Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2101 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 2101 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/01/2025
SENTENZA
sul ricorso 5071-2020 proposto da:
COGNOME, COGNOME, COGNOME, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
I.N.P.G.I. -ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA DEI GIORNALISTI ITALIANI “NOME COGNOME“, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende;
Oggetto
Fondo di garanzia INPGI
R.G.N. 5071/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 15/10/2024
PU
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3720/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 23/10/2019 R.G.N. 1815/2018; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso; uditi gli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza della Corte di appello di Roma è stato accolto il gravame dell’INPGI avverso la sentenza del Tribunale di Roma e sono stati revocati i decreti ingiuntivi che erano stati emessi in favore di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per le somme spettanti a titolo di trattamento di fine rapporto in relazione al rapporto di lavoro intercorso con la società RAGIONE_SOCIALE il cui fallimento era stato revocato pur dopo l’ammissione dei crediti al passivo e la presentazione di domanda all’INP GI di avvalersi della prestazione del Fondo di Garanzia.
1.1. Il giudice di appello ha ritenuto che per effetto della sentenza di revoca della dichiarazione di fallimento, conseguente all’accertata non fallibilità della società che non era qualificabile come impresa commerciale, erano venuti meno i presupposti p er l’applicazione del comma 2 dell’art. 2 della legge n. 297 del 1982. Conseguentemente correttamente l’INPGI, a fronte della domanda dei lavoratori, aveva chiesto loro la prova dello stato di insolvenza della società a seguito della promozione di procedure esecutive individuali.
1.2. La Corte territoriale ha rammentato infatti che, ai sensi dell’art. 2 comma 7 della citata legge n. 297 del 1982 , l’erogazione del TFR deve intervenire nel termine di sessanta giorni dalla data della presentazione della domanda amministrativa e che nella specie, nelle more della scadenza di tale termine, era intervenuta la sentenza di revoca del fallimento della società datrice.
1.3. Conseguentemente la sentenza ha ritenuto che per ottenere l’intervento del Fondo i lavoratori avrebbero dovuto -ai sensi dell’art. 2 co mma 5 della legge n. 297 del 1982, che trovava applicazione in tutti i casi nei quali il fallimento non veniva dichiarato per ragioni soggettive o oggettive -procedere all’ esecuzione forzata e, solo in caso di un suo esito negativo, sarebbe sorto il diritto alla prestazione da parte del Fondo di garanzia.
Per la cassazione della sentenza ricorrono i lavoratori con cinque motivi. Resiste l’INPGI con tempestivo controricorso. Il procuratore generale ha presentato memoria con la quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso. Sia i ricorrenti che l’Istituto controricorrente hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è denunciata la falsa applicazione dell’art.2 commi 2 e 7 della legge n. 297 del 1992 e si deduce che la sentenza -con la quale in accoglimento del reclamo della società era stato revocato il fallimento su rilievo che fosse carente la prova di uno scopo lucrativo della società non avrebbe potuto incidere sulla proponibilità delle domande con le quali era stata chiesta l’ attivazione del Fondo di garanzia atteso che al momento della presentazione delle stesse ne ricorrevano tutti i presupposti di legge e che non esiste alcuna norma di legge che consenta la sospensione di quel tipo di procedimento.
3.1. Inoltre, parte ricorrente ricorda che per effetto della domanda di riconoscimento delle prestazioni a carico del Fondo si instaura un rapporto previdenziale diretto con il lavoratore che è indifferente alle vicende che riguardano terzi.
Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 324 c.p.c. , del R.d. n. 267 del 1942 e dell’art. 2 comma 2 della legge n. 297 del 1982 in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c..
4.1. Ad avviso dei ricorrenti alla natura costitutiva della sentenza di revoca del fallimento consegue che i suoi effetti si producono solo dal passaggio in giudicato della decisione e dunque né alla data di scadenza del termine per il pagamento (15 -25/1/2017) né al momento in cui è decorso il termine per il deposito del ricorso per ingiunzione (20.3.2017) si era formato il giudicato. Ed infatti alla scadenza del termine di sessanta giorni dalle domande amministrative entro il quale l’INPGI avrebbe dovuto provvedere al pagamento della prestazione la società RAGIONE_SOCIALE era ancora in stato di fallimento.
Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 18 del R.d. n. 267 del 1942 e dell’art. 2 comma 2 della legge n. 297 del 1982 e si s ostiene che l’accertamento dello stato passivo non ha natura endofallimentare e che la revoca fa comunque salvi gli effetti che si sono già prodotti. Sottolinea che non era necessario provare l’incapienza del patrimonio della società , che era già stato accertato in sede fallimentare col rendiconto del curatore ed era noto all’INPGI il quale lo aveva prodotto in giudizio. Ricorda che con riguardo all’esercizio dell’ azione esecutiva questa non poteva essere ritenuta necessaria laddove, come nella specie, ecceda la normale diligenza.
Con il quarto motivo è denunciata la violazione degli artt. 324 c.p.c., 51, 119 e 120 della legge n. 267 del 1942 e dell’art. 2 comma 5 della legge n. 297 del 1982. I ricorrenti deducono che
fino alla revoca con sentenza passata in giudicato del fallimento i lavoratori non avrebbero potuto agire in via esecutiva.
Con l’ultimo motivo di ricorso è denunciata, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. , la violazione dell’art. 345 c.p.c. per avere la Corte di merito esaminato l’eccezione relativa alla surroga del Fondo verso il fallimento, ex art. 2 comma 7 della legge n. 297 del 1982 resa impossibile dalla sua revoca, sebbene fosse stata proposta solo in appello.
I primi quattro motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, sono fondati e devono essere accolti restando assorbito l’esame del quinto .
8.1. L’art. 2 della legge n. 297 del 1982 disciplina il Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto e dispone che tale Fondo ha ‘lo scopo di sostituirsi al datore di lavoro in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento di fine rapporto, di cui all’ articolo 2120 del Codice civile, spettante ai lavoratori o loro aventi diritto.’
8.2. Al comma due della citata norma si dispone che ‘trascorsi quindici giorni dal deposito dello stato passivo, reso esecutivo ai sensi dell’ articolo 97 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 , ovvero dopo la pubblicazione della sentenza di cui all’articolo 99 dello stesso decreto, per il caso siano state proposte opposizioni o impugnazioni riguardanti il suo credito, ovvero dalla pubblicazione della sentenza di omologazione del concordato preventivo, il lavoratore (o i suoi aventi diritto) può ottenere a domanda il pagamento, a carico del Fondo, del trattamento di fine rapporto di lavoro e dei relativi crediti accessori, previa detrazione delle somme eventualmente corrisposte.
8.3. Qualora vi sia una ‘dichiarazione tardiva di crediti di lavoro di cui all’ articolo 101 del regio decreto 16 marzo 1942 n. 267, la domanda (…) può essere presentata dopo il decreto di ammissione al passivo o dopo la sentenza che decide il giudizio
insorto per l’eventuale contestazione del curatore fallimentare.’
(art. 2 comma 3)
8.4. Il comma 4, poi, regola il caso in cui l’impresa sia sottoposta a liquidazione coatta amministrativa e prevede che la domanda possa essere presentata ‘trascorsi quindici giorni dal deposito dello stato passivo, di cui all’ articolo 209 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero, ove siano state proposte opposizioni o impugnazioni riguardanti il credito di lavoro, dalla sentenza che decide su di esse.’
8.5. Al comma 5 è disciplinato il caso in cui il datore di lavoro, che non sia soggetto a procedura concorsuale, non adempia alla risoluzione del rapporto di lavoro alla corresponsione del trattamento dovuto o vi adempia in misura parziale e si dispone che, in questo caso, il lavoratore o i suoi aventi diritto possano chiedere l’intervento del Fondo solo dopo aver proceduto nei confronti del datore di lavoro in via esecutiva sempre che le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto o in parte insufficienti. In mancanza di contestazioni, quindi, il Fondo esegue il pagamento del trattamento insoluto.
8.6. In sostanza la condizione necessaria per adire il fondo è che il credito sia stato accertato (vuoi con ammissione al passivo fallimentare, vuoi per effetto di accertamento cui sia seguita una azione esecutiva infruttuosa nei confronti del datore di lavoro) e che evidentemente sia rimasto insoluto.
8.7. I requisiti che devono sussistere per ottenere l’intervento del Fondo sono, dunque, l’insolvenza del datore di lavoro e la verifica dell’esistenza e misura del credito in sede di ammissione al passivo o all’esito di procedura esecutiva.
8.8. Il settimo comma dell’art. 2 citato regola poi la procedura da seguire per ottenere la prestazione e dispone che i pagamenti sono eseguiti dal Fondo entro 60 giorni dalla richiesta dell’interessato. In definitiva è necessaria la domanda
dell’interessato e il Fondo ha un termine entro il quale adempiere. Inoltre, sempre al settimo comma, si dispone che il fondo si surroga ‘di diritto al lavoratore o ai suoi aventi causa nel privilegio spettante sul patrimonio dei datori di lavoro ai sensi degli articoli 2751bis e 2776 del Codice civile per le somme da esso pagate.’
Questa Corte ha da tempo chiarito che il diritto del lavoratore di ottenere dall’INPS, in caso di insolvenza del datore di lavoro, la corresponsione del trattamento di fine rapporto a carico dello speciale fondo di cui all’art. 2 della legge n. 297 del 1982 ha natura di diritto di credito ad una prestazione previdenziale ed è perciò distinto ed autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro, senza che possa configurarsi un’ipotesi di obbligazione solidale (restando esclusa, pertanto, la fattispecie di obbligazione solidale).
9.1. Il diritto non si perfeziona con la cessazione del rapporto di lavoro ma al verificarsi dei presupposti previsti dalla citata legge che sono: l’insolvenza del datore di lavoro; la verifica dell’esistenza e della misura del credito in sede di ammissione al passivo ovvero all’esito di procedura esecutiva.
9.2. Prima che si siano verificati tali presupposti, nessuna domanda di pagamento può essere rivolta all’INPS tanto che si è ritenuto, ad esempio, che non possa decorrere la prescrizione del diritto del lavoratore nei confronti del Fondo di garanzia (cfr. Cass. n. 16617 del 2011,n. 12971 del 2014, n. 20547 del 2015, n. 17643 del 2020).
Tanto premesso, il quesito al quale si deve qui rispondere è se, una volta che si sia instaurato il rapporto previdenziale con il Fondo costituito presso l’INPS, nel ricorso dei presupposti per ottenere il suo intervento, il diritto alla prestazione possa venir meno per effetto della sopravvenuta revoca della sentenza di fallimento. Inoltre, è necessario accertare se, in tale situazione,
l’interessato debba agire in esecuzione nei confronti del datore di lavoro per accertare il suo credito.
10.1. Al riguardo si deve tenere presente che gli effetti della sentenza di fallimento -la cui provvisoria esecutività, disposta dall’art. 16, comma 2 della legge fallimentare, non è suscettibile di sospensione -vengono meno solo con il passaggio in giudicato della decisione che, accogliendo il reclamo ex art. 18 legge fallimentare, la revochi (cfr. Cass. n. 1073 del 2018 e n. 22153 del 2021).
10.2. Ritiene il Collegio che, pertanto, nel momento in cui viene presentata la domanda e decorrono i termini per il suo esame, pur pendente l’opposizione avverso la declaratoria di fallimento, laddove il credito sia stato ammesso al passivo, il presupposto per ottenere la prestazione debba ritenersi accertato atteso che, peraltro, in tale frangente al lavoratore è preclusa l’azione esecutiva nei confronti del datore di lavoro.
10.3. Con riguardo alle azioni esperibili da parte del lavoratore infatti questa Corte ha affermato che l’intervento del Fondo di garanzia istituito presso l’INPS per la realizzazione dei crediti di lavoro nei confronti del datore di lavoro inadempiente che non sia assoggettabile alle procedure concorsuali -previsto dall’art. 2 comma 5 della legge n. 297 del 1982 e dall’art. 2 comma 2 del d.lgs. n. 80 del 1992 – risponde ad un’esigenza di socializzazione del rischio da inadempimento e da insolvenza e pone a carico dell’ente previdenziale, al quale spetta il diritto di surroga, i rischi connessi alla procedura di recupero del credito che è subordinato all’assolvimento, da parte del lavoratore, dell’onere di agire in executivis nei confronti del datore di lavoro secondo un criterio che va conformato, sia nei tempi che nei modi, alla misura dell’ordinaria diligenza nell’esercizio dell’azione esecutiva individuale.
10.4. Pertanto, il lavoratore che non è tenuto ad esperire l’esecuzione in tempi prestabiliti, ma solo al rispetto di quelli relativi al procedimento previdenziale, può limitarsi ad intraprendere una delle possibili forme di esecuzione, con l’onere, in caso di esito infruttuoso di quella prescelta, di compiere ulteriori attività di ricerca dei beni solo allorché si prospetti la possibilità di una nuova esecuzione fruttuosa e ragionevole. Tale ultima ipotesi, escluso un onere indistinto di ricerca di beni e/o condebitori, si verifica, dal punto di vista oggettivo, in presenza di beni che risultano dagli atti agevolmente aggredibili, senza un particolare dispendio economico e temporale, e dal punto di vista soggettivo, in presenza di altri condebitori solidalmente e illimitatamente responsabili oppure, in caso di soci limitatamente responsabili di una società di capitali cancellata ed estinta, allorché risulti positivamente dimostrato che tali soci abbiano riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione.
10.5. Da quanto esposto si desume che, in sostanza, al lavoratore è richiesta una diligenza ma nell’ambito del possibile e non vi può certo rientrare l’esercizio di un’azione che, peraltro , fino alla revoca del fallimento con sentenza passata in giudicato non sarebbe comunque proponibile.
10.6. Tutto ciò premesso, ritiene allora il Collegio che una volta validamente instaurato il rapporto previdenziale per effetto della domanda presentata nel ricorso dei presupposti di legge il diritto alla prestazione è perfetto e non può venir meno a cagione del sopravvenuto accertamento della insussistenza delle condizioni di fallibilità della società.
10.7. Va rilevato infatti che in tale contesto il credito vantato e chiesto al Fondo è stato accertato nell’ambito della procedura fallimentare e non era esigibile, medio tempore, dal lavoratore l’esercizio di una diversa e distinta azione esecutiva nei confronti
della società che, come ricordato, a quel momento era in stato di fallimento.
10.8. L ‘art. 18 della legge fallimentare preved e che in caso di revoca del fallimento sono fatti salvi gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi della procedura, il che salvo l’accertamento del credito effettuato .
10.9. Nella specie si tratta ‘ di rivendicazioni economiche operate dai creditori dell’imprenditore sul presupposto di una sentenza dichiarativa del fallimento nelle more caducata’. Occorre allora considerare che, come detto, a seguito del fallimento della società e dell’ammissione al passivo del credito i lavoratori non avevano altra possibilità se non quella di rivolgersi al Fondo di garanzia per ottenere quanto loro spettante atteso che non era loro consentito di aggredire altrimenti il patrimonio della datrice di lavoro al fine di ottenere la certificazione dell’insolvenza . L ‘ammissione al passivo dei crediti da parte della curatela aveva, al momento in cui era stata disposta, piena efficacia accertativa e certificativa che l’INPGI non poteva disconoscere dovendo dar corso, perciò, alla domanda dei lavoratori.
Erra perciò la Corte territoriale nel far retroagire sull’accertamento del credito effettuato la revoca della dichiarazione di fallimento restando fermo invece lo stesso per i fini di cui alla domanda di riconoscimento del credito da parte del Fondo di garanzia.
Alla luce delle considerazioni esposte il ricorso deve essere accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la controversia può essere decisa nel merito con il rigetto delle opposizioni originariamente proposte e la conferma dei decreti ingiuntivi ottenuti dagli odierni controricorrenti.
La novità e peculiarità della vicenda esaminata, che ha visto esiti alterni nelle fasi di merito, giustifica la compensazione tra le parti delle spese dell’intero processo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso.
Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta le opposizioni proposte dall’INPGI avverso i decreti ingiuntivi ottenuti dagli odierni controricorrenti.
Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma il 15 ottobre 2024