Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 17987 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 17987 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/07/2025
Oggetto
Obbligazioni -Nascenti dalla legge -Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso -Requisiti di accesso
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 30885/2021 R.G. proposto da COGNOME NOME, NOMECOGNOME NOME e NOME, rappresentate e difese dall’Avv. NOME COGNOME domiciliato digitalmente ex lege ;
-ricorrenti –
contro
Ministero dell’Interno , Ufficio per le attività del commissario per il coordinamento delle iniziative di solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato digitalmente ex lege ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania , n. 971/2021, pubblicata il 6 maggio 2021.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 27 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udito l’Avvocato NOME COGNOME
udito l’Avvocato dello Stato NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso riportandosi alla memoria depositata.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Catania, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato le domanda con cui NOME COGNOME nonché NOME, NOME e NOME COGNOME rispettivamente moglie e figlie di NOME COGNOME, avevano chiesto il riconoscimento del proprio diritto di accesso al Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime di tipo mafioso in relazione alle somme riconosciute in loro favore dalle sentenze nn. 19/12 e 777/13 del Tribunale di Ragusa.
Ha infatti ritenuto che il congiunto fosse inserito in ambienti malavitosi ed il delitto maturato nell’ambito di una «guerra fra clan» .
In iure , passate in rapida rassegna le fonti normative rilevanti e richiamato il precedente di Cass. 08/11/2019, n. 28820, ha osservato che il requisito della estraneità agli ambienti malavitosi sussiste ininterrottamente sin dall’entrata in vigore della
legge n. 302 del 1990, e nelle successive disposizioni relative alla materia in esame, ben prima dell’entrata in vigore della legge n. 122 del 2016.
Ha peraltro evidenziato che il caso in questione rientra a pieno titolo nella norma transitoria di cui alla legge n. 122 del 2016, art. 15, comma 3 (a mente della quale « la disposizione di cui al comma 1, lettera c), si applica alle istanze non ancora definite alla data di entrata in vigore della presente legge »), dato che, seppure la domanda amministrativa avanzata dai familiari di NOME COGNOME è stata respinta con delibera del 2012, il procedimento di primo grado è iniziato dopo l’entrata in vigore della l. n. 122 del 2016 e la pronuncia di accoglimento emessa dal Tribunale non è passata in giudicato per effetto della odierna impugnazione.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME nonché NOME NOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui resiste il Ministero dell’Interno depositando controricorso.
La trattazione venne fissata per l’adunanza camerale del 18 febbraio 2025, in vista della quale parte ricorrente depositava memoria.
Con decreto del Presidente Titolare del 6 febbraio 2025 il ricorso fu tolto dal ruolo per essere rifissato unitamente ad altri ricorsi concernenti controversie similari, due fissati in udienza pubblica, un terzo non ancora fissato.
La trattazione è stata, quindi, rifissata nell’odierna udienza pubblica.
Il P .M. ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
Le ricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo le ricorrenti denunciano « omessa
motivazione e omessa valutazione di un fatto decisivo (ex art. 360 comma 1° n. 5); violazione degli artt. 112, 329 e 342 c.p.c. (ex art. 360 comma 1° n. 3) » (così testualmente nell’intestazione).
Lamentano che la Corte d’appello abbia omesso di motivare sulle eccezioni sollevate ai nn. 1 e 6 della loro comparsa di costituzione in appello riguardo all’impugnazione parziale e all’acquiescenza su parti fondamentali del provvedimento di primo grado, là dove era riconosciuta la sussistenza dei presupposti normativi e l’inesistenza di cause di esclusione.
Assumono che con tali eccezioni era stato espressamente e specificamente opposta l’esistenza di un giudicato interno, in difetto di specifico motivo d’appello su punto dirimente della controversia (sussistenza dei requisiti di accesso al fondo), in merito al quale la sentenza impugnata ha obliterato qualsivoglia motivazione.
Premesso che tutto il procedimento di primo e secondo grado era stato imperniato sull’applicazione o meno del principio del tempus regit actum con riferimento all’applicabilità dell’art. 4 l. n. 512 del 1999 secondo la tesi di esse odierne ricorrenti o del sopraggiunto art. 4bis secondo la tesi opposta della resistente, rilevano che la Corte territoriale, rimettendo in discussione ciò che non era stato oggetto d’appello (i requisiti soggettivi ed oggettivi di accesso al fondo) e decidendo anche in virtù della l. n. 122 del 2016 (mai invocata dalla difesa resistente ed ovviamente non invocata dal provvedimento amministrativo di rigetto risalente al 2012), ha sostanzialmente ‘aiutato’ l’appellante integrando di fatto i suoi motivi d’appello ed andando oltre il devolutum .
Deducono che l ‘asimmetria tra i motivi d’appello e le motivazioni della decisione impugnata comporta la violazione degli artt. 112, 329, secondo comma, e 342 cod. proc. civ..
Con il secondo motivo le ricorrenti deducono, con riferimento all’art. 360, comma primo, num. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa
applicazione degli artt. 4 l. n. 512 del 1999, 11 preleggi, della l. n. 106 del 2008; « applicabilità della L. 512/99 vigente sino al momento della domanda giudiziaria, inapplicabilità della L. 106/08 in quanto normativa sopravvenuta alla domanda; violazione del principio del diritto quesito e del principio del legittimo affidamento ».
Lamentano che la Corte d’appello abbia erroneamente fatto riferimento a norme sopravvenute per regolare una fattispecie, quale quella in esame, non compresa nel loro ambito applicativo, ma piuttosto soggetta alla diversa disciplina dettata dalla legge n. 512 del 1999, istitutiva del Fondo di rotazione.
Sostengono che:
─ contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, quest’ultima legge non prevedeva, quale presupposto del beneficio da essa introdotto, il requisito della « estraneità agli ambienti delinquenziali » della vittima diretta, ma richiedeva solo l’assenza dei precedenti tassativamente elencati all’art. 4, comma 4;
─ solo con la legge n. 122 del 2016 è stato aggiunto al comma 3 dell’art. 4 legge n. 512 del 1999 l’inciso finale « ovvero quando risultano escluse le condizioni di cui all’art. 1 comma 2 lettera b) della Legge 20 ottobre 1990 n. 302 », così equiparando, a decorrere dalla sua applicabilità, i presupposti richiesti per l’accesso al Fondo a quelli per la richiesta dei benefici di cui alla legge n. 302 del 1990;
─ l a domanda riguardava l’accesso al fondo ex lege n. 512 del 1999 e non ai benefici ex lege n. 302 del 1990; il procedimento amministrativo, alla stregua della giurisprudenza della Suprema Corte, era da inquadrare tra quelli meramente dichiarativi-accertativi in quanto finalizzato solo a certificare l’ an ed il quantum del credito; i casi di esclusione e di rigetto delle domande di cui alla legge n. 512 del 1999 erano elencati tassativamente nell’art. 4 e gli stessi non consentivano alcuna interpretazione estensiva o rinvio ai casi di diniego di cui alla legge n. 302 del 1990; nella decisione
amministrativa non poteva darsi spazio ad alcun potere discrezionale né a valutazioni di elementi non previsti legislativamente al momento della domanda; era stata provata la sussistenza dei presupposti normativi previsti e l’inesistenza dei casi di esclusione indicati, non essendoci procedimenti penali o misure di prevenzione pendenti o definitivi a carico degli istanti né del deceduto;
─ la decisione impugnata, con il richiamo al precedente di Cass. n. 28820 del 2019, che ha ritenuto immanente -e quindi vigente sin dall’origine- anche alla legge n. 512 del 1999 il requisito della “estraneità’, si è posta in contrasto con la giurisprudenza di legittimità che, pacificamente e costantemente, ha statuito l’illegittimità di ogni valutazione autonoma dei presupposti dell’accesso al fondo di solidarietà, nonché la tassatività delle cause originariamente elencate dall’art. 4 legge n. 512 del 1999 e l’inammissibilità in materia del principio tempus regit actum (Cass. Sez. U. n. 21927 del 29/08/2008; vengono anche richiamati i precedenti di Cass. n. 21306 del 2015 e di Cass. n. 8646 del 2016).
Con il terzo motivo le ricorrenti denunciano , ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 3 cod. proc. civ., « violazione ed erronea applicazione della legge n. 122 del 2016; inapplicabilità retroattiva della norma sopravvenuta per decorso del termine di cui all’art. 15 comma 3 ».
Sostengono che, diversamente da quanto ritenuto nella sentenza impugnata, « istanze non ancora definite » (alle quali secondo la citata norma transitoria è applicabile la nuova disciplina) non possono considerarsi quelle che, come l’istanza da ess i proposta, anteriormente alla entrata in vigore della legge di conversione, siano state definite in sede amministrativa con delibera di rigetto, ancorché poi impugnata.
Rilevano che l’interpretazione d ella Corte contrasta con la giurisprudenza consolidata, che esclude l’applicazione retroattiva delle
norme ai diritti quesiti e ai procedimenti già definiti.
Il primo motivo è in parte inammissibile, in altra parte manifestamente infondato.
4.1. La sentenza di primo grado aveva riconosciuto alle istanti il diritto al l’accesso al fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso di cui alla l. n. 512 del 1999, ritenendo insussistente nella specie alcuna delle cause di esclusione previste dalla legge.
Il Ministero interpose appello lamentando la mancata considerazione della circostanza che il grave fatto di sangue era maturato nell’ambito di una ‘guerra fra clan’ che vedeva il congiunto delle istanti, vittima dell’agguato, a capo di un gruppo criminale affiliato a Cosa Nostra di Palermo, tanto da essere stato più volto sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. ai sensi delle leggi nn. 1423/1956, 575/1965 e 646/1982, negli anni 1977, 1980 e 1983.
La Corte d’appello ha ritenuto fondata tale prosp ettazione censoria e per tal motivo accolto il gravame e rigettato la domanda delle odierne ricorrenti.
4.2. Ciò posto, non si vede come possa sostenersi la formazione di un giudicato interno sulla sussistenza, affermata dal primo giudice, dei requisiti per l’accesso al fondo e sulla esclusione di cause di esclusione, né, correlativamente, come possa sostenersi che, motivando nei sensi suddetti e su cui appresso anche si tornerà, la Corte d’appello sia incorsa in vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti o in vizio di infra- o extrapetizione (tutte prospettive qualificatorie della medesima suesposta doglianza alternativamente proposte con il motivo in esame). È appena il caso al riguardo di osservare che:
─ l’esistenza di un giudicato implicito è palesemente non predicabile in un caso del genere, atteso che la ratio decidendi della
prima sentenza (esistenza dei requisiti per l’accesso al fondo e inesistenza di cause di esclusione) costituiva specifico e chiaro oggetto del proposto gravame, con la prospettazione del contrario rilievo attribuibile alla detta circostanza risultante dagli atti;
-giova inoltre rammentare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, non incorre in ultrapetizione il giudice d’appello che attribuisca al rapporto in contestazione una qualificazione giuridica diversa da quella emergente dalla sentenza di primo grado o prospettata dalle parti, avendo egli il potere-dovere di inquadrare nell’esatta disciplina giuridica gli atti e i fatti che formano oggetto della controversia, anche in mancanza di una specifica impugnazione e indipendentemente dalle argomentazioni delle parti, purchè nell’ambito delle questioni riproposte col gravame e con il limite di lasciare inalterati il petitum e la causa petendi e di non introdurre nel tema controverso nuovi elementi di fatto (cfr. ex plurimis, Cass. 03/04/2009, n. 8142; 23/02/2006, n. 4008; 11/09/2007, n. 19090);
─ l’accoglimento del motivo nei termini ritenuti dalla corte di merito evidentemente implica rigetto delle contrarie eccezioni e difese svolte nella comparsa di costituzione;
─ oggetto del vizio di cui al novellato art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., è l’omesso esame circa un « fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti », dove per «fatto», secondo pacifica acquisizione, deve intendersi non una «questione» o un «punto», ma: i) un vero e proprio «fatto», in senso storico e normativo; ii) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass. n. 21152 del 2014; Cass. Sez. U. n. 5745 del 2015); iii) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133 del 2014); iv) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali
(cfr. Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014); non costituiscono, viceversa, «fatti», il cui omesso esame possa cagionare ilvizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: a) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015); b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014).
5. Il secondo motivo è infondato.
A fondamento della decisione, l a Corte d’appello ha osservato che il requisito della estraneità agli ambienti malavitosi sussiste ininterrottamente sin dall’entrata in vigore della legge n. 302 del 1990, e nelle successive disposizioni relative alla materia in esame, ben prima dell’entrata in vigore della legge n. 122 del 2016, che altro non avrebbe fatto che confermare quanto già ricavabile dalle precedenti disposizioni.
Come evidenziato in sentenza, una tale ricostruzione del quadro normativo è stata pienamente avallata da questa Corte con il citato arresto di Cass. Sez. 3 n. 28820 del 2019 (peraltro riguardante un caso per molti versi sovrapponibile).
Come è stato in quella sede osservato, e come anche successivamente ribadito da Cass. 3/10/2023, n. 28627, in altro caso perfettamente sovrapponibile a quello in esame, ed ancora, adesivamente, da Cass. Sez. 1 n. 12146 del 06/05/2024 e Cass. Sez. 1 n. 6007 del 06/03/2024:
a) l’art. 1 legge 20 ottobre 1990, n. 302 ( Norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata ), nel prevedere il diritto alla « elargizione fino a lire 150 milioni » in favore di « chiunque subisca un’invalidità permanente, per effetto di ferite o lesioni riportate in conseguenza dello svolgersi nel territorio dello Stato di atti di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico » (comma 1)
nonché in favore di chiunque tali pregiudizi subisca « in conseguenza dello svolgersi nel territorio dello Stato di fatti delittuosi commessi per il perseguimento delle finalità delle associazioni di cui all’articolo 416bis del cod. pen. » (comma 2), subordina detta provvidenza a talune condizioni negative, tra le quali quello dell’essere il soggetto leso « del tutto estraneo ad ambienti e rapporti delinquenziali » (comma 2, lett. b);
b) la stessa condizione negativa sussiste per l’elargizione prevista in favore dei superstiti del soggetto deceduto a seguito dei crimini in questione ; condizione negativa che, peraltro, già poteva per implicito trarsi, anche prima del detto intervento del legislatore del 2008, dallo stesso art. 4 legge n. 302 del 1990 dal momento che tale norma, nel prevedere tale elargizione, richiama i casi di cui all’art. 1 ];
c) i criteri dettati dalle norme citate valgono in via generale per tutte le provvidenze erogate dallo Stato, essendo insiti nella stessa ratio legis , che è appunto quella di indennizzare le vittime, intendendosi per tali, necessariamente, i soggetti del tutto estranei agli ambienti malavitosi e non coloro che ne fanno parte, i quali, a ragionare diversamente, riceverebbero, del tutto irragionevolmente,
aiuti di Stato per avere scelto la via del crimine piuttosto che quella della legalità;
l’esposta condizione negativa è peraltro espressamente richiesta dall’art. 4, comma 3, legge 22 dicembre 1999, n. 512, come modificato dall’art. 15, comma 1, lett. c) , legge 7 luglio 2016, n. 122, attraverso il rimando alle « condizioni di cui all’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 20 ottobre 1990, n. 302 »;
l ‘estraneità agli ambienti di mafia del soggetto che chieda l’accesso al Fondo di rotazione ex lege 22 dicembre 1999, n. 512 (la cui istituzione persegue, come noto, lo scopo di rendere effettivo e concreto il diritto al risarcimento del danno riconosciuto giudizialmente a favore delle vittime di tale specifica tipologia di reati , attribuendone l’onere in via sussidiaria per l’appunto al Fondo), allo stesso modo che quella richiesta per i soggetti che chiedano l’indennizzo previsto dalle legge n. 302 del 1990, costituisce invero condizione immanente allo scopo stesso della legge, tale per cui essa contraddirebbe sé stessa e la funzione per cui il Fondo è stato istituito ove se ne ammettesse l’applicazione anche in favore di soggetti intranei al contesto criminale da cui originano i fatti lesivi;
scopo mediato ma evidentemente prioritario perseguito dalla legge istitutiva del Fondo è pur sempre, infatti, quello di contrastare i fenomeni d’infiltrazione mafiosa , nella ragionevole convinzione che la concreta solidarietà in favore di coloro che hanno subìto danni materiali alle proprie attività economiche (per il coraggio di essersi sottratti al regime deprimente della mafia) possa consentire agli stessi di trarre benefici oggettivi dal diritto concreto al risarcimento dei danni patiti, così al tempo stesso contrastando quelle situazioni di debolezza, isolamento e inferiorità economica e sociale nel quale attecchisce e si fortifica il fenomeno mafioso;
si otterrebbe invece, evidentemente, il risultato opposto se tale beneficio si riconoscesse nel caso in cui il beneficiario (o il congiunto
dalla cui lesione origini il diritto al risarcimento riconosciuto giudizialmente) risulti appartenere al contesto criminale che ha dato ragione e origine al fatto lesivo; tali soggetti riceverebbero in tal caso la provvidenza pubblica non per essersi coraggiosamente allontanati e opposti al contesto mafioso ma, al contrario, paradossalmente, proprio per avervi fatto parte.
Tali principi -ai quali, siccome pienamente condivisi dal Collegio , va qui data continuità ─ non possono ritenersi contraddetti dai precedenti evocati in ricorso e nelle memorie.
6.1. Cass. Sez. U. n. 21927 del 29/08/2008 esamina, in sede ed a fini di regolamento di giurisdizione, un caso in cui i richiedenti l’accesso al fondo di rotazione avevano impugnato innanzi al giudice amministrativo un provvedimento di diniego motivato dall’essere il fatto delittuoso diverso da quelli considerati dalla legge istitutiva; il ricorso era stato accolto dal Tar la cui sentenza venne però successivamente annullata dal Consiglio di Stato; le Sezioni Unite hanno dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario (e, per l’effetto, cassato la decisione impugnata e rimesso le parti davanti al Tribunale ordinario), ribadendo il principio, già in precedenza affermato, secondo cui « con riferimento all’erogazione della speciale indennità prevista dalla legge 20 ottobre 1990 n. 302 per le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata … i privati sono titolari, in presenza delle condizioni di legge, di un vero e proprio diritto soggettivo essendo al riguardo la p.a. priva di ogni potestà discrezionale, sia con riguardo all’entità della somma che con riguardo ai presupposti per la erogabilità, anche ove si dovesse ritenere che l’accertamento di tali presupposti abbia carattere non semplicemente ricognitivo, ma valutativo ». Tale precedente non si occupa, dunque, di quali siano le condizioni di legge in presenza delle quali sorge il diritto soggettivo dei richiedenti non subordinato a valutazione discrezionale della P.A., ma risolve solo un problema di
giurisdizione, relativo alla individuazione del giudice (in virtù di quella premessa, quello ordinario) chiamato a conoscere delle controversie intorno alla sussistenza o meno di quel diritto. Nessun argomento, dunque, è possibile ricavare, da tale pronuncia, che contrasti l’esegesi accolta.
6.2. Cass., Sez. 6-1, Ord. n. 21306 del 2015 riguarda un caso in cui il Tribunale di Torino, con sentenza confermata dalla Corte d’appello, aveva accolto la domanda di parte attrice diretta al riconoscimento del diritto ad accedere al fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, di cui alla legge n. 512 del 1999, in relazione a fatti accertati con sentenza penale; avverso la sentenza d’appello era stato proposto ricorso dal Ministero, che intendeva far valere l’introduzione nelle more del procedimento degli ulteriori presupposti negativi previsti dal comma 4bis dell’art. 4 della legge n. 512 de 1999, aggiunto dalla lettera a ) del comma 1 dell’art. 2ter , d.l. 2 ottobre 2008, n. 151; la S.C.. ha rigettato tale impugnazione sul rilievo che «(essendo) le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata … titolari, in presenza delle condizioni di legge, di un vero e proprio diritto soggettivo all’erogazione della speciale elargizione prevista dalla legge 20 ottobre 1990, n. 302, (ed) essendo al riguardo la P.A. priva di ogni potestà discrezionale … – nel caso in cui, successivamente alla domanda di concessione siano mutati i presupposti per il conseguimento di quella elargizione, di tale mutamento … non può tenersi conto, avendo l’avente diritto già maturato il diritto soggettivo alla sua attribuzione, restando irrilevante la mancata conclusione del procedimento amministrativo volto a porre in essere le attività volte a rendere effettivo quel riconoscimento »; in motivazione la S.C. ha osservato che « la modifica legislativa menzionata, costituendo un’ulteriore eccezione all’attribuzione dei benefici alle vittime dei crimini mafiosi, non può essere ricavata in via interpretativa, per l’eccezionalità di ogni
previsione che quei vantaggi limita, non estensibili oltre attraverso operazioni ermeneutiche, ma per mezzo di modifiche legislative ».
Anche tale precedente non prospetta argomentazioni incompatibili con quelle che supportano l’esegesi qui ribadita.
Non è dato invero desumere dalla ordinanza quali fossero i presupposti mutati della chiesta elargizione. Il principio affermato non può ritenersi difforme rispetto a quello enunciato dal successivo arresto del 2019, nel quale non si afferma la rilevanza ostativa di un presupposto nuovo sopravvenuto al fatto costitutivo del diritto quale previsto al tempo dell’evento , né si propone una interpretazione estensiva di taluni presupposti, ma ben diversamente si afferma che quello dell’estraneità della vittima primaria all’ambiente malavitoso è da ritenersi requisito immanente alla legge che accorda quella provvidenza, come tale sussistente sin dalla sua prima introduzione, di guisa che quel principio non ne viene affatto contraddetto.
6.3. Cass. Sez. 3 Sent. n. 8646 del 2016 riguarda, infine, un caso in cui i giudici di merito avevano rigettato la domanda diretta al riconoscimento del diritto all’accesso al fondo proposta dai fratelli di un appuntato dei carabinieri ucciso, mentre non era in servizio, da due appartenenti ad un clan camorristico. La sentenza della S.C., che accoglie il ricorso delle parti private, è richiamata in ricorso in relazione all’affermazione (ivi leggibile nel par. 6) secondo cui « i requisiti soggettivi previsti dalla legge 512 del 1999, i quali sono non solo differenti, per essere differenziate le posizioni giuridiche rispettivamente fondate (come si esprime la recente Cass., ord. 20 ottobre 2015, n. 21306, rimarcando la natura di veri e propri diritti soggettivi pieni e perfetti in capo alle vittime, secondo quanto già precisato da Cass. Sez. Un., 20 agosto 2008, n. 21927), ma comunque del tutto indipendenti, da quelli previsti dalle altre normative di provvidenze a favore di vittime di delitti di pari o analoga gravità », discendendone che « il riferimento alle precedenti
normative di concessione di elargizioni o sovvenzioni o simili, singolarmente richiamate dai giudici del merito, non ha alcuna attinenza con la fattispecie ».
Si trattava, dunque, di una fattispecie totalmente diversa e non è dato ricavare alcuna affermazione contrastante con l’esegesi qui accolta circa la rilevanza di requisito immanente della estraneità della vittima primaria all’ambiente ma fioso.
Analogamente è a dirsi quanto ai precedenti ancora evocati in memorie e in udienza dal difensore delle ricorrenti: Cass., Sez. 3, 10/03/2023, n. 7189; Cass., Sez. 3, 24/09/2024, n. 25573:
-la prima si occupa di un profilo di natura squisitamente processuale, affermando la posizione di litisconsorte necessario del Fondo di rotazione nel giudizio civile di risarcimento dei danni causati dai reati di tipo mafioso, con la conseguente decorrenza del termine breve di impugnazione dalla data di notifica della sentenza ex art. 325 cod. proc. civ. al solo Ministero; nel motivare tale affermazione l’ordinanza richiama, incidentalmente, i presupposti dell’obbligazione posta a carico dello Stato quali fissati dall’art. 4 l n. 512 del 1999, ma non affronta affatto la questione -del tutto irrilevante ai fini di quel giudizio -se, nel relativo fatto costitutivo, rientrasse oppure no l’estraneità della vittima e dei beneficiari ad ambienti di mafia;
-la seconda ribadisce bensì che il diritto soggettivo alla erogazione del beneficio in presenza dei presupposti previsti dalla legge è insensibile ai successivi mutamenti di questi ultimi, sia esso precedente o successivo alla domanda amministrativa, ma lo fa in un caso in cui il mutamento (irrilevante) riguardava l’inclusione, tra i soggetti destinatari del beneficio, anche degli enti collettivi; anche in tal caso, dunque, il principio affermato non può ritenersi difforme rispetto a quello enunciato dall’arresto del 2019 e da quelli che ad esso si sono successivametne conformati, nei quali -come già detto -non si afferma la rilevanza ostativa di un presupposto nuovo
sopravvenuto al fatto costitutivo del diritto quale previsto al tempo dell’evento, né si propone una interpretazione estensiva di taluni presupposti, ma ben diversamente si afferma che quello dell’estraneità della vittima primaria all’ambiente malavitoso è da ritenersi requisito immanente alla legge che accorda quella provvidenza, come tale sussistente sin dalla sua prima introduzione, di guisa che quel principio non ne viene affatto contraddetto
8. Non si tratta, invero, né di attribuire un potere discrezionale valutativo circa la rilevanza di circostanze non previste dalla legge, né di far riferimento a dati o contesti normativi diversi per materia o sopraggiunti all’evento , né ancora di ricavare per via di interpretazione estensiva un presupposto non previsto espressamente dalla legge.
Al contrario, quello predetto è da considerare alla stregua di un pre-requisito ab origine «immanente» nell’intervento normativo e intrinseco nella stessa definizione degli aventi diritto come «vittime» di reati maturati in ambienti di criminalità organizzata, pena la negazione stessa dello scopo perseguito dalla legge.
Se ne trae conferma testuale anche dal lessico utilizzato dal legislatore che distingue, da un lato, al comma 3 dell’art. 4 della legge n. 512 del 1999, le circostanze in presenza delle quali « l’obbligazione del Fondo non sussiste », dall’altro, nel comma 4, le condizioni in presenza delle quali « il diritto di accesso al Fondo non può essere esercitato ». Le prime sono dunque identificate quali elementi negativi della fattispecie legale che dà diritto all’accesso al Fondo; le seconde quali fatti impeditivi dell’esercizio di un diritto già sorto.
Ebbene, non a caso l’art. 15, comma 1, lett. c), della legge 7 luglio 2016, n. 122, ha inserito l’inciso « ovvero quando risultano escluse le condizioni di cui all’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 20 ottobre 1990, n. 302 » (vale a dire l’ipotesi in cui risulti
esclusa l’estraneità del soggetto leso estraneo ad ambienti e rapporti delinquenziali) nel comma 3, ossia tra gli elementi che definiscono, in negativo, la stessa fattispecie legale costitutiva del diritto all’accesso e non tra le condizioni che, alla stregua di eccezioni, ne impediscono l’esercizio. Appare evidente che, in tal modo, la modifica ha (solo) inteso esplicitare quello che è un connotato intrinseco alla definizione della fattispecie legale, come tale ricavabile dalla sua stessa ragion d’essere.
10. La tesi che attribuisce all ‘estraneità ad ambienti di mafia del richiedente l’accesso al fondo di rotazione la natura di prerequisito immanente allo scopo stesso della legge istitutiva n. 512 del 1999, e, pertanto, di elemento costitutivo negativo della fattispecie legale (la cui originaria sussistenza prescinde dall’esplicitazione contenuta nella legge n.122 del 2016), trova poi conferma nella recente sentenza della Corte costituzionale n. 122 del 2024.
Questa sentenza ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ art. 2quinquies , comma 1, lettera a ), del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151 (norma, tra l’altro, come sopra s’è già detto, riscritta dall’art. 5, comma 1, del d.l. 11 aprile 2025, n. 48, convertito dalla legge 9 giugno 2025, n. 80), nella parte in cui esclude dai benefici previsti per i superstiti delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata i parenti o affini entro il quarto grado di soggetti nei cui confronti sia in corso un procedimento per l’applicazione o sia applicata una misura di prevenzione di cui al codice delle leggi antimafia, ovvero di soggetti nei cui confronti sia in corso un procedimento penale per uno dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3bis , del codice di procedura penale.
Nell’emettere questa pronuncia, la Corte costituzionale ha osservato che la disciplina posta dal detto decreto-legge, inserito dalla legge di conversione 28 novembre 2008, n. 186, e successivamente modificato dall’art. 2, comma 21, della legge 15
luglio 2009, n. 94 ( Disposizioni in materia di sicurezza pubblica ), si prefigge una finalità legittima, in quanto intende evitare che le limitate risorse dello Stato siano sviate dal sostegno delle vittime della mafia e del terrorismo e avvantaggino, per vie indirette, le stesse associazioni criminali che intendono contrastare.
Questa finalità legittima, per essere perseguita, tuttavia, non ha bisogno del mezzo (da ritenersi sproporzionato rispetto al fine) della esclusione preventiva, dalla platea dei beneficiari del beneficio, dei parenti e degli affini entro il quarto grado dei soggetti destinatari di misure di prevenzione o sottoposti a procedimento penale per reati di particolare gravità, dal momento che è già efficacemente perseguita attraverso la prescrizione di requisiti tassativi e stringenti di meritevolezza, come, in particolare, quello previsto dal surrichiamato art. 1, comma 2, lettera b ), della legge n. 302 del 1990, il quale sancisce il presupposto della totale estraneità della vittima diretta agli ambienti criminali, nonché quello previsto dal successivo art. 9bis della medesima legge ( introdotto dall’art. 1, comma 259, della legge 23 dicembre 1996, n. 662: Misure di razionalizzazione della finanza pubblica ), il quale puntualizza che le condizioni di estraneità alla commissione degli atti terroristici o criminali e agli ambienti delinquenziali « sono richieste, per la concessione dei benefici previsti dalla presente legge, nei confronti di tutti i soggetti destinatari » e, dunque, non soltanto delle vittime dirette.
In altri termini, il perseguimento della legittima finalità di evitare che le limitate risorse dello Stato siano sviate dal sostegno delle vittime della mafia e del terrorismo e avvantaggino, per vie indirette, le stesse associazioni criminali che intendono contrastare, non ha bisogno della creazione di una irragionevole presunzione assoluta di indegnità ancorata al vincolo di parentela o affinità, giacché è efficacemente assicurata dal presupposto costituito dall’estraneità del destinatario del beneficio agli ambienti delinquenziali.
Presupposto che, in quanto requisito tassativo e stringente di meritevolezza, non può che essere elemento costitutivo originario del vantato diritto soggettivo, dovendo considerarsi « immanente al sistema la necessità di una verifica rigorosa della radicale estraneità al contesto criminale » (così Corte cost. n. 122 del 2024, Punto 10 del Considerato in diritto ).
11 . In questa prospettiva, non solo va confermato l’orientamento che esclude la valenza innovativa delle disposizione di cui all’art. 15, comma 1, lett. c) , della legge n. 122 del 2016 (la quale, tutt’al contrario, nel prevedere l’estraneità del soggetto leso o danneggiato ad ambienti e rapporti delinquenziali, si limita ad -ulteriormente -esplicitare, in via meramente ricognitiva, un pre-requisito negativo già immanente alla fattispecie legale che dà diritto all’accesso al Fondo di rotazione istituito dalla legge n. 512 del 1999), ma va anche precisato che la predetta estraneità non si esaurisce nella mera condizione di incensurato o, in negativo, nella mancanza di affiliazione alle consorterie criminali, ma postula, in positivo e in senso più pregnante, la prova di una condotta di vita antitetica al codice di comportamento delle organizzazioni malavitose, sicché grava su chi rivendica elargizioni o assegni vitalizi, l’onere di dimostrare in modo persuasivo tale presupposto fattuale del diritto azionato, mentre la carenza di una prova adeguata ridonda a danno di chi reclama le provvidenze (in tal senso, v. ancora Corte cost. n. 122 del 2024, Punto 10 del Considerato in diritto , e, nella giurisprudenza di questa Corte, cfr. Cass. 16/03/2025, n. 6962).
Discende dalle considerazioni che precedono anche l’infondatezza del terzo motivo.
12.1. È evidente, anzitutto, che, per quanto sopra detto, anche prima dell’entrata in vigore della norma di cui all’art. 15, comma 1, lett. c) , legge 7 luglio 2016, n. 122 -che, come detto, ha introdotto, nell’art. 4, comma 3, legge n. 512 del 1999 l’espressa previsione del
requisito in discorso, attraverso il richiamo all’art. 1, comma 2, lett. b) , della legge n. 302 del 1990 -tale condizione doveva necessariamente sussistere per il riconoscimento del beneficio, dovendosi dunque attribuire alla norma introdotta nel 2016 valore non innovativo ma puramente chiarificatore di un requisito comunque immanente allo scopo stesso della legge istitutiva.
È mal posta dunque la questione circa la corretta interpretazione di « istanza non ancora definita » cui la disposizione transitoria del comma 3 dell’art. 15 legge n. 122 del 2016 dice applicabile detta norma.
Alla luce di quanto sopra detto alla norma può attribuirsi il solo scopo di rimarcare l’intangibilità di provvedimenti che, pur nell’eventuale erroneo misconoscimento del requisito di cui s’è detto, abbiano erogato il requisito in parola, ove gli stessi non siano più suscettibili nemmeno di sindacato giurisdizionale, non certo quello di individuare il discrimine nell’esaurimento del solo iter amministrativo, per il che non si troverebbe del resto alcun supporto testuale o sistematico.
12.2. Benché le considerazioni di cui al sub -paragrafo 12.1. che precede risultino totalmente assorbenti, mette conto ancora rilevare che , quand’anche la norma del 2016 si considerasse impositiva di un requisito negativo nuovo ed ostativo alla concessione del beneficio anziché meramente esplicativa di un requisito già esistente, come sopra si è sostenuto, e, dunque, fosse da intendere come norma retroattiva, in quanto applicata a fattispecie originanti il diritto al beneficio verificatesi prima della sua entrata in vigore, ancorché non definite sotto il profilo del procedimento di riconoscimento, ben difficilmente della norma si potrebbe sostenere l’illegittimità costituzionale sotto il profilo della ragionevolezza.
Non lo si potrebbe fare e sotto tale profilo difetterebbero -ove naturalmente la questione potesse porsi in quanto rilevante -i
presupposti della non manifesta infondatezza, in quanto la logica della legislazione di cui si discorre è quella del riconoscimento non già di un diritto soggettivo del singolo in qualche modo dovuto sul piano costituzionale, ma di un diritto attribuito sulla base di una scelta del legislatore che è espressione del principio solidaristico consacrato nell’art. 2 della Costituzione e come tale deve essere funzionale a tale principio, il che pienamente giustificherebbe, in presenza di una situazione di compromissione del soggetto beneficiario o del congiunto dalla cui lesione origini il diritto al beneficio con il contesto criminale che ha dato ragione e origine al fatto lesivo, che il legislatore intervenga retroattivamente per escludere che non trovi realizzazione un intento solidaristico privo di giustificazione.
Nel contempo, sempre lo scopo solidaristico della normativa escluderebbe qualsiasi rilevanza, sempre nella logica del principio di ragionevolezza, del principio dell’affidamento.
13. Devono dunque enunciarsi i seguenti principi diritto:
─ « In tema di elargizioni in favore di vittime di reati di tipo mafioso, il requisito della estraneità ad ambienti e rapporti delinquenziali costituisce elemento costitutivo originario della fattispecie legale che dà diritto all’accesso al Fondo di rotazione istituito dalla legge n. 512 del 1999, in quanto pre-requisito tassativo e stringente di meritevolezza in funzione dello scopo perseguito di sostegno alle vittime della mafia e di contrasto ai fenomeni d’infiltrazione mafiosa. Tale natura implica, da un lato, sotto il profilo formale, l’esclusione del riconoscimento di efficacia innovativa dell’ordinamento giuridico al disposto dell’art. 15, comma 1, lett. c), della l. n. 122 del 2016, quale norma meramente ricognitiva, in funzione chiarificatrice, di un connotato intrinseco alla fattispecie legale; dall’altro lato, sotto il profilo sostanziale, che il predetto requisito, da intendersi, non già, in negativo, come mera condizione
di incensurato o come mancanza di affiliazione alle consorterie criminali, ma, in positivo, quale condotta di vita antitetica al codice di comportamento delle organizzazioni malavitose, deve essere provato dal richiedente la provvidenza o il beneficio, sicché, in difetto di tale dimostrazione, la domanda deve essere rigettata »;
─ « L’espressione ‘istanze non ancora definite’ contenuta nell’art. 15, comma 3, della legge n. 122 del 2016 -che costituisce condizione per l’applicabilità della modifica dell’art. 4, comma 3, della legge n. 512 del 1999 introdotta dal comma 1, lettera c), del medesimo art. 15 -deve ritenersi sottintendere la presenza di un contenzioso giurisdizionale non ancora approdato al giudicato, non potendo ritenersi definita l’istanza oggetto solo di una decisione emessa in sede amministrativa »
Il ricorso deve essere dunque rigettato, con la conseguente condanna delle ricorrenti al pagamento, in favore de ll’Amministrazione controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti , ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna le ricorrenti al pagamento, in favore delle amministrazioni controricorrenti, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.000 per compensi, oltre alle spese eventualmente prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P .R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012,
n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza