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Forma scritta contratti PA: la Cassazione decide

Una società fornitrice di dispositivi medici ha citato in giudizio un’azienda sanitaria per interessi di mora. La Corte d’Appello ha respinto la domanda, ritenendo nullo il contratto per difetto della forma scritta contratti PA prevista dal Codice Appalti del 2006. La Cassazione ha annullato la decisione, rilevando che il giudice avrebbe dovuto prima verificare la data dei contratti: se anteriori al 2006, si sarebbe dovuta applicare una normativa precedente meno restrittiva. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Contratti con la Pubblica Amministrazione: La Forma Scritta e la Legge Applicabile nel Tempo

L’ordinanza della Corte di Cassazione in commento affronta un tema cruciale nei rapporti tra imprese e Pubblica Amministrazione: la validità dei contratti di fornitura e, in particolare, il requisito della forma scritta contratti PA. La vicenda, nata da una richiesta di pagamento di interessi per ritardato pagamento, si è trasformata in una questione di diritto intertemporale, ossia di quale legge applicare a contratti stipulati a cavallo di importanti riforme normative, come l’entrata in vigore del Codice dei Contratti Pubblici del 2006. Questa pronuncia chiarisce un principio fondamentale: prima di dichiarare nullo un contratto con un ente pubblico per vizi di forma, è indispensabile accertare quale fosse la disciplina vigente al momento della sua stipulazione.

I Fatti di Causa

Una società specializzata nella fornitura di dispositivi medici aveva effettuato numerose consegne a un’Azienda Sanitaria Locale. Quest’ultima, pur saldando il capitale dovuto per le forniture, aveva pagato le fatture con notevole ritardo. La società fornitrice, di conseguenza, ha agito in giudizio per ottenere il pagamento degli interessi di mora accumulati, quantificati in oltre 385.000 euro.

La Decisione della Corte d’Appello

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello hanno rigettato la domanda della società. La motivazione della Corte territoriale si basava su un punto dirimente: il contratto di fornitura era da considerarsi nullo per la mancanza della forma scritta, un requisito imposto dall’art. 11, comma 13, del D.Lgs. 163/2006 (il vecchio Codice dei Contratti Pubblici). Secondo i giudici d’appello, questa nullità, rilevabile anche d’ufficio, impediva di poter avanzare pretese basate sul contratto, inclusa quella relativa agli interessi di mora.

Il Ricorso in Cassazione e la forma scritta contratti PA

La società fornitrice ha impugnato la sentenza d’appello davanti alla Corte di Cassazione, sollevando due motivi principali. Con il primo, ha denunciato l’errata applicazione della legge. La società ha sostenuto che la Corte d’Appello avesse applicato il Codice del 2006 a contratti e affidamenti che, in realtà, erano stati perfezionati prima della sua entrata in vigore (1° luglio 2006). Pertanto, la normativa corretta da applicare sarebbe dovuta essere quella precedente, contenuta nel R.D. 2440/1923, la quale prevedeva regole meno rigide sulla forma scritta contratti PA. In particolare, l’art. 16 di tale decreto stabiliva che i verbali di aggiudicazione definitiva, a seguito di gare, equivalgono a tutti gli effetti al contratto, soddisfacendo così il requisito formale. Con il secondo motivo, la ricorrente contestava l’interpretazione restrittiva della nozione di ‘transazione commerciale’ ai sensi del D.Lgs. 231/2002, sostenendo che gli interessi di mora fossero comunque dovuti per il solo fatto del ritardato pagamento di un debito commerciale, a prescindere dalla validità formale del contratto sottostante.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il primo motivo di ricorso, ritenendolo fondato e assorbendo il secondo. Il cuore della decisione risiede nel principio del tempus regit actum, secondo cui la validità di un atto giuridico deve essere valutata alla luce della legge in vigore al momento del suo compimento. La Suprema Corte ha duramente criticato la Corte d’Appello per aver omesso un accertamento di fatto cruciale: la data di stipulazione dei contratti di fornitura. La ricorrente aveva allegato che le forniture derivavano da aggiudicazioni antecedenti al 1° luglio 2006. Se ciò fosse stato verificato e confermato, la disciplina applicabile non sarebbe stata quella del D.Lgs. 163/2006, bensì quella del R.D. 2440/1923.

Secondo la Cassazione, tale omissione ha reso la motivazione della sentenza d’appello ‘meramente apparente’ e carente, poiché basata su un presupposto normativo non verificato. Il giudice di merito non può applicare una normativa successiva senza prima essersi accertato che i fatti di causa non ricadano sotto l’imperio della legge precedente. Di conseguenza, la Corte ha cassato la sentenza impugnata.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

La decisione riafferma un principio di fondamentale importanza: l’applicazione di una norma dipende dal suo ambito temporale. I giudici di merito hanno il dovere di accertare in modo puntuale i fatti storici, come la data di un contratto, prima di applicare una determinata disciplina giuridica, specialmente in un settore, come quello dei contratti pubblici, caratterizzato da frequenti evoluzioni normative. Per le imprese che operano con la Pubblica Amministrazione, questa ordinanza rappresenta una tutela: la validità dei loro contratti non può essere messa in discussione sulla base di leggi successive. Il caso è stato rinviato alla Corte d’Appello di Salerno, in diversa composizione, che dovrà ora riesaminare la vicenda, partendo dalla corretta individuazione della legge applicabile ratione temporis per valutare la validità della forma scritta contratti PA.

Perché la Corte d’Appello aveva inizialmente respinto la richiesta di pagamento degli interessi?
La Corte d’Appello aveva ritenuto che il contratto di fornitura fosse nullo per mancanza della forma scritta richiesta dal Codice dei Contratti Pubblici del 2006 (D.Lgs. 163/2006), e che tale nullità impedisse di riconoscere qualsiasi pretesa basata su di esso, inclusa quella per gli interessi di mora.

Qual è stato l’errore principale commesso dalla Corte d’Appello secondo la Cassazione?
L’errore principale è stato applicare la normativa del 2006 senza prima verificare la data effettiva in cui erano stati stipulati i contratti. La Cassazione ha stabilito che, se i contratti fossero stati precedenti all’entrata in vigore del Codice del 2006, si sarebbe dovuta applicare la legge precedente (R.D. 2440/1923), che prevedeva requisiti di forma meno stringenti.

La decisione della Cassazione implica che gli interessi sono dovuti?
No, la Cassazione non ha deciso nel merito se gli interessi siano dovuti. Ha annullato la sentenza precedente per un errore di diritto e ha rinviato la causa alla Corte d’Appello. Sarà quest’ultima a dover decidere di nuovo, dopo aver applicato la corretta normativa per verificare la validità del contratto e, di conseguenza, il diritto agli interessi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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