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Fondo di garanzia TFR: no intervento in cessione

La Corte di Cassazione stabilisce che il Fondo di garanzia TFR non è tenuto a intervenire per il pagamento del Trattamento di Fine Rapporto maturato con l’azienda cedente, qualora un accordo sindacale abbia escluso la solidarietà dell’azienda cessionaria e il rapporto di lavoro sia proseguito con quest’ultima. La decisione si fonda sulla distinzione tra il rapporto di lavoro e quello previdenziale, rendendo l’accordo inopponibile all’ente previdenziale.

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Fondo di garanzia TFR e cessione d’azienda: quando l’ente non paga?

La tutela del Trattamento di Fine Rapporto (TFR) è un pilastro del diritto del lavoro italiano, soprattutto in situazioni critiche come l’insolvenza del datore. Il Fondo di garanzia TFR presso l’ente previdenziale è lo scudo principale per i lavoratori. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti di tale intervento, in particolare nei complessi scenari di cessione di ramo d’azienda con accordi sindacali in deroga.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato riguarda un lavoratore il cui rapporto di lavoro è stato trasferito da un’azienda (cedente) a un’altra (cessionaria) a seguito di una cessione di ramo d’azienda. Un accordo sindacale, stipulato nell’ambito del trasferimento, aveva escluso la responsabilità solidale della società acquirente per i crediti maturati dal lavoratore con la precedente azienda, incluso il TFR. Successivamente, l’azienda cedente veniva dichiarata fallita. Il lavoratore, vedendosi preclusa la possibilità di recuperare il TFR maturato, si rivolgeva all’ente previdenziale chiedendo l’intervento del Fondo di garanzia. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello giungevano a conclusioni opposte, portando la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.

La decisione sul Fondo di garanzia TFR

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del lavoratore, confermando la decisione della Corte d’Appello. Ha stabilito che, nelle circostanze date, il Fondo di garanzia TFR non era tenuto a intervenire. La Corte ha chiarito che l’accordo sindacale che esonera l’azienda acquirente dalla responsabilità per i debiti pregressi non può essere opposto all’ente previdenziale, il cui rapporto con il lavoratore è autonomo e distinto da quello di lavoro.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha basato la sua decisione su principi giuridici consolidati, distinguendo nettamente due piani diversi:

1. Autonomia del Rapporto Previdenziale: Esiste una differenza fondamentale tra il rapporto di lavoro (trilaterale, tra lavoratore, cedente e cessionario) e il rapporto previdenziale (bilaterale, tra lavoratore ed ente previdenziale). L’accordo sindacale, che deroga all’articolo 2112 del codice civile sulla solidarietà, incide esclusivamente sul rapporto civilistico di lavoro. Non può, pertanto, vincolare l’ente previdenziale, che è un soggetto terzo rispetto a tale accordo.

2. Presupposti per l’Intervento del Fondo: L’intervento del Fondo di garanzia è subordinato a requisiti specifici. Il presupposto fondamentale è l’insolvenza del datore di lavoro attuale dell’assicurato. Nel caso di specie, al momento della dichiarazione di insolvenza, il datore di lavoro del ricorrente non era più l’azienda cedente (fallita), ma l’azienda cessionaria, con cui il rapporto di lavoro era proseguito senza soluzione di continuità. Il credito per il TFR maturato con la cedente non era ancora esigibile, poiché il rapporto non si era concluso.

3. Finalità Istituzionale del Fondo: La Corte ha ribadito che la funzione del Fondo è quella di coprire le insolvenze datoriali, non di rimediare a qualsiasi inadempimento subito dal lavoratore. Ammettere l’intervento in un caso come questo significherebbe sviare le risorse del Fondo dalla sua finalità istituzionale, gravandolo di una prestazione non dovuta né dal punto di vista oggettivo (il credito non era sorto) né soggettivo (l’insolvente non era più il datore di lavoro).

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza offre un importante monito per lavoratori e organizzazioni sindacali. Gli accordi in deroga alla solidarietà del cessionario, sebbene legittimi per salvaguardare la continuità occupazionale in crisi aziendali, possono creare un vuoto di tutela. Se l’azienda cedente diventa insolvente dopo il trasferimento, il lavoratore rischia di non poter recuperare il TFR maturato, né dal cessionario (a causa dell’accordo) né dal Fondo di garanzia TFR (per le ragioni esposte dalla Cassazione). La decisione sottolinea la necessità di valutare con estrema attenzione le conseguenze di tali accordi, cercando soluzioni che bilancino la continuità aziendale con la piena tutela dei diritti dei lavoratori.

Perché il Fondo di garanzia TFR non è intervenuto in questo caso?
Il Fondo non è intervenuto perché, al momento della dichiarazione di fallimento dell’azienda cedente, questa non era più il datore di lavoro del dipendente. Il rapporto di lavoro era proseguito con l’azienda cessionaria, e i presupposti per l’intervento del Fondo (insolvenza del datore di lavoro attuale) non erano soddisfatti.

L’accordo sindacale che esclude la responsabilità del nuovo datore è valido nei confronti dell’ente previdenziale?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’accordo sindacale riguarda solo il rapporto di lavoro tra lavoratore, azienda cedente e azienda cessionaria. Non è opponibile all’ente previdenziale, il cui rapporto con il lavoratore è di natura previdenziale, distinto e autonomo.

Cosa accade al TFR maturato con l’azienda cedente quando il rapporto di lavoro prosegue con la cessionaria?
In assenza di un accordo in deroga, il nuovo datore di lavoro (cessionario) è solidalmente responsabile con il vecchio (cedente) per il pagamento del TFR. Tuttavia, come dimostra questo caso, se un accordo sindacale esclude tale solidarietà, il lavoratore può perdere questa garanzia, con il rischio di non poter recuperare il credito in caso di fallimento del cedente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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