sentenza impugnata non aveva tenuto ben presente la distinzione tra l’urgenza connessa ad esigenze produttive, che richiedeva pur sempre la comunicazione semplificata nel giorno antecedente all’assunzione, e la causa di forza maggiore che esonera va il datore di lavoro da detta comunicazione; si deduce che quest’ultima ipotesi era riscontrabile nel caso in esame stante la necessità improcrastinabile di dovere assumere il personale all’alba di quello stesso giorno e di non potere rimandare l’assunzi one al giorno dopo per non sprecare quel limitato intervallo di tempo sereno; si evidenzia, quindi, un errore di sussunzione operato dalla Corte territoriale.
Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 co. 3 del D.l. n. 12 del 2002 per
mancata applicazione della disposizione speciale che regola il caso di regolarizzazione spontanea ma tardiva, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per non avere considerato la Corte territoriale la norma sopra citata nella sua interezza (cioè anche il comma secondo) che prevedeva, in ipotesi di adempimento spontaneo della regolarizzazione (come era avvenuto nel caso in esame), un importo della sanzione diverso e di minore entità per ogni lavoratore, rispetto a quello indicato nel provvedimento.
Con il terzo motivo si obietta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 412 e 437 cpc, per avere la Corte di appello omesso di pronunciarsi sul motivo di opposizione, riproposto in sede di appello, relativo alla dedotta mancanza dell’elemento so ggettivo in capo al COGNOME, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 cpc.
Il primo motivo non è fondato.
Preliminarmente è opportuno precisare che, in tema di sanzioni amministrative, il caso fortuito e la forza maggiore, pur non essendo espressamente menzionati dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, debbono ritenersi implicitamente inclusi nella previsione dell’art. 3 di essa ed escludono la responsabilità dell’agente. La relativa nozione va desunta all’art. 45 cod. pen., rimanendo integrata con il concorso dell’imprevedibilità ed inevitabilità da accertare positivamente mediante specifica indagine (Cass. n. 10343/2010).
Ciò premesso, osserva il Collegio che la Corte distrettuale ha ben individuato le differenze tra le fattispecie di ‘causa per forza maggiore’, identificata nel concetto di situazione ‘inevitabile’ e l’ ‘urgenza per esigenze produttive’, ravvisata
in una condizione che comunque consentiva la comunicazione sintetica preventiva alle Autorità competenti.
Con un corretto e condivisibile procedimento di sussunzione i giudici di seconde cure hanno, poi, ravvisato, nella situazione di una necessità di un raccolto delle cipolle che rischiavano di marcire nei campi a causa delle incessanti piogge cadute nei giorni precedenti, al limite una ipotesi di ‘urgenza per esigenze produttive’ perché, come emerso a seguito di un accertamento di merito adeguatamente motivato, i testi escussi non avevano rappresentato una situazione di inevitabilità e poi perché effettivamente il rischio che i prodotti agricoli potessero marcire a causa della pioggia imperversante da giorni (o che potessero essere raccolti in un intervallo di tempo sereno) non integrava gli estremi dell’evento straordinario che il datore di lavoro non avrebbe potuto prevedere con l’ordinaria diligenza e che solo avrebbe giustificato la comunicazione contestuale o successiva alla assunzione.
In altri termini, non è ravvisabile, nel fatto sopra indicato, un avvenimento imponderabile che avrebbe potuto annullare la signoria del soggetto sui propri comportamenti, elidendo il requisito della coscienza e volontarietà della condotta.
Il secondo motivo è inammissibile.
In primo luogo, va osservato che la questione oggetto del motivo non è stata affrontata dalla impugnata pronuncia ed il ricorrente non ha specificato il ‘come’, il ‘dove’ ed il ‘quando’ la abbia sottoposto ai giudici del merito negli esatti termini in cui è stata prospettata in questa sede.
In secondo luogo, deve rilevarsi che la censura difetta di specificità in quanto non è stato precisato il pregiudizio concretamente patito (prevedendo le sanzioni, nel quantum ,
comunque un minimo ed un massimo) dal Ferraro a seguito del diverso importo della sanzione invocata, essendosi limitato a dedurre unicamente una violazione di legge ‘macroscopica’.
Il terzo motivo, infine, è anche esso infondato.
Il principio posto dall’art. 3 della legge 24 novembre 1981 n. 689, secondo cui, per le violazioni colpite da sanzione amministrativa, è richiesta la coscienza e volontà della condotta attiva o omissiva sia essa dolosa o colposa, deve essere inteso nel senso della sufficienza dei suddetti estremi, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, atteso che la norma pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, riservando poi a questi l’onere di provare di aver agito senza colpa (Cass. n. 11473/1997).
Orbene, nella fattispecie in esame, la Corte di merito non è incorsa in alcun vizio di omessa pronuncia sull’elemento soggettivo dell’illecito amministrativo avendo sottolineato che il datore di lavoro avrebbe potuto prevedere, con l’ordinaria diligenza, l’effettiva consistenza della situazione e, quindi, adempiere alle comunicazioni di legge.
Va poi ribadito che, in tema di illecito amministrativo, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 689 del 1981, ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa, mentre l’errore sul fatto esclude la responsabilità dell’agente solo quando non è determinato da sua colpa; ne consegue che la norma limita la rilevanza della causa di esclusione alle sole ipotesi in cui l’errore sul fatto sia dovuto a caso fortuito o forza maggiore:
ipotesi, questa, come detto, correttamente esclusa dalla Corte territoriale.
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 marzo 2025