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Fondo di Garanzia TFR: no se il lavoro prosegue

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31338/2024, ha stabilito che l’intervento del Fondo di Garanzia TFR è escluso se, in caso di cessione di ramo d’azienda, il rapporto di lavoro prosegue con la società acquirente. La Corte ha chiarito che uno dei presupposti indefettibili per l’accesso al fondo è la cessazione del rapporto di lavoro, che rende il TFR esigibile. Pertanto, l’eventuale accordo sindacale con cui il lavoratore rinuncia a chiedere il TFR maturato alla nuova azienda non è sufficiente a far scattare la tutela del Fondo, in quanto tale pattuizione privata non può modificare i requisiti di legge per l’intervento pubblico.

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Fondo di Garanzia TFR: Niente Pagamento se il Lavoro Continua con la Nuova Azienda

In caso di cessione di ramo d’azienda, il lavoratore il cui rapporto prosegue con l’acquirente non può chiedere l’intervento del Fondo di Garanzia TFR per il trattamento di fine rapporto maturato con il precedente datore di lavoro. Questo principio, consolidato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 31338 del 6 dicembre 2024, vale anche se il lavoratore ha rinunciato, tramite accordo sindacale, a far valere i propri diritti verso la nuova società. Analizziamo i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Cessione d’Azienda e Rinuncia al TFR

Una lavoratrice si era rivolta all’INPS per ottenere dal Fondo di Garanzia il pagamento del TFR maturato presso la sua precedente azienda, la quale aveva ceduto il ramo in cui operava a una nuova società. Il rapporto di lavoro della dipendente non si era interrotto, ma era proseguito senza soluzione di continuità alle dipendenze della società acquirente.

La particolarità del caso risiedeva in un accordo sindacale, stipulato ai sensi dell’art. 47 della Legge n. 428/1990. In base a tale accordo, la lavoratrice, insieme ad altri colleghi, aveva rinunciato a chiedere il TFR pregresso alla nuova azienda (cessionaria). Poiché la vecchia azienda (cedente) versava in uno stato di crisi, la lavoratrice riteneva di aver diritto all’intervento del Fondo di Garanzia. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva respinto la sua domanda, sostenendo che mancasse un presupposto fondamentale: la cessazione del rapporto di lavoro.

La Decisione della Corte: il Fondo di Garanzia TFR non interviene senza cessazione del rapporto

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici d’appello, rigettando il ricorso della lavoratrice. Secondo gli Ermellini, l’intervento del Fondo di Garanzia è una prestazione previdenziale autonoma, le cui condizioni sono tassativamente previste dalla legge e non possono essere derogate da accordi privati tra le parti.

Le motivazioni: i presupposti tassativi per l’accesso al Fondo

La Corte ha ribadito un orientamento ormai consolidato, basato sull’interpretazione dell’art. 2 della Legge n. 297/1982. L’attivazione del Fondo di Garanzia TFR richiede due condizioni essenziali:

1. L’insolvenza del datore di lavoro: Il datore deve essere stato dichiarato insolvente e ammesso a una procedura concorsuale.
2. La cessazione del rapporto di lavoro: Il TFR deve essere divenuto esigibile, e questo avviene solo con la fine del rapporto di lavoro.

Nel caso di specie, il rapporto di lavoro non era cessato, ma era semplicemente transitato dal cedente al cessionario. Di conseguenza, il credito per il TFR non era ancora sorto né diventato esigibile. Ammettere l’intervento del Fondo in una situazione del genere significherebbe gravare l’ente previdenziale di una prestazione non dovuta, sviando le risorse dalla loro finalità istituzionale, che è quella di proteggere i lavoratori in caso di reale perdita del posto di lavoro a causa dell’insolvenza del datore.

L’irrilevanza degli accordi sindacali verso il Fondo di Garanzia TFR

Un punto cruciale della sentenza riguarda l’inefficacia degli accordi sindacali nei confronti dell’INPS. La rinuncia della lavoratrice alla solidarietà passiva del cessionario è un patto privato, una res inter alios actae, che non può vincolare un soggetto terzo come l’INPS. L’obbligazione del Fondo è di natura pubblica e sorge solo al verificarsi dei presupposti di legge. Le pattuizioni tra lavoratore, cedente e cessionario non possono creare le condizioni per l’intervento del Fondo dove queste non esistono.

La Corte ha anche precisato che la nuova disciplina introdotta dal Codice della crisi d’impresa (art. 47, comma 5-bis, L. 428/1990), che in certi casi di crisi aziendale equipara il trasferimento alla cessazione del rapporto rendendo il TFR subito esigibile, non è applicabile retroattivamente e rappresenta una chiara discontinuità con il passato, non potendo quindi essere usata per interpretare fatti avvenuti prima della sua entrata in vigore.

Le conclusioni: Implicazioni pratiche per lavoratori e aziende

La sentenza conferma un principio fondamentale: il Fondo di Garanzia TFR è una rete di sicurezza estrema, attivabile solo quando il rapporto di lavoro cessa a causa dell’insolvenza del datore. In caso di cessione d’azienda con continuità del rapporto, il lavoratore conserva tutti i suoi diritti, inclusa la garanzia del TFR, che vengono trasferiti in capo al nuovo datore. La rinuncia a tale garanzia, anche se mediata da un accordo sindacale, è una scelta che non può essere ‘compensata’ dall’intervento dello Stato tramite l’INPS. Questa decisione rafforza la natura dei presupposti per l’accesso al Fondo, sottolineando che non possono essere manipolati o aggirati da accordi privati, a tutela della sostenibilità del sistema previdenziale.

Il Fondo di Garanzia TFR interviene se il rapporto di lavoro prosegue con una nuova azienda dopo una cessione?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che uno dei presupposti essenziali per l’intervento del Fondo è la cessazione del rapporto di lavoro, che rende il credito per il TFR esigibile. Se il rapporto continua con l’azienda acquirente, questo presupposto viene a mancare.

Un accordo sindacale in cui il lavoratore rinuncia a chiedere il TFR al nuovo datore di lavoro obbliga il Fondo di Garanzia a pagare?
No. L’accordo tra le parti private (lavoratore, azienda cedente e cessionaria) è considerato ‘res inter alios actae’ (cosa fatta tra altri) e non può vincolare l’INPS. Le condizioni per l’intervento del Fondo sono fissate dalla legge e non possono essere modificate da pattuizioni private.

Se l’azienda che cede il ramo è in crisi, ma non ancora in procedura concorsuale, il lavoratore ha diritto all’intervento del Fondo?
No, non in base alla normativa applicabile ai fatti di causa. La semplice situazione di crisi aziendale del cedente non è sufficiente. La legge richiede l’accertamento dello stato di insolvenza e l’ammissione a una procedura concorsuale, oltre alla già menzionata cessazione del rapporto di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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