Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4265 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L   Num. 4265  Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/02/2025
SENTENZA
sul ricorso 3395-2023 proposto da:
COGNOME NOME, NOME, COGNOME NOME, domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE,  in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato  in  ROMA,  INDIRIZZO,  presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
Oggetto
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 15/10/2024
PU
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 475/2022 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 03/08/2022 R.G.N. 45/2022; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato NOME COGNOME; udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
S i controverte dell’idoneità dell’accordo sindacale intervenuto nell’ambito del trasferimento di rami di azienda dalle cedenti RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE alla  cessionaria  RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE,  a  derogare  al principio  di  cui  all’art.  2112  c.c.,  secondo  il  quale  il trasferimento dell’azienda non produce alcuna soluzione di  continuità nel rapporto di lavoro, che continua con il cessionario alle medesime condizioni per le quali era stato stipulato dal cedente.
La Corte di merito, riformando la decisione di prime cure, ha  rigettato  le  domande  volte  ad  accedere  al  RAGIONE_SOCIALE  di RAGIONE_SOCIALE  per  somme  richieste  dagli  attuali  ricorrenti  a titolo di retribuzione e TFR e, tranne per COGNOME, a titolo di  quote  non  versate  al  fondo  RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, con condanna dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE al relativo pagamento.
La Corte di merito ha ritenuto che non operasse l’intervento  del  fondo  di  RAGIONE_SOCIALE  per  il  pagamento  del t.f.r. maturato presso la cedente in assenza del presupposto della cessazione del rapporto di lavoro che ai
sensi dell’art. 2112 c.c. prosegue con la cessionaria che rimane  solidalmente  responsabile,  con  il  cedente,  per  i debiti maturati fino al momento del trasferimento.
Richiamando  propri  precedenti  la  Corte  di  merito  ha, inoltre, escluso l’erogazione diretta in favore dei lavoratori delle prestazioni erogate dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE a titolo di prestazioni complementari sul presupposto della natura di contribuzione – e non di retribuzione –  della quota di TFR conferita  al  RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE  e  della  sussistenza dell’obbligo  del  datore  di  lavoro  al  versamento  solo  nei confronti del fondo e non del lavoratore.
Avverso tale sentenza resistono NOME COGNOME COGNOME ed altri litisconsorti, con  ricorso affidato a due  motivi, ulteriormente  illustrato  con  memoria,  avverso  il  quale resiste l’RAGIONE_SOCIALE, con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297, degli artt. 2, commi 1 e 3, e 5, commi 1 e 2, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80, in riferimento all’art. 2112 cod. civ. e all’art. 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428.
Avrebbe errato la Corte territoriale nel negare l’accesso al RAGIONE_SOCIALE  di  RAGIONE_SOCIALE  e  nel  reputare  invalida  la  deroga  al regime della responsabilità solidale previsto dall’art. 2112 cod.  civ.,  sul  presupposto  che  la  procedura  abbia  una finalità conservativa e non liquidatoria.
Nella disciplina dell’amministrazione straordinaria, sarebbe esclusa in via generale la responsabilità dell’acquirente per i debiti relativi all’esercizio delle
aziende  cedute  e  tale  esclusione,  nel  caso  di  specie, sarebbe stata confermata negli accordi ritualmente sottoscritti  in  sede  ministeriale  in  base  all’art.  47  della legge  n.  428  del  1990.  Il  TFR,  pertanto,  si  dovrebbe considerare esigibile già alla data del trasferimento dell’azienda  e  i  lavoratori  non  disporrebbero  di  alcuna possibilità di veder tutelato il proprio credito “al di fuori del fondo di RAGIONE_SOCIALE” (pagina 21 del ricorso per cassazione).
Con il secondo mezzo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), i ricorrenti censurano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 47, comma 5, della legge n. 428 del 1990, in riferimento all’art. 2112 cod. civ.
La sentenza d’appello incorrerebbe in error in iudicando anche  per  aver  disconosciuto  la  legittimità  dell’accordo che, sotto l’egida di una pubblica autorità (il Ministero) e in armonia  con  “specifiche previsioni di derivazione comunitaria” (pagina 25 del ricorso per cassazione), ha posto a carico della società cedente tutti i debiti collegati al rapporto di lavoro.
I due motivi possono essere scrutinati congiuntamente, in quanto tra loro connessi e sono da rigettare in continuità con  Cass.  n.  1951/2025  decisa  alla  medesima  udienza pubblica.
Non  si  ravvisano  i  profili  d’inammissibilità  eccepiti  nel controricorso, in ragione della sovrabbondanza dell’esposizione dei fatti di causa.
L’illustrazione dei vizi dedotti e della vicenda processuale in cui le censure s’inquadrano consente a questa Corte di cogliere il nucleo essenziale delle questioni controverse e
tanto  basta  a  sgombrare  il  campo  dall’eccezione  che  il controricorrente, in via preliminare, solleva.
Le critiche devono essere disattese.
Anche di recente, questa Corte ha ribadito che “le condizioni di intervento del RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE per ciò che concerne le ultime tre mensilità di retribuzione risultano tassativamente indicate dall’art. 2, L. n. 297/1982, emanato in attuazione della Direttiva 80/987/CEE, e presuppongono che sia stato dichiarato insolvente ed ammesso alle procedure concorsuali il datore di lavoro che è tale al momento della cessazione del rapporto di lavoro (Cass. n. 24889 del 2019): scopo della direttiva Europea è infatti l’assicurazione di una copertura del RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE per i crediti insoddisfatti che siano maturati in quel determinato periodo di tempo in cui si può ragionevolmente presumere che l’inadempimento datoriale sia conseguenza della sua condizione di insolvenza, non anche la copertura di un qualsiasi inadempimento verificatosi in danno del lavoratore (così, in motivazione, Cass. n. 24889 del 2019, cit.); ed è per contro evidente che, ammettendo l’intervento del RAGIONE_SOCIALE anche in fattispecie come quella per cui è causa, in cui il rapporto di lavoro è proseguito alle dipendenze del cessionario e il lavoratore ceduto ha semplicemente rinunciato alla solidarietà passiva di quest’ultimo per i crediti maturati alle dipendenze del cedente, lo si graverebbe del pagamento di una prestazione che non può considerarsi dovuta, perché ad essere fallito è colui che non è più datore di lavoro del lavoratore assicurato, di talché, mancando in radice il legame necessariamente postulato dalla Direttiva 80/987/CEE tra l’insolvenza
datoriale  e  l’inadempimento  del  credito  retributivo,  si verrebbe necessariamente a sviare il patrimonio del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE dalla causa che ne ha determinato l’istituzione, in contrasto con la precisa lettera dell’art. 2, comma 8, L. n.  297/1982,  che  vieta  d’impiegare  le  disponibilità  del RAGIONE_SOCIALE  “al  di  fuori  della  finalità  istituzionale  del  fondo stesso” (così da ult. Cass. n. 37789 del 2022)” (Cass., sez. lav., 24 dicembre 2024, n. 34292).
Le considerazioni, anche da ultimo confermate da questa Corte, rappresentano il fulcro della ratio decidendi della pronuncia impugnata.
A  tali  rilievi  di  carattere  generale  si  deve  aggiungere, quanto al credito per TFR, che esso matura progressivamente in ragione dell’accantonamento annuale e diviene esigibile solo al momento  della cessazione definitiva del rapporto di lavoro (Cass., sez. I, 27 febbraio 2020, n. 5376).
L’esigibilità, indispensabile per attivare la tutela del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, non sussiste nell’ipotesi di prosecuzione del rapporto di lavoro con la società cessionaria.
L’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE  ben  può  contestare  la  carenza  degli  elementi costitutivi del diritto di credito a una prestazione previdenziale,  distinto  e  autonomo  rispetto  al  credito retributivo  vantato  nei  confronti  del  datore  di  lavoro  e rimasto insoddisfatto (fra le molte, sentenza n. 37789 del 2022, cit., punto 4 delle Ragioni della decisione).
Nessuna  rilevanza  preclusiva  presentano  le  risultanze dello  stato  passivo,  su  cui  i  ricorrenti  fanno  leva  anche nella memoria illustrativa.
La definitività dello stato passivo, che consacra il credito del  lavoratore,  impedisce  all’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE  soltanto  di  “opporre
eccezioni derivanti da ragioni interne al rapporto di lavoro che mirino a contestare esistenza ed entità dei crediti in ragione del concreto atteggiarsi delle situazioni giuridiche soggettive del lavoratore e del datore di lavoro” (Cass., sez. lav., 19 luglio 2018, n. 19277, punto 18 delle Ragioni della decisione).
Né il credito del lavoratore può essere agganciato “senza limiti temporali e prescindendo dalla attuale individuazione dei soggetti del rapporto di lavoro, ad uno degli ex datori di lavoro, interessati dalle vicende circolatorie pregresse, che viene dichiarato fallito in epoca in cui il rapporto di lavoro non è più in essere nei confronti del lavoratore istante perché proseguito con altro soggetto”  (sentenza  n.  19277  del  2018,  cit.,  punto  32 delle Ragioni della decisione).
Una  diversa  interpretazione  distoglierebbe  il  RAGIONE_SOCIALE  di RAGIONE_SOCIALE, “finanziato dai contributi dei datori di lavoro e dallo Stato, dalla sua funzione primaria, in contrasto con l’art. 2, ottavo comma, della legge n. 297 del 1982, che vieta  d’impiegare  le  disponibilità  del  RAGIONE_SOCIALE  “al  di  fuori della finalità istituzionale del fondo stesso”” (Cass., sez. lav., 27 dicembre 2022, n. 37789, punto 5 delle Ragioni della decisione).
È indicativo  che sia stato necessario un  intervento espresso del legislatore, con l’art. 368, comma 4, lettera d),  del  decreto  legislativo  12  gennaio  2019,  n.  14,  per sancire, in ipotesi circoscritte, quell’immediata esigibilità del trattamento di fine rapporto nei confronti del cedente dell’azienda, che rappresenta presupposto imprescindibile per l’attivazione del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE (Cass., sez. lav., 3
settembre  2024,  n.  23562,  punto  7  delle  Ragioni  della decisione).
Tale disciplina, contraddistinta da un carattere marcatamente innovativo (sentenza n. 37789 del 2022, cit., punto 9.3. delle Ragioni della decisione), è inapplicabile ratione temporis alla fattispecie controversa, come anche l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE non manca di osservare (pagina 24 del controricorso).
Quanto agli accordi derogatori all’art. 2112 cod. civ., non rivestono  il  rilievo  risolutivo  che  il  ricorso  delinea,  con argomenti sviluppati anche nella memoria illustrativa.
Questa Corte ha evidenziato, a tale riguardo, che “l’intervento del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, costituendo adempimento di un’obbligazione pubblica che trova nella legge (in specie, comunitaria) la propria disciplina, non può che rimanere insensibile ad eventuali pattuizioni intercorse tra le parti private con cui – in deroga alla RAGIONE_SOCIALE apprestata dall’art. 2112 cod. civ. – si sia esclusa la solidarietà dell’impresa cessionaria, trattandosi di res inter alios acta” (Cass., sez. lav., 7 marzo 2023, n. 6842, nel Considerato in diritto).
Come ha rilevato l’Ufficio del Pubblico Ministero nella memoria scritta e nel corso della discussione, l’intervento del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE è assoggettato a una disciplina imperativa, “distinta da quella civilistica che regola, ai sensi dell’art. 2112 cod. civ., i rapporti tra lavoratore, affittante e affittuario dell’azienda. L’accordo sindacale concluso ai sensi dell’art. 47, comma 5, della legge n. 428 del 1990 incide su tali rapporti, non sul rapporto previdenziale” (Cass., sez. lav., 17 giugno 2024, n. 16740; nello stesso senso, ordinanza n. 23562 del 2024,
cit., punto 9 delle Ragioni della decisione, e, di recente, sentenza n. 34292 del 2024, cit.).
Né sono stati addotti argomenti persuasivi, che possano corroborare una rimeditazione di tale orientamento.
Quanto  alle  quote  di  TFR  non  corrisposte  al  RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE,  devono  essere  ribaditi i principi che questa Corte ha enunciato di recente (Cass., sez.  lav.,  26  aprile  2024,  n.  11198),  nell’inquadrare  la natura delle somme che il datore di lavoro non ha versato e nel delineare funzione e limiti dell’intervento solidaristico del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, nel peculiare contesto della circolazione dell’azienda.
Come  ha  rilevato  l’Ufficio  del  Pubblico  Ministero  nella memoria  scritta,  con  argomentazioni  riprese  anche  nel corso  della  discussione,  tali  affermazioni  si  attagliano anche al caso di specie.
Il credito del lavoratore “al TFR accantonato presso il datore di lavoro, con la finalità di destinazione alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e in origine di natura “retributiva”, assume natura “previdenziale” nel momento di attuazione del vincolo di destinazione, vale a dire con il versamento, al RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, delle risorse finanziarie del lavoratore -sub specie di contribuzione o di conferimento di quote di TFR accantonate dal datore di lavoro, su mandato del lavoratore medesimo” (sentenza n. 11198 del 2024, cit., punto 7 delle Ragioni della decisione e, nei medesimi termini, Cass., sez. lav., 28 giugno 2023, n. 18477).
Ove il datore di lavoro non adempia all’obbligo di versare le  quote  del  TFR  al  RAGIONE_SOCIALE  di  RAGIONE_SOCIALE  prescelto  dal lavoratore,  il  vincolo  di  destinazione  non  si  attua,  si
scioglie il contratto di mandato e perciò si ripristina, per il lavoratore, la disponibilità piena di tali risorse.
Ne consegue che il lavoratore, nei confronti del suo datore di lavoro, vanta il credito per il corrispondente importo di natura retributiva.
Nel relativo debito, in caso di cessione d’azienda, subentra il datore di lavoro cessionario (art. 2112 cod. civ.), tenuto ad adempiere nei medesimi termini.
Non può essere, dunque, accolta la richiesta d’intervento del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs. n. 80 del 1992, avanzata per il fallimento del cedente, in quanto difetta  il  presupposto  della  sottoposizione  dell’attuale datore di lavoro cessionario, con cui il rapporto di lavoro prosegue, ad una delle procedure di cui all’art. 1 del citato decreto legislativo.
Presupposto che la disciplina imperativa di legge considera indefettibile per il sorgere dell’autonomo diritto alle prestazioni erogate dal RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE.
L’insussistenza di tale presupposto, rilevata anche nella decisione impugnata, si rivela dirimente, come ha puntualizzato l’Ufficio del Ministero nella memoria scritta (pagina 3) e nel corso della discussione.
Né sono stati prospettati elementi decisivi che inducano a rimeditare tali principi, richiamati dal Pubblico Ministero e invocati anche  dall’Istituto nella memoria  illustrativa depositata in prossimità dell’udienza.
Il ricorso, in definitiva, dev’essere respinto.
Le spese del presente giudizio possono essere integralmente compensate, in ragione della complessità delle questioni dibattute e dei recenti interventi chiarificatori di questa Corte su tutti i profili rilevanti.
L’integrale rigetto del ricorso, proposto dopo il 30 gennaio 2013, impone di dare atto dei presupposti per il sorgere dell’obbligo dei ricorrenti di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa  impugnazione,  ove  sia  dovuto  (Cass.,  S.U.,  20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del presente giudizio.  Dichiara  la  sussistenza  dei  presupposti  per  il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1-bis dell’art. 13 del D.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così  deciso  in  Roma  nella  camera  di  consiglio  del  15