Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14385 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 14385 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/05/2024
SENTENZA
sul ricorso 489 -2018 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO dal quale è rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
NOME, quale titolare di RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO (studio COGNOME) , rappresentato e difeso
dall’AVV_NOTAIO , giusta procura in calce al controricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1083/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE, pubblicata il 19/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7/11/2023 dal consigliere COGNOME;
sentite le conclusioni del P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; lette le memorie delle parti.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex 702 bis cod. proc. civ. del 20 gennaio 2011, NOME COGNOME, quale titolare di RAGIONE_SOCIALE, convenne in giudizio dinnanzi al Tribunale di Brindisi, sez. di Mesagne, AVV_NOTAIO per sentirlo condannare al pagamento della somma di Euro 33.307,20, oltre interessi, a titolo di saldo del corrispettivo dovuto per lavori commissionati con contratto del gennaio 2010 – e ormai eseguiti -, stabilito in complessivi Euro 79.307,20 IVA compresa e di cui Euro 46.000 erano stati già versati.
Nella contumacia di COGNOME, il Tribunale di Brindisi sez. di Mesagne, con ordinanza del 17 luglio 2012, accolse la domanda, condannando NOME COGNOME al pagamento della somma di Euro 20.089,34 oltre interessi e alle spese di lite.
RAGIONE_SOCIALE propose appello, rappresentando che l’importo ancora dovuto era stato calcolato decurtando dal prezzo pattuito le somme corrisposte non al netto, ma comprensive di IVA.
Con appello incidentale, COGNOME eccepì preliminarmente, per quel che qui ancora rileva, l’incompetenza per territorio del giudice adito per
operatività del foro del consumatore e il difetto di prova dei fatti posti a fondamento della domanda.
Con sentenza n.1083 del 2017, la Corte d’appello di Lecce, rigettato l’appello incidentale di NOME COGNOME, accolse l’appello principale di RAGIONE_SOCIALE e in parziale riforma dell’ordinanza impugnata rideterminò nella maggior somma l’importo dov uto.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, affidandolo a due motivi a cui RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
La causa, rimessa dalla Sesta sezione alla trattazione in pubblica udienza in mancanza di evidenza decisoria, è stata rinviata a nuovo ruolo, in accoglimento della richiesta formulata sul punto dal ricorrente nelle sue memorie ex art. 378 cod. proc. civ. del 20 settembre 2020, in attesa della decisione della Corte costituzionale sulla questione di legittimità costituzionale delle norme del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, convertito con modificazioni nella legge 9 agosto 2013 n. 98, conferenti al «giudice ausiliario» lo status di componente dei collegi nelle sezioni in cui è articolata la Corte d’appello, considerato che estensore della sentenza impugnata è stato un Giudice ausiliario.
Quindi, dichiarata dalla Corte Costituzionale, in data 17/03/2021, con sentenza n. 41, l’incostituzionalità degli art. 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71 e 72 d.l. 21 giugno 2013 n. 69, conv., con modificazioni, in l. 9 agosto 2013 n. 98, nella parte in cui non prevedono che l’attribuzione dello status di componenti dei collegi delle sezioni della Corte d’appello ai giudici ausiliari si applichi fino a quando non sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dall’art. 32 d.lg. 13 luglio 2017 n. 116 (31 ottobre 2025), è stata fissata, in data odierna, nuova pubblica udienza per la trattazione del ricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente può escludersi che la dichiarazione di incostituzionalità delle norme del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, convertito con modificazioni nella legge 9 agosto 2013 n. 98, conferenti al «giudice ausiliario» lo status di componente dei collegi nelle sezioni in cui è articolata la Corte d’appello nei limiti in cui è stata resa, rilevi nel presente giudizio.
Con il primo motivo, articolato in riferimento ai n. 2 e 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., COGNOME ha lamentato la violazione dell’art. 33, comma 2 lett. u del d.lgs. 206/2005, per avere la Corte escluso la possibilità di sollevare la violazione del foro del consumatore in grado di appello, quando la questione non sia stata tempestivamente rilevata in primo grado.
1.1. Il motivo è infondato.
Il presente giudizio è stato instaurato dopo il 4 luglio 2009, cioè dopo la modifica dell’art. 38 cod. proc. civ. operata dall’art. 45 della legge n. 69 del 2009: il regime di rilevazione della incompetenza per il convenuto, pertanto, con riferimento a qualsiasi specie di competenza e, dunque, anche a quella territoriale inderogabile qual è quella del consumatore ex art. 152 del d.lgs. n. 196 del 2003, era quello indicato dall’art. 38, comma 1 novellato, secondo cui il convenuto ha l’onere di eccepire qualsiasi specie di incompetenza a pena di decadenza, nella comparsa di costituzione tempestivamente depositata, cioè nella comparsa depositata nel termine di cui all’art. 166 cod. proc. civ. e il Giudice ha potere di rilevare d’ufficio l’incompetenza per mater ia, quella per valore e quella per territorio nei casi previsti dall’articolo 28 cod. proc. civ. non oltre l’udienza di cui all’articolo 183 cod. proc. civ..
La questione ha, infatti, natura assolutamente pregiudiziale, sicché è certamente preclusa una volta che non sia stata sollevata nei
termini fissati dall’art. 38 cod. proc. civ.: in conseguenza, qualora come nella specie – il convenuto sia rimasto contumace in primo grado, senza che l’incompetenza sia stata perciò eccepita né rilevata dal giudice, la questione di competenza non può più essere sollevata in sede di gravame se, come nella specie, la dichiarazione di contumacia, pure posta con l’appello incidentale, risulti ritualmente pronunciata (cfr. Cass. Sez. 6 – 2 n. 11128 del 20/05/2014; Sez. 6 – 3 n. 6734 del 2018, Sez. 6 – 3 n. 12981 del 30/06/2020; Sez. 6 – 3 n. 14170 del 24/05/2019).
D’altro canto, neppure può essere oggetto di impugnazione il mancato rilievo: l’esercizio del rilievo cd. «di rito» ex art. 38 cod. proc. civ. è stato, infatti, ancorato a precisi limiti temporali perché il legislatore ha «prevalutato » e comparato la rilevanza del fatto che avrebbe dovuto esserne oggetto (nella specie, il foro inderogabile a tutela del consumatore) con altre esigenze, quali la celerità, l’economia, la stabilità dei rapporti processuali, ritenendo prevalenti queste ultime; in tali ipotesi, allora, l’unica «sanzione» processuale prevista per l’inottemperanza al dovere di rilievo è l’impossibilità di esercizio di esso oltre il termine stabilito, e, perciò, in ultima analisi, «l’indifferenza» al fatto stesso se non rilevato tempestivamente; pertanto, deve escludersi possa essere oggetto di censura, in sede di impugnazione, l’inottemperanza del Giudice al suddetto dovere di rilievo officioso che risulti limitato nel tempo perché prima ancora la parte interessata avrebbe potuto sollevare la questione nel termine a lei assegnato o sollecitarne l’esame del Giudice nel termine prescritto (cfr. Cass. Sez. L, n. 7119 del 16/05/2002).
Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 3 e al n. 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha prospettato con un primo profilo la violazione dell’art. 115 e 116 cod. proc. civ. per non avere la Corte adeguatamente valutato le prove, sebbene il motivo
di appello avesse ad oggetto proprio il difetto di prova dell’esatto adempimento da parte del COGNOME e, con un secondo profilo, ha ricondotto la medesima questione all’omesso esame di fatto decisivo.
2. Il motivo è inammissibile per più ragioni.
In riferimento alla lamentata violazione, ex n. 3. degli art. 115 e 116 cod. proc. civ., devono richiamarsi i principi consolidati secondo cui per dedurre in sede di legittimità la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 cod. proc. civ..
La doglianza, invece, di violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile soltanto ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., soltanto nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di
legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. U., n. 20867 del 30/09/2020.
Anche la censura ex n. 5, per omesso esame di fatto decisivo è, tuttavia, inammissibile nella fattispecie.
In disparte la preclusione ex art. 348 ter IV comma cod. proc. civ. nella formulazione precedente l’abrogazione operata dall’art. 3, comma 26, lett. e), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, trattandosi di pronuncia che ha confermato -secondo la stessa prospettazione del ricorrente – la motivazione di accoglimento del primo Giudice, pur riconoscendo una somma superiore (Cass. Sez. 3, n. 5947 del 28/02/2023), deve considerarsi che il n. 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012, prevede l’«omesso esame» come riferito ad «un fatto decisivo per il giudizio» ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a «questioni» o «argomentazioni» che, pertanto, risultano irrilevanti (Cass. Sez. 6 – 1, n. 2268 del 26/01/2022; il ricorrente, invece, ha inammissibilmente lamentato, con il mezzo così formulato, che la Corte territoriale non abbia adeguatamente valutato le sue argomentazioni sulla mancata prova dell’esecuzione dei lavori.
Il ricorso è perciò, respinto, con conseguente condanna del ricorrente COGNOME al rimborso delle spese processuali in favore di NOME COGNOME, liquidate in dispositivo in relazione al valore della causa.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna COGNOME al pagamento, in favore di NOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda